Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 16 maggio 2022, n. 19143 - Sfruttamento del lavoro


 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: NARDIN MAURA
Data Udienza: 23/02/2022
 

Fatto


1. Con sentenza del 15 luglio 2021 il Tribunale di Prato, ha applicato a OMISSIS, la pena concordata ex art. 444 cod. proc. pen., in relazione al reato di cui all'art. 603 bis, comma 1 n. 2), comma 3 nn. 1, 2, 3, 4 e comma 4) nn. 1 e 3) cod. pen..
2. Avverso la sentenza propongono ricorso OMISSIS, a mezzo del proprio difensore, formulando un unico motivo, con cui sollevano eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 603 bis cod. pen. in relazione agli artt. 3, 25, 27, comma 3/\. e 117, comma 1 /\. Cost., con riferimento all'art. 49 CDFUE, per disparità di trattamento sanzionatorio fra la fattispecie impugnata e quella di cui all'art. 22, comma 12 bis d.lgs. 286/1998. Sostengono che le disposizioni di cui all'art. 603 bis e 22, comma 12 bis d.lgs. 286/1998 sono prive di coordinamento, prevedendo quest'ultima disposizione una pena sensibilmente inferiore a quella prevista dall'art. 603 bis cod. pen., qualora l'impiego di lavoratori stranieri irregolari sia aggravato proprio dalle modalità di sfruttamento previste dal terzo comma dell'art. 603 bis cod. pen.. E ciò, ancorché l'intenzione manifestata del legislatore con l'introduzione della norma inserita nel codice penale sia stata quella di riallineare lo sfruttamento dei lavoratori regolari e quello dei lavoratori stranieri irregolari, punito ai sensi dell'art. 22, comma 12 bis d. lgs. 286/1998. Quest'ultima, se raffrontata con la disposizione di cui all'art. 603 bis cod. pen., presenta elementi di maggior disvalore sociale derivante dalla violazione della normativa in materia di immigrazione. Il che integra un'evidente violazione dell'art. 3 della Carta Costituzionale. D'altro canto, la formulazione dell'art. 603 bis cod. pen. si pone in contrasto con l'art. 25 Cost., in quanto la nozione di sfruttamento è individuata a mezzo del ricorso agli 'indici' di cui al terzo comma della disposizione, la cui integrazione non può che essere demandata a fonti normative primarie o secondarie, e non, come nell'ipotesi di cui al n. 1 del comma 3 dell'art. 603 bis cod. pen. ad atti di natura negoziale, quali sono i contratti collettivi nazionali o regionali. Tale tecnica normativa, particolarmente evidente a seguito dell'intervento della novella, con cui è stata modificata la disposizione, confligge con il principio di determinatezza della norma penale, introducendo elementi di vaghezza, non compensati dalla rilevanza tipicamente penale della condotta vietata, in precedenza connotata dal compimento di attività realizzate a mezzo di violenza o minaccia. L'abbassamento della soglia di significatività penale emerge dalla modifica apportata all'indice di cui all'art. 603 bis, comma 3, n. 3) cod. pen., che in precedenza richiedeva che la violazione della normativa antinfortunistica implicasse l'esposizione del lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale, laddove ora è richiesta la semplice sussistenza di violazioni in materia di sicurezza ed igiene dei luoghi di lavoro, tanto da costituire 'sfruttamento' anche la mancata predisposizione di cartelli o l'omessa redazione di documenti, con l'effetto di dilatare i comportamenti meritevoli di sanzione penale, senza alcuna selezione. Concludono chiedendo che la Corte di cassazione, valutata la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, sollevi eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 603 bis cod. pen., in relazione agli artt. 3 e 25 Cost..
 

