Tribunale di Cosenza, Sez. Lav., 02 febbraio 2022, n. 30 - Caduta dell'OSS che inciampa nel fermo della porta. Risarcimento del danno







REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano Corte D’Appello di Catanzaro
SEZIONE LAVORO
La Corte, riunita in camera di consiglio, così composta:
1. dott.ssa Gabriella Portale Presidente
2. dott.ssa Barbara Fatale Consigliere rel.
3. dott. Antonio Cestone Consigliere
ha pronunciato, a seguito di trattazione scritta ai sensi del combinato disposto degli artt.1, co.1, D.L. 2/2021, 23, 1° co., D.L. 137/2020, 1, 1° co., D.L. 19/2020 e 221, 4° co., D.L. 34/2020 e
rispettive leggi di conversione e successivi aggiornamenti, nonché della modifica operata dall’art. 2, comma primo, D.L. 105/2021 e dall’art. 2 D.L. 221/2021, giusti provvedimenti di autorizzazione adottati in data 28.10.2020, 22.01.2021, 16 aprile 2021, 30 agosto 2021, 24 settembre 2021, 22
ottobre 2021, 22 novembre 2021, 27 dicembre 2021, la seguente
SENTENZA


nella causa in grado di appello iscritta al numero 415 del Ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2020 e vertente
TRA
P. (C.F.:Omissis), con gli Avv.ti omissis, che la rappresentano e difendono in virtù di procura in calce al ricorso in appello, unitamente ai quali è elettivamente domiciliata in Catanzaro, Omissis presso lo studio dell’Avv. Rosa Maria Laria
appellante
E
Azienda Ospedaliera di Cosenza, C.f. / P. Iva omissis, in persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Cosenza, Viale della Repubblica n. 311, presso lo studio dell’Avv. Vincenzo Annibale Larocca, che la rappresenta e difende giusta procura in calce alla memoria di costituzione di primo grado appellato

Avente ad oggetto: appello avverso sentenza del Tribunale di Cosenza. Risarcimento del danno



Conclusioni delle parti
per l’appellante: <<… riformare ed annullare la sentenza impugnata n.180/2020, resa dal Tribunale di Cosenza Sez. Lavoro il 28.1.2020, notificata il 7/4/2020 in pieno lockdown e, comunque, accogliere le conclusioni rassegnate in primo grado e, precisamente “ a) accertato e dichiarato l’inadempimento dell’A.O. di Cosenza alle dedotte obbligazioni contrattuali poste a suo carico quale datore di lavoro, dichiararla responsabile dei fatti di cui in narrativa, ovvero che le lesioni subite, le patologie sopra descritte ed il peggioramento delle iniziali condizioni di salute dell’istante, sono dovute all’inosservanza del precetto di cui agli artt. 36 e 97 Cost., 2087 e 1218 cod.civ., nonché alla violazione delle altre richiamate norme antinfortunistiche sui luoghi di lavoro;
b) condannare, per l’effetto, l’A.O. di Cosenza, in persona del legale rapp.te pro-tempore, al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, patiti dall’istante, e non indennizzati dall’INAIL, compresi quello biologico, quello morale ed esistenziale, per I.T.T., per I.T.P. per degenza ospedaliera , nella misura complessiva di € 106.180,50, ovvero di quell’altra maggiore o minore che sarà ritenuta equa, o diversamente determinata dal giudice, oltre interessi legali e maggior danno ex art. 1224 2°com. c.c., oppure oltre svalutazione monetaria e interessi legali dal giorno dell’evento fino al soddisfo, c) condannare, inoltre, la resistente al pagamento delle spese e degli onorari, con rimborso forf. del 15%, CPA e IVA come per legge, da distrarsi ex art. 93 c.p.c., in favore dell’avvocato Giovanni Carlo Tenuta antistatario,il tutto con clausola di provvisoria esecuzione e con espressa dichiarazione che il valore della presente controversia è di €106.180,50.
