Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 febbraio 2022, n. 5240 - Infortunio in itinere e malattia psichica


Presidente: BERRINO UMBERTO Relatore: CAVALLARO LUIGI
Data pubblicazione: 17/02/2022
 

Fatto


Con sentenza depositata il 26.10.2018, la Corte d'appello di Ancona ha confermato la pronuncia di primo grado che, in parziale accoglimento della domanda proposta da G.S., aveva condannato l'INAIL a costituire in suo favore una rendita per l'infortunio in itinere occorsogli il 23.4.2012, per il quale era residuata a suo carico un'invalidità permanente parziale pari all'8%.
La Corte, per quanto qui rileva, ha disatteso l'istanza di rinnovazione della CTU espletata in prime cure e ha ritenuto che la quantificazione del grado di invalidità fosse stata effettuata correttamente, essendosi l'infortunio inserito in un ambito personologico che avrebbe avuto un ruolo rilevante nello sviluppo dei disturbi clinici successivamente rilevati e non ponendosi alcun problema di concorso di cause, dovendo reputarsi l'infortunio quale unica causa efficiente della malattia psichica successivamente insorta.
Avverso tali statuizioni G.S. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura. L'INAIL ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale per un motivo. G.S. ha altresì depositato memoria con cui ha eccepito l'inammissibilità dell'impugnazione incidentale dell'INAIL per intervenuto giudicato interno.
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del ricorso incidentale.
 

