Categoria: Cassazione penale
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  • Cantiere Temporaneo e Mobile
  • Datore di lavoro
  • Dirigente e Preposto
  • Infortunio sul Lavoro

Responsabilità di AR. TU. per il delitto di lesioni colpose in danno di un lavoratore che subiva lesioni gravi a seguito di un infortunio sul lavoro verificatosi in un cantiere gestito da una societa' (s.n.c. M.T.N.) di cui il ricorrente era amministratore.

Secondo i giudici di merito AR., ritenuto datore di lavoro, aveva omesso di dotare delle necessarie cinture di sicurezza il lavoratore che operava ad un'altezza di circa nove metri dal suolo e non aveva predisposto alcuna sorveglianza sull'esecuzione dei lavori cosi' cagionando l'infortunio a seguito della caduta del lavoratore.

Il reato addebitato all'imputato e' da ritenere ormai prescritto.

In forza dell'art. 17 del D.P.R. 164/56 (oggi art. 123 del D.Lgs. 81/08) il montaggio e lo smontaggio delle opere provvisionali devono essere compiuti sotto la diretta sorveglianza di un preposto ai lavori.
La Sez. 4 si domanda allora se è possibile considerare opere provvisionali le attività dirette al disarmo del solaio.
E' indiscusso infatti che l'operaio infortunato fosse stato incaricato di disarmare le paratie del solaio posto ad un'altezza di nove metri dal suolo.

Per opera provvisionale si intende "ogni manufatto che venga realizzato in un cantiere a servizio dei lavori da effettuare, siano essi limitati ad una o piu' fasi delle operazioni costruttive, siano da riferirsi a tutta l'attivita' del cantiere e sino allo smobilizzo dello stesso."

All'operaio CH. era stato richiesto "di procedere, con la collaborazione di uno o due colleghi, al disarmo del secondo solaio, che consisteva nello smontaggio degli appositi pannelli e di ulteriori componenti, quali i puntelli di sostegno dei medesimi, utilizzati in occasione della posa del cemento (armatura del solaio)."

Orbene, "le attivita' in precedenza descritte rientrano in modo evidente tra le opere provvisionali indicate nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 17 atteso che si tratta di manufatti temporaneamente utilizzati per il periodo necessario all'esecuzione della posa del cemento armato. Sono dunque opere che vengono predisposte a tale fine e che, una volta terminata l'opera (definitiva) al cui servizio sono predisposte, devono essere smontate.

Ed e' proprio la natura non ripetitiva ed estranea alle caratteristiche fondamentali dell'opera che giustificata la previsione del Decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, articolo 17 che richiede la diretta sorveglianza di un preposto (ovviamente competente e informato sui rischi derivanti dal montaggio o dallo smontaggio delle opere provvisionali).


Nel caso in esame e' pacifico che non fosse presente alcun preposto e dunque e' vano il tentativo del ricorrente di prospettare un'anomala iniziativa da parte del lavoratore infortunato che avrebbe, in contrasto con le istruzioni impartitegli, iniziato di sua iniziativa lo smontaggio delle paratie protettive del solaio cadendo poi al suolo.


Con l'ulteriore conseguenza che, se anche fosse corretta la pretesa del ricorrente di ritenere imprevedibile ed abnorme l'iniziativa del lavoratore, appare del tutto logica la conclusione che la presenza di idoneo preposto avrebbe consentito di evitare il verificarsi dell'evento anche con la prescrizione dell'osservanza dell'obbligo per il lavoratore ad utilizzare le cinture di sicurezza."



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. BRUSCO Carlo G. - rel. Consigliere

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) AR. TU. N. IL (OMESSO);

avverso la sentenza n. 330/2008 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del 17/06/2008;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/11/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D'ANGELO Giovanni che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per essere il reato estitno per prescrizione.

