Categoria: Giurisprudenza civile di merito
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Tribunale di Verona, Sez. 1, 21 febbraio 2022, n. 315 - Obbligo vaccinale dei cittadini ultracinquantenni


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI VERONA


Sezione prima civile

R.G. N.315 /2022

Il Giudice Designato Dott. Massimo Vaccari

Ha emesso la seguente

ORDINANZA



Pronunciando sul ricorso ex art. 700 c.p.c proposto in data 20 gennaio 2022 da C.A., C.M., C.S. Giuseppe, D.L., tutti con l'avv. BAGAROLO DENIS, del foro di Padova

CONTRO

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore;

Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore entrambi organicamente rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia

A scioglimento della riserva assunta all'odierna udienza;

 

Fatto
 



I ricorrenti, sul presupposto di essere tutti i cittadini italiani ultracinquantenni, ed in quanto tali soggetti all'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV- 2, introdotto dall'art. 1 del d.l. n. 1/2022, hanno promosso il ricorso in esame al fine di far accertare e dichiarare la loro impossibilità di osservare il predetto obbligo.

Tale conclusione discenderebbe, secondo i ricorrenti, dalle seguenti concorrenti ragioni:

1) i vaccini attualmente autorizzati in Italia (Spikevax, Comirnaty, Janssen, Vaxzevria) sono destinati a prevenire la malattia causata dal virus Sars CoV-2 mentre il requisito essenziale per poter adempiere legittimamente e correttamente all'obbligo vaccinale è che il vaccino sia efficace nella prevenzione dell'infezione da Sars-CoV-2;

b) l'art. 32 della Costituzione, e anche i principi generali dell'ordinamento, richiedono necessariamente che ogni trattamento sanitario obbligatorio sia determinato mentre l'obbligo vaccinale introdotto con la normativa sopra citata è assolutamente indeterminato sia quantitativamente, perché ancora oggi non è dato sapere con precisione a quante dosi bisognerebbe sottoporsi, che temporalmente, atteso che non è stato individuato con precisione il periodo di tempo che deve intercorre tra la somministrazione di una dose e quella delle altre;

c) la somministrazione dei vaccini anti Covid in Italia sta avvenendo con modalità che violano palesemente le disposizioni di legge in materia di prescrizione medica: infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, la somministrazione non avviene in ambiente ospedaliero e nemmeno sotto il controllo di specialisti e, inoltre, il modulo di consenso che il vaccinando viene costretto a sottoscrivere contiene in realtà non solo il suo consenso informato ma anche l'anamnesi del soggetto nonché l'autorizzazione alla somministrazione del vaccino.

L'avvocatura distrettuale si è costituita in giudizio contestando la fondatezza nel merito del ricorso.

Il ricorso in esame presenta almeno due distinti profili di inammissibilità.

Innanzitutto, deve osservarsi come i ricorrenti abbiano chiesto l'adozione in via d'urgenza di una pronuncia di accertamento.

La questione che viene quindi in rilievo è quella, nota e dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza, dell'ammissibilità della tutela cautelare atipica di mero accertamento.

Ad avviso di questo giudice sono molteplici le ragioni che conducono a risolverla in senso negativo.

Infatti, un provvedimento cautelare con contenuto dichiarativo sarebbe, da un lato, insuscettibile di esecuzione forzata e, dall'altro lato, sarebbe privo del requisito imprescindibile della strumentalità, sia pure solo funzionale dopo la riforma del 2005, e perderebbe pertanto il carattere di misura assicurativa per assumere quello di misura satisfattiva in contrasto con il principio secondo cui la misura cautelare non può dare più di quello che darebbe il merito.

Il puntuale riscontro a tale ultimo rilievo si rinviene nella parte del ricorso in esame dedicata alla esplicitazione della azione di merito rispetto alla quale esso sarebbe strumentale.

I ricorrenti hanno infatti dedotto sul punto che: “Il provvedimento richiesto in questa sede deve essere anticipatorio nonché conservativo degli effetti della sentenza che verrà emessa nel successivo giudizio di merito, che avrà ad oggetto la conferma del provvedimento qui invocato”, evidenziando come l'azione di merito consisterebbe in una duplicazione/reiterazione di quella cautelare.

Ancora, va rimarcato quale ulteriore e distinto profilo di inammissibilità del ricorso, il difetto di interesse dei ricorrenti ad ottenere la pronuncia da loro richiesta.

Essi infatti hanno agito, a ben vedere, al fine di ottenere una pronuncia che legittimi il loro rifiuto a sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria.

Lo si desume dalla parte del ricorso dedicata alla illustrazione del periculum in mora.

In essa, infatti, i ricorrenti hanno sostenuto che subirebbero un pregiudizio irreparabile se fossero costretti a sottoporsi ad una vaccinazione obbligatoria che fosse successivamente dichiarata illegittima con una decisione che sarebbe, a quel punto, del tutto inutile.

Se invece non adempissero all'obbligo vaccinale i ricorrenti, stando sempre al loro assunto, sarebbero considerati assenti ingiustificati dal lavoro e verrebbero privati dell'unica fonte di reddito di cui dispongono.

Deve però ricordarsi che, come già osservato da questo Tribunale in casi analoghi (si veda tra gli altri Trib. Verona 18 marzo 2009 e Trib. Verona 18 aprile 2018), la domanda giudiziale volta ad ottenere la positiva delibazione della liceità di una futura condotta, ha il fine surrettizio di confiscare alla controparte il diritto di (re)azione giudiziaria, attraverso la sottrazione preventiva dell'autore all'eventuale giudizio di responsabilità ed è pertanto inammissibile per difetto di interesse.

Per non incorrere in tale assorbente rilievo i ricorrenti dovrebbero allora porsi nella prospettiva di subire le conseguenze sanzionatorie previste dal d.l. 1/2022 per chi non intende sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria e contestare poi in sede giudiziale i provvedimenti sanzionatori che fossero adottati nei loro confronti, sulla falsariga di quello che è stato già fatto, davanti ad altra giurisdizione, da altri soggetti, dipendenti pubblici.

In quella sede i ricorrenti potrebbero poi eventualmente prospettare la questione di legittimità costituzionale della disciplina in esame, in riferimento al parametro, invocato nel caso di specie, dell'art. 32 Cost., questione che nel caso di specie, per le ragioni anzi dette, risulta invece del tutto irrilevante.

 


P.Q.M.
 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido tra loro a rifondere ai resistenti le spese del procedimento che liquida nella somma di euro 2.500,00, oltre rimborso spese generali nella misura del 15 % di tale importo, Iva e Cpa, in favore di ciascuno dei resistenti.

Verona 21/02/2022