T.A.R. Lombardia, Sez. 1, 17 gennaio 2022, n. 109 - No alla sospensione del medico titolare di uno studio privato non vaccinato dallo svolgimento dell'attività e dall'albo


 

Pubblicato il 17/01/2022



N. 00109/2022 REG.PROV.COLL. N. 01167/2021 REG.RIC.






R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 1167 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e
domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato via
contro
Agenzia di Tutela della Salute - ATS di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato
con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di -OMISSIS-, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e
domicilio eletto presso il suo studio in
per l'annullamento
per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
- dell'atto dell’Agenzia di Tutela della Salute – ATS di -OMISSIS- del 13 maggio 2021, comunicato in pari data, con oggetto “D.L. 1 aprile 2021, n. 44 – art. 4 recante Disposizioni in ordine ad obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV2 (COVID-19), Primo invito ex Art. 4, comma 5”;
- dell'atto dell’Agenzia di Tutela della Salute – ATS di -OMISSIS- del 14 giugno 2021, comunicato in pari data, con oggetto “D.L. 1 aprile 2021, n. 44 – art. 4 recante Disposizioni in ordine ad obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV2 (COVID-19). Invito formale ex art. 4, comma 5”;
- di ogni altro atto e provvedimento presupposto, consequenziale e connesso, anche non conosciuto; nonché per il risarcimento di tutti i danni derivanti dagli atti impugnati;
per quanto riguarda i motivi aggiunti, presentati da-OMISSIS- in data 11 agosto 2021:
- dell'atto dell’Agenzia di Tutela della Salute – ATS di -OMISSIS- del 3 agosto 2021, comunicato al ricorrente in data 4 agosto 2021, con oggetto “D.L. n. 44/2021 convertito nella Legge n. 76/2021, art. 4 recante Disposizioni urgenti in materia di prevenzione del contagio da SARS-CoV-2 mediante previsione di obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario. Atto di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale - art. 4, comma 6, L. n. 76/2021”;
- degli atti presupposti e connessi, già impugnati con il ricorso introduttivo; nonché per il risarcimento di tutti i danni derivanti dagli atti impugnati.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia di Tutela della Salute - ATS di -OMISSIS- e dell’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 novembre 2021 la dott.ssa Rosanna Perilli e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FattoDiritto


1. Il ricorrente, iscritto all’Albo -OMISSIS- della Provincia di -OMISSIS-, è titolare di uno studio professionale, nel quale esercita l’attività di - OMISSIS-.
In data 13 maggio 2021 l’Agenzia di Tutela della Salute - ATS di -OMISSIS- (d’ora in avanti solo ATS di -OMISSIS-) ha inoltrato al ricorrente l’invito a produrre la documentazione attestante l’avvenuta vaccinazione o la presentazione della sua richiesta o, in alternativa, la documentazione attestante l’omissione o il differimento della stessa o l’insussistenza dei presupposti dell’obbligo vaccinale, introdotto, per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, dall’articolo 4, comma 1, del decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76.
Il ricorrente non ha fornito riscontro al predetto invito, per cui la ATS di - OMISSIS-, in data 14 giugno 2021, lo ha invitato formalmente a sottoporsi alla somministrazione del vaccino ed a produrre la documentazione attestante l’avvenuta prenotazione dello stesso, con espresso avvertimento che, in difetto, avrebbe proceduto all’adozione dell’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale ed alla sua comunicazione all’Ordine professionale di appartenenza.
1.1. Con ricorso notificato il 7 luglio 2021, depositato il 13 luglio 2021, il ricorrente ha domandato, previa sospensione della loro efficacia, l’annullamento degli inviti della ATS di -OMISSIS- a sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria nonché il risarcimento dei danni conseguenti alla lesione delle libertà di autodeterminazione e di esercizio dell’attività professionale.
Il ricorrente ha eccepito il contrasto della norma impositiva dell’obbligo vaccinale con il diritto euro-unitario e convenzionale, in particolare con l’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (d’ora in avanti solo CDFUE) e con l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (d’ora in avanti solo CEDU), nonché con il principio di proporzionalità, per cui la stessa, in ossequio al principio di primazia del diritto dell’Unione europea, avrebbe dovuto essere disapplicata dalla ATS di -OMISSIS- (primo motivo).
Il ricorrente ha pertanto chiesto al Tribunale, in via gradatamente subordinata:
a) di dichiarare l’illegittimità derivata degli atti impugnati, per contrasto della normativa interna che li disciplina con l’articolo 3 della CDFUE, con l’articolo 8 della CEDU e con il principio di proporzionalità (secondo motivo);
b) di sollevare la relativa questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in relazione all’articolo 52 CDFUE (terzo motivo);
c) di sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione e con il principio di proporzionalità (quarto motivo).
