Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 21 giugno 2022, n. 23834 - Contravvenzioni in cantiere. Le responsabilità di altri non sostituiscono quella gravante sul datore di lavoro


 

 

Presidente: MARINI LUIGI
Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO
Data Udienza: 13/05/2022
 

 

Fatto



1. Con sentenza del 1° dicembre 2020, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, all'esito del dibattimento, ha condannato D.C. alla pena di 4.000,00 euro di ammenda per alcune contravvenzioni alla disciplina in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestate dall'organo di vigilanza all'esito di un sopralluogo in un cantiere edile dove la società di cui l'imputata era legale rappresentante stava svolgendo, con propri dipendenti, lavori di costruzione.

2. Avverso la sentenza, a mezzo del difensore di fiducia, l'imputata ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, l'inosservanza o erronea applicazione delle norme incriminatrici contestate per essere stata affermata la propria responsabilità penale in qualità di legale rappresentante della società datrice di lavoro, benché fossero state nominate tutte le figure tecniche previste dalla legge a garanzia della sicurezza, con correlata delega di funzioni. In particolare - oltre al direttore tecnico dei lavori e agli addetti al montaggio e allo smontaggio dei ponteggi - erano stati nominati, e avevano concretamente svolto le loro funzioni in cantiere, l'ing. R., quale coordinatore della sicurezza, e il dipendente L. quale preposto ed entrambi avevano pagato la sanzione amministrativa loro comminata dall'organo di vigilanza per le violazioni riscontrate, così come era stato anche disciplinarmente sanzionato il preposto.

3. Con il secondo motivo di ricorso si deduce l'inosservanza delle disposizioni incriminatrici e dell'art. 131 bis cod. pen. Sotto il primo profilo, si lamenta che la gran parte delle contestazioni si era rivelata inesistente e che l'unica residua - afferente alla mancanza di una sbarra dal ponteggio - era irrilevante sul piano penale e non poteva comunque essere addebitata al datore di lavoro, in quanto era stata momentaneamente tolta per ragioni contingenti. Sotto il secondo profilo, s'invoca l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 163 e 164 cod. pen. per essere stato concesso, senza richiesta, il beneficio della sospensione condizionale della pena pecuniaria inflitta, ciò che potrebbe rivelarsi pregiudizievole per la ricorrente per l'impossibilità di fruire di una ulteriore concessione del beneficio nel caso incorresse in una seconda condanna a pena detentiva.

 

Diritto




1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché proposto per ragioni non consentite e perché generico e manifestamente infondato.
1.1. Va in primo luogo rilevato che - senza neppure dedurre il vizio di motivazione - la ricorrente sollecita inammissibilmente questa Corte ad un accertamento di fatto, vale a dire la verifica che, in base alla documentazione prodotta in giudizio, meramente richiamata in ricorso con l'indicazione dell'indice dei documenti, era stata provata l'assunzione ed il regolare svolgimento di incarichi da parte di terze persone che varrebbero ad escludere la responsabilità. Trattasi, all'evidenza, di ricostruzione fattuale del tutto estranea al giudizio di legittimità.
1.2. In secondo luogo, la doglianza è assolutamente generica, perché priva dell'indicazione dei necessari elementi di fatto e delle ragioni di diritto.
Ed invero, la ricorrente si limita a richiamare una pronuncia di questa Corte del tutto eccentrica rispetto ai temi qui dibattuti - la sent. n. 3623/2018, relativa a reati di bancarotta fraudolenta - e in alcun modo si confronta con il tema della delega delle funzioni proprie del datore di lavoro (istituto disciplinato dall'art. 16 d.lgs. 81/2008) e con la rigorosa giurisprudenza al proposito formatasi (cfr., di recente, Sez. 4, n. 24908 del 29/01/2019, Ferrari, Rv. 276335, ove si osserva che il subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante richiede che il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo ed investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, fermo restando, comunque, l'obbligo, per il datore di lavoro, di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive).
1.3. Da ultimo, deve osservarsi che la pur generica doglianza si ravvisa manifestamente infondata per un errore giuridico-concettuale di fondo. Posto che la disciplina in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro dettata dal d.lgs. 81/2008 individua specificamente gli obblighi penalmente sanzionati con riguardo alle diverse posizioni di garanzia che vengono in rilievo, non v'è dubbio che ciascuno risponde delle violazioni a sé imputabili e che, rispetto a talune, vi è il concorso di responsabilità in capo a diversi garanti. Per quanto riguarda le misure dettate a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili, il titolo quarto del citato decreto prevede, tra l'altro e per quanto qui interessa, gli obblighi e le sanzioni per i datori di lavoro, i coordinatori (per la progettazione o l'esecuzione dei lavori), i preposti. Non rileva, pertanto, che il coordinatore ing. R. e il preposto L. - a quanto par di capire dal ricorso, sanzionati per le violazioni da ciascuno commesse - abbiano estinto le contravvenzioni loro contestate, pagando l'oblazione in via amministrativa. Non si tratta, di fatti, di responsabilità conseguente ad una (asserita) delega di funzioni del datore di lavoro, ma di responsabilità, per fatto proprio, connessa alla diversa qualifica da ciascuno rivestita, che si aggiunge, e non si sostituisce, a quella gravante invece sul datore di lavoro ed eventualmente delegabile, rispettando le rigorose condizioni di legge, a (altri) soggetti tecnicamente competenti e dotati dei poteri decisionali e di intervento propri del delegante.

