Cassazione Penale, Sez. 4, 24 maggio 2022, n. 20122 - Perdita della capacità di deambulare del preposto caduto dall'alto. Mancanza di precauzioni atte ad eliminare i pericoli nei lavori in quota e responsabilità del committente anche in caso di subappalto 


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: D'ANDREA ALESSANDRO
Data Udienza: 17/02/2022
 

 

Fatto




1. Con sentenza del 4 dicembre 2020 la Corte di appello di Perugia, in parziale riforma della pronuncia del locale Tribunale dell'B aprile 2019, ha riconosciuto la circostanza attenuante ex art. 62 n. 6 cod. pen. ed ha ridotto ad euro 300,00 di multa la pena inflitta a M.M., riconosciuto colpevole del reato di cui agli artt. 590, comma 3, e 583, comma 1, n. 1 cod. pen., per avere in data 11 luglio 2014, nella qualità di titolare dell'omonima ditta individuale, cagionato al dipendente C.G. lesioni guarite in più di quaranta giorni, per colpa generica e specifica, consistita, in violazione degli artt. 2087 cod. civ. e 122 d.lgs. n. 81 del 2008, nell'aver omesso di adottare idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli per le persone impegnate in lavori in quota.
Il C.G., in particolare, si era infortunato perché, nel mentre era intento ad eseguire lavori di demolizione del tetto di un piccolo immobile, aveva perso l'equilibrio ed era caduto da un'altezza di circa 3,20 metri, riportando un trauma vertebrale con fratture e lussazioni multiple, oltre ad un trauma cranico con ferita lacero contusa, che lo avevano costretto a sottoporsi 21 quattro interventi chirurgici, perdendo la capacità di deambulare.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.M., a mezzo del suo difensore, deducendo cinque motivi di doglianza.
Con il primo ha eccepito violazione degli artt. 590 e 583 cod. pen., 2087 cod. civ., 122 e 299 d.lgs. n. 81 del 2008, oltre a mancanza e/o manifesta illogicità, nonché contraddittorietà della motivazione con specifico riferimento alle dichiarazioni rese dai testimoni CI., B., Pa. e dalla persona offesa C.G. in relazione all'autonoma decisione del subappaltatore R. di eseguire i lavori da cui era scaturito l'incidente.
Afferma il ricorrente di aver rispettato tutte le prescrizioni impostegli dagli artt. 17 e 18 del d.lgs. n. 81 del 2008, avendo, in particolare, provveduto a predisporre il documento di valutazione dei rischi e il piano operativo di sicurezza, nonché a nominare il direttore dei lavori, il coordinatore per la sicurezza ed il preposto (tale ultimo nella persona dello stesso C.G.).
Alla stregua di quanto confermato da tutti i testimoni escussi, nel giorno del sinistro l'imputato non era presente sui luoghi e l'ordine di svolgere il lavoro in quota sarebbe stato impartito al C.G. da R., nonno del M.M., nella qualità di subappaltatore dei lavori e all'insaputa del proprio nipote, del direttore dei lavori e del coordinatore per la sicurezza. Ciò comporterebbe l'esonero di ogni responsabilità nei confronti del ricorrente, non essendosi verificato l'evento nell'alveo della propria sfera gestoria e non avendo costui potuto intervenire né esercitare il proprio dovere di alta vigilanza, non essendo stato previsto in quel giorno lo svolgimento di lavori sul tetto, o comunque ad alta quota - ragion per cui non erano state predisposte adeguate opere provvisionali ed erano state assunte precauzioni idonee.
La Corte di appello avrebbe, inoltre, errato nel qualificare il R. come un preposto di fatto, ricoprendo il suddetto, invece, la qualifica di subappaltatore, per come evincibile dalla documentazione presente in atti.
Con la seconda censura è stata dedotta violazione degli artt. 590 e 40 cod. pen., 89, 97 e 26 d.lgs. n. 81 del 2008, oltre a mancanza della motivazione in relazione alla documentazione prodotta in atti ed alla consulenza tecnica dell'Ing. Mauro M..
