Cassazione Penale, Sez. 4, 20 aprile 2022, n. 15157 - Caduta dall'alto durante i lavori di restauro di una villa. Responsabilità del datore di lavoro e del direttore dei lavori


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 28/01/2022
 

 

Fatto
 



1. Con sentenza del 17 luglio 2020 la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze con la quale P.R., nella sua qualità di legale rappresentante della P.R. & C. s.n.c., impresa esecutrice dei lavori di restauro della villa di proprietà di M.F., e G.G., nella sua qualità di direttore dei lavori, sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all'art. 590, commi 2 e 3 cod. pen., per avere, con colpa consistita nella violazione del disposto degli artt. 112, 122 e 126 d. lgs. 81/2008, cagionato a D.F., dipendente di R.P. -che intento alla ricostruzione di un muretto che delimitava il terrazzamento dal giardino posto a quota inferiore, sprovvisto di opere provvisionali, cadeva dall'altezza di m. 3,60- lesioni personali gravi consistite in politrauma con ematoma extradurale, fratture costali multiple e frattura del polso sinistro.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello propongono ricorso per cassazione R.P. e G.G., a mezzo dei rispettivi difensori.
3. R.P. formula due motivi di impugnazione.
4. Con il primo si duole della falsa applicazione degli artt. 40 e 41, comma 2 cod. pen. e del vizio di motivazione, per non avere la Corte di appello ritenuto che il comportamento del lavoratore, inadempiente alle ordinarie regole di sicurezza, fosse abnorme e come tale interruttivo del nesso causale fra la condotta addebitata a R.P. e l'evento. Ricorda che l'operaio, manovale esperto, cadde da una pensilina, appoggiata a mattoni non murati e posta sulla zona più esterna del muro, adiacente alla parte terminale del medesimo, sulla quale era salito, senza che ciò fosse necessario per svolgere il lavoro e dopo avere autonomamente scelto di rimuovere la protezione costituita da un tubo orizzontale e da altri sistemi a tutta altezza, predisposti dall'impresa per evitare cadute dal terrazzamento. Sottolinea che l'imputato non era presente il giorno dell'infortunio, trovandosi fuori dalla regione Toscana, sicché neppure avrebbe potuto intervenire per impedire all'infortunato di operare in quel modo, anche perché l'opera di ricostruzione del muretto era ferma da più di un anno e l'ordine di procedere era stato impartito dal direttore dei lavori, G.G., in assenza del datore di lavoro. D'altro canto, che non vi fosse alcuna necessità di salire sulla pensilina, da cui D.F. precipitò, per svolgere quel lavoro è stato chiarito dalla deposizione di Marco C., unico altro operaio presente sui luoghi al momento del sinistro, il quale ha spiegato che lo spazio sul lato interno del muro era sufficiente per lavorare. Inoltre, il C.S.E., ing. V., ha dichiarato che nel dicembre 2012 erano presenti, oltre al tubo orizzontale, protezioni a tutta altezza del parapetto, poi smontate proprio dalla parte offesa, la quale avrebbe sostenuto con il collega C., che lo riferì a V., che era infattibile rifare il muretto con quell'ingombro. Non era, dunque, possibile, diversamente da quanto sostenuto dal giudice di merito, per P.R., che era assente ed aveva lasciato in cantiere il Direttore dei lavori ed altro personale di fiducia del committente, immaginare quanto poi accaduto, né vigilare costantemente sull'operato del dipendente, lavoratore esperto, prevedendo che avrebbe agito in maniera così incauta. Assume che l'evoluzione normativa e quella giurisprudenziale hanno delineato il passaggio da un modello 'ultraprotettivo' della tutela prevenzionistica in materia di infortuni sul lavoro, incentrato sul datore di lavoro, ad uno 'collaborativo', che ripartisce gli obblighi fra più soggetti, ivi compreso il lavoratore. La Corte territoriale, invece, non tenendo in considerazione il volontario abbattimento delle misure di protezione, predisposte dal datore di lavoro, da parte del lavoratore, né il fatto che il medesimo avesse deciso, in modo del tutto autonomo, di salire su una pensilina instabile, ancorché non fosse affatto necessario, ha finito per ascrivere l'infortunio al datore di lavoro sulla base della mera posizione di garanzia, a titolo di responsabilità oggettiva.
