Cassazione Penale, Sez. 4, 02 maggio 2022, n. 16813 - Caduta nell'apertura del piano stradale creatasi dopo il furto delle relative grate pedonabili di copertura. Assenza del requisito della prevedibilità dell'evento da parte del datore di lavoro 


 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 05/04/2022
 

Fatto


1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 12/7/2021, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino del 26/9/2019, applicate con giudizio di prevalenza le già riconosciute attenuanti generiche (che in primo grado erano state ritenute equivalenti alle aggravanti contestate), rideterminava la pena inflitta a C.C. in euro 5.000 di multa, in sostituzione di giorni 20 di reclusione, ai sensi degli artt. 53 e ss. L. 689/81, confermando nel resto l'affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 590 co. 1, 2 e 3 cod. pen. perché, nella sua qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della Eugenio C. S.p.A. ora GRUPPO ECF IMPIANTI TECNOLOGICI E COSTRUZIONI S.P.A, con sede legale in Roma, Via OMISSIS, impresa affidataria dei lavori di manutenzione straordinaria dell'immobile ubicato in Torino, via OMISSIS (committente EUROPA GESTIONI IMMOBILIARI S.p.A. - GRUPPO POSTE ITALIANE S.p.A.) nonché di datore di lavoro della persona offesa (V.A.), per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 2087 c.c.), ed in particolare:
1. violando l'art. 146, co. 1 del D.lgs. n. 81/08, consentiva che nell'area di lavoro venisse pericolosamente lasciato aperto un vano nel suolo, in assenza di normale parapetto e tavola fermapiede o di copertura con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti di servizio; in particolare nell'area di fronte alla banchina di scarico n. 3 del piazzale antistante l'ingresso principale dell'edificio, consentiva che i lavoratori operassero in presenza di un'apertura nel suolo conseguente alla rimozione delle grate di protezione in ferro, per un fronte di almeno m. 1,30 di larghezza e m. 22,20 di lunghezza, in assenza di qualsiasi tipo di copertura;
2. violando l'art. 18, co. 1, del D.lgs. n. 81/08, consentiva che il lavoratore infortunato, V.A., dipendente con contratto a tempo determinato (assunto con la mansione di operaio generico manutenzione, in data 18/10/2014 e con scadenza del rapporto di lavoro in data 31/12/2014) svolgesse la propria attività lavorativa sprovvisto, al momento dell'incidente, di idoneo giudizio di idoneità alla mansione, ex art. 41 D.lgs. 81/08, in quanto dal certificato esibito agli Ispettori S.PRE.S.A.L. emergeva come data di effettuazione dell'ultima visita medica il giorno 21/06/2012 e quindi con validità fino al 21/06/2013 (periodicità annuale, come da protocollo aziendale e del Medico Competente, dr. Alberto B.) e pertanto non teneva conto, nell'affidargli le mansioni all'interno del cantiere edile, delle sue capacità e condizioni in rapporto alla salute ed alla sicurezza del lavoratore stesso;
3. violando gli artt. 36, co. 1 e 2, del D. Lgs. 81/08 e 37, co. 1, del D. Lgs. 81/08, ometteva di fornire al lavoratore una adeguata informazione e formazione sui rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro connessi all'attività dell'impresa in generale, nonché alla mansione in concreto svolta dal sig. V.A. all'interno del cantiere suddetto;
4. violando l'art. 96, co. 1, lett. a), in relazione all'Allegato XIII punto 7.2 del D. Lgs. n. 81/2008 consentiva che il lavoratore V.A. operasse nel cantiere (nell'area di fronte alla banchina di scarico n. 3 del piazzale antistante l'ingresso principale dell'edificio) in presenza di un'apertura nel suolo conseguente alla rimozione delle grate di protezione in ferro, per un fronte di almeno m. 1,30 di larghezza e m. 22,20 di lunghezza in assenza di adeguate misure atte a segnalare il pericolo;
cagionava al lavoratore V.A. lesioni personali gravi (ematoma subdurale, frattura orbita, sfenoide, zigomo, osso temporale; frattura metatarso, terzo cuneiforme, scafoide; frattura pluriframmentaria scomposta del calcagno) dalle quale derivava una malattia della durata di 483 giorni in quanto, mentre lo stesso si rialzava dalla seduta dopo una breve pausa, perdeva l'equilibrio e cadeva dentro l'apertura posta al piano strada nell'area di fronte alla banchina di scarico n. 3 del piazzale antistante l'ingresso principale dell'edificio, zona nella quale stava svolgendo la propria attività lavorativa.
Con le aggravanti di avere cagionato una lesione personale grave e di aver commesso il fatto con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. In Torino, in data 29/11/2014.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, C.C., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo la ricorrente deduce vizio motivazionale e violazione di legge in relazione agli artt. 40, 42 e 590 cod. pen. per la ritenuta mancata interruzione del nesso causale.
Si riporta la motivazione resa nella sentenza impugnata evidenziando che la stessa riconosce un obbligo di garanzia iperprotettivo a carico del datore di lavoro, mentre, in realtà, la prevenzione antinfortunistica si è evoluta verso un modello collaborativo che investe anche i lavoratori del dovere di collaborare alla propria tutela, in forza del principio di autoresponsabilità previsto dall'art. 20 del D.Lgs. 81/2008.
Si richiama sul punto Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017, la quale ravvisa una condotta esorbitante tale da escludere il nesso causale, anche in quella condotta che, nell'ambito delle mansioni affidate al lavoratore, attivi un rischio eccentrico ed esorbitante.