In via ulteriormente subordinata, il ricorrente ha eccepito il contrasto dell’articolo 4 del decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76:
a) con gli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione e con i principi di proporzionalità, di ragionevolezza e di precauzione, sotto i distinti profili della violazione della libertà di autodeterminazione, della carenza delle condizioni di sicurezza e di efficacia del trattamento sanitario obbligatorio e dell’insussistenza dei presupposti per la formazione del consenso informato alla somministrazione del vaccino (quinto motivo);
b) con gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione e con i principi di uguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza, sotto gli ulteriori profili della carenza dei requisiti della necessità e dell’idoneità del trattamento sanitario a ridurre i contagi da Sars-CoV-2 nonché della discriminazione che gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario subiscono sia nei confronti della generalità degli individui che, all’interno della medesima categoria, tra professionisti privati e professionisti che operano alle dipendenze di strutture sanitarie pubbliche (sesto motivo);
c) con gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, sotto l’ulteriore profilo della mancata previsione di un diritto all’indennizzo per gli eventuali pregiudizi all’integrità fisica, conseguenti alla somministrazione della vaccinazione obbligatoria (settimo motivo);
d) con gli articoli 9, 21 e 33 della Costituzione, sotto il profilo del mancato rispetto della libertà della ricerca scientifica, per come delineata anche dall’articolo 13 della CDFUE, il quale si sarebbe concretizzato nel non riconoscere ai sanitari la possibilità di adottare soluzioni alternative per la prevenzione del contagio da Sars-CoV-2 (ottavo motivo);
e) con gli articoli 1, 2, 3, 4, 35 e 36 della Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza e della sproporzione della misura della sospensione dall’esercizio della professione, quale conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, per i liberi professionisti esercenti le professioni sanitarie (nono motivo).
1.2. Ha resistito in giudizio l’ATS di -OMISSIS- ed ha eccepito, in via preliminare:
a) il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;
b) l’incompetenza territoriale del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, in favore della competenza territoriale del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio;
c) l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire, attesa la non immediata lesività degli atti impugnati.
1.3. Alla camera di consiglio del 28 luglio 2021 il ricorrente ha rinunciato alla domanda cautelare.
1.4. In data 4 agosto 2021 l’ATS di -OMISSIS- ha comunicato al ricorrente l’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale, adottato ai sensi dell’articolo 4, comma 6, del decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76.
1.5. Con atto per motivi aggiunti, notificato il 10 agosto 2021 e depositato in data 11 agosto 2021, il ricorrente ha domandato, previa sospensione della sua efficacia, l’annullamento dell’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale oltre che degli atti ad esso presupposti, già impugnati con il ricorso introduttivo.
Con i motivi aggiunti il ricorrente ha riproposto, in via derivata, le medesime censure specificate nei primi otto motivi del ricorso introduttivo, ha esteso le censure specificate nel nono motivo del ricorso all’ulteriore profilo della disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi nonché tra lavoratori portatori di patologie che giustificano l’esenzione dall’obbligo vaccinale e lavoratori sani ed ha eccepito, con un nuovo motivo (il decimo), il contrasto della norma con gli articoli 1, 2, 3, 4, 35, 36 e 97 della Costituzione, sotto il peculiare profilo dell’automatismo preclusivo all’esercizio della professione, quale effetto derivante dall’adozione dell’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale.
Il ricorrente ha altresì domandato il risarcimento dei danni, subiti in seguito all’adozione dell’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale.
1.6. Con ordinanza n. 924 del 10 settembre 2021 il Tribunale, ai sensi dell’articolo 55, comma 10, del codice del processo amministrativo, ha fissato l’udienza per la trattazione del merito del ricorso.
1.7. In vista della trattazione del merito del ricorso, le parti hanno depositato memorie e repliche.
1.8. In data 26 ottobre 2021 si è costituito in giudizio l’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di -OMISSIS- ed ha depositato una memoria di replica, nella quale ha chiesto il rigetto del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, siccome infondati.
1.9. Alla pubblica udienza del 17 novembre 2021 la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.
2. Il Collegio deve affrontare con priorità le questioni relative al difetto di giurisdizione ed all’incompetenza territoriale, sollevate dalla ATS di - OMISSIS-.
L'analisi della questione di giurisdizione ha carattere prioritario e preliminare rispetto ad ogni altra, giacché il difetto di giurisdizione del giudice adito lo priva del potere di esaminare qualsiasi profilo della controversia, in rito e nel merito. Invero, il potere del giudice adito di definire la controversia sottoposta al suo esame postula che su di essa egli sia munito della potestas iudicandi, la quale è un imprescindibile presupposto processuale della sua determinazione.
2.1. L’eccezione relativa al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo deve essere disattesa.
L’articolo 4 del decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76, conferisce alle aziende sanitarie locali un potere vincolato, a fronte del quale, secondo l’impostazione di parte resistente, si porrebbe il diritto soggettivo alla tutela della salute del destinatario dell’obbligo vaccinale.
Ai sensi dell’articolo 7, comma 4, del codice del processo amministrativo, <<Sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni
delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi...>>.
Ai fini del riparto della giurisdizione, la norma non opera alcuna distinzione tra potere vincolato e potere discrezionale.
Pertanto, anche a fronte di un’attività amministrativa priva di margini di valutazione discrezionale, quale quella descritta nei commi da 3 a 7 dell’articolo 4, si staglia una situazione soggettiva di interesse legittimo del privato, almeno tutte le volte in cui la finalità primaria perseguita dalla norma sia quella di tutelare in via diretta l’interesse pubblico (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 24 maggio 2007, n. 8).