…. c3) condannare l’A.O. appellata al pagamento delle spese, competenze ed onorari del doppio grado di giudizio, con rimborso spese forf., CPA ed IVA come per legge, il tutto con espressa dichiarazione che il valore della controversia è di € 106.180,50, per cui, in astratto, sarebbe dovuto il C.U. di € 569,25, in concreto non è dovuto, perché l’appellante è titolare di reddito imponibile inferiore agli € 34.107,72, ovvero non superiore a tre volte l’importo per l’ammissione al gratuito patrocinio previsto dall’art.76 del D.P.R. 115/2002 per come attestato nella procura alle liti e nella dichiarazione dei redditi anno 2019 (cfr. doc. n.5)>>;
Per l’appellata: <<… rigettare l’avverso ricorso in appello, siccome inammissibile ed infondato in fatto e diritto e, per l’effetto, confermare la sentenza impugnata…. In ogni caso, condannare l’appellante alla rifusione delle spese e competenze di lite >>;
 

 

FattoDiritto

 


Con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale di Cosenza, Giudice del Lavoro, il 23 febbraio 2017, P. Rosanna ha convenuto in giudizio l’Azienda ospedaliera di Cosenza e – premesso: di prestare servizio presso l'Azienda Ospedaliera di Cosenza con la qualifica di operatore socio-sanitario di ausiliario specializzato nel reparto di allergologia; che il 25.8.2015, intorno alle 7.15, mentre era intenta ad espletare le mansioni lavorative, inciampava in una protuberanza posta sulla porta di ingresso del reparto; che, in particolare, si trattava del fermo della porta di ingresso al reparto, porta che era del tipo antipanico, composta da due ante; che la porta era completamente aperta; che il fermo della porta si presentava annerito e si confondeva con il nero del pavimento; che vi erano stati già altri incidenti simili; che, in conseguenza della caduta, era stata trasportata presso il Pronto Soccorso, dove era stata diagnosticata la "frattura calcagno sx e frattura amielica D12"; che si erano resi necessari anche due interventi chirurgici, 16 giorni di degenza ospedaliera, l'applicazione di apparecchio gessato e una lunga riabilitazione; che l'Inail aveva riconosciuto la menomazione dell'integrità psicofisica del 20% per "rachide esiti di frattura di D12, operata con intervento di vertebra plastica e avvallamento della limitante superiore; preesistenza extralavorativa rachide: esiti di stenosi del canale vertebrale", ed aveva erogato la relativa rendita; - esponeva che: sussiste la responsabilità dell'Azienda Ospedaliera ex artt. 1218 e 2087 c.c., oltre che per la violazione del D. Lgs 81/2008, avendo la datrice di lavoro lasciato la protuberanza senza alcuna informazione, senza colorarla in modo diverso dal pavimento per distinguerla, per non aver installato altro tipo di fermaporta e per non aver tenuto chiuse entrambe o una sola delle ante; che la porta ed i sistemi di chiusura erano privi della certificazione UNI ENI 1154; che l’azienda è dunque tenuta a rifonderle il danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente all'incidente.
L’Azienda ospedaliera di Cosenza si è costituita in giudizio contestando le avverse argomentazioni ed affermando in particolare che non sussisteva la responsabilità datoriale; che, in particolare, al datore di lavoro non poteva imputarsi alcun inadempimento per omissione di misure di sicurezza, atteso che il supporto di bloccaggio della porta era conforme alle disposizioni vigenti; che non sussisteva alcun onere di informazione, atteso che la ricorrente frequentava quotidianamente i luoghi di lavoro e, pertanto, li conosceva, sicché l'incidente era stato determinato dalla sua disattenzione; che, in tal senso, mancava il requisito della prevedibilità ed evitabilità dell'evento; che il "quantum" del risarcimento chiesto era eccessivo e, comunque, la resistente doveva rispondere solo del danno differenziale rispetto alla rendita Inail.