La Corte territoriale avrebbe, infatti, motivato in maniera lacunosa ed apodittica in ordine alle responsabilità ascrivibili all'imputato nella gestione del cantiere, omettendo di considerare le produzioni documentali difensive che attesterebbero, invece, come il M.M. avesse pienamente ottemperato agli obblighi derivantigli dall'art. 26 d.lgs. n. 81 del 2008, verificando l'idoneità tecnica della ditta appaltatrice e redigendo tutti i documenti POS/PCS.
Non sarebbe stata svolta, poi, nessuna adeguata indagine sulla carenza del nesso di causalità tra gli obblighi derivanti dal contratto di appalto, tutti ottemperati dal M.M., e l'infortunio, nonché sulla sussistenza di tale nesso eziologico tra l'autonoma scelta gestionale operata dal subappaltatore e la verificazione dell'evento.
Con il terzo motivo il ricorrente ha lamentato violazione degli artt. 590 e 40 cod. pen., oltre a mancanza e/o manifesta illogicità, nonché contraddittorietà della motivazione con riguardo alle dichiarazioni rese dai testimoni CI., B., P. dalla persona offesa C.G., oltre che in relazione alla documentazione prodotta.
A dire del M.M., ove la Corte di merito avesse valutato adeguatamente tutte le risultanze acquisite dalla svolta attività istruttoria avrebbe certamente escluso ogni sua responsabilità, risultando giudizialmente accertato che: il giorno dell'incidente l'imputato non era presente in cantiere; l'infortunio si era verificato alle ore 7,45 circa, poco dopo l'inizio dell'attività lavorativa; l'ordine di effettuare i lavori sul tetto era stato dato quella stessa mattina dal R. al C.G., che aveva chiesto a tale ultimo di salire sul tetto per procedere al suo smantellamento secondo le modalità rappresentategli in quelle, stesso frangente; tali lavori non erano stati programmati per quel giorno; la persona offesa era preposto per il cantiere e responsabile RLS per la ditta M.M.; il R. era titolare di un'impresa edile, che aveva un contratto di subappalto per lo svolgimento dei lavori in quel cantiere.
Con la quarta doglianza il M.M. ha eccepito violazione degli artt. 131-bis e 590 cod. pen., 597 cod. proc. pen., oltre a carenza assoluta di motivazione in ordine alla richiesta di assoluzione ex art. 131-bis cod. pen., formulata nella memoria del 24 novembre 2020, depositata all'udienza del 4 dicembre 2020.
Su tale richiesta - avanzata in ragione dello stato di incensuratezza dell'imputato, dei limiti edittali di pena previsti per il reato contestato e dell'avvenuto risarcimento del danno - non sarebbe stata espressa motivazione alcuna da parte del giudice di secondo grado.
Con l'ultimo motivo il M.M. ha dedotto violazione degli artt. 597, commi 3 e 4, cod. proc. pen., 62 n. 6, 62-bis e 133 cod. pen. per erronea applicazione della legge penale e per violazione del divieto di reformatio in peius della pena inflitta nel giudizio di impugnazione, oltre a mancanza e/o manifesta illogicità, nonché contraddittorietà della motivazione.
Il giudice di secondo grado non avrebbe motivato correttamente sul trattamento sanzionatorio, in quanto, pur avendo riconosciuto all'imputato anche l'attenuante ex art. 62 n. 6 cod. pen., non avrebbe modificato il giudizio di bilanciamento tra circostanze, confermando la disposta equivalenza tra esse.
La Corte di appello avrebbe violato, inoltre, il divieto di reformatio in peius, atteso che, nel ridurre la pena inflitta ad euro 300,00 di multa in applicazione del reato di cui all'art. 590, comma 1, cod. pen., avrebbe irrogato una sanzione pari al massimo edittale, laddove invece il giudice di primo grado - applicando ai sensi dell'art. 590, comma 3, cod. pen. la pena di euro 600,00 di multa - avrebbe inflitto una pena di entità di poco superiore al minimo edittale.

