Tribunale di Catanzaro, Sez. Lav., 17 dicembre 2021 - Sospensione dell'infermiera per inadempimento dell'obbligo vaccinale. Il diritto al lavoro è meritevole di protezione fino a che non arrechi un pregiudizio all'interesse generale della salute pubblica 


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CATANZARO
PRIMA SEZIONE CIVILE

Controversie di Lavoro e Previdenza Sociale

ORDINANZA


nel procedimento ex art. 700 c.p.c., iscritto al n. 1637-1/20121 R-G., promosso da ----- nei confronti dell'-----------
dell' ;
a scioglimento della riserva assunta in data 17.12.20201, sulle conclusioni delle parti depositate con le modalità della trattazione scritta del giudice, ai sensi dell'art. 2, co., lett. h), L. n. 11/20 e succ. mod.;
 

OSSERVA
 

FattoDiritto



Con ricorso ex art. 700 c.p.c., l'epigrafata ricorrente, dipendente dell' , con la qualità di infermiera esercente le mansioni presso il reparto di , ha invocato la tutela cautelare urgente avverso la determinazione con cui il datore pubblico l'ha sospesa dal servizio e dalla retribuzione, fino 31 dicembre 20121 o fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale, in conseguenza del suo rifiuto di sopporsi alla profilassi vaccinale, in per contenere il rischio di diffusione dell'epidemia da SARS- CoV-2.

Si é costituita in giudizio , chiedendo il rigetto del ricorso per difetto dei requisiti del fumus e del periculum.

Non si é invece costituita di cui va dichiarata la contumacia.

La domanda é infondata.

Si osserva in diritto che, a norma dell'art. 700 c.p.c., costituisce requisito di ammissibilità della domanda di provvedimento atipico d'urgenza l'esito di un 'fondato motivo di temere che, durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile'.

La costante giurisprudenza, al fine di evitare il rischio che la tutela cautelare possa assumere una funzione surrogatoria della tutela di un giudizio ordinario, ritiene che sia necessario un accertamento puntuale e preciso circa la sussistenza dei requisiti essenziali, cui è subordinato il ricorso alla tutela d'urgenza. In particolare, è onere del ricorrente fornire la prova in ordine alla situazione di vulnus su di esso incombente, sicché il periculum in mora non può essere mai implicitamente riconosciuto, presupponendo il positivo riscontro delle situazioni di fatto utili ad integrare il pregiudizio imminente ed irreparabile imposto dalla norma. Occorre quindi, una concreta dimostrazione dell'irreparabilità delle possibili conseguenze - legate alla mancata adozione del provvedimento cautelare - attraverso l'indicazione di validi indici dai quali poter desumere in termini di piena oggettività la consistenza dell'eventuale nocumento legato alla condotta di controparte.

La giurisprudenza ha, altresì, precisato che la funzione del ricorso di urgenza ex art. 700 c.p.c. non può e non deve essere quella di accorciare i tempi, bensì quella di fornire tutela alla posizione di colui che potrebbe vedere pregiudicato il proprio patrimonio giuridico a causa della durata del processo civile.

La maggiore snellezza dello speciale rito del lavoro e l'inevitabile compressione del diritto di difesa nell'ambito della tutela d'urgenza impongono un vaglio particolarmente attento e rigoroso del periculum in mora, in entrambe le sue articolazioni, la cui affermazione o negazione non può prescindere - soprattutto in materia lavoristica dove più forte è la tentazione di ritenerlo in re ipsa, attesa la inevitabile ripercussione che ogni lesione alla sfera del lavoratore ha direttamente o indirettamente sui diritti fondamentali di costui in quanto persona - dall'esame di dettagliate e specifiche allegazioni, pena la trasformazione della eccezionale tutela d'urgenza in una forma ordinaria di impugnativa, in un ulteriore ed alternativo grado di giudizio con conseguente sacrificio dei principi costituzionale di difesa.

Dunque, nel processo de lavoro, il ricorso allo strumento previsto dall'art. 700 c.p.c. é consentito solo in via eccezionale rispetto al rito ordinario e solo nel caso in cui il trascorrere del tempo fino alla decisione del giudice di merito possa cagionare un danno grave, irreparabile ed incombente con vicina probabilità, esigendo il requisito del periculum in mora allegazione concrete e puntuali da parte del ricorrente, che diano conto del duplice profilo della irreparabile e della imminenza voluto della norma.

Ritiene il giudice che, nel caso concreto, la tutela di urgenza non possa essere accordata all'istante per difetto del periculum in mora e, segnatamente, per la inadeguata

Specificazione degli elementi integranti detto requisito.

