La direttiva macchine: norme tecniche e procedure

Le responsabilità dei soggetti nell’applicazione delle norme

 sulla sicurezza delle macchine

Firenze-Siena-Pisa, marzo 2010



 

 

La disciplina in materia di uso delle attrezzature di lavoro che emerge dal decreto legislativo n. 81/2008 e dal decreto correttivo n. 106/09, presenta rilevanti novità rispetto a quella contenuta nel decreto 626. Novità che non attengono principalmente ai requisiti tecnici delle macchine, ma essenzialmente alla costruzione degli obblighi e delle responsabilità dei soggetti tenuti alla prevenzione in materia di macchine e attrezzature di lavoro.

A partire dalle definizioni contenute nell’articolo 69 il legislatore mostra grande cura nel non tralasciare nessuna delle situazioni che tradizionalmente presentano rischi in materia di attrezzature e impianti. Tuttavia nel dettare la disciplina obbligatoria descrive requisiti di conformità delle macchine che destano alcune perplessità.

La regola generale è quella dettata dal primo comma dell’articolo 70, secondo cui le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle norme di recepimento delle direttive comunitarie. Tale comma è sanzionato a carico del datore di lavoro e dei dirigenti. Dal tenore della norma si deduce anche che la sanzione Può essere comminata solo a condizione che le attrezzature siano state messe a disposizione dei lavoratori e non quando le macchine si trovino fuori da un luogo di lavoro. Resta poi la distinzione tra le macchine costruite prima che venissero recepite le disposizioni comunitarie e le macchine costruite dopo, con la conseguenza di assegnare all’allegato V la funzione di dettare le norme di conformità in mancanza di norme comunitarie.

In conclusione l’articolo 70 sembra avere la funzione, confermata dal titolo dell’articolo, di fissare oggdettivamente i requisiti di sicurezza  delle macchine, mentre gli obblighi del datore di lavoro sembrano ricompresi nell’articolo 71, come si evince chiaramente dal titolo. Tuttavia il primo comma dell’art. 71 riformula il generico obbligo a carico del datore di lavoro di mettere  a disposizione dei lavoratori macchine conformi ai requisiti dettati nell’articolo 70. Anche questo comma è sanzionato con la medesima pena  prevista per chi contravviene al 1 comma dell’articolo 70.

E qui occorre chiedersi quale sia la differenza tra i due obblighi posto che entrambi si rivolgono al datore di lavoro. Quale articolo si dovrà contestare al datore di lavoro che metta a disposizione dei lavoratori macchine non conformi?

Si dirà che la domanda non ha molta importanza dal momento che il contenuto delle due norme è identico, come identica è la pena. Ma certo questa risposta non risolve il problema giuridico.

 

Ma i problemi maggiori sorgono dalla lettura del 4^ comma riservato all’intervento degli organi di vigilanza. Fino alla modifica contenuta con il decreto 106, l’intervento dell’organo di vigilanza era previsto nel caso che una macchina risultasse non rispondente ai RES. Ora la mancanza dei RES non è più condizione sufficiente, dovendosi accompagnare anche  ad una situazione di rischio per i lavoratori. Le ragioni della modifica del decreto correttivo non sono chiare. Cosa avrà voluto dire il legislatore?  Quando può accadere che la mancanza dei requisiti di sicurezza non produca situazioni di rischio? Sembra difficile pensare che le carenze fondamentali de3lla macchina non producano di per sè situazioni pericolose, a meno che  non si pensi ad una macchina priva dei RES e che sia stata per qualche ragione tolta dal circuito produttivo o sia comunque inutilizzabile. Ma in questo caso mancherebbe la condizione prevista dal 1° comma dell’art. 70 secondo cui la macchina deve essere a disposizione dei lavoratori e dunque adibita alle lavorazioni. Dunque una precisazione priva di significato a meno che non si voglia sostenere  che il rischio deve essere presente al momento dell’intervento dell’organo di vigilanza e non solo possibile in astratto. Ma sarebbe assai azzardato pensare che se l’organo di vigilanza rileva la mancanza dei RES in un’attrezzatura di lavoro non possa contestare tale mancanza e debba attendere che si manifesti anche una concreta condizione di rischio.

Le perplessità maggiori riguardano tuttavia il comportamento che viene imposto all’organo di vigilanza dalle lettere a) e  b) del 4° comma.