La Corte:

FattoDiritto

1) AR. TU. ha proposto ricorso avverso la sentenza 17 giugno 2008 della Corte d'Appello di Cagliari che ha confermato (riducendo la provvisionale concessa dal primo giudice a favore della parte civile) la sentenza 26 maggio 2006 del Tribunale di Cagliari che, all'esito del giudizio abbreviato, l'aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia per il delitto di lesioni colpose in danno di CE. GI. (o CH. GI. come risulta in alcune parti delle sentenze di merito) che, il (OMESSO), subiva lesioni gravi a seguito di un infortunio sul lavoro verificatosi in un cantiere di (OMESSO) gestito da una societa' (s.n.c. M.T.N.) di cui il ricorrente era amministratore.

Secondo i giudici di merito AR. , ritenuto datore di lavoro, aveva omesso di dotare delle necessarie cinture di sicurezza il lavoratore che operava ad un'altezza di circa nove metri dal suolo e non aveva predisposto alcuna sorveglianza sull'esecuzione dei lavori cosi' cagionando l'infortunio a seguito della caduta del lavoratore.

2) A fondamento del ricorso si deduce, con il primo motivo, che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, il lavoratore infortunato non era addetto allo smontaggio di opere provvisionali e quindi non si rendeva applicabile il Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 17.
Non era quindi necessaria l'assistenza di un preposto mentre l'uso delle cinture di sicurezza non era obbligatorio per la natura dell'attivita' svolta.

Con il secondo motivo si deduce invece il vizio di motivazione perche' la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto che al lavoratore fosse stato impartito l'ordine di rimuovere i parapetti mentre egli era stato incaricato di disarmare il solaio; l'iniziativa di CE. era dunque da ritenere abnorme e imprevedibile. Inoltre il disarmo del solaio avrebbe dovuto avvenire con l'uso di un "trabatello" che non richiedeva, per la sua altezza, l'uso delle cinture di sicurezza.

Infine, con il terzo motivo, si censura la sentenza impugnata per non aver esplicitato le ragioni in base alle quali i giudici di appello, pur riducendone l'entita', hanno confermato la concessione della provvisionale in mancanza di responsabilita' del ricorrente nella causazione dell'incidente.

Il ricorrente ha presentato tempestivamente memoria difensiva contenente motivi nuovi con i quali illustra ulteriormente i motivi originari del ricorso deducendo anche il "travisamento dei fatti" per avere, il giudice di appello, omesso di rilevare che l'ordine impartito a CE. non era quello di rimuovere le opere provvisionali ma di disarmare il solaio come risulterebbe dai verbali allegati alla memoria. Ribadisce che la condotta del lavoratore e' stata abnorme e imprevedibile ed eccepisce comunque che il reato deve ritenersi prescritto.

3) Il reato addebitato all'imputato e' da ritenere ormai prescritto. Il termine ordinario di prescrizione, con le interruzioni, scadeva il 23 luglio 2008 e a questo termine possono aggiungersi solo 14 giorni di sospensione per l'adesione del difensore all'astensione dalle udienze dal 21 maggio al 4 giugno 2003.

In mancanza di altre cause di sospensione tali da coprire il periodo di tempo decorso fino ad oggi, o di cause di inammissibilita', deve pertanto essere applicata l'indicata causa estintiva a meno che non risulti applicabile l'articolo 129 c.p.p., comma 2, che consente di far prevalere la formula assolutoria di merito su quella di estinzione del reato.

4) Passando al tema dell'applicabilita' dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, si osserva che il presupposto per l'applicazione di questa norma e' costituito dall'evidenza della prova dell'innocenza dell'imputato. In questo caso la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla causa di estinzione del reato ed e' fatto obbligo al giudice di pronunziare la relativa sentenza. I presupposti per l'immediato proscioglimento (l'inesistenza del fatto, l'irrilevanza penale, il non averlo l'imputato commesso) devono pero' risultare dagli atti in modo incontrovertibile tanto da non richiedere alcuna ulteriore dimostrazione in considerazione della chiarezza della situazione processuale.

