• Appalto e Contratto d'opera
  • Coordinatore per la Sicurezza
  • Infortunio sul Lavoro
  • Piano operativo di sicurezza

Il C. e il T. erano stati tratti a giudizio con l'accusa di avere cagionato, per colpa generica e specifica, lesioni personali gravissime a L. il quale, socio della Cooperativa F. di Sesto, nel mentre coadiuvava il T., titolare di una ditta artigiana priva di dipendenti, subappaltatrice dei lavori di copertura degli edifici, nel posizionamento dei pannelli sul tetto della palestra, avente, a differenza degli altri, una superficie non calpestabile, era caduto al suolo da un'altezza di quasi otto metri.
Al C., nella specifica qualità di coordinatore alla progettazione e all'esecuzione dei lavori, era stata addebitata la violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4 e art. 12, comma 1, lett. f) e segnatamente:

a) di essersi limitato a riportare genericamente, nel piano redatto, il contenuto delle norme antinfortunistiche, senza prevedere quali misure dovessero essere in concreto adottate per prevenire il pericolo di caduta dall'alto nè avere segnalato i rischi specifici sussistenti proprio in relazione ai lavori da effettuare sul tetto della palestra;
b) di avere omesso di esigere la predisposizione del piano operativo di sicurezza da parte del T..
A quest'ultimo invece era stata ascritta l'inosservanza del comb. disp. del D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 10 e 70 in base al quale, in caso di lavori da effettuare sui tetti, quando non sia certa la resistenza della copertura, e vi sia comunque il rischio di caduta dall'alto, devono essere predisposte la necessarie misure, atte a garantire l'incolumità delle persone addette, quali tavole sotto le orditure o sottopalchi.
Gli era inoltre stata addebitata la violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 9, comma 1, lett. c bis) e segnatamente la mancata predisposizione del piano operativo di sicurezza.
 
Condannati in primo grado, propongono appello: la Corte d'Appello confermava la sentenza determinando il concorso di colpa della vittima del 25%.
Ricorrono in Cassazione - Respinti.
 
Nell'affermare la responsabilità del T. per l'infortunio occorso al L. "il giudice di merito ha fatto coerente e corretta applicazione del principio generale, icasticamente espresso nell'art. 2087 cod. civ., e ulteriormente specificato nelle disposizioni della normativa antinfortunistica, in base al quale il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica e della personalità morale del prestatore di lavoro, senza che a tal fine sia possibile distinguere a seconda che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato (del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 3, comma 2) o, anche, di persona estranea all'ambito imprenditoriale, di modo che deve rispondere degli infortuni nei quali siano rimasti coinvolti i destinatari della tutela, purchè legati da nesso causale alla violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza".
 
"L'obbligo di redigere il piano operativo di sicurezza, in quanto prescritto nei confronti di tutti i datori di lavoro delle imprese esecutrici (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 9 vigente all'epoca dei fatti, il cui contenuto risulta ora trasfuso negli D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 17 e 18), mira a coinvolgere direttamente chiunque di fatto operi in un'unità produttiva in posizione non subalterna rispetto ad altri, nella predisposizione delle misure di prevenzione, essendo queste direttamente correlate (anche) alle modalità esecutive in concreto adottate da chi, in definitiva, realizza effettivamente le opere".
 
"Passando quindi all'esame dei motivi di ricorso del C., merita evidenziare che il profilo cardine di responsabilità del prevenuto è stato individuato nella redazione di un piano di sicurezza e di coordinamento del tutto inadeguato, in quanto meramente riproduttivo della normativa antinfortunistica. "
 
"Le norme antinfortunistiche mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine a incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, di guisa che la responsabilità dell'imprenditore e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottarle può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del dipendente che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, e che sia, come tale, del tutto imprevedibile e inevitabile. In tale prospettiva si ritiene che, ove l'infortunio sia originato dall'assenza o dalla inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento dell'infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatta condotta".

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCALI Piero - Presidente -
Dott. LICARI Carlo - Consigliere -
Dott. KOVERECH Oscar - Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
C.E., N. IL (OMISSIS);
T.R., N. IL (OMISSIS);
RESPONSABILE CIVILE;
avverso SENTENZA del 29/06/2006 CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. AMENDOLA ADELAIDE;
Udito il Procuratore generale, dott. Angelo Di Popolo, che ha chiesto che il rigetto di entrambi i ricorsi.