Per la lettera a) l’organo di vigilanza che ha accertato la situazione di rischio durante l’utilizzazione della macchina procede nei confronti del datore di lavoro impartendogli un’apposita prescrizione a rimuovere il rischio nel caso in cui, come dispone l’art. 20 del decreto legislativo 758, sia stata accertata una contravvenzione. Tuttavia non è detto che la situazione di rischio creata dalla macchina debba farsi risalire all’azione o all’omissione del datore di lavoro, dal momento che i vizi della macchina potrebbero essere imputabili unicamente al costruttore o al venditore. E’ chiaro allora che in questi casi non vi sarebbe alcuna contravvenzione a carico del datore di lavoro e verrebbe meno il presupposto voluto dalla legge perché si possa impartire la prescrizione.

Resta dunque il problema del che fare quando la macchina comporti un rischio per i lavoratori e non sia possibile impartire  una prescrizione al datore di lavoro. La lettera a) del comma in esame stabilisce che in questi casi l’organo di vigilanza debba impartire una idonea disposizione “in ordine alle modalità di uso in sicurezza dell’attrezzatura di lavoro”. Si tratta di un provvedimento del tutto inedito giacchè storicamente la disposizione è stata applicata in presenza di una violazione di leggi o regolamenti per la quale fosse concesso all’organo di vigilanza il potere discrezionale di riempire il precetto di contenuti nuovi. In questo caso invece nessuna violazione  è possibile rilevare da parte del datore di lavoro, salva naturalmente la situazione di rischio che però è stata provocata da altri soggetti. In questo caso dunque l’organo di vigilanza impartirà una disposizione che genericamente dovrà stabilire le modalità di uso in sicurezza dell’attrezzatura di lavoro. Il contenuto della disposizione non è perciò predeterminato; anzi, non sempre sarà possibile un uso in sicurezza della macchina stessa e, in questo caso, la disposizione dovrà limitarsi a vietare l’uso della macchina o comunque ad allontanarla dal ciclo produttivo.

E’ naturale che tale disposizione debba essere adempiuta trattandosi di contenuto obbligatorio stabilito con atto dell’organo pubblico di prevenzione. Ne consegue che l’eventuale inottemperanza alla disposizione è sanzionata ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 520/55.

 

Finora abbiamo trattato dei provvedimenti che l’organo di vigilanza deve assumere nei confronti del datore di lavoro. Diverso il comportamento che l’organo di vigilanza deve tenere nei confronti dei soggetti che hanno determinato la situazione di rischio all’interno del luogo di lavoro e cioè il fabbricante, i successivi venditori, ecc. Costoro vengono genericamente indicati come “soggetti della catena di distribuzione” . Catena che non sembra comprendere tutti i soggetti elencati negli artt. 23, 23 e 24 del decreto n. 81. Certamente non vi rientrano i progettisti che hanno obblighi penalmente sanzionati, ma non partecipano alla distribuzione del prodotto. Rientrano invece nella catena inevitabilmente i fabbricanti, i venditori, i sub-venditori, gli installatori, i montatori di impianti o di attrezzature. Si può dubitare che vi rientrino i noleggiatori e i concedenti in uso, dal momento che essi sono utilizzatori delle attrezzature, anche se non diretti, e traggono profitto dal fatto di affidarle in uso ad altri.

Nei confronti di costoro dunque deve procedere l’organo di vigilanza territorialmente competente. Naturalmente non è detto che sia lo stesso organo che ha rilevato la carenza dei requisiti essenziali  e la situazione di rischio all’interno dell’azienda. Tuttavia la sua azione nei confronti di questi soggetti è subordinata alla conclusione dell’accertamento amministrativo predisposto dall’autorità di sorveglianza del mercato. Quando l’accertamento amministrativo si sia concluso con il risultato della non conformità dell’attrezzatura a uno o più requisiti essenziali di sicurezza l’organo di vigilanza può esperire la procedura prevista dagli artt. 20 e 21 del decreto legislativo 758/94 nei confronti  del fabbricante, “ovvero” dei soggetti della catena di distribuzione.

Va rilevato a questo proposito che prima del decreto correttivo 106/09 la legge disponeva che l’organo di vigilanza potesse procedere nei confronti del fabbricante “e” dei soggetti della catena di distribuzione. Ora dispone che l’organo di vigilanza proceda alternativamente nei confronti del costruttore o di altri soggetti. E’ difficile capire la ratio dell’innovazione, soprattutto perché se si accogliesse l’interpretazione alternativa si creerebbe un contrasto di grande portata con il principio tradizionale dell’ordinamento giuridico italiano che ha sempre equiparato la figura del fabbricante agli altri soggetti della catena di distribuzione , almeno per quanto riguarda le responsabilità penali derivanti dal divieto di immettere sul mercato o in servizio e vendere o  utilizzare attrezzature di lavoro non conformi ai requisiti essenziali di sicurezza.