Con l’introduzione dell’obbligo vaccinale temporaneo per il personale sanitario, il comma 1 dell’articolo 4 intende perseguire, in una grave situazione emergenziale epidemiologica su scala globale, il fine primario <<di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza>>, di sicura la rilevanza per la salute pubblica e per la sicurezza collettiva, per cui la posizione soggettiva del privato deve essere qualificata come interesse legittimo, con conseguente attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo.
2.2. Anche l’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - timidamente sollevata a pagina 10 della memoria depositata dall’ATS di -OMISSIS- in data 20 luglio 2021, in occasione del rilievo dell’incompleta costituzione del contraddittorio processuale - deve essere disattesa.
L’ATS di -OMISSIS- sostiene che la contestazione della norma introduttiva dell’obbligo vaccinale temporaneo per il personale sanitario, nella quale si sostanzia la domanda del ricorrente, implicherebbe la legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei <<competenti Ministeri>>, i quali assumerebbero la qualità di litisconsorti necessari, ai sensi dell’articolo 28, comma 1, del codice del processo amministrativo.
L’ATS di -OMISSIS- ritiene che la sede di tali litisconsorti necessari, ubicata in Roma, radicherebbe, in applicazione dell’articolo 13, comma 1, del codice del processo amministrativo, la competenza territoriale della presente controversia presso il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio.
La domanda principale formulata dal ricorrente con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti è volta ad ottenere l’annullamento degli inviti alla vaccinazione e dell’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, i quali sono stati adottati dall’ATS di -OMISSIS-, la cui sede rientra nella circoscrizione territoriale di questo Tribunale.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Salute non sono, d’altro canto, ricompresi tra i soggetti che l’articolo 4 coinvolge nel complesso procedimento finalizzato all’accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale, quali gli Ordini professionali di appartenenza, i datori di lavoro pubblici e privati, le Regioni, le Province autonome e le Aziende sanitarie locali.
Osserva il Collegio cha, ai sensi dell’articolo 4 delle <<Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale>>, nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato, è riconosciuta al Presidente del Consiglio dei Ministri la facoltà di intervenire a sostegno della legittimità costituzionale delle disposizioni contestate, per cui a fortiori il Presidente del Consiglio dei Ministri non può essere considerato parte necessaria nel giudizio di annullamento degli atti adottati in esecuzione di una norma sospettata di illegittimità costituzionale.
Il ricorso è stato pertanto correttamente incardinato presso il Tribunale territorialmente competente, in applicazione del criterio della sede dell’Autorità che ha emanato gli atti impugnati.
3. Deve essere infine rigettata la questione di inammissibilità del ricorso introduttivo, per carenza di interesse a ricorrere contro gli atti prodromici all’atto di accertamento della violazione dell’obbligo vaccinale.
La stretta sequenza temporale che intercorre tra le fasi procedimentali che precedono l’adozione dell’atto di accertamento, ossia quelle dell’invito a produrre la documentazione comprovante l’effettuazione, l’omissione o il differimento della vaccinazione <<ovvero la presentazione della richiesta della vaccinazione o l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale>> e dell’invito formale a sottoporsi alla vaccinazione, rende tali atti, a prescindere dalla progressiva e crescente intensità dei loro effetti, immediatamente e potenzialmente lesivi della sfera di autonomia decisionale dei soggetti ai quali è imposto l’obbligo vaccinale (Consiglio di Stato, Sezione III, 20 ottobre 2021, n. 7045).
4. Nel rispetto del dovere di sinteticità imposto dall’articolo 3 del codice del processo amministrativo, il Collegio ritiene di dover procedere all’esame congiunto del ricorso introduttivo, volto a censurare gli atti di invito, e dei motivi aggiunti, volti a censurare l’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, in quanto gli stessi contengono censure in larghissima parte coincidenti.
5. Il Collegio deve escutere congiuntamente i primi quattro motivi del ricorso introduttivo, riproposti in via derivata nei primi quattro motivi aggiunti, con i quali è stata dedotta l’illegittimità degli atti impugnati per contrasto con il diritto euro-unitario e convenzionale della norma che ha introdotto, in via temporanea e fino al termine massimo del 31 dicembre 2021, l’obbligo vaccinale per il personale sanitario.
Essi sono infondati.
Vale premettere che lo scrutinio delle censure proposte è necessariamente riferito alla disciplina legislativa, contenuta nel decreto legge n. 44 del 2021, nel testo vigente alla data di adozione degli atti impugnati.
5.1. Il Collegio ritiene insussistenti i presupposti dell’obbligo di disapplicazione della norma interna confliggente con il diritto euro-unitario, in particolare con l’articolo 3, comma 2, CDFUE, nella parte in cui prevede che, nell’ambito della medicina e della biologia, devono essere rispettati <<il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge>>, e con l’articolo 52, comma 2, CDFUE, nella parte in cui prevede che le eventuali limitazioni all’integrità fisica e psichica degli individui devono corrispondere effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui, sempre che venga rispettato il contenuto essenziale dei diritti e delle libertà tutelati dalla Carta.