Diritto


Con il primo motivo del ricorso principale, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, o 2043, 2059 e 2697 c.c., 40 e 41 c.p., nonché del T.U. n. 1124/1965 e del d.lgs. n. 38/2000, per avere la Corte di merito liquidato il danno da invalidità permanente parziale in misura pari al 3%, che rappresenterebbe "il valore già al netto del ritenuto disturbo dell'adattamento [...] e quindi del disturbo della personalità già in fase sub-clinica" (così il ricorso per cassazione, pag. 7): ad avviso di parte ricorrente, infatti, essendo rimasto accertato che egli, prima dell'infortunio, non aveva mai presentato alcuna malattia psichica, i giudici di merito avrebbero dovuto trarne la conseguenza che, in mancanza dell'infortunio, i pregressi tratti caratteriali di "personalità vulnerabile di tipo maladattativo" non si sarebbero evoluti nel disturbo psichico invalidante che lo ha successivamente colpito e dunque liquidare il danno per intero, senza procedere ad alcuna diminuzione del quantum debeatur.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 118 att. c.p.c.: a suo avviso, infatti, i giudici territoriali non avrebbero tenuto conto del motivo di appello concernente l'errore compiuto dai CTU di prime cure nel considerare un antecedente condizionale come un antecedente concausale e nel non aver precisato il danno complessivo occorso alla sfera psichica, quantificando soltanto quella quota parte che "riduttivamente riconducono agli eventi psicosociali stressanti in atti" (così il ricorso in appello, debitamente trascritto a pag. 10 del ricorso per cassazione), e - nel far proprie le risultanze peritali già emerse in primo grado - non avrebbero dato conto del motivo per cui esse dovevano considerarsi "esaurienti ed accurate" rispetto alle puntuali osservazioni critiche svolte nel gravame, così rassegnando una motivazione meramente apparente.
Con l'unico motivo del ricorso incidentale, l'INAIL denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 13, comma 2, d.lgs. n. 38/2000, per avere la Corte territoriale confermato la sentenza di primo grado nonostante che, a fronte di un'invalidità permanente parziale quantificata in misura pari all'8%, aveva condannato l'Istituto a costituire una rendita invece che a corrispondere il prescritto indennizzo in capitale.
Ciò posto, i primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione della stretta connessione delle censure, e sono infondati.
Va premesso, al riguardo, che la sentenza impugnata, dopo aver dato atto che le censure del gravame dell'odierno ricorrente principale riguardavano precisamente "la non corretta quantificazione del danno psichico anche in termini di incidenza delle concause" (così la sentenza impugnata, pag. 3), ha ricordato come il collegio peritale di prime cure avesse messo in evidenza che l'infortunio occorso all'odierno ricorrente si era caratterizzato per un urto di lieve entità tra due autoveicoli, ritenuto tale da non causare "rilevanti danni fisici", e che, nondimeno, a causa della presenza "di un disturbo della personalità già in fase subclinica" a carico del ricorrente medesimo, "aveva comportato la nascita di problemi psichici riconducibili al disturbo dell'adattamento non complicato", quantificandoli in misura pari al 3% (ibid., pagg. 3-4).
Ora, fin da Cass. n. 530 del 1998, questa Corte di legittimità, in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell'assicurato, ha avuto modo di precisare che il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio è ravvisabile o in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va specificamente indicata, oppure nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura di difetto di motivazione costituisce un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico-formale, che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice (nello stesso senso, tra le innumerevoli successive conformi, si vedano Cass. nn. 5541 del 2002, 11894 del 2004, 9988 del 2009, 1652 del 2012 e, tra le più recenti, Cass. nn. 23093 del 2016 e 27807 del 2017), esattamente al pari della denuncia di semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l'entità e l'incidenza del dato patologico e il valore diverso allo stesso attribuito dalla parte (così in specie Cass. n. 22707 del 2010 e 569 del 2011).
Reputa in specie il Collegio che di tal genere siano le critiche che l'odierno ricorrente pretende di rivolgere alla sentenza impugnata. Dovendo infatti escludersi qualunque violazione dell'art. 40 c.p., avendo correttamente ritenuto i giudici territoriali che "l'unica causa della malattia psichica è rappresentata dall'infortunio, [...] minimo nella sua quantificazione, sebbene vissuto in modo molto grave dall'assicurato in ragione della sua peculiare personalità" (così la sentenza impugnata, pag. 4), il dissenso del ricorso, a ben vedere, si appunta esclusivamente sulla diagnosi del disturbo psichico effettuata dai CTU di prime cure, che l'odierno ricorrente, sulla scorta del parere del consulente di parte, pretenderebbe invece di ricondurre ad un "disturbo post-traumatico da stress cronico di alto grado" (così, in particolare, pag. 9 del ricorso per cassazione), e conseguentemente sul grado di invalidità che ne è derivato. Ma tanto l'una quanto l'altra sono valutazioni che, attenendo propriamente all'ambito del convincimento del giudice di merito, possono essere contestate in sede di legittimità solo ex art. 360 n. 5 c.p.c. e - come anzidetto - nella misura in cui le censure contengano la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico­ legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali (così, tra le più recenti, Cass. n. 4748 del 2018); e si deve semmai aggiungere che, nel caso di specie, nemmeno gioverebbe al ricorrente una riqualificazione dei motivi di censura in termini di omesso esame circa un qualche fatto decisivo per il giudizio: indipendentemente dalla configurabilità in specie di un "fatto" di cui sia stato omesso l'esame (nel rigoroso senso precisato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014 e succ. conf.), si verte infatti in fattispecie di doppia conforme di merito, in relazione alla quale la denuncia ex art. 360 n. 5 c.p.c. non è punto ammessa, giusta la previsione dell'art. 348-ter, ult. co., c.p.c. (cfr., per un caso analogo, Cass. n. 21301 del 2020).
È invece affatto inammissibile il ricorso incidentale dell'INAIL: è sufficiente al riguardo rilevare che l'errore che l'Istituto imputa alla sentenza di appello era già stato compiuto dal giudice di primo grado e che, non risultando sul punto spiegato alcun appello incidentale, si è formato sulla statuizione di prime cure il giudicato interno, che rende la questione non più proponibile in questa sede di legittimità.
Né reputa il Collegio di poter condividere al riguardo il contrario avviso espresso dal Pubblico ministero, secondo cui il carattere unitario della domanda svolta ab origine dall'odierno ricorrente, unitamente alla doverosità del rilievo officioso dei requisiti ex lege necessari per l'accesso al beneficio della rendita e/o dell'indennizzo, militerebbero l'accoglimento della censura: vero è, infatti, che l'inidoneità in astratto di un fatto a produrre un effetto giuridico ovvero l'inesistenza di una norma che al fatto associ l'effetto è deducibile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio (così Cass. n. 10832 del 1998 e innumerevoli successive conformi), ma è pur vero che, quando sulla idoneità o inidoneità di un fatto a produrre o meno un dato effetto giuridico il giudice di merito abbia reso una qualche pronuncia, è onere della parte interessata impugnarla, onde appunto evitare il formarsi del giudicato interno: la regola della rilevabilità d'ufficio delle questioni in ogni stato e grado del processo va infatti coordinata con i principi che governano il sistema delle impugnazioni, nel senso che essa opera solo quando sulle suddette questioni non vi sia stata una statuizione anteriore, mentre, ove questa vi sia stata, i giudici delle fasi successive possono conoscere delle questioni stesse solo se e in quanto esse siano state riproposte con l'impugnazione, formandosi altrimenti il giudicato interno che ne preclude ogni ulteriore esame (così, tra le più recenti, Cass. n. 22207 del 2017).
Entrambi i ricorsi, pertanto, vanno rigettati, compensandosi le spese del giudizio di legittimità in ragione della soccombenza reciproca. Tenuto conto del rigetto dei ricorsi, sussistono invece presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
 

P. Q. M.


La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa le spese.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3.11.2021.