Non si capirebbe infine perché solo il costruttore dovrebbe preoccuparsi di non immettere sul mercato macchine pericolose e il medesimo onere non dovrebbero avere i venditori del medesimo bene, quando naturalmente sia possibile rilevare il vizio e la pericolosità della  macchina stessa.

 

Inoltre la lettera b) del IV comma dell’art. 70 pone altri due problemi di non facile soluzione.

Il primo è legato al momento in cui l’organo di vigilanza può procedere alle contestazioni nei confronti del fabbricante o degli altri soggetti della catena di distribuzione. Si è già detto che occorre attendere la conclusione dell’accertamento amministrativo per stabilire se si possa procedere o non nei confronti di tali soggetti e che si potrà procedere solo nel caso in cui sia stata stabilita la non conformità dell’attrezzatura di lavoro. Il che significa che l’organo di vigilanza non potrà procedere alla contestazione nei confronti del fabbricante o del venditore nel momento in cui rileva la mancanza di uno dei requisiti essenziali, ma dovrà attendere la pronunzia dell’autorità amministrativa. E’ il primo caso nell’ordinamento italiano in cui l’ufficiale di polizia giudiziaria, constatato il reato,  non può esperire la procedura prevista dalla legge che è dettata dal decreto 758/94. L’ufficiale di polizia giudiziaria in questo caso dovrà soprassedere e potrà esperire la procedura solo dopo che la macchina sarà stata ritenuta irregolare o priva dei necessari requisiti di sicurezza. Ciò contrasta formalmente con il principio della obbligatorietà dell’azione penale affermata dall’art. 112 della Costituzione, che prescrive la pronunzia del giudice penale in ogni caso in cui venga accertato un reato. Come è noto né gli ufficiali di polizia giudiziaria né il pubblico ministero possono omettere l’esercizio delle azioni necessarie per l’accertamento e la persecuzione del reato. In questo caso invece è la stessa legge a stabilire che il reato constatato è improcedibile con il particolare rito del decreto 758 fino a che l’autorità amministrativa non avrà emesso il suo giudizio tecnico.

Tutto questo pone all’ufficiale di polizia giudiziaria che interviene nel luogo di lavoro seri problemi di comportamento. Innanzitutto il codice di procedura penale gli impone che, una volta acquisita la notizia di reato, deve informare “senza ritardo” il pubblico ministero riferendogli per iscritto gli elementi essenziali del fatto e tutti gli altri elementi raccolti. In questo caso l’art. 70 del TU sulla sicurezza nulla dice circa la comunicazione della notizia di reato al pubblico ministero. Ma è da ritenere che nel silenzio della legge l’ufficiale di polizia giudiziaria non possa far altro che informarne il pubblico ministero il quale evidentemente sarà libero di procedere nell’esercizio dell’azione penale.

Ciò apre peraltro  un problema ulteriore dovuto alla diversa trattazione che sul piano giudiziario il pubblico ministero  riserverà al fatto-reato che gli è stato denunziato, rispetto a quella dell’autorità amministrativa impegnata a stabilire se la macchina sia o non conforme ai requisiti di sicurezza.

E’ evidente che i due piani potrebbero non coincidere e che il pubblico ministero potrebbe farsi un’idea radicalmente diversa da quella dell’autorità tecnica preposta alla sorveglianza sul mercato.

Il fatto è che questa norma mira scopertamente a salvaguardare costruttori e venditori dalla severità dell’accertamento giudiziario sulla conformità delle macchine. Si è pensato insomma di subordinare l’azione penale alla pronunzia di un organismo tecnico che non può certamente procedere con gli strumenti giudiziari e la cui ottica è inevitabilmente quella del mercato  e della salvaguarda della concorrenza piuttosto che dell’accertamento dei reati contro la persona.

E tuttavia è difficile conciliare i due piani dal momento che il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale non consente che si frappongano ostacoli di tipo amministrativo all’accertamento dei reati da parte del giudice. Si potrebbe perciò verificare che il pubblico ministero tragga a giudizio un costruttore di macchine che sono state giudicate conformi ai requisiti di sicurezza da parte dell’autorità amministrativa.