 

Diritto




1. Il ricorso non è fondato, per cui lo stesso deve essere rigettato.

2. In primo luogo prive di fondamento sono le doglianze dedotte con i primi tre motivi di ricorso, trattabili congiuntamente in quanto aventi ad oggetto, sotto vari profili, la valutazione di acquisizioni probatorie e di riscontri fattuali volti a dimostrare l'insussistenza di responsabilità ascrivibili al M.M., valorizzando l'autonomo ruolo svolto dal R. nella ricoperta qualità di subappaltatore dei lavori senza dipendenti in loco - e non di preposto di fatto, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale -.

Nella prospettazione difensiva risulterebbe, in particolare, comprovato che il M.M. avrebbe ottemperato a tutti gli obblighi derivantigli dal contratto di appalto e dal ricoperto ruolo di datore di lavoro, mentre il sinistro sarebbe avvenuto, in sua assenza, a seguito di un'estemporanea, e da lui non preventivamente conosciuta, decisione assunta dal proprio nonno di far svolgere il lavoro in quota da parte del C.G..
2.1. Orbene, il Collegio ritiene che, a prescindere dal reale ruolo ricoperto dal R., e quindi dalla qualifica formale da lui effettivamente avuta, le responsabilità a lui riferibili non sarebbero comunque tali da elidere quelle direttamente imputabili al ricorrente.
La Corte di merito ha diffusamente precisato, con ragionamento logico e congruo, nonché immune da vizio alcuno, come sulla scorta delle assunte dichiarazioni testimoniali di M.M. C.G. e B., sia stato con certezza acclarato «che nel cantiere teatro dell'infortunio non era stata posta in opera alcuna opera provvisionale nonostante che il C.G. stesse addirittura lavorando in quota alla demolizione del tetto del manufatto. La circostanza riferita dal M.M. della ottemperanza da parte dell'imputato alle prescrizioni impostegli dopo l'infortunio per la realizzazione delle opere provvisionali necessarie per il genere di lavoro in corso di esecuzione, conforta l'assunto del difetto in toto delle dette opere provvisionali in modo del tutto logico e trasparente».
2.2. La considerazione degli indicati aspetti rende, allora, evidente la logicità del pronunciato giudizio di responsabilità dell'imputato anche ove si volesse tener conto del suo rivendicato ruolo di committente e datore di lavoro, essendo su di lui, comunque, gravanti i primari obblighi di valutazione dei rischi, nonché di assicurare la sicurezza e l'adozione di misure di prevenzione sul luogo di lavoro - nel caso in esame, come detto, non rispettati -.
Quanto ai profili formali dell'assunzione della qualifica di datore di lavoro, deve essere osservato come, in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione in capo al committente non si esauriscano negli accordi contrattuali assunti con l'appaltatore, posto che la normativa vigente impone ai datori di lavoro di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto. In altri termini, in terna di infortuni sul lavoro, in caso di subappalto, il datore di lavoro dell'impresa affidataria deve verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati, la congruenza dei piani operativi di sicurezza (POS) delle imprese esecutrici rispetto al proprio, nonché l'applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza e coordinamento (PSC), con la conseguenza che, in mancanza di quest'ultimo, egli deve attivarsi richiedendolo immediatamente al committente oppure rifiutandosi di conferire il subappalto (Sez. 4, n. 10544 del 25/01/2018, Scibilia, Rv. 272240-01).
Inoltre, con specifico riferimento al caso di specie, il committente, anche nel caso di subappalto, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272221-01). Vale anche l'ulteriore precisazione per cui il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (così Sez. 4, n. 23171 del 09/02/2016, Russo, Rv. 266963-01).
2.3. La decisività delle superiori considerazioni risulta vieppiù confortata laddove si consideri la diversa ipotesi, ritenuta maggiormente credibile da parte della Corte di appello, per cui il R. stesse, invece, svolgendo le funzioni di preposto di fatto. In tal caso, infatti, rileva il principio per cui, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto (così, tra le altre: Sez. 4, n. 22079 del 20/02/2019, Cavallari, Rv. 276265-01; Sez. 4, n. 50037 del 10/10/2017, Buzzegoli, Rv. 27132-01).
Da ciò consegue, allora, in termini decisivi rispetto alla valutazione del caso di specie, che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, Ottino, Rv. 263200-01).
2.4. A nulla rileva, poi, la formale indicazione dell'infortunato quale soggetto svolgente le funzioni di preposto.
In proposito, infatti, la sentenza impugnata ha adeguatamente esplicato, con motivazione logica e congrua, come, conformemente alle emerse risultanze probatorie, il C.G. non disponesse, di fatto, di un'effettiva autonomia decisionale.