5. Con il secondo motivo censura la violazione degli artt. 132, 133 e 62 bis cod. pen. ed il vizio di motivazione anche in ordine agli importi risarcitori posti a carico dell'imputato e dei responsabili civili. Si duole dell'immotivata eccessività della pena e della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Rileva che il grado della colpa, posto a base della determinazione della sanzione penale, non può ritenersi 'non modesto', come fa la Corte territoriale, in quanto è risultato provato che fu la persona offesa a rimuovere le barriere protettive, che avrebbero consentito di operare in sicurezza. Siffatta circostanza e la scarsa pericolosità dell'imputato, nonché la risalenza del fatto giustificano il contenimento della pena nel minimo edittale e la concessione della diminuente invocata. Sostiene che il grave grado della colpa della persona offesa rende evidente l'eccessività delle somme riconosciute a titolo di risarcimento, non essendo la liquidazione assistita da criteri di proporzionalità e di congruità. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.
6. G.G. formula cinque motivi di impugnazione.
7. Con il primo fa valere la violazione dell'art. 113 cod. pen. e della disciplina di settore regolante compiti ed attribuzioni del Direttore dei lavori, nonché il vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta ingerenza dell'arch. G.G. nei lavori affidati ai dipendenti dell'impresa P.R.. Sottolinea, innanzitutto, che la Corte territoriale, travisando i fatti, si discosta dalla ricostruzione contenuta nella sentenza di primo grado. Contesta che l'assidua qualificata come 'ingerenza'. Sostiene che la ricostruzione dei fatti, come formulata dalla Corte, risulta affetta dal travisamento dei fatti e della prova. Invero, il teste C., ha chiarito che l'arch. G.G. 'veniva prima della ditta' in quanto 'era quello che dirigeva i lavori', e teneva i contatti con P.R., che poi riferiva agli operai, questa essendo la 'scala'. Quando R.P. era assente, invece, G.G. faceva riferimento a D.F., che, in quanto operaio più anziano e più esperto, sostituiva l'appaltatore. Nello stesso senso ha riferito anche il teste D.F., fratello della persona offesa, che operò in cantiere tra l'anno 2012 e l'anno 2013. Questa relazione necessitata, unitamente alla costante presenza in cantiere per le necessità connesse ai lavori in contesto tutelato, non possono costituire la prova dell'improprio intervento sull'organizzazione del cantiere e sul lavoro degli operai. Ed infatti, allorquando si tratti di un soggetto estraneo alle figure disciplinate dal d. lgs. 81/2008, l'attribuzione di obblighi di prevenzione secondo il giudice di legittimità, essere rigorosamente provata, attraverso l'individuazione di comportamenti che possono costituire un'effettiva ingerenza nell'organizzazione del cantiere, diversa dal potere di controllo e verifica sulla conformità delle opere al progetto ed ai suoi limiti legali (nella specie vincoli architettonici e paesaggistici).
