Cassazione Penale, Sez. 4, 14 marzo 2022, n. 8436 - Caduta dal tetto. La sola presenza sul luogo di lavoro da parte del dipendente non piò essere reputata idonea ex se a fondare il giudizio di responsabilità datoriale


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 15/12/2021

FattoDiritto
 



1. Con sentenza emessa in data 2.7.2018, la Corte d'appello di Torino ha confermato la pronuncia assolutoria emessa dal Tribunale di Torino nei confronti di G.J.E. e dell'ente "Cartiera Santa Uda S.p.A".
Era contestato al predetto G.J.E. di avere cagionato, nella qualità di liquidatore della predetta società, la morte del dipendente P.G., precipitato dal tetto dello stabilimento in circostanze non interamente chiarite nel corso della istruttoria. Il dipendente al momento della precipitazione era solo sul tetto dello stabilimento e non risultava che avesse ricevuto ordini dal datore di lavoro in merito ad incombenze da svolgere in quel luogo. La precipitazione era avvenuta in seguito al cedimento del piano di calpestio in materiale plastico.
Avverso la pronuncia della Corte d'appello ha proposto ricorso per cassazione il P.G. della Procura Generale presso la Corte d'appello di Torino.
Il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 40 e 41 cod. pen. e degli artt. 17, 18, 29, 36, 37 e 62 d.lgs. 81/08.
La Corte d'appello non avrebbe fatto buon governo dei principi vigenti in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il dipendente, dopo la cessazione dell'attività produttiva dell'azienda, era stato assunto come operaio di livello B1 nel comparto carta; il profilo collegato a tale inquadramento riguarda la figura di manutentore esperto meccanico o elettrico che opera in autonomia.
Il giorno dell'infortunio il P.G. era stato chiamato a svolgere un turno domenicale in completa solitudine, senza alcuna valutazione del rischio da parte del datore di lavoro.
L'azienda infatti risultata priva di D.V.R., non era stato nominato un R.S.P.P. e nel contratto di lavoro non si rinvenivano indicazioni precise sulle mansioni che avrebbe dovuto svolgere l'infortunato.
Le prove testimoniali raccolte, tuttavia, avevano fornito un contributo valido per comprendere il motivo per cui il P.G. si recò sul tetto dell'edificio, raggiungendo la zona non calpestabile. Ed invero, il collega di lavoro R., esaminato in dibattimento, aveva ammesso che, oltre a mansioni di sorveglianza, effettuava all'interno dell'azienda attività di piccola manutenzione e la teste F.F. aveva riferito che anche il P.G. si occupava di piccoli lavori di manutenzione.
E' quindi ragionevole ritenere che il P.G. si fosse recato sul tetto per fare scivolare una copertura penzolante, come ipotizzato dall'ASL, o per ragioni di sorveglianza, essendo presenti in azienda cavi di rame e impianti funzionanti da preservare.
In ogni caso il fatto che egli si trovasse in orario di lavoro nell'azienda è circostanza da reputarsi sufficiente per ritenere dimostrata la responsabilità del datore di lavoro in ordine all'infortunio occorso.
Con particolare riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro, consolidato orientamento della Corte di legittimità ritiene che presenti efficacia interruttiva del rapporto causale esistente tra la condotta antidoverosa del datore di lavoro e l'offesa, soltanto il comportamento abnorme del lavoratore, che, per sua stranezza, imprevedibilità ed eccentricità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte del datore di lavoro.
Inoltre, anche a volere ipotizzare una condotta imprudente del lavoratore, questa non potrà spiegare alcuna efficacia esimente per il soggetto titolare di obblighi di sicurezza che abbiano violato le prescrizioni in materia antinfortunistica.
3. Il P.G. preso questa Corte, con requisitoria scritta (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Hanno depositato conclusioni scritte i difensori dell'imputato e dell'ente, chiedendo che il ricorso venga rigettato.
4. Il ricorso è inammissibile.
La Corte di merito, nel condividere le ragioni del primo giudice, ha confermato la pronuncia assolutoria, ponendo in evidenza come, pure all'esito della compiuta istruttoria, siano rimaste inspiegabili le ragioni per le quali il P.G. si fosse recato nel punto cedevole del tetto dell'azienda, pur essendo pratico di quei luoghi, avendo per moltissimi anni prestato servizio nella cartiera. Ha poi rilevato che l'ipotesi dei lavori di manutenzione da effettuare sul tetto dovesse ritenersi non dimostrata, non essendo stati rinvenuti sulla tettoia e vicino al corpo del lavoratore attrezzi di alcun genere.
Dopo avere considerato una serie di altre ipotesi sulla causa della caduta, la Corte di merito ha ritenuto non dimostrato il nesso causale tra le violazioni in materia antinfortunistica addebitate al datore di lavoro e l'evento, non essendo stato accertato un plausibile collegamento tra le mansioni lavorative affidate al dipendente e le ragioni della sua presenza sul tetto dell'edificio.
Il ricorso lamenta apparentemente violazione di legge. In realtà i motivi di doglianza prospettano una diversa interpretazione del compendio probatorio, che non può essere rivalutato in questa sede: si sostiene infatti che il lavoratore sia salito sul tetto per espletare incombenze comunque legate all'attività lavorativa da svolgere. Tale evenienza è stata però esclusa dai giudici di merito con ragionamento non manifestamente illogico.
Secondo approdi ermeneutici consolidati nell'ambito della giurisprudenza di questa Corte, i vizi motivazionali ed argomentativi di una pronuncia di merito possono essere dedotti in sede di legittimità entro un perimetro ben delimitato, diretto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo del provvedimento impugnato, dovendo ritenersi inadeguato, con conseguente annullamento, soltanto quell'impianto motivazionale che sia afflitto da manifesta illogicità.
Esula, pertanto, dai poteri della Corte di cassazione, avuto riguardo ai vizi di motivazione, procedere ad una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, invece, riservata al solo giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (ex multis Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; cfr. altresì Sez. 2, n. 30918 del 7/5/2015, Falbo, Rv. 264441; Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, O., Rv. 262965).
I motivi di ricorso, dunque, non possono tendere, a pena di inammissibilità, ad ottenere una ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, che il ricorrente ritenga maggiormente plausibili, senza tuttavia addurre contraddizioni decisive o manifeste illogicità nell'analisi probatoria e nel ragionamento ricostruttivo sviluppato dal provvedimento impugnato.
5. Deve aggiungersi come la sola presenza sul luogo di lavoro da parte del dipendente non possa essere reputata idonea ex se a fondare il giudizio di responsabilità datoriale, come si prospetta nel ricorso.
Questa Corte ha più volte rimarcato come la titolarità di una posizione di garanzia non comporti, in presenza del verificarsi di un evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica oltre che della sussistenza della violazione della regola cautelare, anche della c.d. "concretizzazione del rischio", che richiede di accertare in concreto che l'evento sia conseguenza della violazione della norma cautelare disattesa [cfr. Sez. 4, n. 21554 del 05/05/2021, Rv. 281334:"La titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso"; Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018 Rv. 273568: "La titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso"].
6. Da quanto precede discende l'inammissibilità del ricorso.


 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 15 dicembre 2021