Istruita la causa documentalmente, il Tribunale ha respinto il ricorso alla luce delle seguenti argomentazioni: <<…Deve anzitutto rilevarsi che la prova dell’incidente nei termini in cui è stato indicato da parte ricorrente (inciampo nel fermo della porta) è restato non compiutamente dimostrato, atteso che i testi L. e S. non hanno riferito della dinamica dell’incidente, dichiarando invece di essere intervenuti dopo e di aver visto la ricorrente a terra accanto alla porta con una scarpa o ciabatta vicino (e non addossata, come argomenta parte ricorrente nelle note difensive del 26.6.2019) al fermo della porta, circostanza questa da cui non può ricavarsi una presunzione di avveramento dell’incidente nei termini indicati ex art. 2729 c.c., che prescrive che il Giudice deve ammettere solo le presunzioni gravi, precise e concordanti [evidenziandosi al riguardo che le dichiarazioni del teste P., che riferisce di aver assistito tante volte a persone che inciampavano lì dove la ricorrente è inciampata (se pur il teste aveva appena affermato di non poter riferire nulla dell’incidente), sono generiche e, dunque, irrilevanti ai fini che qui interessano]. Deve aggiungersi che il principio di mancata contestazione specifica dell’incidente (richiamato da parte ricorrente) non è applicabile, atteso che tale principio prescrive la contestazione specifica (id est la ricostruzione alternativa dei fatti), sicché può applicarsi solo nei casi di conoscenza comune dei fatti, mentre per i fatti ignoti alla parte non sussiste la possibilità della detta ricostruzione alternativa (cfr. Cass. 3576/2013; Cass. 14652/2016). Il richiamo al principio della vicinanza della prova, poi, operato sempre da parte ricorrente, appare incongruamente formulato (sarebbe in ogni caso superato dalle argomentazioni appena esposte). Occorre ancora evidenziare che (mentre il richiamo alla sicurezza antincendio non è meglio argomentato rispetto ai fatti di causa) la violazione delle disposizioni del D. Lgs. 81/2008 sono di fatto incentrate sulla - non condivisibile - qualificazione del fermo della porta come protuberanza, laddove il termine deve essere interpretato come sporgenza che si forma su una superficie per un rigonfiamento o per una escrescenza, come evincibile dal punto 1.3.2. - allegato IV indicato dalla parte ricorrente (“I pavimenti dei locali devono essere fissi, stabili ed antisdrucciolevoli nonché esenti da protuberanze, cavità o piani inclinati pericolosi”), che richiama un criterio di conformazione del pavimento (tale per cui non rappresenta un pericolo) e non può estendersi ad un elemento che fa parte della struttura della porta. La parte ricorrente contesta poi l’omissione di misure precauzionali intese alla segnalazione del pericolo, quali la coloritura (ad esempio di rosso) del fermo della porta per farlo distinguere dal pavimento di colore scuro, affermandosi che il colore nero del fermo della porta si confondeva con tale colore scuro del pavimento; l’installazione di un fermo porta a nicchia, ovvero non sporgente; la chiusura di entrambe o una sola delle ante, in modo che il transito non avvenisse al centro, evitando il rischio di inciampo; la segnalazione dell’insidia presente sul pavimento. Al riguardo occorre evidenziare che il teste Sc. (guardia giurata presso l’Azienda Ospedaliera, dunque pienamente a conoscenza dei fatti per la frequentazione dei luoghi) riferisce che il fermo della porta era di colore grigio, né chiaro né scuro, mentre il pavimento sembrava al teste celeste. Tale circostanza è confermata dal teste P. (che lavora per l’Azienda Ospedaliera), secondo cui si trattava di “… un fermo di colore grigio penso …”, mentre il pavimento era di colore blu/celeste. L’argomentazione di parte ricorrente, dunque, secondo cui il fermo della porta era nero e si confondeva con il colore scuro del pavimento, rappresentando una insidia poiché non visibile, non ha trovato conferma. In tal modo, si aggiunge, non risulta compiutamente determinato l’oggetto dell’obbligo di informazione per un elemento che costituiva parte integrante della porta e che era visibile. Infine, l’affermazione di parte ricorrente secondo cui una o entrambe le ante dovevano restare chiuse per evitare incidenti si mostra, in disparte ulteriori considerazioni, generica, indimostrata e non compatibile con la necessità di consentire la normale attività lavorativa, o anche di semplice pulizia (lo stesso teste S. riferisce che le porte erano spalancate la mattina per consentire di asciugare quando lavavano e verso le otto si chiudevano, sicché deve ritenersi che del tutto ragionevolmente le porte erano aperte intorno alle 7.15, orario indicato da parte ricorrente per il riferito incidente). Le ulteriori argomentazioni svolte da parte ricorrente appaiono generiche (principalmente quelle relative ad un diverso tipo di fermo della porta, non specificate anche tecnicamente), anche perché