Ai sensi dell’articolo 51 CDFUE, l’obbligo di promuovere l’applicazione delle disposizioni della Carta è infatti limitato all’attuazione delle competenze dell’Unione, tra le quali non rientra l’intervento sanitario in tema di vaccinazioni obbligatorie, in quanto regolato esclusivamente dalla normativa interna degli Stati membri (cfr. Consiglio di Stato, Sezione III, 20 ottobre 2021 n. 7045).
Pertanto, in assenza di una specifica normativa europea, rispetto alla quale commisurare la contrarietà della normativa interna, nessun obbligo di disapplicazione della stessa, per contrasto con il diritto dell’Unione, è configurabile in capo all’ATS.
5.2. In ragione dell’equiparazione del significato e della portata dei diritti riconosciuti dalla CDFUE con quelli riconosciuti dalla CEDU, operata dall’articolo 52, comma 3, CDFUE, e dunque della sostanziale corrispondenza del diritto all’integrità fisica e psichica, riconosciuto dall’articolo 3 CDFUE, al diritto a non subire interferenze nella vita privata, riconosciuto dall’articolo 8 CEDU, è altresì precluso al giudice nazionale di disapplicare la normativa interna contrastante con la CDFUE (Corte costituzionale 21 febbraio 2019, n. 20).
L’unico rimedio perseguibile dal giudice nazionale è pertanto la sollevazione della questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione, con conseguente impossibilità di sollevare la questione pregiudiziale di cui all’articolo 267 del Trattato per il funzionamento dell’Unione europea.
5.3. Ai fini della sollevazione della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4 del decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76, per contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione, il Collegio non ravvisa la violazione della norma interposta.
L’articolo 8 CEDU, per come interpretato dalla Corte EDU, Grande Camera, con la sentenza dell’8 aprile 2021, pronunciata nei ricorsi n. 47621/13, n. 3867/14, n. 73094/14, n. 19306/15, n. 19298/15 e n. 43883/15, giustifica infatti la legittima interferenza nel diritto al rispetto della vita privata, a condizione che il trattamento sanitario obbligatorio abbia una base legale, sia finalizzato alla realizzazione di uno scopo legittimo e costituisca una misura necessaria per la realizzazione di quello scopo.
Analogamente, l’articolo 52 CDFUE consente che siano apposte limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Carta, a condizione che le stesse siano previste dalla legge, siano proporzionali e necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
L’imposizione dell’obbligo vaccinale previsto dall’articolo 4 del decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76 - come si dirà più diffusamente nel paragrafo che segue - costituisce una legittima limitazione del diritto ad esprimere un consenso libero ed informato per il trattamento sanitario.
6. Occorre, a questo punto, procedere alla trattazione congiunta del quinto e del sesto motivo di ricorso, riproposti in via derivata nel quinto e nel sesto dei motivi aggiunti, con i quali è stato posto in luce il contrasto dell’articolo 4 con gli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione e con i principi di proporzionalità, di ragionevolezza e di precauzione.
Il ricorrente sostiene, in particolare, che:

a) l’imposizione dell’obbligo vaccinale, in assenza della prova delle condizioni di sicurezza e di efficacia dei vaccini in commercio nonché dell’idoneità degli stessi a ridurre i contagi da Sars-CoV-2, violerebbe la libertà di autodeterminazione, sotto il profilo della necessità della prestazione del consenso informato ad ogni trattamento sanitario;
b) l’imposizione dell’obbligo vaccinale solamente agli esercenti le professioni sanitarie ed agli operatori di interesse sanitario e non a tutti i consociati non sarebbe utile a perseguire la tutela effettiva della salute pubblica;
c) l’imposizione dell’obbligo vaccinale ai liberi professionisti che operano esclusivamente negli studi privati non sarebbe giustificata dall’esigenza di erogare le prestazioni sanitarie in condizioni di sicurezza, in quanto l’accesso alle cure somministrate dagli stessi costituisce una scelta libera e non necessitata del paziente;
d) l’imposizione dell’obbligo vaccinale ai sanitari sani contrasterebbe, ai fini della realizzazione degli interessi pubblici ad esso sottesi, con l’esenzione prevista per i sanitari portatori di patologie.
Il Collegio ritiene che tutte le censure specificate nel quinto e nel sesto motivo del ricorso e dei motivi aggiunti sono manifestamente infondate e non richiedono la sollevazione delle plurime questioni di legittimità costituzionale invocate dal ricorrente.
6.1. La necessità di commercializzare un vaccino volto a contenere la diffusione di un virus sconosciuto - sulla natura, sulla diffusività e sugli effetti del quale non esistevano e non esistono ancora oggi dati clinici completi - ha indotto il regolatore sanitario a chiedere l’autorizzazione per l’immissione in commercio c.d. condizionata, espressamente contemplata dall’articolo 4 del regolamento della Commissione n. 507/2006/CE, per le situazioni in cui la disponibilità immediata del farmaco sia in grado di apportare alla collettività benefici superiori ai rischi conseguenti alla indisponibilità di dati completi.