In presenza di una causa estintiva del reato non e' quindi piu' applicabile la regola probatoria, prevista dall'articolo 530 c.p.p., comma 2, da adottare quando il giudizio sfoci nel suo esito ordinario, ma e' necessario che emerga "positivamente" dagli atti, e senza necessita' di ulteriori accertamenti, la prova dell'innocenza dell'imputato (cfr. Cass., sez. 5, 2 dicembre 1997 n. 1460, Fratucello; sez. 1, 30 giugno 1993 n. 8859, Mussone).
E' stato affermato che, in questi casi, il giudice procede, piu' che ad un "apprezzamento", ad una "constatazione" (Cass., sez. 6, 18 novembre 2003 n. 48527, Tesserin; 3 novembre 2003 n. 48524, Gencarelli; 25 marzo 1999 n. 3945, Di Pinto; 25 novembre 1998 n. 12320, Maccan).

Da cio' consegue altresi' che non e' consentito al giudice di applicare l'articolo 129 c.p.p. in casi di incertezza probatoria o di contraddittorieta' degli elementi di prova acquisiti al processo anche se, in tali casi, ben potrebbe pervenirsi all'assoluzione dell'imputato per avere, il quadro probatorio, caratteristiche di ambivalenza probatoria.

Coerente con questa impostazione e' anche la uniforme giurisprudenza di legittimita' che, fondandosi anche sull'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilita', esclude che il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre all'annullamento con rinvio, possa essere rilevato dal giudice di legittimita' che, in questi casi, deve invece dichiarare l'estinzione del reato (cfr. la citata sentenza Maccan della 5 sezione ed inoltre sez. 1, 7 luglio 1994 n. 10822, Boiani).

Tutti questi principi hanno trovato conferma nella recente sentenza delle sezioni unite di questa Corte 28 maggio 2009 n. 35490, Tettamanti, rv. 244273-4-5, alle cui condivisibili motivazioni si rinvia integralmente.

5) E' necessario ora verificare se questi principi siano applicabili anche al caso in cui, nel processo penale, sia stata esercitata l'azione civile.

In questi casi, secondo l'uniforme giurisprudenza di legittimita', se la causa estintiva del reato e' intervenuta anteriormente alla sentenza di primo grado e' preclusa al giudice la possibilita' di pronunziarsi sull'azione civile e questo principio vale sia nel caso in cui il primo giudice abbia rilevato la causa estintiva sia nel caso in cui, erroneamente, non l'abbia rilevata (cfr. Cass., sez. 2, 29 gennaio 2009 n. 5705, Somma, rv. 243290; sez. 6, 19 settembre 2002 n. 33398, Rusciano, rv. 222426; sez. un., 13 luglio 1998 n. 10086, Citaristi, rv. 211191).

Se invece la causa estintiva e' sopravvenuta alla sentenza di primo grado il giudice di appello puo' decidere sull'azione civile anche nel caso di estinzione del reato per prescrizione o amnistia anche in mancanza di una precedente sentenza di condanna (v. Cass., sez. un., 11 luglio 2006 n. 25083, Negri, rv. 233918).

E' pero' da sottolineare che, nel giudizio d'impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunziata dal primo giudice (o dal giudice d'appello) ed essendo ancora pendente l'azione civile, il giudice penale, secondo il disposto dell'articolo 578 c.p.p., e' tenuto, quando accerti l'estinzione del reato per amnistia o prescrizione, ad esaminare il fondamento dell'azione penale.

In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell'impugnazione deve verificare la completa esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni o al risarcimento pronunziata dal primo giudice (o dal giudice d'appello nel caso in cui l'estinzione del reato venga pronunziata dalla Corte di cassazione).

Insomma deve essere ritenuto un principio inderogabile del processo penale quello secondo cui la condanna al risarcimento o alle restituzioni puo' essere pronunziata solo se il giudice penale ritenga accertata la responsabilita' penale dell'imputato; anche se l'estinzione del reato non gli consente di pronunziare condanna penale (v., in questo senso, Cass., sez. 1, 27 settembre 2007 n. 40197, Formis, rv. 237863; sez. 4, 8 ottobre 2003 n. 1484, Corinaldesi, rv. 227337).