Infatti, manca, già a livello di allegazione, il positivo riscontro delle concrete e personali situazioni di fatto utili ad integrare il pregiudizio irreparabile imposta dalla norma, prospettiva questo estranea - per quanto sopra esposto - ad ogni possibilità di considerare quell'elemento implicitamente presente nella lesione di particolari diritti del lavoratore e, al contrario richiedente come sempre l'indispensabile indicazione di elementi concreti idonei a consentire la valutazione in termini di gravità ed irreparabilità del paventato pregiudizio.

Non risulta, ad esempio, che parte ricorrente abbia assolto l'onere di allegazione concreta e puntuale in ordine alla propria situazione socio - economico, alla situazione personale e familiare, alla compromissione del suo equilibrio psicofisico, da cui emerge che la mancata corresponsione della retribuzione per pochi mesi (da agosto a dicembre) possa configurazione quale fonte di pregiudizio irreparabile.

Sul punto, l'attrice si é limitata ad affermare l'unica fonte di reddito certo del proprio nucleo familiare, svolgendo il proprio coniuge, l'attività di venditore ambulante e lasciando,
comunque, intendere che un reddito, ancorché incerto, sia comunque prodotto da quest'ultimo. Al riguardo, non appare peraltro significativo che il coniuge della ricorrente abbia documentato la percezione di un reddito esiguo nel corso del 2020, attesa la paralisi, pressoché totale, di svariate attività economiche verificatasi lo scorso anno, per effetto del Covid-19.

Inoltre, l'istante non ha dimostrato di avere sostenuto spese indilazionabili (non vi prova degli esborsi economici asseritamente affrontati per pagare le spese di studio o di mantenimento del figlio universitario), né la medesima ha prospettato una situazione di grave difficoltà economica, determinata, ad esempio, dagli oneri derivanti da un contratto di locazione/mutuo per l'appartamento di abitazione, ovvero da un'esposizione debitoria scaturente da finanziamenti in corso, o, comunque, la impossibilità di fronteggiare spese primarie indilazionabili.

Non sono stati illustrati, in altre parole, elementi fattuali dai quali poter ricavare che la sospensione dal lavoro ed il correlativo omesso versamento dello stipendio possano configurarsi, nel tempo occorrente per scrutinare il diritto fatto valere nell'ordinario giudizio di merito, quale fonte di pregiudizio irreparabile (di situazioni giuridiche soggettive che potrebbero subire una definitiva compromissione - il danno irreparabile appunto - se non tutelate nelle more del giudizio di merito), così da rendere improcrastinabile il provvedimento cautelare richiesto.

D'altro canto, il pregiudizio oggetto del pericolo previsto dalla norma non sarebbe ravvisabile in una perdita economica, stante la naturale risarcibilità della stessa. Il profilo risarcitorio può trovare piena realizzazione in via ordinaria, sicché non è ammissibile il rimedio previsto dall'art. 700 c.p.c. quando il danno temuto possa essere agevolmente tutelato con le ordinarie azioni di risarcimento. La stessa giurisprudenza ritiene che il danno economico costituito dalla perdita della retribuzione non concretizza di per sé il requisito del periculum in mora, trattandosi di danno sempre risarcibile, per cui il pregiudizio meramente economico è privo del carattere della irreparabilità.

Può aggiungersi a quanto appena detto in termini generali che, nella odierna fattispecie, il periculum in mora non sembra configurabile alla luce delle disposizioni vigenti in materia.

Invero, secondo la previsione di cui all'art. 4, co. 9, D. L. n. 44/2021, convertito in L. n. 76/2021, la sospensione dal diritto di svolgimento della prestazione lavorativa e dalla conseguente retribuzione produce effetti fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021: ciò vuol dire che l'efficacia della sospensione comminata alla ricorrente deve intendersi condizionata ad un evento risolutivo dipendente dalla volontà della medesima; in altri termini, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione è sottoposta, ex lege, ad una sorta di condizione risolutiva potestativa (assolvimento dell'obbligo vaccinale) il cui accadimento rientra nella disponibilità del lavoratore il quale in qualunque momento, con un comportamento volontario - che, anzi, sarebbe doveroso atteso lo specifico obbligo vigente a suo carico - può far cessare gli effetti della sua sospensione dal lavoro e dalla conseguente retribuzione; inoltre, la legge prevede come termine finale dell'effetto sospensivo suddetto il giorno 31.12.2021, che segna, dunque, la data di ritorno al lavoro della ricorrente e di ripristino della retribuzione, sicché il pregiudizio da essa lamentato è comunque destinato a terminare nel volgere di pochi giorni.

Ed allora, a fronte di un evento risolutivo che la legge prevede, alternativamente, nella forma di una condizione potestativa (il cui avveramento è nella mera disponibilità della ricorrente) o di un termine finale di efficacia (la cui scadenza è prossima), come idoneo a determinare la cessazione dell'effetto sospensivo dal lavoro e dalla retribuzione, non sembra fondatamente ipotizzabile una situazione di periculum in mora.