La circostanza che l’autorizzazione al commercio dei vaccini sia stata disposta in via d’urgenza e sottoposta alla condizione risolutiva della successiva trasmissione di dati clinici completi non consente dunque di qualificare il vaccino, così come affermato dal ricorrente, come trattamento sperimentale, in quanto, come esige il principio di precauzione, le condizioni di efficacia, di sicurezza e di qualità del farmaco sono state comunque vagliate da un organo tecnico e indipendente dall’organo politico (Agenzia italiana del farmaco - AIFA), al quale è intestata anche l’attività di farmacovigilanza, ossia di continuo monitoraggio della permanenza della condizioni di sicurezza del farmaco. La Corte costituzionale ha, d’altro canto, già affermato che la necessità di ricorrere ad una vaccinazione obbligatoria non richiede, quale presupposto indefettibile, l’accertamento di tutte le complicanze prevedibili (Corte costituzionale, 23 giugno 1994, n. 258).
6.2. La circostanza che, in assenza di una fase di sperimentazione tradizionale, non è possibile ad oggi individuare, con un elevato grado di verosimiglianza, quali saranno gli effetti avversi del vaccino a medio e lungo termine non è rilevante neppure ai fini della asserita violazione della libertà di autodeterminazione del destinatario dell’obbligo vaccinale. La Corte costituzionale ha affermato la legittimità dell’imposizione del trattamento sanitario obbligatorio, se questo apporta benefici non solo alla salute dell’obbligato ma anche alla salute collettiva e se le eventuali conseguenze negative per la salute dell’obbligato si assestino nei limiti della normale tollerabilità dei rischi avversi, i quali normalmente conseguono alla somministrazione di tutti i trattamenti sanitari (Corte costituzionale, 18 gennaio 2018, n. 5; 14 dicembre 2017, n. 268).
Anche il Consiglio di Stato ha affermato la legittimità dell’imposizione del trattamento sanitario obbligatorio, in applicazione del principio di solidarietà, a tutela degli individui più fragili (Consiglio di Stato, Commissione speciale, parere del 26 settembre 2017, n. 2065; Sezione III, sentenza n. 7045, cit.).
6.3. L’articolo 1 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, qualifica il consenso libero ed informato della persona interessata quale presupposto necessario di ciascun trattamento sanitario <<tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge>>.
Il Collegio ritiene che, alla luce della giurisprudenza costituzionale sopra citata, l’indifferibile esigenza di affrontare l’emergenza sanitaria in atto e di predisporre idonei ed efficaci strumenti di contenimento dei contagi da Sars-Cov-2 nonché la necessità di consentire a tutti gli individui l’accesso alle cure sanitarie in condizioni di sicurezza e, in applicazione del principio solidaristico, di tutelare la salute individuale dei soggetti fragili, per età o per pregresse patologie, giustifichino il temporaneo e tollerabile sacrificio della piena autonomia decisionale degli esercenti le professioni sanitarie, in ordine alla somministrazione del vaccino.
6.4. All’affidamento che i pazienti ripongono nella somministrazione delle cure in condizioni di sicurezza, che garantiscano, oltre alla sicurezza intrinseca della somministrazione della cura, anche la sicurezza dei luoghi nei quali la stessa viene somministrata, consegue necessariamente l’adozione di tutte le precauzioni possibili per evitare che essi incorrano in concreti rischi di contagio.
Esigere che la somministrazione del vaccino al personale sanitario sia condizionata alla manifestazione di un consenso libero ed informato non consentirebbe pertanto di perseguire efficacemente ed in tempi ristretti l’obiettivo di ridurre la diffusività del contagio e di decongestionare il sistema sanitario nazionale.
La previsione di un obbligo vaccinale settoriale e non generalizzato, esteso a tutti gli operatori del settore sanitario e non solo a quelli preposti alle prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche, si rivela pertanto coerente con la tutela della salute dei pazienti e con l’affidamento che gli stessi ripongono, a prescindere dalle modalità di accesso alle prestazioni sanitarie, nella somministrazione delle cure in condizioni di massima sicurezza, proprio negli ambienti sanitari che, secondo l’id quod plerumque accidit, comportano un maggior rischio di trasmissione virale.
Il personale sanitario, in ragione del contatto diretto con i pazienti, è inoltre investito di una posizione di garanzia per il bene dell’incolumità fisica degli stessi, la quale è idonea a giustificare, come già affermato al paragrafo 5.3., l’imposizione di un obbligo vaccinale settoriale.
6.5. Per quanto attiene alla denunciata violazione del principio di proporzionalità, non sono meritevoli di favorevole apprezzamento le censure che il ricorrente rivolge all’inadeguatezza dell’obbligo vaccinale a limitare la diffusione del contagio, anche in considerazione delle evidenze scientifiche riscontrate in seguito all’introduzione dello stesso - non smentite dal ricorrente con allegazioni di segno contrario - per cui i contagi in ambito sanitario si sono drasticamente ridotti in seguito alla vaccinazione del personale sanitario, come risulta dai dati liberamente consultabili sul sito istituzionale dell’Istituto superiore di Sanità.
6.6. Infine la censura relativa alla irragionevolezza della distinzione operata dalla norma tra personale sanitario sano, per il quale è previsto l’obbligo vaccinale, e personale sanitario affetto da patologie accertate dal medico di medicina generale, per il quale il comma 2 dell’articolo 4 contempla l’omissione o il differimento della vaccinazione, non è pertinente: essa rivela piuttosto l’estrema attenzione riservata dal legislatore alla tutela della salute individuale del sanitario, nelle ipotesi in cui i rischi derivanti dalla somministrazione del vaccino siano concreti e superino la soglia della normale tollerabilità.