incentrate sull’affermazione per cui il fermo porta costituiva un pericolo per un rischio di inciampo, che è circostanza che, per quanto detto, non ha trovato conferma. In definitiva, l’affermazione della responsabilità del datore di lavoro nel caso in esame si configurerebbe in termini di pura affermazione di responsabilità oggettiva, in senso non consentito secondo i consolidati principi giurisprudenziali per cui la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. non è una responsabilità oggettiva, trattandosi invece di responsabilità per colpa (tra le ultime Cass. Sez. Lav. 8911/2019), dovendosi peraltro affermare che non sono sufficientemente provati né il fatto costituente l’inadempimento, né il nesso di causalità tra tale asserito inadempimento ed il danno [rispetto ai quali l’onere spettava a parte ricorrente (cfr. Cass. Sez. Lav. 8855/2013)], in maniera tale che rimane assorbita anche ogni valutazione sulla colpa del datore di lavoro, che è restata priva di compiuta allegazione e che, in ogni caso, non è sussistente per le argomentazioni svolte. Occorre anche aggiungere che la domanda non è compiutamente determinata in ordine ai danni per i quali si chiede il risarcimento, non essendovi sufficiente riferimento al danno differenziale rispetto alla rendita Inail [che avrebbe postulato l’allegazione di una richiesta di risarcimento del danno secondo i principi per cui “… il raffronto tra risarcimento del danno civilistico ed indennizzo erogato dall'INAIL va effettuato secondo un computo per poste omogenee: vanno, dapprima, distinte le due categorie di danno (patrimoniale e non patrimoniale); il danno patrimoniale calcolato con i criteri civilistici va comparato alla quota INAIL rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato (volta all'indennizzo del danno patrimoniale); in ordine al danno non patrimoniale, effettuato il calcolo secondo i criteri civilistici, vanno, dapprima, espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) che spettano interamente al danneggiato e, poi, dall'ammontare complessivo del danno non patrimoniale così ricavato (corrispondente al danno biologico) va detratto (non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo) il valore capitale della quota della rendita INAIL destinata a ristorare, in forza del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, il danno biologico stesso …” (Cass. Sez. Lav. 9112/2019)]. Le voci di danno non patrimoniale (al di là del danno biologico), poi, sono restate indimostrate, non avendo i testi riferito nulla in ordine alle circostanze di fatto indicate da parte ricorrente a sostegno della specifica domanda [la parte ricorrente afferma circostanze relative al mutamento dello stile di vita della ricorrente; a notti insonni o comunque agitate legate al periodo in ospedale; al rimanere chiusa a casa; alla non frequentazione di persone e locali, all’evitare viaggi e passeggiate; all’impossibilità di svolgimento dell’attività di casalinga con l’espletamento di incombenze che la appagavano e ne realizzavano la personalità; alle confidenze agli amici sul sentirsi handicappata e menomata (capp. 20 e 21 del ricorso introduttivo)]. I testi escussi, del resto (evidenziandosi che non sono stati indicati ulteriori testi rispetto a quelli escussi), riferiscono di una conoscenza del tutto occasionale con la ricorrente, comprendendo anche il teste S. (il teste Lucente riferisce di aver conosciuto la ricorrente solo in occasione dell’incidente; il teste P. riferisce che all’epoca dell’incidente non conosceva la ricorrente e che la sua conoscenza della stessa è relativa alla circostanza per cui era sua collega), che afferma di essere amico del fratello della ricorrente (dal quale era aggiornato circa lo stato di salute della ricorrente medesima, venendo informato che aveva un guaio al ginocchio) e di non averla più vista. Al riguardo, in estrema sintesi, può essere sufficiente riportarsi a Cass. SS. UU. 26972/2008 (richiamata, tra le ultime, da Cass. Sez. Lav. 4886/2020) per cui il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che, dunque, deve essere allegato e provato, non trovando applicazione la tesi secondo cui il danno sarebbe “in re ipsa”, atteso che tale tesi snaturerebbe la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo. Conclusivamente la domanda va rigettata, rimanendo assorbite le ulteriori questioni proposte sulla base delle argomentazioni esposte. La peculiarità della vicenda e le ragioni della decisione, basata sulla richiamata incompiutezza probatoria, determinano la compensazione delle spese di lite>>.
La sentenza è gravata d’appello da P., con atto depositato il 4 giugno 2020. Costituitasi in giudizio, l’Azienda ospedaliera di Cosenza ha formulato le conclusioni sopra riportate.
La Corte, disposta ed espletata ctu medico-legale, alla fissata udienza, a seguito di trattazione scritta, decide come da allegato dispositivo.