8. Con il secondo motivo, il terzo ed il quarto motivo intrinsecamente connessi, denuncia la falsa applicazione dell'art. 113 cod. pen. ed il vizio di motivazione. Denuncia, innanzitutto, la manifesta illogicità della valutazione delle prove dichiarative, per non avere la Corte territoriale, nonostante lo specifico motivo di appello, tenuto in considerazione che i testi F. e V. erano portatori di personale interesse, potendo risultare coinvolti nella vicenda. L'imputato aveva, infatti, sottolineato con il gravame che l'ing. V. rivestiva la posizione del Coordinatore della Sicurezza per l'esecuzione ed avrebbe, pertanto, potuto essere fin dall'inizio sottoposto alle indagini. Egli, quindi, era portatore di un interesse personale diretto, con la conseguenza che la sua deposizione avrebbe dovuto essere sottoposta ad un vaglio particolarmente stringente. Invece, il giudice di seconda cura neppure si sofferma sulla questione e compie sinanco un travisamento della prova attribuendo alla sua dichiarazione la dimostrazione che nella riunione convocata, successivamente al sinistro, G.G. fosse presente in rappresentanza del committente M.F., o quantomeno, della società. Al contrario, M.F. era rappresentato dal suo Ufficio tecnico e G.G. presenziava proprio in quanto Direttore dei lavori e ciò è chiaramente emerso dalla dichiarazione di V., il quale ha riferito che le riunioni si svolsero 'fra me, il direttore dei lavori, R.P. e in un certo senso non direttamente il committente, ma magari l'ufficio tecnico diciamo della società del sig. M.F.. E', pertanto, irrilevante che in tali riunioni, convocate per comprendere come fossero andate le cose, fosse G.G. che prevedeva l'accantonamento del pietrame con cui era costruito il muretto originario ed il suo riposizionamento. Opera questa comportante un costo pari ad euro 9.500, come previsto dal contratto, stante l'elevato numero di ore di lavoro necessarie, mentre il ricorso materiali modulari e di grandi dimensioni implicava un evidente risparmio, rendendo il compenso pattuito esorbitante rispetto al lavoro effettivamente svolto, con vantaggio patrimoniale per l'appaltatore. Del tutto fuorviante è, a fronte dell'assenza di motivazione su quanto dedotto con l'appello, la considerazione della Corte secondo la quale D.F. avrebbe sostenuto con C., suo sottoposto, dopo la visita di G.G., che il lavoro poteva proseguire, essendo chiaro che l'istruzione di procedere con quella modalità proveniva da chi se ne avvantaggiava economicamente. Sottolinea che il parapetto orizzontale che costituiva la protezione contro le cadute, assente il giorno dell'infortunio, era stato posto in situ fin dallo smontaggio del muretto, secondo l'originale previsione del P.S.C., redatto dall'allora coordinatore per la sicurezza ing. E. G., ad opera di D.F., all'inizio del 2012. Il parapetto posto ad m. 1 di altezza rispetto al piano di calpestio ed a filo con le porzioni rimaste non demolite, non avrebbe mai potuto interferire, come si è dimostrato in sede di appello, con la ricostruzione del muretto, lasciando sotto di sé una luce ampiamente sufficiente per lavorare al manufatto dell'altezza d cm 57 senza la cimasa e di cm. 70 con la cimasa ricollocata al proprio posto. Rileva che quanto affermato da V., secondo il quale non era possibile provvedere al rimontaggio del muro con il parapetto montato, è una mera opinione del medesimo, il quale, nondimeno, non ha dimostrato neppure di avere cognizione che l'opera era stata già demolita, né del fatto che essa non era presente né nel D.V.R, né nel P.S.O. -estranei alle competenze del Direttore dei lavori- nonostante la carica ricoperta dallo stesso.. Anche sul punto la Corte ha omesso di valutare il personale interesse del teste a sviare su altri responsabilità che gli erano proprie, al fine di valutarne l'attendibilità. In realtà il parapetto, previsto dal P.S.C., risultava idoneo ad evitare le cadute e consentiva la ricostruzione del manufatto, se la medesima fosse stata effettuata come previsto, lavorando in senso parallelo al piano di calpestio ed utilizzando il pietrame originale, ma entrava in conflitto con le modalità ed il materiale prescelto per svolgere in concreto il lavoro. Lo smontaggio del parapetto, che il giorno prima era presente, come riferito anche da S., rende privo di significato il fatto che l'imputato, dopo quatto anni dai fatti, non ricordasse la situazione al momento del sinistro, avuto riguardo al fatto che D.F., che certamente lo tolse, potrebbe averlo smontato il giorno precedente o il giorno stesso, per proseguire il lavoro, nonostante l'ordine impartito da G.G. di interromperlo sia il giorno prima che lo stesso giorno del sinistro.