6) Al fine di verificare se il ricorso debba essere esaminato anche ai fini civili (che sia stato proposto anche a questi fini non e' dubbio posto che il terzo motivo e' esclusivo della responsabilita' civile riguardando la provvisionale) - e quindi se debba essere accertata l'esistenza dei presupposti per la condanna sotto il profilo penale (sia pure ai limitati effetti civili di cui si e' detto) - occorre preliminarmente verificare se la parte civile debba ritenersi ancora presente nel giudizio di legittimita'.

A questo fine - la verifica della perdurante presenza dell'azione civile nel giudizio - va rilevato che, dagli atti del processo, risulta che la parte civile partecipo' all'intero giudizio di primo grado e al giudizio di appello precisando le proprie conclusioni prima della decisione. Malgrado sia stata regolarmente citata la parte civile non e' pero' comparsa, per mezzo del suo difensore, nel presente giudizio di legittimita'.

Cio' nonostante e' opinione della Corte che la parte civile debba ritenersi tuttora presente nel giudizio penale e che dunque la ricordata verifica dell'esistenza dei presupposti per l'affermazione della responsabilita' penale dell'imputato - ai soli fini della pronunzia sull'azione civile - debba essere in questa sede compiuta.

Com'e' noto il nostro processo penale prevede il principio cd. di "immanenza" della costituzione di parte civile espresso dall'articolo 76 c.p.p., comma 2 secondo cui "la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo".

Da questo principio deriva che la parte civile, una volta costituita, debba ritenersi presente nel processo anche se non compaia, che debba essere citata anche nei successivi gradi di giudizio (anche straordinari: per es. nel giudizio di revisione) anche se non impugnante e che non occorra per ogni grado di giudizio un nuovo atto di costituzione. Parimenti l'immanenza rimane ferma anche nel caso di mutamento delle posizioni soggettive (per es. morte o raggiungimento della maggiore eta') o di vicende inerenti la procura alle liti o la difesa tecnica (per es. l'abbandono della difesa).

Corollario di questo principio generale e' che l'immanenza viene meno soltanto nel caso di revoca espressa e che i casi di revoca implicita - previsti dal secondo comma dell'articolo 82 c.p.p. nel caso di mancata presentazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado o di promozione dell'azione davanti al giudice civile - non possono essere estesi al di fuori dei casi espressamente previsti dalla norma indicata ed in particolare ai casi di mancata presentazione delle conclusioni nel giudizio di appello, di cassazione e di rinvio (v., per l'affermazione di questi principi, Cass., sez. 4, 21 gennaio 2009 n. 10802, Motta, rv. 243976; sez. 6, 11 dicembre 2008 n. 48397, Russo, rv. 242132; sez. 4, 28 maggio 2008 n. 24360, Rago, rv. 240942; sez. 2, 20 maggio 2008 n. 24063, Quintile, rv. 240616; sez. 5, 8 febbraio 2006 n. 12959, Lio, rv. 234536; sez. 6, 6 maggio 2003 n. 25723, Manfredi, rv. 225576; sez. 1, 12 maggio 1998 n. 9731, Totano, rv. 211323).

Il principio di immanenza non comporta, ovviamente, che l'azione possa essere iniziata o proseguita anche se viene meno l'interesse (articolo 100 c.p.c.). In tal caso il venir meno dei requisiti per la costituzione di parte civile potra' formare oggetto di richiesta di esclusione della parte civile (articolo 80 c.p.p.) o di esclusione di ufficio (articolo 81 c.p.p.); ma, al di fuori di questi casi, la presenza della parte civile perdura in virtu' del principio indicato.

7) Alla luce dei principi in precedenza enunciati l'esame delle censure proposte consente di affermarne l'infondatezza sotto il profilo penale; il che consente di confermare le statuizioni civili e, a maggior ragione, di escludere la possibilita' del proscioglimento nel merito secondo la regola prevista dall'articolo 129 c.p.p., comma 2.