In questo pasticcio è opportuno ricapitolare ciò che con sicurezza rientra negli obblighi degli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti all’organo di vigilanza. Quando essi si troveranno di fronte ad una macchina che giudicano pericolosa e priva dei requisiti essenziali di sicurezza, se ritengono che la responsabilità appartenga al costruttore o al venditore, devono senza ritardo riferirne al pubblico ministero specificando di non avere adottato nessun provvedimento di prescrizione ai sensi dell’art. 20 del decreto 758.

 

Questa conclusione ci introduce ad un altro non secondario problema che, secondo il dettato normativo scaturente dalla lettera b) del comma 4° in esame,  riguarda il caso in cui l’autorità amministrativa abbia accertato la mancanza di uno o più requisiti essenziali di sicurezza. In questo caso, a norma dell’art. 70 del TU, l’organo di vigilanza pone in essere le procedure previste dagli artt. 20 e 21 del decreto 758/94 relative alla prescrizione. Ma quale sarà il contenuto di una prescrizione nei confronti del fabbricante o dei venditori una volta che sia stata accertata la non conformità dell’attrezzatura del lavoro? In che cosa potrà consistere l’ordine rivolto al costruttore che abbia costruito un’attrezzatura pericolosa? I pareri in merito sono sempre stati discordi e la discordia deriva direttamente dal fatto che costruire o vendere una macchina priva di sicurezza dà luogo ad un reato istantaneo, anche se con effetti permanenti. Una volta che il costruttore abbia licenziato la macchina o che il venditore l’abbia alienata, essi non sono più in grado di porre rimedio al reato compiuto; una volta che la macchina è immessa nel mercato o è stata venduta esce dalla disponibilità del costruttore o del venditore. Essi possono certo costruirne o venderne altre dello stesso tipo, ma si tratterebbe di reati ulteriori. Quelli già compiuti non sono in alcun modo rimediabili.

Dunque, se si dicesse al costruttore “non costruire più questa macchina pericolosa” gli si farebbe una raccomandazione certo importante, ma sarebbe solo un’esortazione e non una prescrizione dal momento che egli non può ormai più ritirare le macchine che non sono nella sua disponibilità. La stessa cosa si può dire per il contenuto dell’obbligo rivolto al venditore. Se gli si dicesse “non vendere più questa macchina” si farebbe certo una buona azione, ma quell’ordine non avrebbe nessuna possibilità di essere eseguito per la buona ragione che il venditore non ha più la disponibilità delle macchine che erano oggetto del reato.

Per rimediare a questa evidente difficoltà, alcune linee guida regionali con una buona dose di ingenuità hanno pensato di indicare all’organo di vigilanza il possibile contenuto della prescrizione da impartire al costruttore e al venditore: l’obbligo, cioè, di comunicare agli acquirenti la propria disponibilità ad adeguare le macchine vendute alle norme vigenti di sicurezza. L’indicazione esprime certo una grande buona volontà, ma pone qualche problema in sede di verifica dell’adempimento. L’adempimento infatti in questo caso non dipende interamente dal contravventore. Come può adempiere un venditore al quale il compratore non intenda consegnare la macchina per l’adeguamento? E come si potrebbe impedire al compratore di ricorrere ad un tecnico di cui magari si fida maggiormente, anziché al venditore o al costruttore?. Il fatto è che si può prescrivere solo ciò che può essere ragionevolmente adempiuto dal contravventore, mentre non si può prescrivere ciò che è impossibile adempiere o che non dipende dalla volontà del destinatario della prescrizione.

Se questa impostazione è corretta, ne deriva l’impossibilità di procedere nei confronti dei soggetti della catena di distribuzione con gli strumenti previsti dal decreto 758/94. Allora il sistema che deriva dalla previsione normativa dell’art. 70 è quello che prevede dinanzi ai reati compiuti dai soggetti esterni all’azienda la denunzia del reato compiuto al pubblico ministero senza la prescrizione prevista dall’art. 20. Il pubblico ministero procederà alle sue indagini secondo le normali procedure previste dal codice.

 Solo con questa interpretazione si potrà conciliare il contenuto del IV comma dell’art. 70 del Testo Unico sulla sicurezza con i principi costituzionali e con le norme che regolano il processo penale.