Con la proposta impugnazione, la sentenza viene censurata per violazione e falsa applicazione degli artt.111, 32, 97 Cost., 132, II° comma n.4), 112, 113, 115, 116, 416, III° comma c.p.c., 2697,2727, 2051, 2087, 1218 cod. civ., artt.18, 36, 37, 63, 64, 68, All. IV punto n.1.3.2 nonché art. 8.2 punto 8.2.2 penultimo comma del D.M. 14.6.1989 n.236, 40 e 41 cod. pen., nonché artt. 12 e 13 Preleggi; deduce, in particolare, che la dinamica dell'incidente, per come dedotta nell'atto introduttivo - inciampo nel fermo-porta - era provata in base al principio di non contestazione, atteso il tenore della difesa della controparte, la quale ha affermato che l'incidente si è verificato per una disattenzione della dipendente; che, inoltre, l'incidente è avvenuto a causa di cose detenute in custodia dall'azienda ospedaliera, sicché, una volta negata la dinamica da lei indicata, l'azienda avrebbe dovuto dare una spiegazione alternativa, logica, della caduta.
La censura è fondata.
Orbene, l’allegato IV del DECRETO LEGISLATIVO 9 aprile 2008, n. 81 “Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” (GU Serie Generale n.101 del 30-04-2008 - Suppl. Ordinario n. 108), nello stabilire i requisiti dei luoghi di lavoro, con particolare riferimento agli “ambienti di lavoro” statuisce che “1.3.2. I pavimenti dei locali devono essere fissi, stabili ed antisdrucciolevoli nonché esenti da protuberanze, cavità o piani inclinati pericolosi”.
Ora, secondo l'azienda (cfr. pagina 5 della memoria di costituzione di primo grado), "il supporto di bloccaggio dell'anta passiva applicata sul pavimento risulta -.... - conforme alle disposizioni vigenti ed in particolare al DM 123/2007".
Sennonché, tale affermazione contrasta con il chiaro tenore della disposizione normativa del d.l.vo 81/2008 sopra richiamata, dal momento che il supporto di bloccaggio posto sul pavimento, in quanto fuoriesce dallo stesso, rappresenta una "protuberanza" vietata dunque, per ciò stesso, pericolosa.
Tanto premesso, rileva il Collegio che la circostanza che la sig.ra P. sia inciampata nel fermaporta è confermata dal teste Lucente Roberto, il quale ha affermato di avere visto la ciabatta della medesima vicino al fermaporta (con la porta completamente aperta). L'altro teste, S., ha aggiunto che la calzatura era vicino al fermaporta e la sig.ra P. era un poco più avanti. Se ne evince che, anche se i testi non hanno assistito alla caduta, hanno riferito elementi che consentono di affermare che i fatti si sono svolti nel modo descritto dalla lavoratrice: ne sono indice il ritrovamento della calzatura indossata dalla medesima in prossimità del fermaporta e la collocazione della sig.ra P., allorché è stata soccorsa, poco più avanti del menzionato ostacolo.
Ciò posto, si rammenta che per giurisprudenza consolidata “Il datore di lavoro, ai sensi dell'art. 2087 c.c., è tenuto a prevenire anche le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia del lavoratore, dimostrando di aver messo in atto a tal fine ogni mezzo preventivo idoneo, con l'unico limite del cd. rischio elettivo, da intendere come condotta personalissima del dipendente, intrapresa volontariamente e per motivazioni personali, al di fuori delle attività lavorative ed in modo da interrompere il nesso eziologico tra prestazione e attività assicurata”. (cfr. Cass, sez. lav. Ordinanza n. 16026 del 18/06/2018; Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 3763 del 12/02/2021). E nel caso di specie è da escludersi che l’evento sia il frutto di un comportamento esorbitante le mansioni assegnate, che richiedevano, nello specifico, l’effettuazione delle pulizie anche nei pressi del fermaporta. Pertanto, una volta accertata la violazione della norma di sicurezza dianzi indicata ed una volta escluso il rischio elettivo, va affermata la responsabilità dell’azienda appellata ex art. 2087 c.c. in relazione all’infortunio subito dalla sig.ra P..
Sul quantum debeatur si osserva quanto segue.