La sentenza impugnata, discostandosi da tale indirizzo giurisprudenziale, giustifica l'affermazione di responsabilità sulla base dell'attività che il V.A. stava svolgendo poco prima della pausa lavorativa, scontrandosi con la circostanza acclarata che l'infortunio si verificava durante la consumazione del pranzo.
La ricorrente rileva, tra l'altro, che il principio di autoresponsabilità del lavoratore sussiste anche durante le interruzioni dell'attività lavorativa.
La sentenza impugnata avrebbe omesso di verificare se la condotta della per­ sona offesa abbia costituito la scelta più comoda e nello stesso tempo più incauta, tale da rivelarsi esorbitante rispetto alle disposizioni ricevute. Così come avrebbe omesso di confrontarsi con i rilievi difensivi che, ove analizzati, avrebbero consentito di riconoscere la condotta esorbitante del lavoratore.
Nell'atto di appello, la ricorrente aveva evidenziato che: 1. il V.A. aveva partecipato ad una riunione preliminare, in cui prendeva cognizione dei rischi specifici derivanti dalla natura del sito e aveva presenziato all'ispezione ed analisi della natura del sito; 2. il V.A. aveva constatato l'assenza di grate di copertura, a causa di un primo furto avvenuto il giorno successivo all'inizio delle lavorazioni, ed aveva partecipato al ripristino delle condizioni di sicurezza; 3. il V.A. era consapevole di una seconda sottrazione per furto delle grate di sicurezza; gli interventi eseguiti in cantiere il giorno dell'infortunio, 29/11/2014, erano stati svolti in un'area non interessata da aperture o situazioni pericolose; 4. nel cantiere vi era un'area deputata al consumo dei pasti.
Tali elementi, per nulla considerati dalla corte di appello, evidenziano per la ricorrente aspetti decisivi della condotta della parte offesa, che, oltre ad avere ricevuto adeguata informazione, era consapevole del rischio sopravvenuto ed esogeno derivante dai furti delle grate di copertura.
Il V.A., nonostante l'esistenza di un prefabbricato deputato al consumo in sicurezza dei pasti, ha deciso di consumare il proprio pasto su una scaletta a ridosso dell'apertura del suolo, esponendosi ad un rischio a lui ben noto.
Tale comportamento avrebbe costituito un episodio isolato, non essendo stata accertata l'esistenza di alcuna prassi tollerata.
Il comportamento del lavoratore ha attivato, secondo la ricostruzione difensiva, un rischio eccentrico rispetto alla sfera di controllo del datore di lavoro.
Con un secondo motivo si deduce vizio motivazionale e violazione di legge in relazione agli artt. 42, 43, 590 cod. pen. e 19 D.Ivo 81/2008 per la ritenuta integrazione dell'elemento soggettivo del reato.
Ci si duole che l'impugnata sentenza, facendo propri i vizi del provvedimento di primo grado, affermi apoditticamente la posizione di garanzia della datrice di lavoro e la violazione della regola cautelare senza procedere alla personalizzazione dell'accertamento.