7. Il settimo motivo del ricorso introduttivo, riproposto in via derivata nel settimo dei motivi aggiunti, con il quale il ricorrente si duole della mancata previsione del diritto all’indennizzo per gli eventuali pregiudizi all’integrità fisica, conseguenti alla somministrazione della vaccinazione obbligatoria, è manifestamente infondato.
L’articolo 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, riconosce il diritto all’indennizzo a coloro che, a causa di vaccinazioni obbligatorie, abbiano riportato una limitazione permanente dell’integrità psico-fisica.
La norma esprime un principio generale, applicabile a tutte le vaccinazioni obbligatorie, anche ove la stessa non sia stata espressamente richiamata nella specifica disciplina impositiva dell’obbligo vaccinale.
Detta norma si fonda sul reciproco dovere di solidarietà che grava sia sul destinatario dell’obbligo vaccinale che sulla collettività, la quale ha tratto beneficio dal sacrificio del singolo che sia stato pregiudicato dall’adempimento dell’obbligo vaccinale e sulla quale perciò deve essere in parte traslato il rischio della vaccinazione (Corte costituzionale 23 giugno 2020, n. 118; 14 dicembre 2017, n. 268).
8. Anche l’ottavo motivo del ricorso introduttivo, riproposto in via derivata nell’ottavo dei motivi aggiunti, è destituito di fondamento.
Osserva il Collegio che il richiamo effettuato dal ricorrente alla libertà di scienza, tutelata dagli articoli 9, 21 e 33 della Costituzione e 13 CDFUE, è inconferente.
La libertà di scienza è infatti riconosciuta agli esercenti le professioni sanitarie per le prestazioni che gli stessi, in scienza e coscienza e secondo le evidenze scientifiche tratte dalla migliore scienza ed esperienza del momento, ritengano di dover erogare ai propri pazienti a fini di cura.
La libertà di scienza non si spinge sino a tutelare il rispetto di una personale opinione scientifica del destinatario della cura, anche ove lo stesso, nella qualità di esercente una professione sanitaria, sia portatore appropriate conoscenze scientifiche.
Nel caso di specie, la professione di -OMISSIS- svolta dal ricorrente è inoltre del tutto avulsa dalle specifiche competenze scientifiche, che sono necessarie per discettare sull’efficacia e sulla sicurezza di un trattamento sanitario volto a fronteggiare la diffusione di un virus di nuova generazione.
Giova comunque sottolineare che l’imposizione dell’obbligo vaccinale è riservata in via esclusiva alla discrezionalità del regolatore sanitario e che la scelta di introdurre un obbligo vaccinale temporaneo e settoriale è stata determinata proprio dal riscontrato fallimento delle soluzioni alternative - per il perseguimento delle quali il ricorrente rivendica la libertà di scienza - ad arginare la crescente diffusività del contagio da Sars-CoV-2.
9. A questo punto, residua la trattazione congiunta del nono motivo del ricorso e del nono e del decimo dei motivi aggiunti, con i quali il ricorrente ha eccepito il contrasto della norma impositiva dell’obbligo vaccinale con i principi enunciati dagli articoli 1, 2, 3, 4, 35 e 36 della Costituzione e con l’articolo 97 della Costituzione.
9.1. I motivi proposti sono parzialmente fondati, nei sensi e nei limiti di cui si dirà.
9.2. In via preliminare, il Collegio ha il dovere di verificare la possibilità di percorrere la via dell’interpretazione conforme ai principi costituzionali, mediante l’esame di tutte le ipotesi ermeneutiche astrattamente possibili per attribuire alla norma un significato non incompatibile con gli stessi ed entro i confini della formulazione letterale della disposizione sospettata di incostituzionalità.
Al comma 1 dell’articolo 4, il legislatore ha qualificato la vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2 come <<requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati>>.
Nella direttiva quadro del Consiglio 2000/78/CE del 27 novembre 2000, all’articolo 4, paragrafo 1, è previsto che gli Stati membri, <<per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui viene espletata>> possono stabilire <<un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato>>.
La consistenza degli effetti conseguenti alla carenza di tale requisito essenziale deve essere perciò individuata in applicazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa ed in coerenza con il tenore letterale dell’intero articolo 4, il quale, al comma 6, specifica che gli effetti sfavorevoli conseguenti all’adozione dell’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale consistono nella sospensione non dall’esercizio della professione ma <<dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2>>.
L’interpretazione restrittiva della sospensione dallo svolgimento di una determinata, sebbene assai estesa, tipologia di mansioni, quali quelle che implicano rapporti interpersonali, con i pazienti o con il personale sanitario, è altresì confermata:
a) dalla formulazione letterale del comma 8, il quale, a proposito del sanitario lavoratore dipendente, pubblico o privato, stabilisce che <<Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni anche inferiori, diverse da quelle indicate dal comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato>>;
b) dalla formulazione letterale del comma 10, che, a proposito del sanitario lavoratore dipendente, per il quale, in seguito all’accertamento di un pericolo per la salute conseguente alla somministrazione del vaccino, sia stata disposta l’omissione o il differimento dell’obbligo vaccinale, stabilisce che il datore di lavoro, previa adozione delle specifiche misure di prevenzione igienico-sanitarie indicate nel comma 11, lo adibisce temporaneamente <<a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-Cov-2>>.