Diritto


1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Al di là del mancato sviluppo di argomentazioni in ordine alla concreta rilevanza della questione proposta, non avendo i ricorrenti chiarito se la differenza del quadro edittale previsto dall'art. 603 bis cod. pen. e quello di cui all'art. 22 comma 12 bis lett. c) d.lgs. 286/1998, abbia spiegato effettiva influenza sul raggiungimento dell'accordo, ed anche volendo ritenere 'in astratto' rilevante la questione, non può che rilevarsene la manifesta infondatezza.
3. Il motivo proposto, infatti, non coglie la differenza fra i due reati che pone a confronto, non rilevando che ciò che connota l'art. 603 bis cod. pen. è lo sfruttamento con 'approfittamento dello stato di bisogno', laddove l'art. 22, comma 12 bis, lett. c) d. lgs. 286/1998 nell'introdurre l'ipotesi dell'occupazione di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno o con permesso scaduto aggravata dallo sfruttamento, come configurato ai sensi dell'art. 603 bis, comma 3 cod. pen., non fa riferimento alcuno all'approfittamento dello stato di bisogno, essendo lo sfruttamento con approfittamento dello stato di bisogno punito ai sensi dell'art. 603 bis cod. pen., indipendentemente dallo status giuridico del lavoratore e dalla regolarità del suo soggiorno in Italia.
4. Occorre, per dare compiuta risposta alla doglianza, ricordare che il legislatore non definisce lo 'sfruttamento' -condizione che deve caratterizzare tanto l'attività di reclutamento [art. 603 bis, comma 1 n. 1)], quanto quella di utilizzazione, assunzione o impiego della manodopera [art. 603 bis, comma 1 n. 2)]- preferendo, in un'ottica di facilitazione della prova, indicare degli indici che lo caratterizzano e che vengono elencati al terzo comma della disposizione nelle seguenti condizioni: 1) reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; 2) reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

