Cassazione Civile, Sez. 6, 08 giugno 2022, n. 18485 - Danni alla salute conseguenti al trattamento farmacologico a seguito della positività al batterio della tubercolosi asseritamente contratta in ambiente lavorativo. Ricorso inammissibile



 

Rilevato che


1. la Corte di Appello di L’Aquila, con la sentenza impugnata, ha rigettato – per quanto qui ancora interessa – il gravame proposto da F.C. nei confronti della Casa di Cura Privata Villa Serena e dell'Inail avverso la decisione di primo grado che aveva respinto la sua domanda volta ad accertare la responsabilità della datrice di lavoro per i danni alla salute che assumeva aver subito come conseguenza del trattamento farmacologico somministratole a causa della riscontrata positività al batterio della tubercolosi e che deduceva aver contratto in ambiente lavorativo;
2. in sintesi, la Corte, dopo aver escluso che fosse emersa “prova sufficiente in atti della sussistenza del necessario rapporto di causalità tra l'attività lavorativa espletata (e l’affermata insalubrità dell'ambiente di lavoro) e la malattia denunciata”, ha condiviso le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta in grado d’appello, secondo cui: “La conversione al test di intradermoreazione di Mantoux non [ha] determinato alcuna menomazione dell'integrità psicofisica della Signora F.C.. Infatti, nonostante la positivizzazione del test, la F.C. non ha mai sviluppato la patologia tubercolare conclamata, né può essere considerato soggetto con infezione tubercolare latente; la terapia antibiotica somministrata su indicazione della struttura specialistica della Asl di Pescara ha avuto una finalità di profilassi […] Inoltre, in relazione alla ubiquitarietà del Microbacterium tubercolosis, sulla base della documentazione versata in atti, non si ravvisano elementi epidemiologici che, con probabilità qualificata, consentano di affermare che all'epoca dei fatti fossero presenti fattori di rischio tali da consentire di ricondurre all'ambiente lavorativo di F.C. il contatto tra la medesima ed il Microbacterium tubercolosis”;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la F.C. con 2 motivi; hanno resistito con controricorso sia la società che l’INAIL;
4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale;
5. parte ricorrente ha comunicato memoria;
 

Considerato che


1. con il primo motivo di ricorso si denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. in relazione agli oneri probatori circa i criteri di imputazione della responsabilità civile in capo al datore di lavoro. Violazione dell’art. 2697 c.c. Omessa applicazione degli artt. 1218 e 1223 c.c.”; si sostiene che la Corte territoriale avrebbe operato una illegittima inversione degli oneri probatori vigenti in materia, “omettendo di considerare due fattori che appaiono al contrario decisivi ai fini dell’accoglimento della domanda della lavoratrice” e cioè “risultanze probatorie gravi, precise e concordanti” circa l’esposizione al contagio e la “tardiva diagnosi tubercolare” su taluni pazienti; si argomenta diffusamente come “il compendio istruttorio offerto nel
primo grado di giudizio, seppur indiziario, abbia dimostrato la qualificata probabilità in capo alla Signora F.C. di aver contratto la patologia proprio in ambito professionale con le ovvie conseguenze in tema di prova del nesso causale”;
2. il Collegio giudica il motivo inammissibile;
come riportato nello storico della lite, una delle ragioni fondanti il rigetto dell’appello della F.C., avente carattere autonomo e di per sé solo sufficiente, è l’adesione alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio con cui il perito ha escluso sia, in radice, l’esistenza di una menomazione dell’integrità psico fisica della F.C., sia, in ogni caso, l’esistenza di un nesso causale tra l’ambiente lavorativo e la malattia denunciata;
poiché si tratta ineluttabilmente di accertamenti di fatto, la denunciata violazione di norme di legge non è rispettosa dell’essenziale postulato in base al quale il n. 3 dell’art. 360 c.p.c. può essere evocato a partire dalla incontestata ricostruzione dei fatti storici così come operata dai giudici del merito e non contestando la stessa; sicché la doglianza si traduce, in realtà e nella sostanza, in una richiesta di rivalutazione nel merito della vicenda, estranea al sindacato di questa Corte;
ancora di recente le Sezioni unite hanno ribadito l’inammissibilità di censure che “sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l'inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l'azione”, così travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all'art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020);
non par dubbio che lamentare come la Corte territoriale abbia omesso “di considerare due fattori che appaiono al contrario decisivi ai fini dell’accoglimento della domanda della lavoratrice”, quali l’esistenza di indizi sulla esposizione al contagio e la “tardiva diagnosi tubercolare” su taluni pazienti, significhi presupporre una diversa ricostruzione storica degli accadimenti;
3. il secondo motivo denuncia: “Insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio anche in ordine alla valutazione delle prove ivi comprese le risultanze della CTU medico-legale errata e viziata sotto il profilo logico e tecnico (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.)”;
4. la censura è inammissibile perché deduce il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., senza rispettare gli enunciati posti dalle Sezioni unite di questa Corte (sentt. nn. 8053 e 8054 del 2014; princìpi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), facendo anzi riferimento alla formula non più vigente della disposizione richiamata, con riguardo a vizi di insufficienza motivazionale non più sindacabili innanzi a questa Corte;
5. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo nei confronti di entrambi i controricorrenti;
occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
 

P.Q.M.
 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate in favore di ciascuna parte controricorrente in euro 3.700,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 24 febbraio 2022