2. Il secondo motivo è del pari inammissibile perché generico e non consentito in sede di legittimità, sotto entrambi i profili dedotti.
2.1. Quanto all'affermazione di responsabilità, la ricorrente non si confronta con la sentenza impugnata, che - diversamente da quanto si allega - ha ritenuto provate tutte le (plurime) contestazioni specificamente mosse in ricorso, tanto che, senza che sul punto sia stata proposta impugnazione, è stato riconosciuto il vincolo della continuazione tra tutte le contravvenzioni ascritte. In sentenza non v'è dunque traccia del fatto che la responsabilità sarebbe stata riconosciuta soltanto per la "residuale" contestazione della mancanza di una sbarra al ponteggio. Con riguardo a quest'ultima, l'unica che in ricorso forma oggetto di doglianza, deve invece osservarsi come la stessa riguardi inammissibilmente un mero accertamento di fatto, senza che neppure sia stato evocato il vizio di motivazione.
2.2. Con riguardo all'applicazione dell' art . 131 bis cod. pen. in questa sede invocata, osserva il Collegio come la ricorrente non alleghi di averne fatto richiesta nel giudizio di merito e, infatti, non lamenta l'omessa motivazione sul punto, ma la violazione della legge penale per non aver il giudice (deve intendersi, d'ufficio) riconosciuto la particolare tenuità del fatto (posto che la sentenza richiama le conclusioni rassegnate a verbale d'udienza, il doveroso accesso del Collegio a tale atto ha consentito di verificare che il difensore non aveva in effetti avanzato quella richiesta). Deve ribadirsi, pertanto, che, in tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell'applicabilità dell'art . 131-bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all'art. 606, comma 3, cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità (Sez. 5, n. 4835 del 27/10/2021, Polillo, Rv. 282773; Sez. 2, n. 21465 del 20/03/2019, Semmah Ayoub, Rv. 275782) .

3. L'ultimo motivo di ricorso è inammissibile per difetto d'interesse e anche per genericità su tale specifico punto.

Ed invero, la ricorrente si limita a richiamare una non recente decisione, rimasta isolata nel panorama giurisprudenziale, senza confrontarsi - donde il difetto di specificità - con la diversa opinione interpretativa, largamente maggioritaria, da tempo affermata, anche di recente ripetutamente riproposta e condivisa dal Collegio. Va dunque ribadito che l'impugnazione proposta dall'imputato avverso una sentenza di condanna a pena pecuniaria che sia stata condizionalmente sospesa senza sua richiesta è ammissibile soltanto qualora l'impugnazione concerna interessi giuridicamente apprezzabili poiché correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella "individualizzazione" della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato, e non si risolva nella prospettazione di motivi di mera opportunità, come quello di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi (Sez. 3, n. 17384 del 28/01/2021, Bianco, Rv. 281539; Sez. 3, n. 46586 del 03/10/2019, Marchi, Rv. 277280-02; Sez. 1, n. 43217 del 09/02/2018, Carrieri, Rv. 274410; Sez. 3, n. 39406 del 20/06/2013, Germani, Rv. 256698; Sez. 6, n. 6074 del 20/11/2003, dep. 2004, Lo Faso, Rv. 227946). L'unico profilo di interesse allegato dalla ricorrente a sostegno della doglianza attiene invece a queste non consentite ragioni di opportunità, prive di giuridica rilevanza.
Quanto alla contestazione, sollevata per la prima volta in sede di memoria conclusiva, concernente la mancata motivazione sulla concessione del beneficio, va in primo luogo osservato che il motivo è inammissibile perché nuovo, non essendo stato il vizio di motivazione tempestivamente dedotto in ricorso, né con memoria depositata ai sensi dell'art. 585, comma 4, cod. proc. pen. La sentenza, in ogni caso, attesta, sia pur in modo stringato, la concedibilità del beneficio sull'implicito presupposto di una prognosi favorevole sulle future condotte e, a fronte dell'unica doglianza tempestivamente proposta, la mancanza di (una più articolata) motivazione potrebbe semmai riguardare l'eventuale espressa rinuncia
alla sospensione condizionale della pena che la difesa avesse eventualmente fatto in sede di discussione (dr. Sez. U, n. 12234 del 23/11/1985, Di Trapani, Rv. 171394). Dalle conclusioni trascritte a verbale, tuttavia, non risulta che ciò si sia nella specie verificato.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.


 

P.Q.M.
 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 13 maggio 2022.