La stessa dizione normativa -non menzionando la necessità dell'integrazione di una pluralità di indici- chiarisce non solo che la ricorrenza di una sola delle circostanze sintomatiche è sufficiente per integrare lo sfruttamento, ma anche che in relazione alla violazione dei contratti collettivi in tema di salario e delle disposizioni relative all'orario (siano esse di natura pattizia o normativa), è necessaria la 'reiterazione' della condotta. E ciò per distinguere il mero ed isolato inadempimento, non rilevante, dallo sfruttamento, che invece integra la fattispecie. Ciò implica, altresì, che per aversi reiterazione la condotta deve essere posta in essere nei confronti del singolo lavoratore, non essendo tale l'isolata violazione nei confronti di una pluralità di lavoratori, che configura semplicemente una pluralità di singoli inadempimenti, nei confronti di una molteplicità di soggetti. Ancora, il testo normativo suggerisce, non individuando il numero minimo dei lavoratori in relazione ai quali debbono realizzarsi i comportamenti integranti sfruttamento, che la condotta sia punibile ancorché riguardi un solo lavoratore.
5. Contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, nondimeno, la formulazione dell'art. 603 bis cod. pen. non viola il principio della tipicità penale, perché la condotta punita è chiaramente definita nello sfruttamento lavorativo con approfittamento dello stato di bisogno, mentre secondo la giurisprudenza di legittimità "Ai fini della configurabilità del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, l'elencazione degli indici di sfruttamento di cui all'art. 603 bis, comma 3, cod. pen., che devono caratterizzare tanto l'attività di reclutamento quanto quella di utilizzazione, assunzione o impiego della manodopera, non ha carattere tassativo, potendo il giudice individuare_ ulteriori condizioni suscettibili di dare luogo alla condotta di abuso del lavoratore" (da ultimo: Sez. 4, n. 7857 del 11/11/2021, dep. 04/03/2022, PMT/Falcone, Rv. 282609; cfr. altresì, più diffusamente Sez. 4, n. 3941 del 11/11/2022, dep. 4/02/2022, PMT/Acinapura, non massimata). La scelta di individuare comportamenti espressivi dello sfruttamento lavorativo si pone sul piano della declinazione probatoria, facilitante l'accertamento del reato. L'indicazione di condizioni che integrano lo sfruttamento, infatti, non chiude definitivamente la strada dell'interprete e quella del giudice all'individuazione di altre condotte che integrino la condotta di abuso del lavoratore, posto che esse costituiscono appunto 'indici' del fatto tipico, cioè sintomi della sua sussistenza, che ben può risultare diversamente, purché si concreti la condizione di coartazione a condizioni di lavoro di cui si subisce l'imposizione.
6. Questo assunto, benché non condiviso da tutta la dottrina, taluno affermando la necessità di leggere le condizioni indicative del reato in "chiave sostanzialistica" perché altrimenti "in assenza dei profili della costrizione e della soggezione continuativa - che nel delitto di riduzione in servitù compensano l'intrinseca vaghezza della nozione di sfruttamento - il dolo specifico e l'evento tipico delle due fattispecie di cui all'art. 603-bis c.p., se non accompagnati e specificati dagli indici del co. 3, finirebbero con l'essere assolutamente indeterminati", è nondimeno, chiaramente espresso dalla stessa struttura della disposizione, che individua le condotte punibili tipiche ai nn. 1) e 2) del primo comma, stabilendo al terzo comma le condizioni sintomatiche dello sfruttamento.
7. Lo sfruttamento, -quale condotta che accompagnata all'approfittamento dello stato di bisogno integra il reato- va, infatti, inteso come depauperamento del rapporto fra la forza impiegata dal lavoratore e le condizioni di lavoro assicurate dal datore di lavoro, che oltrepassano in modo sistematico e reiterato i limiti che l'ordinamento pone a garanzia della prestazione lavorativa o pongono in essere situazioni tali per cui la dignità del lavoratore viene degradata proprio dalla situazione lavorativa alla quale viene assoggettato, vuoi per lo spregio dello stato psicofisico che l'applicazione della normativa sulla sua incolumità sul luogo di lavoro gli assicurerebbe, vuoi perché per avvalersi della sua prestazione egli venga costretto ad adattarsi ad una situazione alloggiativa umiliante i bisogni dell'essere umano.
8. Ecco, allora, che le situazioni richiamate dal terzo comma dell'art 603 bis cod. pen. se costituiscono indicazioni sintomatiche ed esemplificative dello sfruttamento, la cui dimostrazione agevola il giudice ad individuare l'integrazione del reato, esse non esauriscono le modalità concrete in cui il medesimo può manifestarsi, ancorché esse coprano significativamente i modi del suo disvelamento.
Diviene, allora, essenzialmente una questione di prova delle circostanze che integrano lo sfruttamento. Ed in questo senso si è mosso il legislatore per agevolare la ricostruzione positiva di un comportamento di assoggettamento del lavoratore, descrivendo al terzo comma dell'articolo 603 bis cod. pen. comportamenti sintomatici dell'integrazione della condotta.