La lettura sistematica delle citate disposizioni consente pertanto di evidenziare che:
a) sussiste il divieto assoluto per tutto il personale sanitario, indipendentemente dalla sua appartenenza alla categoria dei lavoratori autonomi o dei lavoratori dipendenti, di svolgere, sino all’adempimento dell’obbligo vaccinale o durante il periodo di sospensione e di differimento dell’obbligo vaccinale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali con i pazienti, con i loro familiari e con altro personale sanitario o che comunque comportano un rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2;
b) è fatto obbligo al datore di lavoro, pubblico o privato, di adibire il lavoratore dipendente per il quale, in seguito all’accertato pericolo per la sua salute, siano stati disposti l’omissione o il differimento della vaccinazione, sino al 31 dicembre 2021, alle medesime mansioni o a mansioni diverse, senza decurtazione della retribuzione, nonché di adottare le specifiche misure di prevenzione igienico-sanitarie, previste per il contenimento del rischio di contagio sui luoghi di lavoro;
c) è conformato il potere organizzativo del datore di lavoro, pubblico o privato, di adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori rispetto a quelle svolte in precedenza, che non implicano contatti interpersonali e non comportano il rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2;
d) residua la generale facoltà di svolgere tutte quelle prestazioni o mansioni, comunque riconducibili allo svolgimento della professione sanitaria, che non comportino contatti interpersonali di prossimità e non creino un concreto rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2.

9.3. Tale interpretazione dell’articolo 4, a giudizio del Collegio, è l’unica compatibile con la salvaguardia del diritto di svolgere la professione sanitaria, il quale deve temporaneamente recedere a fronte della realizzazione del fine primario perseguito dalla norma, che è quello <<di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza>>, nonché con la salvaguardia del diritto di ritrarre dal proprio lavoro un compenso che fornisca le risorse necessarie ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, mediante l’individuazione di limitazioni all’esercizio della professione o dell’attività lavorativa che siano proporzionate allo scopo da raggiungere, in modo che, all’esito del raffronto tra i benefici per il raggiungimento dell’interesse primario ed i sacrifici per gli interessi personali, nessun interesse ne esca inutilmente frustrato.
9.4. Il Collegio considera che, ove gli effetti automatici, che la norma riconnette all’adozione dell’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, venissero intesi in senso lato, come preclusivi dell’esercizio della professione sanitaria tout court, si finirebbe per avvalorare un’interpretazione del citato articolo 4, comma 6:
a) contrastante con la ratio della norma impositiva dell’obbligo vaccinale e foriera di effetti non coerenti con il principio di proporzionalità e di adeguatezza di matrice euro-unitaria, il quale impone di ricercare, tra le scelte ugualmente idonee al raggiungimento del pubblico interesse, quella meno gravosa per i destinatari incisi dal provvedimento, ove evitare agli stessi inutili sacrifici;
b) foriera di un’irragionevole discriminazione tra i sanitari che esercitano la professione come lavoratori subordinati o parasubordinati e quelli che la esercitano come lavoratori autonomi, in quanto per i primi, a differenza che per i secondi, non è previsto un divieto assoluto di esercitare l’attività lavorativa, ancorché relegato allo svolgimento di mansioni - anche inferiori - che non implichino rischi di diffusione del contagio e sempre che l’organizzazione aziendale lo permetta.
9.5. Il Collegio ritiene pertanto che l’unica interpretazione della norma che consenta di perseguire il fine primario della tutela precauzionale della salute collettiva e della sicurezza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie in una situazione emergenziale, senza comprimere in modo irragionevole - sia pure temporaneamente - l’interesse del sanitario a svolgere un’attività lavorativa, sia quella di limitare, come espressamente enunciato dall’articolo 4, comma 6, gli effetti dell’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale allo svolgimento delle prestazioni e delle mansioni che comportano contatti interpersonali e di quelle che, pur non svolgendosi mediante un contatto interpersonale, comportino un rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2.
A tal uopo, l’elemento normativo <<contatti interpersonali>>, che il legislatore ha indicato quale attributo delle prestazioni o delle mansioni di cui ha vietato lo svolgimento, deve essere inteso, in coerenza con la ratio legis di apprestare tutti gli strumenti precauzionali per il contenimento della diffusione del virus Sars-CoV-2, in senso materiale, come stretto accostamento fisico tra individui, e non in senso relazionale, come rapporto interpersonale che può essere instaurato anche con modalità diverse da quelle del contatto fisico, notoriamente individuato come uno dei potenziali vettori del contagio.
La locuzione <<in qualsiasi altra forma>>, che il legislatore ha utilizzato per colorare il divieto di svolgimento di prestazioni o mansioni diverse da quelle che implicano contatti interpersonali, postula comunque che l’attività lavorativa si risolva in un rischio concreto << di diffusione del contagio da SARS-CoV-2>>.