Il ctu medico-legale dott. Pietro M. ha accertato che, in conseguenza dei fatti per cui è causa, verificatisi il giorno 25 agosto 2015, la Sig.ra P.  riportò:”…politrauma, con Frattura vertebrale e affossamento della limitante superiore di D12, operata di cifoplastica con stent e Fratture plurime e poliframmentaria calcagno sinistro, operata di riduzione ed osteosintesi con fili di K poi rimossi “. Prosegue il perito: <<A seguito di tale complesso lesivo la P. veniva quindi sottoposta agli adeguati trattamenti clinico-chirurgici del caso presso la stessa Azienda Ospedaliera in cui si era infortunata, portando poi apparecchio gessato, sottoponendosi ai controlli chirurgici ed agli esami clinico-strumentali prescritti e praticando le necessarie terapie mediche e riabilitative, come risulta dalla documentazione sanitaria allegata al fascicolo processuale. Attualmente P. Rosanna, quali reliquati permanenti del politrauma riportato nel suddetto infortunio sul lavoro, presenta esiti anatomo-algo-disfunzionali a carico della colonna vertebrale e del piede sinistro, consolidati e descritti nel sopra riportato Esame Obiettivo Locale. Detti postumi invalidanti permanenti non sono stati influenzati nella loro etiopatogenesi e nella evoluzione clinico-chirurgica del trauma de quo da alcuna presenza di alterazioni anatomo- funzionali e/o degenerative preesistenti, inerenti la XII vertebra toracica ed il calcagno sx, come evidenziano gli atti medici esaminati ed i riscontri anamnestico-clinico-obiettivi. Residuano, quindi, alla periziata esiti rilevanti del politrauma riportato a seguito dell’infortunio lavorativo del 25.08.2015, comportanti menomazioni permanenti a carico del rachide e del piede sx e che si compendiano essenzialmente nelle menomazioni fisiche post-traumatiche permanenti sopra precisate. Ciò, come già detto, è acclarato dalla documentazione sanitaria sopra riportata ed allegata al fascicolo di causa, oltre che dalle notizie anamnestico-circostanziali opportunamente criticate ed è convalidato dalle risultanze dell’attuale indagine peritale. Orbene, dobbiamo qui correttamente valutare in che misura i postumi invalidanti permanenti residuati alla P. incidano sull’integrità psico-fisica della stessa alla stregua di danno biologico od alla salute, con riferimento ai criteri ed alle tabelle in uso per la valutazione del danno civilistico, nonché avuto riguardo alle tabelle delle menomazioni di cui al D.M. n. 38/2000. Nell’ambito della R.C., considerata la natura ed entità dei postumi permanenti residuati alla P. e le menomazione anatomo-funzionali riscontratele, per una valutazione ponderata con stima complessiva del danno, si fa riferimento alla Tabella di legge delle menomazioni dell’integrità psico-fisica di cui al D.M. 3.7.2003 – G.U. dell’11. 09.2003 n. 211, nonché ai più comuni baremes in uso per la “Valutazione Medico-Legale del danno alla persona in ambito Civilistico” : “ Luvoni – Mangili – Bernardi ”; ” Bargagna, Canale, Consigliere, Palmieri, U. Ronchi “, entrambi editi da Giuffrè; Tabella delle menomazioni prevista dall’art. n. 138 del Decreto Legislativo 7 Settembre 2005 n. 209; “E. Ronchi, L. Mastroroberto, U. Genovese– Giuffrè Editore“; “ Linee Guida per la Valuta= zione Medico-Legale del Danno alla Persona in ambito civilistico, della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni – SIMLA -, Giuffrè Editore 2016) “. E, alla luce delle valutazioni medico-legali del danno alla persona in ambito civilistico riportate nei suddetti baremes, il danno biologico permanente complessivo, residuato alla Periziata, risulta da valutare globalmente nella misura del Venti Per Cento (20%), dovendosi attribuire un danno biologico del 12% alla frattura vertebrale operata e del 10% alla frattura calcaneare operata, tenuto conto che in caso di più menomazioni (come nella fattispecie) il grado di invalidità non corrisponde alla somma delle singole percentuali, ma deve essere determinato con valutazione globale. Il complesso traumatico riportato dalla P., a seguito dei fatti per cui è causa, è compatibile con le modalità dell’infortunio lavorativo riferite dalla stessa e per come risultano dagli atti di causa ed anzi riconosce un nesso di causalità unico e diretto con l’infortunio medesimo, come emerso in atti ed anamnesticamente. Quindi, il Danno Biologico permanente od alla Salute derivato alla periziata dal politrauma riportato il 25.08.2015, in base alle tabelle di legge ed ai più comuni baremes in uso sopra citati per la valutazione del danno alla persona in ambito civilistico, è da valutare nella complessiva misura del Venti Per Cento (20%). Per quanto attiene la valutazione nell’ambito dell’Infortunistica del Lavoro, avuto riguardo per le tabelle delle menomazioni di cui al D.M. n. 38/2000, si concorda perfettamente con l’attribuzione alla Periziata del danno biologico permanente del 20% stabilito dai sanitari dell’Inail. Infine, in merito al danno biologico temporaneo, derivato alla P. dal predetto traumatismo, bisogna premettere che dalla documentazione Inail in atti risulta, oltre che il riconoscimento