 

Particolari problemi sorgono dal sistema sanzionatorio previsto dall’art. 87 del TU il quale, nel distribuire le sanzioni sembra voler realizzare la raccomandazione contenuta nella legge di delega, secondo cui la sanzione penale deve essere graduata in funzione della gravità del rischio. E infatti i commi 1, 2, 3 e 4 dell’articolo 87 differenziano la pena in senso decrescente, dall’arresto e l’ammenda fino alla sanzione amministrativa per le violazioni contenute nelle lettere elencate per ciascun comma. Senonchè la lettura degli obblighi sanzionati non consente di seguire il legislatore nei criteri adottati per graduare la gravità del reato. Vi sono violazioni punite diversamente che sembrano caratterizzate dalla medesima pericolosità dei comportamenti; vi sono addirittura violazioni punite con la sola sanzione amministrativa che si stenta a ritenere diverse da analoghe violazioni  punite con pena alternativa.

Qui evidentemente la mancanza di rigorosi criteri di scelta ha giocato un pessimo tiro al legislatore. Sarebbe stata necessaria un’approfondita conoscenza tecnica delle norme contenute negli allegati per distribuire con sufficiente ragionevolezza le sanzioni, proporzionandole alla gravità delle violazioni. Sarà necessario molto buon senso da parte della giurisprudenza per non arrivare a pronunzie  in stridente contrasto con l’equità.

E’ poi il caso di osservare che il decreto correttivo non ha affatto corretto alcuni errori materiali e in particolare quelli contenuti nel comma IV dell’art. 87 alle lett. a) e b). il contenuto delle due disposizioni mi pare ora inapplicabile

 

Infine l’art. 87 introduce un concetto del tutto nuovo in materia, cioè il concetto di “categoria omogenea di requisiti di sicurezza”. Quali debbano ritenersi i requisiti legati da omogeneità, e dunque da ricomprendersi nella medesima categoria, lo dice lo stesso legislatore indicando i singoli punti dell’allegato. Si tratta di un numero chiuso di casi, nel senso che non è possibile ritenere che appartengono alla stessa categoria di requisiti omogenei altri casi che non rientrino in quegli elencati, magari ricavandoli per rigore di logica o per analogia. La creazione di queste categorie omogenee è direttamente legata all’intento del legislatore di stabilire che la violazione di più precetti riconducibili alla stessa categoria omogenea deve essere considerata un’unica violazione penale o amministrativa a seconda del tipo di illecito, da punirsi con pena o sanzione amministrativa unica, cioè come se si trattasse di un solo reato. Il legislatore aggiunge che l’organo di vigilanza deve comunque precisare in sede di contestazione i diversi precetti violati. Il concetto di categoria omogenea di requisiti di sicurezza vale sia per l’allegato V sia per l’allegato VI in relazione ai requisiti dei luoghi di lavoro.

Si tratta di una norma anche questa volta scopertamente rivolta ad attenuare il carico sanzionatorio di chi viola numerosi precetti in materia di sicurezza. Il fatto che anche una lista interminabile di violazioni debba essere considerata e sanzionata con un’unica pena dà tuttavia luogo a qualche difficoltà in materia di applicazione della prescrizione. E’ evidente che, dovendo l’organo di vigilanza specificare le singole violazioni ai vari punti degli allegati, dovrà impartire tante prescrizioni quante sono le violazioni. In sede di verifica l’adempimento potrà essere ritenuto esatto  solo nel caso in cui i contravventori abbiano ottemperato a tutti i punti  contenuti nelle prescrizioni, di modo che non si potrà definire adempiente il contravventore che abbia trascurato di adempiere anche ad uno solo dei punti contestati. Si arriverà così alla soluzione paradossale di un contravventore che verrà sottoposto a procedimento penale per non avere adempiuto anche ad una sola delle numerose prescrizioni che gli sono state impartite.

 

                                

Ho lasciato per ultima la questione più spinosa che però costituisce un presupposto logico di ogni successiva azione dell’organo di vigilanza e cioè l’accertamento della responsabilità relativa all’uso di una macchina priva dei necessari requisiti di sicurezza. Abbiamo già detto che sono molti i soggetti garanti della sicurezza dei lavoratori: il fabbricante i venditori e il datore di lavoro. Ma quando è responsabile un soggetto? E quando sono responsabili gli altri?

Vorrei leggere in proposito due recenti sentenze della Corte di Cassazione che ci mostrano con sufficiente chiarezza come si orientano i giudici di legittimità.

 

 

Beniamino Deidda

 

 

 


in Ambiente e Lavoro