FattoDiritto
 
 
1.1 Con sentenza del 7 marzo 2005 il Tribunale di Prato dichiarava C.E. e T.R. colpevoli del reato di cui all'art. 590 c.p., commi 1 e 3, commesso in danno di L. G. il (OMISSIS), in occasione dell'esecuzione di opere di manutenzione straordinaria di un edificio scolastico, condannandoli per l'effetto a pena ritenuta di giustizia.
Il C. e il T. erano stati tratti a giudizio con l'accusa di avere cagionato, per colpa generica e specifica, lesioni personali gravissime al predetto L. il quale, socio della Cooperativa F. di Sesto, nel mentre coadiuvava il T., titolare di una ditta artigiana priva di dipendenti, subappaltatrice dei lavori di copertura degli edifici, nel posizionamento dei pannelli sul tetto della palestra, avente, a differenza degli altri, una superficie non calpestabile, era caduto al suolo da un'altezza di quasi otto metri.
Al C., nella specifica qualità di coordinatore alla progettazione e all'esecuzione dei lavori, era stata addebitata la violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4 e art. 12, comma 1, lett. f) e segnatamente:
a) di essersi limitato a riportare genericamente, nel piano redatto, il contenuto delle norme antinfortunistiche, senza prevedere quali misure dovessero essere in concreto adottate per prevenire il pericolo di caduta dall'alto nè avere segnalato i rischi specifici sussistenti proprio in relazione ai lavori da effettuare sul tetto della palestra;
b) di avere omesso di esigere la predisposizione del piano operativo di sicurezza da parte del T..
A quest'ultimo invece era stata ascritta l'inosservanza del comb. disp. del D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 10 e 70 in base al quale, in caso di lavori da effettuare sui tetti, quando non sia certa la resistenza della copertura, e vi sia comunque il rischio di caduta dall'alto, devono essere predisposte la necessarie misure, atte a garantire l'incolumità delle persone addette, quali tavole sotto le orditure o sottopalchi.
Gli era inoltre stata addebitata la violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 9, comma 1, lett. c bis) e segnatamente la mancata predisposizione del piano operativo di sicurezza.
 
Proposto gravame, la Corte d'appello di Firenze confermava, in ordine alla responsabilità dei due prevenuti, l'impugnata sentenza, determinando il concorso di colpa della vittima nella misura del 25%.
In motivazione osservava il giudicante, per quanto qui interessa, che la ricostruzione dei fatti accolta dal primo giudice, secondo cui il L., al termine del lavoro, e mentre si apprestava ad andare via in compagnia del collega M., aveva aderito all'invito del T. di aiutarlo a posizionare le onduline sul tetto della palestra ed era precitato proprio nel mentre espletava siffatta attività, era credibile, alla luce della deposizione della parte offesa e degli elementi di riscontro forniti dal suo collega M. che la responsabilità del prevenuto sussisteva benchè il L. non fosse suo dipendente, posto che, ai fini dell'osservanza della normativa antinfortunistica, deve essere considerato "datore di lavoro" il soggetto responsabile dell'attività nello svolgimento della quale si sia verificato l'incidente; che l'esistenza di un piano di sicurezza, redatto congiuntamente da (OMISSIS) non esimeva il T., in quanto datore di lavoro di fatto, dall'obbligo di redigerlo a sua volta; che il sinistro non si sarebbe verificato se l'imputato avesse curato l'approntamento di un impalcato di protezione, ovvero se solo avesse controllato che il lavoratore aveva indossato la cintura di sicurezza, agganciandola al cavo.
Quanto al C., osservava il decidente che questi, oltre a redigere un piano del tutto generico, avrebbe dovuto indicare la specifica cautela con la quale andava fronteggiata la situazione di rischio inerente alla non calpestabilità del controsoffitto del fabbricato C) del complesso immobiliare da ristrutturare, situazione che il piano di sicurezza doveva evidenziare e risolvere, scegliendo tra la applicazione delle reti, ove esistesse la possibilità di porle in opera (possibilità per la verità posta in dubbio dalla ispettrice della ASL), e l'impalcato di protezione.
Nè poteva avere rilievo la circostanza che il geometra C. si era attivato per la nomina di un responsabile di cantiere, ovvero di un responsabile di sicurezza, posto che la presenza di costoro avrebbe fatto si che la loro responsabilità si aggiungesse a quella dell'imputato, senza escluderla.
 