di un danno biologico permanente del 20%, una inabilità temporanea “assoluta” definita dall’Istituto in giorni 245, tenuto conto del periodo di carenza e del fatto che in ambito I.L. non si adopera la distinzione della inabilità temporanea in assoluta e parziale, in quanto per l’Inail l’inabilità temporanea è considerata ope legis soltanto l’inabilità assoluta, tale cioè da implicare la completa astensione dal lavoro, non essendo l’inabilità temporanea parziale indennizzabile dall’Istituto e, pertanto, si concorda anche con tale valutazione dell’Istituto. Detto ciò, avuto riguardo per gli atti medici esaminati e per quelli dell’Inail, nonché per la vicenda clinico-chirurgica sopra precisata e considerato che in ambito R.C. la temporanea è frazionabile, si può affermare che a seguito dell’infortunio lavorativo de quo, per la periziata si verificò un periodo di Inabilità Temporanea Assoluta di Giorni Ottantuno (gg. 81), coincidenti con i giorni di ricovero ospedaliero in cui venne sottoposta a due interventi chirurgici e portò apparecchio gessato, con ulteriore periodo – a scalare tra il 75% ed il 25% e medialmente al 50% - di Inabilità Temporanea Parziale al 50% di Giorni Centosessantotto (gg. 168), durante i quali la P. praticò le cure mediche e riabilitative del caso, anche con ricoveri in D.H. e necessitò di assistenza, fino alla definitiva stabilizzazione dei postumi invalidanti permanenti residuati, così come si evince dalla documentazione medica esaminata e secondo i comuni criteri di prognostica clinica-chirurgica>>.
Le conclusioni del perito non possono non essere condivise, in quanto esenti da errori e vizi logici; del resto, parte appellata le critica in modo del tutto generico, facendo riferimento all’accertamento del nesso causale, che peraltro, sotto il profilo giuridico, non spettava al ctu stabilire.
Ciò posto, considerato che alla data dell’infortunio ovvero al 25 agosto 2015, l’appellante aveva 63 anni ed applicando le tabelle elaborate dal tribunale di Milano per l’anno 2021, alle quali si fa abituale riferimento in questo ufficio (cfr Cass. n. 2167/2016 sull’utilizzo delle tabelle milanesi), tenuto conto della percentuale di menomazione pari al 20%, l’importo calcolato è pari ad € € 61.519,00, di cui € 45.235,00 per il solo danno biologico permanente ed € 16.284,00 quale quota ulteriore di danno non patrimoniale avuto riguardo alla sofferenza patita ed alla compromissione della qualità della vita dell’appellante, rapportata all’età non più giovane, derivanti dagli esiti dell’infortunio, Per quanto riguarda, invece, il danno biologico temporaneo, l’importo è pari ad € € 16.335,00 [ cioè € 8.019,00 (81 gg,) per temporanea assoluta, € 8.316,00 (161 gg) temporanea parziale al 50%].
Per la determinazione del danno differenziale rivendicato, occorre fare riferimento alle coordinate ermeneutiche fornite di recente dalla Suprema Corte, secondo cui (cfr Cass. 26117/2021): (a) se l'INAIL ha pagato al danneggiato un capitale a titolo di indennizzo del danno biologico, il relativo importo va detratto dal credito risarcitorio vantato dalla vittima per danno biologico permanente, al netto della personalizzazione e del danno morale; (b) se l'INAIL ha costituito in favore del danneggiato una rendita, occorrerà innanzitutto determinare la quota di essa destinata al ristoro del danno biologico, separandola da quella destinata al ristoro del danno patrimoniale da incapacità lavorativa; la prima andrà detratta dal credito per danno biologico permanente, al netto della personalizzazione e del danno morale, la seconda dal credito per danno patrimoniale da incapacità di lavoro, se esistente; c) poiché il credito scaturente da una rendita matura di mese in mese, il diffalco di cui al punto (b) che precede dovrà avvenire, con riferimento al danno biologico; c') sommando e rivalutando dei ratei di rendita già riscossi dalla vittima prima della liquidazione; c") capitalizzando il valore della rendita non ancora erogata, in base ai coefficienti per il calcolo dei valori capitali attuali delle rendite INAIL, di cui al d.m. 22 novembre 2016 ovviamente l'una e l'altra di tali operazioni andranno compiute sulla quotaparte della rendita omogenea al danno che si intende liquidare: e dunque la quota-parte destinata all'indennizzo del danno biologico o quella destinata all'indennizzo del danno patrimoniale, a seconda che si tratti di liquidare l'uno o l'altro;
(d) il risarcimento del danno biologico temporaneo, del danno morale e della c.d. "personalizzazione" del danno biologico permanente in nessun caso potranno essere ridotti per effetto dell'intervento dell'assicuratore sociale; (e) il credito per inabilità temporanea al lavoro e quello per spese mediche di norma non porranno problemi di calcolo del danno differenziale, essendo i suddetti pregiudizi integralmente ristorati dall'Inail, salvo ovviamente che la vittima deduca e dimostri la sussistenza di pregiudizi eccedenti quelli indennizzati dall'Inail (ad esempio, per la perduta possibilità di svolgere lavoro straordinario, o per spese mediche non indennizzate dall'Inail).