La carenza del requisito del periculum in mora potrebbe esimere il giudice da ogni valutazione circa la fondatezza della domanda cautelare sotto il profilo del fumus boni juris.

Tuttavia, si ritiene che alcune riflessioni nel merito della controversia vadano fatte, attesa anche la questione di incostituzionalità sollevata dalla ricorrente.

Bisogna anzitutto sgomberare il campo da eccezioni pretestuose sollevate dalla parte attrice: infatti, ancora oggi, a dispetto delle comunicazioni asseritamente non ricevute dalla dipendente o di procedure presuntivamente violate dall'azienda, l'istante, se davvero volesse sottoporsi al vaccino contro la SARS-CoV-2, potrebbe tranquillamente recarsi presso un punto vaccinale e adempiere l'obbligo legale su di lei gravante.

Ed allora, quel che la ricorrente apertamente non dice è che essa non intende affatto assumere detto vaccino, né ora, né mai, quantunque non ricorra nei suoi confronti - non avendo dedotto, ancor prima che documentato, un pericolo per la sua salute - alcuna controindicazione ostativa alla somministrazione dello stesso.

La principale argomentazione attorea è che il diritto soggettivo al lavoro ed alla conseguente retribuzione è intangibile ed indisponibile, sicché una legge che le impedisse lo svolgimento della prestazione lavorativa sarebbe, per ciò solo, contraria ai principi costituzionali.

Così argomentando, tuttavia, l'istante volutamente trascura di considerare che vi è una pandemia in atto e che il legislatore si è preoccupato di adottare una serie di misure, anche extra ordinem, a tutela della popolazione per il contenimento del contagio da covid-19, tra cui rientra la disciplina in questione, relativa agli obblighi cui sono assoggettati gli esercenti le professioni sanitarie, che l'istante sospetta di incostituzionalità.

E' evidente che il diritto soggettivo individuale al lavoro ed alla conseguente retribuzione è sì meritevole di protezione, ma solo fino all'estremo limite in cui la sua tutela non sia suscettibile di arrecare un pregiudizio all'interesse generale (nella specie, la salute pubblica), di fronte al quale è destinato inesorabilmente a soccombere, sicché, ove il singolo intenda consapevolmente tenere comportamenti potenzialmente dannosi per la collettività, violando una disposizione di legge che quell'interesse miri specificamente a proteggere, deve sopportarne le inevitabili conseguenze.

In difetto di ragioni ostative indicate dalla legge come deroghe all'obbligo di somministrazione del vaccino, non possono rilevare le visioni personali ed egoistiche del singolo non giustificate sul piano scientifico, né la paura indotta da eventuali complicazioni riconducibili alla sua assunzione: ciò, tanto più allorché il soggetto che rifiuti di sottoporsi all'obbligo vaccinale è un esercente la professione sanitaria all'interno di una pubblica struttura ospedaliera, dove è maggiore il rischio di favorire la diffusione del contagio in forza del contatto quotidiano con gli utenti del servizio sanitario nazionale.

Nella specie, poi, la ricorrente presta servizio presso il reparto di pediatria, entrando in contatto quotidianamente con bambini, allo stato, non soggetti a copertura vaccinale, con quale possibile pericoloso scenario di diffusione del contagio è facile intuire.

Relativamente alla paventata incostituzionalità dell'art. 4 D. L. n. 44/2021, convertito in L. n. 76/2021, istitutivo per il personale sanitario dell'obbligo vaccinale antiSARS-CoV-2, si osserva che - condividendosi sul punto le riflessioni di parte resistente - una recente sentenza del Consiglio di Stato (n.  7045 del 20.10.2021), richiamando la giurisprudenza costituzionale formatasi sul punto, ha affermato la piena legittimità dell'obbligo vaccinale sancito dal citato art. 4 L. n. 76/21.

Tale pronuncia ha effettuato un bilanciamento di valori tra le ragioni del personale sanitario che rifiuta la vaccinazione e l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, di cui all'art. 2 Cost., statuendo che, secondo la Corte Costituzionale (cfr. sentenze n. 5 del 18.01.2018 e n. 258 del 23.06.1994), la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost., allorché: il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; si preveda che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e si preveda, comunque, nell'ipotesi di danno ulteriore, la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria.

In ragione di tanto, con un giudizio di verosimiglianza tipico di questa fase sommaria, deve escludersi l'irragionevolezza della norma che parte ricorrente ha censurato e, conseguentemente, può reputarsi, prima facie, infondata la questione da essa sollevata di legittimità costituzionale dell'art. 4 L. n. 76/21, che dunque costituisce la disciplina ritualmente applicabile alla fattispecie.

La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese processuali tra le parti.

 

P.Q.M.

 

visti gli artt. 700, 669 bis e ss. c.p.c.:

1) rigetta il ricorso;

2) compensa le spese di lite;

3) manda alla cancelleria per le comunicazioni.

Catanzaro, lì 17.12.2021