1.2 Avverso detta pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione, per mezzo dei loro difensori, entrambi gli imputati, chiedendone l'annullamento.
Col primo motivo di ricorso il T. lamenta inosservanza ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art 9, comma 1, lett. c bis) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, evidenziando che, non avendo dipendenti, ed essendosi limitato a stipulare un regolare appalto di servizi con la Cooperativa "Rifredi" dei quali il M. e il L. erano soci, non aveva alcun obbligo di redigere il piano operativo di sicurezza di cui all'art. 9 innanzi menzionato, che lo prevede solo a carico di coloro che siano tecnicamente qualificabili datori di lavoro. In ogni caso avrebbe dovuto il giudice di merito considerare che questo era stato redatto di concerto da (OMISSIS), alla quale egli era subentrato, e da (OMISSIS), ed era stato altresì approvato dagli Uffici del Dipartimento Prevenzione sul lavoro della U.S.L.. Segnala anche l'impugnante che il predetto piano prevedeva, come misura cautelare, il solo uso di cinture di sicurezza.
Con il secondo motivo il T. denuncia violazione di legge e segnatamente dell'art. 590 cod. pen., mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per avere il giudice di merito affermato che egli aveva chiesto al L. di lavorare nell'edificio (OMISSIS)), a orario di lavoro scaduto, laddove gli elementi istruttori raccolti, a eccezione della deposizione della parte lesa, che aveva un chiaro interesse civilistico alla affermazione della sua responsabilità, contrastavano con siffatta ricostruzione dell'eziologia dell'incidente, evidenziando invece che l'infortunio si era verificato perchè un operaio, a fine lavoro, si era recato in un posto dove non doveva andare e dove non doveva svolgere alcuna attività, e dunque per un comportamento imprevisto, imprevedibile, abnorme ed eccezionale.
Col terzo motivo il ricorrente censura come eccessivamente esigua la percentuale di responsabilità attribuita alla parte offesa, deducendo che, anche ad accogliere la ricostruzione dei fatti seguita dai giudici di merito, la misura del concorso di colpa della vittima nella causazione dell'incidente era certamente superiore.
C.E., ricordato che il cronoprogramma del cantiere non prevedeva lavori sul tetto della palestra il giorno in cui ebbe a verificarsi l'infortunio, che sullo stesso non doveva operare il L. e che erano in ogni caso disponibili le cinture di sicurezza, lamenta, col primo motivo di ricorso, mancanza e manifesta illogicità della motivazione per non avere la sentenza impugnata chiarito le ragioni per le quali, ammesso che l'obbligo di redigere il piano operativo di sicurezza, gravasse anche sul coimputato, non poteva ritenersi valido il POS esistente, tanto più che il medesimo T. aveva dichiarato di riconoscerlo e applicarlo al momento dell'ingresso in cantiere e che, contrariamente all'assunto del giudice di merito, il piano comprendeva senz'altro anche i lavori demandati al T., essendo questi subentrato a (OMISSIS).
Si duole inoltre il ricorrente che il decidente abbia ignorato che dall'istruttoria espletata era emersa la difficoltà di dotare le pareti della palestra di reti anticaduta e l'insufficienza, per la particolare conformazione dell'edificio, di eventuali impalcati. In tale contesto, residuando la sola possibilità dell'uso delle cinture di sicurezza, il fatto si sarebbe verificato esclusivamente per deficienze organizzative imputabili all'impresa. Evidenzia anche che la condanna del coordinatore per pretesa, mancata predisposizione delle misure di prevenzione e protezione, sarebbe in insanabile contrasto con la condanna del datore di lavoro e con il riconoscimento di un concorso di colpa a carico del lavoratore.
Col secondo mezzo l'impugnante denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge, con riferimento alla mancata estensione della imputazione ai competenti organi della committente Provincia di Prato, dell'impresa sottoscrittrice del contratto di appalto nonchè delle subappaltatrici direttamente coinvolte nel ciclo lavorativo.
Con l'ultimo mezzo, infine, lamenta contraddizioni e vizi dell'iter logico argomentativo addotto a sostegno della decisione impugnata, con riferimento alla asserita diversità dell'attività del T. rispetto a quella che avrebbero dovuto realizzare (OMISSIS), laddove il lavoratore autonomo aveva assunto proprio i lavori di quest'ultima; al malgoverno della deposizione della funzionaria della ASL, in punto di difficoltà di adottare misure di prevenzione contro i rischi di caduta dall'alto ulteriori rispetto alle cinture di sicurezza; alla completa svalutazione, infine, della nomina di un responsabile di cantiere, intervenuta proprio a seguito delle insistenze dell'imputato C..
 
