Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 23 febbraio 2022, n. 5927 - Indennizzo del danno biologico da malattia professionale: ipoacusia da trauma acustico cronico. Esposizione a rumore


 

 

Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: PICCONE VALERIA
Data pubblicazione: 23/02/2022
 

RILEVATO che
Con sentenza del 17 settembre 2020, la Corte d'Appello di Ancona in accoglimento dell'appello proposto dall'INAIL ha respinto la domanda avanzata da M.F. volta ad ottenere l'indennizzo del danno biologico da malattia professionale (ipoacusia da trauma acustico cronico) nel gradiente del 17%;
in particolare, il giudice di secondo grado, dopo aver sottolineato che, trattandosi di malattia non tabellata, l'onere della prova gravava in capo al ricorrente, ha rilevato che non emergevano elementi atti a reputare non attendibili i dati fenomenici emersi a seguito dei rilievi nell'azienda di officina meccanica del M.F. da parte della SEA, azienda specializzata nella valutazione del rischio rumore escludendo che l'esposizione potesse aver comportato la malattia dedotta anche alla luce del carattere multifattoriale dell'eziogenesi della stessa;
- avverso tale pronunzia propone ricorso M.F., affidandolo a tre motivi;
- resiste, con controricorso, l'INAIL;
 

CONSIDERATO che
-con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. in relazione alla ritenuta carenza di prova dell'esposizione a rumore ambientale superiore al limite di tolleranza, nonché dell'art. 45 D. Lgs. n. 277 del 1991 e del D.M. 9 aprile 2008;
- con il secondo motivo si allega la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e il travisamento della prova sotto il profilo dell'art. 360 comma 1, n. 1111. 3 e 5 cod. proc. civ.;
- con il terzo motivo si deduce l'omesso esame di clementi probatori decisivi per il giudizio, in relazione all'abituale esposizione del ricorrente a rumori superiori alla soglia di tollerabilità;
i tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico­ sistematiche, sono in parte inammissibili ed in parte infondati;
- relativamente alla denunziata violazione dell'art. 2697 cod. civ., va osservato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, (ex plurimis, Cass. n. 18092 del 2020) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all'art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, in particolar modo in quanto, pur veicolando parte ricorrente la censura per il tramite della violazione di legge, essa, in realtà mira ad ottenere una rivisitazione del fatto, inammissibile in sede di legittimità;
- quanto alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., occorre evidenziare che, secondo quanto statuito recentemente dalle Sezioni Unite, per la violazione delle disposizioni che presiedono all'ammissione delle prove, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione delle relative norme, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr., SU n. 20867 del 20/09/2020), ed inoltre anche che una violazione dell'art. 116 cod. proc. civ., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960);
- con riguardo alla omessa motivazione su un fatto decisivo, consistente nell'esame delle risultanze istruttorie acquisite nel giudizio di secondo grado, da cui emergerebbe un diverso gradiente di lesività del livello di rumore considerato, si verte nell'ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., al di fuori dell' omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost. cd individuato "in negativo" dalla consolidata giurisprudenza della Corte - formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi che si convertono nella violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);
- in realtà la piana lettura del ricorso introduttivo induce a ritenere che parte ricorrente tenti di invocare una rivisitazione del fatto, inammissibile in sede di legittimità;
- in particolare, si legge nel ricorso che la Corte d'Appello avrebbe desunto il fatto ignoto (consistente nell'esposizione ad un livello medio di rumore inferiore agli 80dB) da un insieme di elementi che, tuttavia, non risponderebbero ai requisiti tipici della presunzione e, cioè, gravità, precisione e concordanza;
- segnatamente, ad avviso di parte ricorrente, l'avvenuta installazione di un dispositivo di riduzione del rumore su di un solo macchinario tra i numerosi utilizzati in officina, così come l'ampiezza della stessa, non potrebbero reputarsi sufficienti ad affermare la presunzione di non rumorosità dell'ambiente;
- orbene, ritiene il Collegio che, così facendo, parte ricorrente non censuri la decisione impugnata assumendo la non corretta sussunzione sotto i tre caratteri di individuazione della presunzione (su cui, fra le altre, Cass. n. 10485 del 2017) ma, piuttosto, postuli una diversa valutazione del fatto, inammissibile in sede di legittimità;
- deve, quindi, concludersi che parte ricorrente non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi cx artt. 360 co. 1 nn. 3 e 5 e cioè che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 14476 del 2021);
- alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;
- nulla per le spese in considerazione delle condizioni reddituali attestate;
 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese, attese le condizioni reddituali attestate. Da atto della sussistenza dei presupposti ex art. B quater dpr 115/2002 per l'ulteriore versamento, se dovuto. Così deciso nell'Adunanza camerale del 9 novembre 2021.