Si richiama sul punto la sentenza di questa sezione n. 43966 del 6/11/2009 in tema di accertamento dell'elemento soggettivo della colpa.
Si sottolinea di aver evidenziato nell'atto di appello, il profilo di totale inconsapevolezza, emerso in dibattimento, della C.C. sull'effettiva situazione del cantiere, per i ripetuti furti da parte di ignoti, e sulle aperture presenti sul sito.
La sentenza impugnata - ci si duole- non ha tenuto in alcuna considerazione la complessa organizzazione imprenditoriale della Eugenio C. SpA che nel 2014 aveva 216 dipendenti e 23 commesse su tutto il territorio nazionale.
Tale dato appare essenziale ai fini della conoscibilità della situazione di pericolo del cantiere in Via OMISSIS, da parte della C.C..
Si lamenta la mancata considerazione della natura del rischio sopravvenuto ed esogeno a causa del furto delle grate di copertura, cosiddette Keller, da parte di ignoti. Il primo furto, riscontrato, il giorno successivo all'inizio dei lavori, veniva riferito al responsabile di commessa, F.C., dal responsabile di cantiere, S.T., come confermato dalla persona offesa, mentre il secondo furto, avvenuto dopo il ripristino delle condizioni di sicurezza è stato comunicato, al C., solo dopo l'infortunio del V.A..
La C.C. non sarebbe mai stata messa al corrente della situazione, la prima volta per l'immediato ripristino e la seconda perché il C ne veniva a conoscenza ad infortunio già avvenuto.
La ricorrente evidenzia che la mancata considerazione dell'omessa segnalazione alla datrice di lavoro, da parte del preposto B., non consente di rilevare la violazione dell'obbligo previsto dall'art. 19 comma 1 lett. f) del D.lgs. 81/08.
Tale norma riveste un ruolo fondamentale nell'ambito del sistema di prevenzione antinfortunistica ispirato alla collaborazione tra i soggetti debitori di sicurezza.
La tempestiva comunicazione avrebbe certamente consentito alla C.C. di attivarsi per prevenire l'evento. Inoltre, ogni possibilità di prevedibilità dell'evento, da parte della ricorrente, veniva ulteriormente compromessa dalla decisione autonoma del preposto Claudio B. di far svolgere mansioni lavorative di sabato, giorno contrattualmente non previsto.
Si critica l'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, sulla mancata sottoscrizione del piano di sicurezza del cantiere che avrebbe determinato la non corretta analisi dei fattori di rischio, in quanto il rischio delle aperture nel suolo era sopravvenuto, perché determinato dai furti delle grate, e di natura esogena, essendo state le grate sottratte da ignoti, in un'area estranea a quella oggetto delle lavorazioni.

Si ribadisce che le varie figure professionali operanti sul cantiere non hanno comunicato il verificarsi dei furti alla C.C., per darle modo di procedere ad un aggiornamento dei rischi, compreso il rischio di caduta per aperture nel suolo.
Sulla necessità dell'apprezzamento soggettivo del profilo di colpa si richiama la decisione di questa Corte a Sezioni Unite n. 38343 del 24/4/2014.
La mancanza di tale apprezzamento determinerebbe l'attribuzione di una responsabilità oggettiva occulta.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con l'adozione dei conseguenti provvedimenti di legge.

3. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il P.G., che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata ed è stata prodotta memoria con motivi nuovi a firma dell'Avv. Filippo Dinacci, difensore della C.C., che, alla luce dell'intervenuta sentenza della Corte costituzionale n. 28/2022, deduce violazione degli artt. 605 cod. proc. pen. e 53 l. n. 689/81, in relazione all'art. 606, lett. b), per aver la sentenza impugnata irrogato all'odierna imputata una pena illegale, in virtù della sopravvenuta dichiarazione d'incostituzionalità dell'art. 53, CO. 2, l. n. 689/81.
 

Diritto


1. Il secondo motivo di ricorso, volto a denunciare un vizio motivazionale della pronuncia impugnata sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato, si presenta fondato, con rilievo assorbente anche rispetto a tutti gli altri proposti, per cui la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Torino.