9.6. Osserva il Collegio che, nell’ambito delle professioni sanitarie, esistono delle attività, praticabili grazie alla tecnologia sanitaria, che il personale sanitario può svolgere senza necessità di instaurare contatti interpersonali fisici, quali ad esempio l’attività di telemedicina, di consulenza, di formazione e di educazione sanitaria, di consultazione a distanza mediante gli strumenti telematici o telefonici, particolarmente utili per effettuare una prima diagnosi sulla base di referti disponibili nel fascicolo sanitario telematico e per fornire un’immediata e qualificata risposta alla crescente domanda di informazione sanitaria, le quali non potrebbero essere svolte in caso di sospensione dall’esercizio della professione sanitaria.
L’ordinamento ricollega infatti allo svolgimento di attività per le quali è richiesta l’iscrizione in un albo professionale, nell’ipotesi in cui questa sia stata temporaneamente sospesa, conseguenze di notevole rilievo sotto il profilo disciplinare, civile (ai sensi dell’articolo 2231 del codice civile, il contratto stipulato con il professionista che non sia iscritto all’albo è nullo e non conferisce alcuna azione, neppure quella sussidiaria di cui all’articolo 2041 del codice civile, per il pagamento della retribuzione) e penale (la giurisprudenza ritiene che soggetto attivo del delitto di esercizio abusivo della professione, previsto e punito dall’articolo 348 del codice penale, sia anche il professionista sospeso dall’albo).
La sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportino comunque il rischio di diffusione del contagio non può dunque coincidere con la sospensione dall’iscrizione all’albo professionale, ancorché la vaccinazione sia stata elevata a <<requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati>>.
9.7. Il Collegio non ignora che un interesse di notevole rilievo, coinvolto nel procedimento disciplinato dall’articolo 4, sia anche quello dei pazienti di essere informati dell’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale da parte dei professionisti ai quali si rivolgono, specialmente ove la domanda di prestazioni sanitarie avvenga per scelta diretta del professionista e non tramite il filtro dell’accesso ad una struttura sanitaria - pubblica o privata - che si faccia garante delle condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il diritto dei pazienti ad essere informati è infatti un corollario del diritto alla sicurezza delle cure, che l’articolo 1, comma 1, della legge 8 marzo 2017, n. 24, individua come parte costitutiva del diritto alla salute.
Orbene, se è vero che la sospensione dall’albo professionale è idonea a realizzare la funzione notiziale della inidoneità temporanea del sanitario a svolgere le prestazioni professionali, tale funzione ben può essere garantita mediante specifiche e adeguate forme di pubblicità, la cui individuazione rientra nella competenza degli Ordini professionali.
9.8. Il nono motivo del ricorso introduttivo nonché il nono ed il decimo dei motivi aggiunti devono dunque essere accolti e, per l’effetto, deve essere annullato l’atto di accertamento adottato dall’ATS di -OMISSIS-, nella parte in cui estende la sospensione dal diritto di svolgere le prestazioni professionali anche a quelle prestazioni che, per loro natura o per le modalità di svolgimento, non implicano contatti interpersonali o non sono rischiose per la diffusione del contagio da Sars-CoV-2.
Saranno in ogni caso demandate all’autonomia ed all’autogoverno dei singoli Ordini professionali, ai quali è riservato in via esclusiva il compito di tenere aggiornato l’albo degli iscritti, sia la predisposizione delle modalità di annotazione dell’atto di accertamento di cui all’articolo 4, comma 6, che l’esercizio della fondamentale funzione di vigilanza sul rispetto della misura interdittiva di natura preventiva.
Resta fermo tuttavia che l’esercizio della professione al di fuori degli stretti limiti sopra evidenziati è idoneo ad integrare un comportamento illecito, rilevante a tutti gli effetti di legge.
10. In conclusione, i primi otto motivi del ricorso, riproposti in via derivata nell’atto per motivi aggiunti, devono essere rigettati.
Il nono motivo del ricorso ed il nono ed il decimo dei motivi aggiunti devono essere accolti e, per l’effetto, deve essere annullato l'atto di accertamento adottato nei confronti del ricorrente dall’Agenzia di Tutela della Salute – ATS di -OMISSIS- in data 3 agosto 2021, nella parte in cui non limita la sospensione alle sole prestazioni professionali “che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”.
11. Non sussistono invece i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria avanzata dal ricorrente.
In particolare, non è ravvisabile nella presente fattispecie il requisito necessario della colpa in capo all’ATS o all’Ordine professionale, tenuto conto della complessità del quadro normativo e della mancanza di indirizzi giurisprudenziali consolidati sul punto, il che non consente di individuare specifici profili di negligenza o di imperizia nell’esercizio dell’attività amministrativa in contestazione.
12. La rilevanza degli interessi coinvolti nella presente fattispecie oltre che la novità e la complessità delle questioni trattate giustificano la compensazione tra le parti delle spese di lite.
 

P.Q.M.


Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:
- respinge i primi otto motivi del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti;
- accoglie il nono motivo del ricorso introduttivo nonché il nono ed il decimo dei motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla l'atto di accertamento adottato dall’Agenzia di Tutela della Salute – ATS di -OMISSIS- in data 3 agosto 2021, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione;
- compensa tra le parti le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101,, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute del ricorrente o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Milano nelle camere di consiglio dei giorni 17 novembre 2021 e 1 dicembre 2021 con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Valentina Santina Mameli, Consigliere Rosanna Perilli, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Rosanna Perilli Domenico Giordano

IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.