2.1 Le censure sono infondate.
 
Nell'affermare la responsabilità del T. per l'infortunio occorso al L. il giudice di merito ha fatto coerente e corretta applicazione del principio generale, icasticamente espresso nell'art. 2087 cod. civ., e ulteriormente specificato nelle disposizioni della normativa antinfortunistica, in base al quale il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica e della personalità morale del prestatore di lavoro, senza che a tal fine sia possibile distinguere a seconda che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato (del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 3, comma 2) o, anche, di persona estranea all'ambito imprenditoriale, di modo che deve rispondere degli infortuni nei quali siano rimasti coinvolti i destinatari della tutela, purchè legati da nesso causale alla violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza (confr. Cass. pen., sez. 4, 4 febbraio 2004, n. 31303).
In tale contesto non ha evidentemente senso la deduzione difensiva volta a rappresentare la mancanza, in tesi, di un contratto di lavoro subordinato con la vittima del sinistro, per avere il T. stipulato un mero contratto di appalto di servizi con la Cooperativa della quale l'infortunato era socio, stante la specifica equiparazione, ai dipendenti dell'imprenditore, dei soci delle cooperative che prestino, anche di fatto, la loro opera per conto della società (D.P.R. n. 547 del 1955, art. 3, comma 2, innanzi richiamato) e, in genere, l'irrilevanza del nomen iuris del negozio in forza del quale un soggetto disponga delle energie lavorative di altra persona, utilizzandone e dirigendone l'attività.
Del resto, alla pretesa inesistenza, nella fattispecie, dell'obbligo di redigere il piano operativo di sicurezza, lo stesso impugnante mostra di non credere troppo, se è vero che costantemente insiste, al pari del coimputato, sulla sua adesione a quello redatto dalle società alle quali il T. era subentrato nell'appalto delle opere.
Trattasi tuttavia di prospettazione assolutamente non condivisibile, perchè, a tacer d'altro, e come correttamente ritenuto dal giudice di merito, l'obbligo di redigere il piano operativo di sicurezza, in quanto prescritto nei confronti di tutti i datori di lavoro delle imprese esecutrici (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 9 vigente all'epoca dei fatti, il cui contenuto risulta ora trasfuso negli D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 17 e 18), mira a coinvolgere direttamente chiunque di fatto operi in un'unità produttiva in posizione non subalterna rispetto ad altri, nella predisposizione delle misure di prevenzione, essendo queste direttamente correlate (anche) alle modalità esecutive in concreto adottate da chi, in definitiva, realizza effettivamente le opere (confr. Cass. pen., Sez. 3, 12 gennaio 2006, n. 15927).
 
2.2 Destituiti di fondamento sono altresì il secondo e il terzo motivo di ricorso del T. che per la loro stretta attinenza alla ricostruzione dell'eziologia dell'incidente fatta propria dal giudice di merito, si prestano a essere esaminati congiuntamente.
Mette conto in proposito ricordare che alla individuazione della sequenza dei fatti che portarono alla caduta del L. da un'altezza di quasi otto metri dal suolo, il decidente è pervenuto sulla base di un giudizio di affidabilità della versione fornitane dalla stessa parte offesa, in quanto lineare, non smentita da risultanze contrarie e coerente sia con lo stato dei luoghi che con la deposizione del compagno di lavoro M., il quale aveva segnatamente evidenziato come, qualche giorno prima dell'accaduto, il T. avesse chiesto anche a lui di coadiuvarlo nel posizionamento delle onduline sul tetto dell'edificio (OMISSIS). Ha inoltre convincentemente segnalato la Corte territoriale che, per contro, era del tutto implausibile la tesi difensiva secondo cui il L. si era arrampicato sul solaio di copertura del fabbricato di propria iniziativa, non sussistendo alcuna ragione per la quale lo stesso dovesse tenere un siffatto, anomalo comportamento.
Tale impianto motivazionale, coerente con gli elementi probatori disponibili, con le regole della logica e con massime di comune esperienza ampiamente condivisibili, resiste alle critiche formulate in ricorso le quali, attraverso l'artificiosa deduzione di vizi di inosservanza della legge penale e di carenza e/o manifesta illogicità della motivazione, mirano in realtà a insidiare l'apprezzamento del materiale istruttorio sul quale il decidente ha fondato il giudizio di colpevolezza del prevenuto e a sollecitarne una diversa lettura, preclusa in questa sede di legittimità. Non è all'uopo superfluo ricordare che la cassazione non è giudice delle prove, ma giudice della esatta applicazione della legge, della corretta valutazione del materiale istruttorio e della esistenza di un completo e coerente apparato argomentativo a sostegno della scelta decisoria adottata.
Con particolare riguardo, poi, alla percentuale di colpa riconosciuta alla vittima dell'infortunio, osserva il collegio che la censura è altresì affetta da un inemendabile tasso di genericità, non essendo accompagnata da alcuna allegazione delle ragioni per le quali il lavoratore sarebbe corresponsabile in misura superiore al 25%, dell'infortunio occorsogli, avendo operato, a seguito di richiesta del datore, su un tetto non calpestarle, della cui conformazione, peraltro, nessuno lo aveva avvertito.