Nel caso di specie, dalla nota Inail prodotta dall’appellante in allegato (sub 3) alle note difensive depositate il 12 gennaio 2012, risulta che P. Rosanna è titolare di rendita n. 512188864 a seguito dell’infortunio occorso in data 25 agosto 2015, costituita in data 2 maggio 2016 con il grado di invalidità del 20%, tuttora in godimento. Dal prospetto sub allegato 2 depositato unitamente alle già menzionate note difensive, si evince che la rendita annua del danno biologico è di € 1.717,72; in base alle tabelle allegate al decreto ministeriale 1 aprile 2008 (pubblicato nel Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale del 21 maggio 2008) il coefficiente di capitalizzazione è di 15,2179; ne discende che il valore capitale del danno biologico è pari a € 26.140,09; i ratei di danno biologico già erogati ammontano ad euro 15.843,3 (euro 248,05 importo mensile del rateo di rendita, quale quantificato nel provvedimento di costituzione della rendita già citato, per 66, ossia il numero di mesi per i quali è stata a tutt’oggi liquidata la rendita); l’indennità temporanea erogata per i 245 giorni di inabilità temporanea assoluta accordati dall’Inail è (cfr. prospetto di liquidazione in allegato 13 del fascicolo di parte ricorrente di primo grado) di € 8.572,50.
Ciò posto, facendo applicazione dei criteri di scomputo indicati dalla Suprema Corte, occorre sottrarre sia i ratei di danno biologico già erogati (€ 15.843,3) sia il valore capitale del (solo) danno biologico che è di € 26.140,09; lo scorporo deve riguardare solo il danno biologico permanente, liquidato in complessivi € € 45.235,00, escludendo la quota del residuo danno non patrimoniale (che spetta per intero), l’indennità temporanea e le spese mediche; si deve, altresì, riconoscere l’intero importo del danno biologico temporaneo. L’importo totale spettante è dunque pari ad € 27.851,61 [€ 15.843,3+26.140,09=41.983,39; 45.235,00-41.983,39=3251,61 (danno biologico differenziale); a tale somma va aggiunto l’importo di € 16.284,00 (quale ulteriore quota di danno non patrimoniale, dovuta integralmente), nonché l’importo € 8.316,00 a titolo di danno biologico temporaneo].
Per i motivi suesposti, si accoglie l’appello per quanto di ragione e per l’effetto, in riforma della gravata sentenza, si condanna la parte appellata al pagamento in favore dell’appellante, a titolo di danno differenziale, della somma di € 27.851,61, oltre interessi e rivalutazione come per legge.
Le spese del doppio grado, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si pongono altresì a carico della parte appellata le spese di ctu, nella misura liquidata con separato decreto.
 

P.Q.M.
 

La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da P. Rosanna, con ricorso in data 4 giugno 2020, avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza, giudice del lavoro, n. 180/2020, resa in data 16 marzo 2020, così provvede:
1. accoglie l’appello per quanto di ragione e per l’effetto, in riforma della gravata sentenza, condanna la parte appellata al pagamento in favore dell’appellante, di € 27.851,61, per il titolo di cui in motivazione, oltre interessi e rivalutazione come per legge;
2. condanna l’appellata alla rifusione in favore dell'appellante delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate in complessivi € 4050,00 per il primo grado ed € 4180,00 per il secondo grado, oltre accessori di legge;
3. pone le spese di ctu, nella misura liquidata con separato decreto, definitivamente a carico dell’appellata.
Così deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio della Corte di appello, Sezione lavoro, 18 gennaio 2022
Il Consigliere estensore Dr.ssa Barbara Fatale
Il Presidente Dr.ssa Gabriella Portale