Rileva, in ogni modo, con valenza troncante ai fini del riconoscimento della responsabilità del M.M., il principio per cui, in tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro di vigilare sull'esatta osservanza, da parte dei lavoratori, delle prescrizioni volte alla tutela della loro sicurezza, può ritenersi assolto soltanto in caso di predisposizione e attuazione di un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto delle prassi elusive seguite dai lavoratori di cui il datore di lavoro sia a conoscenza (Sez. 4, n. 35858 del 14/09/2021, Tamellini, Rv. 281855-01). Prassi elusive che, nel caso di specie, sono state riscontrate essere nella comprovata sistematica omessa predisposizione di opere di prevenzione, volte ad evitare il rischio della verificazione di cadute dall'alto.

3. Del pari infondata è la censura eccepita con il quarto motivo di ricorso, attraverso cui il M.M. ha lamentato carenza di motivazione in ordine alla richiesta di applicazione della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131-bis cod. pen., avanzata con memoria del 24 novembre 2020, depositata all'udienza del 4 dicembre 2020.
Trattasi, infatti, di istanza per la prima volta sollevata con memoria difensiva, e cioè con atto che non consente la proposizione di deduzioni nuove.
In proposito, infatti, rileva il principio, affermato da questa Corte di legittimità, per cui gli atti che pongono questioni ulteriori rispetto a quelle dedotte con i motivi di impugnazione non sono da considerare memorie né richieste ai sensi dell'art. 121 cod. proc. pen. ed in relazione ad essi si applica la disciplina dei motivi nuovi di cui all'art. 585, comma 4, cod. proc. pen., con la conseguenza che l'obbligo per il giudice di appello di procedere alla valutazione di una memoria difensiva sussiste solo se ed in quanto il contenuto della stessa sia in relazione con le questioni devolute con l'impugnazione (cfr., in questi termini: Sez. 2, n. 36118 del 26/06/2019, F., Rv. 277076-01; Sez. 1, n. 34461 del 10/03/2015, Pica, Rv. 264493-01).
Deve essere osservato, inoltre, che la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, se tale disposizione - come nel caso di specie - era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza di appello, ostandovi la previsione di cui all'art. 606, comma 3, cod. proc. pen. (così, espressamente: Sez. 2, n. 21465 del 20/03/2019, Messini D'Agostini, 275782-01; Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018, Sarr, Rv. 272789-01; Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, Moio, Rv. 271877-01).

4. Infine privo di fondamento è anche l'ultimo motivo di ricorso, non potendo, in primo luogo, trovare accoglimento la lamentata doglianza per cui il giudice di appello avrebbe errato nel non modificare il giudizio di equivalenza tra circostanze, pur a seguito dell'intervenuto riconoscimento, in favore dell'imputato, anche dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., avendo la Corte territoriale adeguatamente esplicato come, tenuto conto dei parametri previsti dall'art. 133 cod. pen., la particolare gravità del fatto e della colpa ascrivibile al M.M. non potrebbero comunque consentire un diverso giudizio di bilanciamento tra circostanze, maggiormente favorevole all'imputato.
Con riguardo, poi, alla eccepita violazione del divieto di reformatio in peius, asseritamente posta in essere dalla Corte di merito quando, nel ridurre la pena inflitta in applicazione dell'ipotesi ex art. 590, comma 1, cod. pen., avrebbe irrogato una sanzione pari al massimo edittale, a fronte di quella di poco superiore al minimo invece inflitta in primo grado con riferimento alla fattispecie di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen., appare sufficiente osservare come costituisca principio generale di questa Corte di legittimità quello per cui il giudice di appello che, su impugnazione del solo imputato, riduca la pena - per effetto del riconoscimento di una circostanza attenuante o a seguito dell'entrata in vigore di una disciplina sanzionatoria più favorevole - non è vincolato, nella determinazione tra il minimo ed il massimo edittale, dai criteri in precedenza adottati dal giudice di primo grado (cfr., in questi termini: Sez. 6, n. 5_1130 del 15/11/2019, Barrui, Rv. 278184-01; Sez. 3, n. 7968 del 13/01/2011, Pentassuglia, Rv. 249388-01).


5. Il ricorso deve, conclusivamente, essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 17 febbraio 2022