Esaminando congiuntamente i primi due motivi di ricorso e' infatti da osservare che gli accertamenti compiuti dai giudici di merito non pongono in discussione il presupposto di fatto su cui si fondano le censure: che l'operaio infortunato fosse stato incaricato di disarmare le paratie del solaio posto ad un'altezza di nove metri dal suolo. E questa conclusione la sentenza impugnata la trae dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa e da quelle rese dal teste MA. GR. .

Il dissenso del ricorrente riguarda invece l'applicabilita' a questa attivita' dell'allora vigente Decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, articolo 16 (riguardante la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni) secondo cui il montaggio e lo smontaggio delle opere provvisionali devono essere eseguiti sotto la diretta sorveglianza di un preposto.

Il primo problema da risolvere e' dunque quello relativo alla possibilita' di considerare "opere provvisionali", ai fini dell'applicabilita' della norma indicata, le attivita' dirette al disarmo del solaio.

Su questo punto esistono due precedenti di questa sezione (Cass., sez. 4, 13 dicembre 2007 n. 3504, Leta, rv. 239029 e 15 dicembre 1998 n. 2800, Breccia, rv. 213225) che hanno fornito la seguente nozione di opera provvisionale: "ogni manufatto che venga realizzato in un cantiere a servizio dei lavori da effettuare, siano essi limitati ad una o piu' fasi delle operazioni costruttive, siano da riferirsi a tutta l'attivita' del cantiere e sino allo smobilizzo dello stesso."

Secondo la stessa prospettazione del ricorrente (p. 3 del ricorso) l'operaio CH. era stato richiesto "di procedere, con la collaborazione di uno o due colleghi, al disarmo del secondo solaio, che consisteva nello smontaggio degli appositi pannelli e di ulteriori componenti, quali i puntelli di sostegno dei medesimi, utilizzati in occasione della posa del cemento (armatura del solaio)."

Orbene, in base alla nozione accolta nelle ricordate sentenze, le attivita' in precedenza descritte rientrano in modo evidente tra le opere provvisionali indicate nel Decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, articolo 17 atteso che si tratta di manufatti temporaneamente utilizzati per il periodo necessario all'esecuzione della posa del cemento armato. Sono dunque opere che vengono predisposte a tale fine e che, una volta terminata l'opera (definitiva) al cui servizio sono predisposte, devono essere smontate.

Ed e' proprio la natura non ripetitiva ed estranea alle caratteristiche fondamentali dell'opera che giustificata la previsione del Decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, articolo 17 che richiede la diretta sorveglianza di un preposto (ovviamente competente e informato sui rischi derivanti dal montaggio o dallo smontaggio delle opere provvisionali).

Nel caso in esame e' pacifico che non fosse presente alcun preposto e dunque e' vano il tentativo del ricorrente di prospettare un'anomala iniziativa da parte del lavoratore infortunato che avrebbe, in contrasto con le istruzioni impartitegli, iniziato di sua iniziativa lo smontaggio delle paratie protettive del solaio cadendo poi al suolo.

Con l'ulteriore conseguenza che, se anche fosse corretta la pretesa del ricorrente di ritenere imprevedibile ed abnorme l'iniziativa del lavoratore, appare del tutto logica la conclusione che la presenza di idoneo preposto avrebbe consentito di evitare il verificarsi dell'evento anche con la prescrizione dell'osservanza dell'obbligo per il lavoratore ad utilizzare le cinture di sicurezza.

8) Per le considerazioni svolte la valutazione della sentenza impugnata deve ritenersi corretta nella parte in cui ha confermato la penale responsabilita' dell'imputato con la conseguente conferma, in questa sede, delle statuizioni civili adottate dai giudici di merito; ne consegue, a maggior ragione, l'affermazione dell'inapplicabilita', da parte di questa Corte, dell'articolo 129 cpv. c.p.p..

Quanto al terzo motivo di ricorso, concernente gli interessi civili e la concessione della provvisionale, deve parimenti rilevarsene l'infondatezza essendo, le censure, direttamente collegate a quelle concernenti la responsabilita' dell'imputato.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4 penale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata ai fini penali perche' estinto il reato per prescrizione.

Rigetta il ricorso ai fini civili.