2. Il presente procedimento tra origine dall'incidente occorso al lavoratore V.A., dipendente della allora società Eugenio C. S.p.A. (oggi Gruppo ECF S.p.A.), in data 29 novembre 2014, alle ore 12,45 circa, all'interno del cantiere edile ubicato in Torino, Via omissis, di proprietà di E.G.I. - Gruppo Poste Italiane S.p.A. In particolare, il predetto precipitava all'interno di un'apertura del piano stradale presente nell'area del piazzale antistante l'ingresso principale dell'edificio, creatasi in conseguenza dell'avvenuta rimozione delle relative grate pedonabili di copertura, in tal modo riportando lesioni personali gravi, giudicate guaribili in giorni 483.
L'imputata, nella sua qualità di Presidente del C.d.A. della Eugenio C. S.p.A. nonché di datrice di lavoro della persona offesa, si è vista contestare il reato p. e p. dall'art. 590 commi 1, 2 e 3 c.p., in quanto per colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, avrebbe cagionato al lavoratore V.A. lesioni personali gravi.
All'esito dell'istruttoria dibattimentale, il Tribunale di Torino ne affermava la penale responsabilità.
In particolare, la sentenza di primo grado ha ricostruito la dinamica del sinistro "sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, dei rilievi descritti (vi) e fotografici e della documentazione medica acquisita", giungendo a "ritenere accertato, sotto il profilo oggettivo, che le conseguenze lesive subite da V.A. siano da attribuire ad una caduta dall'alto avvenuta in concomitanza ad una pausa dall'attività lavorativa fruita dal dipendente all'interno del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa". Ed ancora: "la circostanza di avere consentito che l'attività lavorativa si svolgesse senza alcuna cautela presso un luogo di lavoro che presentava delle palesi caratteristiche di elevata pericolosità integra le violazioni di legge (... ) facenti riferimento, rispettivamente, all'omessa apprestazione di difese dalle aperture nei solai o nelle piattaforme di lavoro (art. 146 co. 1 D.lgs. 81/2008).
La decisione di primo grado ha ritenuto dimostrata, ancora una volta sulla base della "documentazione acquisita in giudizio", anche la "riconducibilità soggettiva di eventuali inosservanze alla normativa antinfortunistica ... alla persona del datore di lavoro C.C. che [ ... ] ricopriva la carica di presidente del c.d.a. dell'impresa".
La sentenza ha ritenuto ininfluenti le argomentazioni difensive relative alla avvenuta consumazione del pasto, da parte del lavoratore, in luogo diverso dalla "apposita struttura messa a disposizione dei dipendenti [ ... ] raffigurata anche nelle fotografie scattate dagli ispettori dello SPRESAL".

3. Per quanto qui di interesse, occorre soffermarsi sul terzo motivo di appello (cfr. pagg. 32 e ss. dell'atto di appello del 28/10/2019 a firma degli Avv. Dinacci e Papiri) cui, ad avviso del Collegio la Corte piemontese non fornisce una congrua risposta.
Ed invero, emerge ex actis che la condizione di pericolo ripropostasi a seguito del secondo furto delle grate "keller', si concretizzava nell'infortunio del lavoratore V.A. avvenuto in data 29 novembre 2014, e come la stessa non fosse stata comunicata dal preposto B. ai propri superiori.
Il B. non aveva provveduto a sospendere le lavorazioni, assumendo autonomamente la decisione di far lavorare gli operai in un giorno - il sabato - non previsto contrattualmente come lavorativo.
Ebbene, con il terzo motivo di appello, la Difesa della C.C. aveva sottolineato come la decisione del Tribunale di Torino, tenuto conto delle dimensioni dell'impresa (con 216 dipendenti e 23 commesse, con una specifica figura di riferimento per la sicurezza, ancorché non dotata di delega scritta specificamente volta ad esonerare il datore dalla sua posizione di garanzia) avesse omesso di valutare il profilo dell'inesigibilità della condotta e la specifica posizione soggettiva del datore di lavoro, la quale era rimasta totalmente inconsapevole dei ripetuti furti avvenuti in cantiere.
Ciò sul rilievo che fosse emerso incontestabilmente come il responsabile di commessa F.C. abbia precisato di avere ricevuto contestualmente dal S.T. (responsabile della gestione del cantiere) la notizia del primo furto e dell'avvenuto ripristino delle condizioni di sicurezza, il giorno successivo all'inizio delle lavorazioni (19/11/2014). E come lo stesso S.T. avesse successivamente riferito al C. del secondo furto delle grate, solo una volta avvenuto l'infortunio del lavoratore V.A., provvedendo inoltre a inviare un resoconto scritto dove specificava che "l'intercapedine nella quale è caduto il V.A. è stata più volte messa in sicurezza utilizzando delle griglie di orso grill che immancabilmente venivano rubate".
La carenza delle informazioni pervenute all'imputata -aveva sostenuto la Difesa nella C.C. nell'atto di gravame nel merito- ha comportato come diretta conseguenza l'impossibilità di pervenire a una sufficiente individualizzazione della responsabilità penale, in particolar modo sotto il profilo della prevedibilità del rischio sopravvenuto e dell'evitabilità dell'evento.
Ebbene, fondatamente lamenta il ricorrente che, con riferimento al profilo soggettivo, la pronuncia non va oltre l'affermazione secondo cui nel caso di specie non si potrebbe parlare di inesigibilità della condotta da parte della C.C., quanto di una "violazione da parte della stessa delle regole che devono presiedere alla sicurezza di cantiere e di una colpevole negligenza nella gestione del rischio, del quale la posizione di garanzia rivestita la onerava" (così pag. 8 della sentenza impugnata).