9. Con il quinto motivo si duole della violazione degli artt. 538 e 541 cod. proc. pen. per avere la Corte territoriale rigettato il motivo di appello inerente alla condanna di G.G. in solido con P.R. ed i responsabili civili alla rifusione delle spese di costituzione delle parti civili. Rammenta che la sentenza di primo grado aveva dato atto che le parti civili avevano revocato la costituzione nei confronti dell'imputato G.G., a seguito della transazione conclusa con l'assicurazione del medesimo, depositata in atti, tanto è vero che il primo giudice aveva condannato al risarcimento del danno ed alla rifusione delle spese di costituzione delle parti civili solo R.P., la P.R. s.n.c. e la sua legale rappresentante M. R. M.. Dunque, la condanna alle spese di G.G. è stata pronunciata in assenza della domanda degli aventi diritto. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.

 

Diritto
 


1. Il ricorso proposto da R.P. non merita accoglimento.
2. Il primo motivo con il quale si contesta la stessa sussistenza della condotta e, comunque, l'assenza di nesso causale tra il comportamento tenuto dall'imputato e l'evento, ritenuto riconducibile al comportamento abnorme del lavoratore coinvolto è inammissibile.
3. La censura proposta, infatti, non si confronta adeguatamente con le ragioni sottese alla decisione impugnata. La sentenza, invero, diversamente da quanto articolato con la doglianza, non riconduce la produzione dell'evento alla rimozione della protezione realizzata con tubi innocenti, posta orizzontalmente davanti al muro da ripristinare, eliminata dal lavoratore per operare più agevolmente alla ricostruzione, ma all'assenza di un diverso sistema di protezione dalla caduta, quale un ponteggio costruito dal piano inferiore del terrazzamento che giungesse sino alla quota ove la persona offesa doveva operare, che consentisse al medesimo di utilizzarlo come punto di appoggio, o, quantomeno, di una protezione posta all'esterno del muro, che impedisse la caduta nel vuoto.
4. La condotta ascritta, dunque, è quella, correttamente contestata con l'imputazione, di cui all'art. 122 d. lgs. 81/2008 , che prevede che "Nei lavori che sono eseguiti ad un'altezza superiore ai m 2, devono essere adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose conformemente al punto 2 dell' allegato XVIII". Né può dubitarsi, tenuto conto della disposizione definitoria di cui all'art. 107 d. lgs. 81/2008 che si trattasse di lavoro in quota, tale essendo ogni "attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile".
5. Rispetto all'obbligo di cautela previsto dal legislatore, il ricorrente si limita a sostenere, per un verso, che il sistema di protezione, costituito dal tubo che correva lungo il muro, fu arbitrariamente rimosso da D.F. e che la sua rimozione non era affatto necessaria per compiere l'opera, per altro verso, che il datore di lavoro era assente e che non poteva immaginare né che l'opera di ricostruzione del muretto sarebbe stata disposta dal Direttore dei lavori proprio per quella giornata, né che il lavoratore, su cui egli non poteva vigilare costantemente, avrebbe agito in quel modo, trattandosi di un operaio esperto.
