Cassazione Civile, Sez. 6, 22 marzo 2022, n. 9342 - Limitazione funzionale a seguito dell’attività di ferraiolo e carpentiere in edilizia: accertamento del diritto alla rendita. Nesso di causalità e “ragionevole probabilità scientifica” 


 

 


Presidente: DORONZO ADRIANA
 

 

Rilevato che
1. con sentenza n. 681 depositata il 16.1.2020, la Corte d'appello di Messina, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda proposta da M.T. nei confronti dell’INAIL per l’accertamento del diritto alla rendita per inabilità parziale permanente conseguente alla limitazione funzionale subita a seguito dello svolgimento dell’attività lavorativa di ferraiolo e carpentiere in edilizia;
2. avverso tale pronuncia ha interposto ricorso per cassazione M.T., deducendo due motivi di censura; l’INAIL ha depositato controricorso;
3. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’articolo 380 bis cod.proc.civ.
 

Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del T.U. n. 1124 del 1965 e del d.m. 14.1.2008 (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, trascurato le norme sulle malattie tabellate: il M.T. ha svolto sempre l’attività di ferraiolo carpentiere che prevede la continua movimentazione di carichi pesanti e pertanto è pienamente correlato il nesso causale con la movimentazione manuale di carichi di lavoro.
1.1. Con un secondo motivo (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.) si deduce che la Corte territoriale non ha spiegato in modo puntuale le ragioni della propria adesione alla consulenza d’ufficio in contraddittorio alla consulenza di parte.
2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
3. Questa Corte ha chiarito che in tema di malattia professionale, derivante da lavorazione non tabellata o ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro grava sul lavoratore (Cass. n. 17438 del 12/10/2012, Cass. n. 8773 del 10/04/2018).
4. Il nesso causale tra l'attività lavorativa e il danno alla salute dev'essere valutato secondo un criterio di rilevante o ragionevole probabilità scientifica (v. Cass. n. 8773 del 10/04/2018 e, in merito alle prestazioni di assistenza sociale, Cass. n. 753 del 17/01/2005, Cass. n. 27449 del 29/12/2016, Cass. n. 24959 del 23/10/2017).
5. Le Sezioni Unite di questa Corte, muovendo dalla considerazione che i principi generali che regolano la causalità materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale - salva la differente regola probatoria che in sede penale è quella dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", mentre in sede civile vale il principio della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non" - hanno poi ulteriormente precisato che la regola della "certezza probabilistica" non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativo - statistica delle frequenze di classe di eventi (c.d. probabilità quantitativa), ma va verificata riconducendo il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica) (cfr. Cass. Sez. Un. 581 del 11/1/2008, Cass. n. 29315 del 07/12/2017).
6. E’ stato, infine, evidenziato come, "in tema di accertamento della sussistenza di una malattia professionale non tabellata e del relativo nesso di causalità - posto che la prova, gravante sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere ravvisata in presenza di un notevole grado di probabilità - il giudice può giungere al giudizio di ragionevole probabilità sulla base della consulenza tecnica d'ufficio che ritenga compatibile la malattia non tabellata con la "noxa" professionale utilizzando, a tale scopo, anche dati epidemiologici, per suffragare una qualificata probabilità desunta anche da altri elementi. In tal caso, il dato epidemiologico (che di per sè attiene ad una diversa finalità) può assumere un significato causale, tant'è che la mancata utilizzazione di tale dato da parte del giudice, nonostante la richiesta della difesa corroborata da precise deduzioni del consulente tecnico di parte, è denunciabile per cassazione" (cfr. Cass. 3227/2011 cit.).
8. La sentenza impugnata ha rilevato che le conclusioni del CTU sono sufficientemente motivate e hanno accertato che le alterazioni muscolo- scheletriche riscontrate a genesi multifattoriale non sono riconducibili a rischio lavorativo legato soprattutto a vibrazioni meccaniche trasmesse al corpo intero; in particolare, il CTU ha ritenuto che non risulta chiaro che il fattore microtraumatico e la postura hanno avuto un ruolo preponderante sia nella insorgenza precoce che nella entità delle patologie.
8. Per il resto le ulteriori argomentazioni svolte in ricorso sostanzialmente sollecitano, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinché se ne fornisca un diverso apprezzamento. Si tratta di operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri che in tal modo il ricorso finisce con il riprodurre (peraltro in maniera irrituale: cfr. Cass. S.U. n. 8053/14) sostanziali censure ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., a monte non consentite dall'art. 348-ter, commi 4 e 5, cod. proc. civ., essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme di merito basata sulle medesime ragioni di fatto circa le modalità di esposizione a sostanze nocive. Ciò impone di dichiarare inammissibile il secondo motivo di ricorso.
9. La sentenza di merito ha, dunque, fatto corretta applicazione delle regole che governano la valutazione del nesso di causalità ed il ragionamento logico della “ragionevole probabilità scientifica” ed è, dunque, esente dalle critiche che gli vengono mosse.
10. Il ricorso va, dunque, rigettato, e – in assenza di autodichiarazione resa ex art. 152 disp.att. cod.proc.civ. – le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
 

P. Q. M.
 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre ad euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, addì 12 ottobre 2021.
Il Presidente Dott.ssa Adriana Doronzo