2.3 Passando quindi all'esame dei motivi di ricorso del C., merita evidenziare che il profilo cardine di responsabilità del prevenuto è stato individuato nella redazione di un piano di sicurezza e di coordinamento del tutto inadeguato, in quanto meramente riproduttivo della normativa antinfortunistica. In tale prospettiva il giudice di merito ha segnatamente evidenziato come una formulazione corretta del predetto documento avrebbe permesso di evidenziare il rischio costituito dal fatto che il controsoffitto dell'edificio (OMISSIS) del complesso immobiliare oggetto dell'intervento edilizio non era calpestarle, situazione tanto più insidiosa, in quanto non presente negli altri due fabbricati, e quindi, in un certo senso, non sospettabile da parte degli addetti.
Il ricorrente, invece, affida la sua richiesta di annullamento alla pretesa inesistenza di un obbligo, a carico del T., di redigere il piano operativo di sicurezza e, correlativamente, di un suo dovere di esigerne l'adempimento, a deduzioni cioè eccentriche rispetto al nucleo argomentativo centrale del giudizio di colpevolezza, oltre che errate, per quanto detto innanzi (sub 2.1), a confutazione del primo motivo di ricorso del T..
Nè è poi vero che la valutazione del giudice di merito sia in contrasto con gli esiti della compiuta istruttoria, indicativi della impossibilità di adottare, contro i rischi di caduta dall'alto, cautele diverse dall'apprestamento di cinture di sicurezza. E invero nella sentenza impugnata, che ben può essere integrata, in parte qua, con quella di primo grado (confr. Cass. pen., sez. 1, 26 giugno 2000, n. 8868), il decidente, pur dando atto dei dubbi esternati dalla ispettrice della USL in punto di possibilità di applicazione di reti di protezione, da invece per scontata l'approntabilità di un impalcato, di modo che le doglianze del ricorrente, che su tale aspetto della ricostruzione dello stato dei luoghi ignorano del tutto gli argomentati rilievi del giudicante, peccano anche di aspecificità.
Quanto alle critiche in ordine al coinvolgimento del prevenuto nel processo penale, malgrado l'affermazione della responsabilità del T. e il riconoscimento di un concorso di colpa della vittima, ricorda il Collegio che costituisce affermazione praticamente costante nella giurisprudenza di questo giudice di legittimità che le norme antinfortunistiche mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine a incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, di guisa che la responsabilità dell'imprenditore e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottarle può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del dipendente che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, e che sia, come tale, del tutto imprevedibile e inevitabile. In tale prospettiva si ritiene che, ove l'infortunio sia originato dall'assenza o dalla inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento dell'infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatta condotta (confr. Cass. pen., sez. 4, 3 novembre 2004, n. 3455).
A ciò aggiungasi che, per consolidato diritto vivente, tenuti al rispetto delle norme di prevenzione, salvo delega validamente conferita, sono non già imprenditori, dirigenti e preposti alternativamente tra loro, ma tutti cumulativamente tali figure, nell'ambito delle rispettive competenze e sfere di intervento (confr.
Cass. pen., sez. 4, 18 dicembre 2002, n. 43343), di modo che non solo il giudizio di colpevolezza formulato nei confronti del T. non è stato condivisibilmente ritenuto ostativo all'affermazione di responsabilità del C., ma nessuna efficacia esimente è stata correttamente correttamente riconosciuta alla nomina di un responsabile di cantiere.
Infine nessun rilievo può avere la circostanza che la responsabilità del sinistro non sia stata addossata anche all'ente pubblico committente e alle altre imprese coinvolte nella realizzazione dell'opera, non avendo, a tacer d'altro, il ricorrente un interesse giuridicamente apprezzabile all'estensione dell'imputazione ad altri soggetti, ma solo alla affermazione della propria innocenza.
In tale contesto entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
Segue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
 
La Corte di cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quarta penale, il 9 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2008