6. Ora, è chiaro che non può spettare a questa Corte di legittimità valutare se fosse o no necessario smontare la protezione costituita dal tubo che correva lungo il muro, trattandosi di una valutazione di fatto, di esclusiva pertinenza del giudice di merito, ma ciò che viene imputato a R.P. è il non avere predisposto cautele idonee, queste essendo solo quelle previste dall'art. 122 d. lgs. 81/2008, che impone misure prevenzionali miranti a prevenire cadute dall'alto. D'altro canto non può ritenersi che per 'lavoro in quota' debbano intendersi solo le operazioni che si svolgono ad un'altezza superiore a due metri da terra su strutture prive di strutture di contenimento o parapetti, tali da necessitare di impalcature o ponteggi al fine di evitare il pericolo di caduta dei lavoratori, bensì tutte le attività che si svolgano ad oltre due metri da un piano stabile, anche ove si operi su superfici piane, contenute da parapetti, allorquando qualsiasi conformazione della struttura o di una sua parte possa comportare la caduta del lavoratore da un'altezza di oltre due metri. Questa precisazione, che si ricava dalla lettera dell'art. 122 d. Lgs. 81/2008, che stabilisce una regola generale per tutti i lavori che siano eseguiti ad oltre due metri di altezza, senza distinzione alcuna (cfr. " In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, per "lavoro in quota", ai sensi dell'art. 122 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, deve intendersi ogni attività che si svolga ad oltre due metri da un piano stabile, pur se il lavoratore operi su superfici piane e contenute da parapetti, ogniqualvolta sussista il rischio di caduta per la conformazione della struttura o di una sua parte. (Sez. 4 , Sentenza n. 5128 del 23/11/2021, dep. 14/02/2022, Carotenuto, Rv. 282600)
7. Sotto il secondo profilo, l'assunto del ricorrente, secondo il quale, essendo il lavoro non previsto dal datore di lavoro per quella giornata, ma estemporaneamente commissionato dal Direttore dei Lavori, G.G., non sussisteva l'obbligo di approntare alcuna misura precauzionale specifica, o diversa dalla struttura in tubi innocenti, rimossa dal lavoratore è privo di pregio. Questa Sezione ha già precisato, infatti, che la stessa esistenza di postazioni di lavoro in quota "impone la previa adozione delle misure prescritte e la permanenza delle medesime sino a quando le lavorazioni non siano cessate" essendo il rischio considerato dalle disposizioni del testo unico relative al lavoro in quota non solo il rischio di caduta del solo lavoratore occupato nel lavoro e solo durante il suo svolgimento, ma quello determinato "dalla mera allocazione di postazioni di lavoro ad una quota tale da rendere la caduta pericolosa per l'uomo". E ciò, perché "l'art. 122 menzione il pericolo di caduta di 'persone e di cose', senza specificazioni che facciano riferimento alla qualità di lavoratore, ad un particolare tempo, o a una fase della lavorazione" (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 21517 del 09/02/2021, Marchesotti, Rv. 281245, in motivazione) La circostanza che quella particolare opera non fosse espressamente prevista per quella giornata, dunque, non si riflette sulla sussistenza dell'obbligo cautelare, che di per sé discende dal pericolo che da quella postazione derivava, indipendentemente dal momento in cui l'opera doveva essere svolta. Ciò significa, tuttavia, che, anche qualora il datore di lavoro non avesse impartito l'ordine di svolgere quell'attività in quella specifica giornata, ed ancorché il compito fosse stato attribuito da altri alla persona offesa, egualmente egli avrebbe dovuto predisporre la misura di prevenzione, per il solo fatto che quella era una postazione di lavoro programmata nelle lavorazioni.
8. Quanto, infine, alla sussistenza di un comportamento abnorme del lavoratore, capace di recidere il nesso di causalità fra la condotta omissiva e l'evento, occorre, innanzitutto, ricordare che la più recente giurisprudenza di legittimità, abbandonando il criterio dell'imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo ed evento ha sostenuto che affinché "la condotta del lavoratore possa ritenersi abnorme ed idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (cfr. da ultimo Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016, dep. 27/03/2017, Gerosa, Rv. 269603; sulla base del principi enunciati da Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261106, in motivazione).
In questo caso, come ben sottolineato dalla Corte territoriale, il comportamento tenuto dal lavoratore non eccedeva dalle mansioni assegnategli, né attivava un rischio esorbitante rispetto alla sfera governata dal datore di lavoro, che ha mancato di approntare tutele adeguate ad evitare proprio il rischio concretizzatosi nell'evento lesivo, che lui era chiamato ad impedire.