9. La conseguenza è che non può -come fanno i ricorrenti- tacciarsi di 'vaghezza' la disposizione -rilevante ai sensi dell'art. 25 Cast.- perché la determinatezza della disposizione consiste nella sottoposizione allo sfruttamento lavorativo, comunque esso emerga, essendo questa la rilevanza tipicamente penale della condotta vietata.
10. Distinto dallo sfruttamento appare - nella dizione normativa- il concetto di approfittamento dello stato di bisogno, presupposto quest'ultimo che deve ricorrere affinché la condotta di sfruttamento sia punibile.
Anche in questo caso il legislatore non definisce la nozione, pur richiedendo che lo sfruttamento 'derivi' dallo stato di bisogno, il quale, quindi, deve essere noto ed oggetto del vantaggio che il reclutatore o l'utilizzatore tendono a realizzare proprio attraverso l'imposizione di quelle condizioni lavorative che indicano lo sfruttamento.
Questa Sezione ha recentemente osservato che con l'art. 603 bis cod. pen. "il legislatore ha scelto di utilizzare la locuzione "stato di bisogno", già usata nel nostro ordinamento con riferimento ad istituti civilistici ed altri reati (quali, ad esempio, l'usura nell'originaria configurazione), e non quella "posizione di vulnerabilità", di matrice sovranazionale (cfr. art. 3 del Protocollo traffiking e la nota dei lavori preparatori; art. 2 direttiva 2011/36/EU), che, nell'art. 1 della decisione del Consiglio Cee 19 luglio 2002, n. 629, sulla lotta alla tratta degli esseri umani, viene definita come quella situazione in cui la persona non abbia altra scelta effettiva ed accettabile se non cedere all'abuso di cui è vittima. Al contrario, nella formulazione dell'art. 600 cod.pen. (riduzione o mantenimento in schiavitù e servitù), si è fatto espressamente rìferimento alla "posizione di vulnerabilità" della vittima". Si tratta di una scelta lessicale non priva di conseguenze e che comporta che - nell'individuare lo stato di bisogno- non occorra "indagare sulla sussistenza di una posizione di vulnerabilità, da intendersi, secondo le indicazioni sovranazionali, come assenza di un'altra effettiva ed accettabile scelta, diversa dall'accettazione dell'abuso - indagine che, peraltro, anche nella fattispecie di cui all'art. 600 cod.pen. è alternativa rispetto alla verifica di altre e diverse situazioni di debolezza della vittima, specificamente indicate dal legislatore". Lo stato di bisogno, infatti non si identifica "con uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo e, cioè una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitare la volontà della vittima, inducendola ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose" (Sez. 4, Sentenza n. 24441 del 16/03/2021, Sanitrasport soc. coop. Soc., Rv. 281405, con cui si è ritenuto immune da censure il provvedimento impugnato che aveva ravvisato lo stato di bisogno nella condizione di difficoltà economica delle vittime, capace di incidere sulla loro libertà di autodeterminazione, trattandosi, in quel caso, di persone non più giovani e non particolarmente specializzate, e quindi prive della possibilità di reperire facilmente un'occupazione lavorativa; cfr. anche Sez. 4, Sentenza n. 7861 del 11/11/2021, dep. 04/03/2022, Cirigliano, Rv. 282604, in motivazione).
11. Questa lunga premessa è necessaria per comprendere che la condizione
di sfruttamento che non si avvantaggi dello stato di bisogno non integra il reato di cui all'art. 603 bis cod. pen. avendo il legislatore scelto di punire non lo sfruttamento in sé ma solo l'approfittamento di una situazione di grave inferiorità del lavoratore, sia essa economica, che di altro genere, che lo induca a svilire la sua volontà contrattuale sino ad accettare condizioni proposte dal reclutatore o dall'utilizzatore, cui altrimenti non avrebbe acconsentito.
12. Non basta, dunque, che ricorrano i sintomi dello sfruttamento, come indicati dal terzo comma dell'art. 603 bis cod. pen., ma occorre l'abuso della condizione esistenziale della persona, che non coincide solo con la sua conoscenza, ma proprio con il vantaggio che da quella volontariamente si trae.
13. E' chiara, dunque, e priva di qualsiasi distonia, sotto il profilo della parità di trattamento, ex art. 3 Cost., la scelta legislativa di adottare per il reato di cui all'art. 603 bis cod. pen. una pena più severa (da uno a sei anni di reclusione, con multa da cinquecento a mille euro, per le ipotesi non aggravate ai sensi dei commi 2/\ e 4/\ della medesima disposizione), rispetto a quella stabilita dall'art.· 22, comma 12 bis d. lgs. 286/1998 (che prevede, per l'ipotesi di impiego di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, con sottoposizione a condizione di sfruttamento lavorativo di cui all'art. 603 bis cod. pen.. l'aumento da un terzo alla metà della pena comminata dal comma 12 della medesima disposizione in sei mesi a tre anni di reclusione, con multa di cinquemila euro per ciascun lavoratore impiegato, in assenza di sfruttamento lavorativo) posto che diverse sono le condotte sanzionate.
14. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
 

P.Q.M.


Dichiara manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale proposta con riferimento all'art. 603 bis cod. pen.. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila @ias,u in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 23/02/2022