4. Orbene, va ricordato che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui, nei reati colposi la causalità dell'azione (o dell'omissione) che ha condizionato l'evento va esclusa non soltanto qualora risulti, con valutazione ex post, che sopravvenute concause qualificate siano state da sole sufficienti a determinare l'evento (e in tal senso ha ragione la Corte piemontese a ritenere che non sia questo il caso che ci occupa), ma anche qualora l'evento non sia ex ante prevedibile.

Sotto quest'ultimo profilo, l'individualizzazione della responsabilità penale impone di verificare non soltanto se la condotta colposa abbia concorso a determinare l'evento, ma se l'autore della stessa potesse prevedere quello specifico sviluppo causale (cfr. Sez. U, n. 38343 del 24.04.2014, Espenhahn).
Nel caso di specie, tale accertamento, a fronte dello specifico motivo di ap­pello, non risulta essere stato effettuato in maniera adeguata dal giudice del gravame del merito.
Emerge dagli atti che S.T. gestiva in autonomia i rischi, come riferito dal teste C. che ha dichiarato che del riposizionamento delle grate rimosse a seguito del primo furto occorso in cantiere si era occupato personalmente S.T.. S.T. aveva autonomia di spesa tanto che era lui a reperire le griglie, come dichiarato sempre da C.. Nell'ambito del cantiere erano a tutti noti gli specifici compiti assegnati e le effettive responsabilità delegate.
L'organizzazione aziendale era articolata in modo da prevedere anche ulteriori figure professionali, il responsabile di commessa (C.), il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il responsabile di cantiere (B.), quest'ultimo rivestente la posizione di garanzia del preposto, se pur di fatto. A queste professionalità era di fatto affidata la gestione del rischio in cantiere.
Nell'ambito di una organizzazione complessa la veste datoriale e la correlata posizione di garanzia non può essere attribuita solo sulla base di un criterio formale (così le già citate Sez. Unite, n. 38343 /2014).
Ebbene, non essendo in dubbio che le grate poste a protezione dell'apertura nel suolo, presenti all'avvio dell'esecuzione dei lavori, avevano formato oggetto di ripetuti furti (circostanza confermata dalla stessa persona offesa che aveva contribuito al riposizionamento delle nuove grate a seguito del primo furto) e che la ricorrente non era mai stata portata a conoscenza di tali eventi né del fatto che i lavori erano proseguiti in assenza di adeguate protezioni (dichiarazioni del teste C.), appare del tutto incongrua la stringata motivazione offerta dai giudici di appello a pag. 8 della sentenza impugnata, che hanno fondato la prova della responsabilità su una mera congettura, ovvero l'assenza di adeguata prova documentale circa l'idoneità delle grate a fungere da valida misura di protezione rispetto all'area interessata.
Tale argomentazione, oltre ad introdurre una non giustificata inversione dell'onere della prova, si presenta del tutto inconferente rispetto all'evento essendosi quest'ultimo verificato non per la inadeguatezza delle protezioni ma per la assenza delle stesse.
La responsabilità della ricorrente non sembra neppure riconducibile ad un omesso controllo del soggetto al quale risultava affidato il compito di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate (il dipendente S.T.) attesa la natura del tutto occasionale ed imprevedibile degli eventi che avevano determinato il venir meno delle condizioni di sicurezza.
Per quanto esposto, nel caso in disamina, la Corte di appello non ha fatto buon governo dei principi giuridici che regolano l'individuazione della colpa ai sensi dell'art. 43 cod. pen. avendo omesso di considerare l'assenza nel caso concreto del requisito della prevedibilità dell'evento, punto su cui sarà chiamato ad una rivalutazione il giudice del rinvio, in uno con gli altri -ivi compreso il tema della pena proposto con i motivi nuovi- che sono assorbiti dalla fondatezza della doglianza esaminata.
 

P.Q.M.
 

Annulla l'impugnata sentenza e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Torino.
Così deciso in Roma il 5 aprile 2022