Il richiamo all'evoluzione del modello normativo, che ha sostituito al precedente sistema iperprotettivo, incentrato sulla sola figura del datore di lavoro, quello collaborativo che coinvolge il lavoratore nella prevenzione degli infortuni, è, dunque, mal posto, perché se è evidente che il lavoratore deve concorrere ad evitare il prodursi di eventi dannosi, mantenendo un comportamento conforme alle regole ed alle disposizioni del datore di lavoro, nondimeno, la sua condotta rispettosa dei doveri che gli sono proprii, non può sostituire gli obblighi non assolti dal datore di lavoro, in modo da rimettere alla sua sola prudenza e diligenza la riduzione dei rischi dell'evento. Sicché un'eventuale violazione del lavoratore degli obblighi su di lui ricadenti rileva solo allorquando il datore di lavoro abbia assolto quelli su di lui gravanti (cfr. sul punto Sez. 4, Sentenza n. 5007 del 28/11/2018, dep. 01/02/2019, PM/imp. Grosso, Rv. 275017).
9. Le osservazioni sin qui svolte consentono anche di rispondere alle doglianze introdotte con il secondo motivo inerenti alla misura della pena ed alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Il ricorrente, infatti, a questo proposito lamenta l'eccessività della pena inflitta, giustificata dai giudici di merito, con valutazione conforme, dalla gravità della condotta dell'imputato, benché risulti evidente la gravità della condotta tenuta dalla persona offesa, che distrusse la protezione approntata dal datore di lavoro.
La motivazione della Corte territoriale, come si è detto scevra da vizi logici e giuridici, sottolinea l'assoluta inidoneità della misura di protezione adottata, del tutto inadeguata a contenere il rischio di caduta, per evitare il quale nessuna opera è stata predisposta da R.P., con la conseguenza della correttezza della valutazione circa la gravità della sua condotta e dell'inconferenza del comportamento del lavoratore, non riverberantesi sulla misura della pena.
La censura, peraltro, si dimostra ripetitiva degli stessi contenuti già svolti in relazione alla dichiarazione di responsabilità, mentre la critica in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, fondata sul solo decorso del tempo, non si confronta in alcun modo con gli argomenti spesi dal giudice di seconda cura, che denega la diminuente per l'assenza di elementi positivi valutabili, a tal fine, diversi dall'incensuratezza dell'imputato.
Infine, del tutto privo di specificità è il rimprovero mosso alla sentenza impugnata in relazione alla condanna provvisionale, che viene semplicemente definita incongrua ed eccessiva, laddove la Corte territoriale spiega che l'importo riconosciuto alla parte civile, pari ad euro 100.000,00 è addirittura inferiore al solo danno biologico patito dalla vittima.
10. Il secondo motivo, dunque, deve essere dichiarato inammissibile.
11. Il ricorso di G.G., invece, è fondato, per quanto attiene alla dichiarazione di penale responsabilità dell'imputato, ma il reato va dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, essendo decorso alla data del 22 luglio 2021, il termine di cui agli artt. 157 e 161 cod. pen..
12. La questione posta con il primo motivo-che viene ripresa da quelli ulteriori- riguarda la sussistenza della posizione di garanzia del Direttore dei lavori, in relazione all'oggetto della prestazione a questi affidata ed agli obblighi tipici della figura, collegati ai compiti di direzione ed alta sorveglianza sull'effettuazione delle opere oggetto dell'appalto.
13. Va subito detto che il direttore dei lavori non è uno dei soggetti che il d. lgs. 81/2008 contempla fra i titolari delle posizioni di garanzia per la tutela della salute dei lavoratori, posto che la sua attività non ha ad oggetto la prestazione lavorativa, ma la sorveglianza tecnica sulla buona esecuzione dell'opera e sulla sua conformità agli eventuali atti di assenso, nonché il controllo nelle fasi di avanzamento ed il collaudo, allorché l'opera medesima è definitivamente compiuta.
L'assenza di un rapporto diretto con la predisposizione del cantiere implica, almeno in astratto, l'estraneità del direttore dei lavori all'applicazione da parte sua delle disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, che competono, invece, in diverse forme e sotto diversi profili, ai soggetti che materialmente dispongono l'opera (committente) e che contribuiscono alla sua esecuzione (datore di lavoro e soggetti delegati, responsabile dei lavori, responsabile di cantiere, e per il caso in cui sia prevista la presenza in cantiere di più imprese, coordinatore per la progettazione, coordinatore per l'esecuzione).
Questo non significa, nondimeno, che il direttore dei lavori, non risponda mai degli infortuni occorsi alle maestranze nel corso dell'esecuzione dell'opera, su cui egli esercita la sorveglianza tecnica, rivolta alla sua buona riuscita. Ma perché ciò accada è necessario che il direttore dei lavori o per contratto o di fatto si ingerisca nell'organizzazione del cantiere, assumendo una funzione propria di altri soggetti destinatarii della normativa antinfortunistica (Sez. 3, n. 19646 del 08/01/2019, Gregorio, 275746; Sez. 3, n. 1471 del 14/11/2013, dep. 15/01/2014, Gebbia, Rv. 257922; Sez. 4, n. 12993 del 25/06/1999, Galeotti, Rv. 21516; Sez. 4, n. 1559 del 26/11/1993 - dep. 08/02/1994, Disca, Rv. 197086).
Al di là della specifica pattuizione è, dunque, solo l'intromissione non prevista in competenze riservate ad una specifica figura di garanzia che comporta la diretta assunzione di responsabilità del direttore dei lavori, altrimenti non coinvolto nella salvaguardia della salute dei lavoratori. Si tratta d'altro canto, di una regola che vale per chiunque si inserisca indebitamente nell'organizzazione altrui, posto che allorquando ci si sostituisce ad altri non si può che assumerne la relativa responsabilità.
14. Dalla natura delle prestazioni tipiche del direttore dei lavori discende, altresì, che la sua presenza in cantiere dipende dalla necessità di sorvegliare l'andamento dell'opera e può essere sporadica od assidua, a seconda della complessità dei lavori da svolgere, anche variando nel corso dell'esecuzione, in relazione alle specifiche occorrenze, senza che l'eventuale continuità del suo intervento possa, di per sé, essere considerato indice di ingerenza. L'interlocuzione del direttore dei lavori, infatti, è precipuamente con il committente che l'ha nominato o con il responsabile dell'impresa esecutrice, ai quali egli si rivolge, ove ritenga di dover dare indicazioni per la buona esecuzione dell'opera affidatagli.
15. Ne consegue che una diversa e più ampia estensione dei compiti del direttore dei lavori, comprensiva anche degli obblighi di prevenzione degli infortuni, deve essere rigorosamente provata, attraverso l'individuazione di comportamenti che possano testimoniare in modo inequivoco l'ingerenza nell'organizzazione del cantiere o l'esercizio di funzioni competenti alla posizione di garanzia di uno dei destinatarii delle norme prevenzionali,
16. Fatta questa premessa, va rilevato che, nel caso di specie, la Corte territoriale, ricava l'ingerenza del direttore dei lavori da due circostanze: l'una riguarda la costante presenza in cantiere dell'arch. G.G. ed il rapporto diretto fra questi, P.R. e gli operai della sua impresa, l'altra, la presenza di G.G., in rappresentanza del committente M.F., alle riunioni tenutasi successivamente all'infortunio, finalizzate a chiarire la dinamica del fatto. Con riferimento a quest'ultimo profilo, il giudice di seconda cura sottolinea che, dalla testimonianza del C.S.E., ing. V., è risultato che l'imputato era quello che, nel corso degli incontri, rispondeva sull'accaduto. Il fatto è contestato dal ricorrente, il quale sottolinea di essere intervenuto alle riunioni in qualità di direttore dei lavori e non come delegato del committente, rappresentato, come si evincerebbe dalla dichiarazione del medesimo teste, dal suo Ufficio tecnico. Si tratta, a dir il vero, di elementi del tutto ininfluenti. In entrambi i casi, invero, sia che G.G. abbia presenziato in qualità di rappresentante del committente, o che sia intervenuto quale direttore dei lavori, vi è che le riunioni sono posteriori e non significative dell'eventuale intromissione dell'imputato nella gestione del cantiere, ben potendo il medesimo avere ricevuto l'incarico di presenziare, quale delegato del committente, senza essersi in alcun modo ingerito nell'esecuzione dei lavori.
Più delicato è, al contrario, l'esame della prima delle due circostanze, perché il rapporto diretto con le maestranze, laddove implichi una sostituzione del direttore dei lavori al datore di lavoro, può effettivamente integrare un'ingerenza, foriera di diretta responsabilità. Mentre, per quanto fin qui detto, l'interlocuzione con il datore di lavoro P.R., stante la natura delle prestazioni del direttore dei lavori, non può rilevare, trattandosi di una relazione che rientra tipicamente nella sorveglianza sulla buona esecuzione delle opere.
Ora, dalla sentenza risulta che G.G., il giorno prima dell'infortunio, in assenza di P.R., interruppe il rifacimento del muretto, perché eseguito con modalità difforme a quella assentita, dovendo il parapetto, secondo il progetto, essere ricostruito con il materiale originario e non con mattoni forati, come stavano facendo gli operai. L'intervento di G.G., dunque, stante l'allontanamento dal cantiere del datore di lavoro, era rivolto ad evitare il completamento dell'opera in modo difforme dalle prescrizioni, particolarmente rigorose, trattandosi del rifacimento di una villa soggetta a vincolo architettonico e paesaggistico. Il giorno successivo, ciononostante, i lavori furono ripresi dagli operai D.F. e C., secondo la Corte su incarico dell'imputato, non essendo verosimile che gli operai procedessero autonomamente. Da ciò la sentenza ricava l'ingerenza, avendo il direttore dei lavori consentito la prosecuzione del rifacimento del muretto, nonostante fosse evidente che non erano state predisposte le necessarie misure di prevenzione.
Ora, va rilevato che la Corte territoriale, da un lato, non giustifica affatto l'assunto secondo la quale la persona offesa D.F. ed il collega C., ripresero il lavoro su indicazione di G.G., limitandosi a formulare una mera supposizione, il cui supporto probatorio, quantomeno, non viene esplicitato, dall'altro, giunge a sostenere che la rimozione del tubo 'Innocenti' intervenne certamente prima del giorno dell'infortunio, non essendo verosimile che essa fosse stata effettuata in pochi minuti, prima della caduta, proprio dalla persona offesa, il che significherebbe che G.G. acconsentì che il lavoro proseguisse, nonostante l'evidente insicurezza dei luoghi.
Ebbene, tenuto conto che non compete al direttore dei lavori predisporre misure idonee ad assicurare la sicurezza dei luoghi di lavoro, e del fatto che egli interruppe la ricostruzione del muro il giorno prima del sinistro, è evidente che può affermarsi la sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere, solo a fronte dell'inequivoca prova di un comportamento di sostituzione di altra figura di garanzia, che non può essere integrata da mere supposizioni, non ancorate a specifici elementi rappresentativi del fatto o ad elementi indiziarii gravi precisi e concordanti, che consentano la formulazione di una presunzione. L'assenza di un simile apparato argomentativo impone l'annullamento della sentenza pronunciata ne confronti di G.G., anche ai fini civili, con rinvio al giudice di appello competente per valore.
17. All'inammissibilità de ricorso di R.P. consegue la condanna del medesimo al pagamento delle spese processuale ed al versamento della somma di euro tremila, in favore della cassa delle ammende.

 

P.Q.M.

 


Annulla agli effetti penali la sentenza impugnata nei confronti di G.G. per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. Annulla la medesima sentenza agli effetti civili nei confronti di G.G. e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Dichiara inammissibile il ricorso di P.R. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 28/01/2022