Cassazione Penale, Sez. 4, 22 luglio 2022, n. 29022 - Infortunio mortale durante la realizzazione dell'impianto fognario: responsabilità del direttore dei lavori del cantiere


 

 

Il direttore dei lavori è responsabile a titolo di colpa del crollo di costruzioni anche nell'ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli esercitare un'oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed in caso di necessità adottare le necessarie precauzioni d'ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell'assuntore dei lavori, rinunciando all'incarico ricevuto (così, Sez. 4, n. 46428 del 14/09/2018, A., Rv. 273991-01, con riguardo ad una fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del direttore dei lavori per aver consentito che questi iniziassero senza la nomina di un responsabile e senza la formazione di un documento di valutazione dei rischi, in zona soggetta a rischio di pericolo per la pubblica incolumità, dedotto in una ordinanza comunale interdittiva; cfr. altresì, in termini conformi, Sez. 4, n. 18445 del 21/02/2008, Strazzanti, Rv. 240157-01).


 

 

 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: D'ANDREA ALESSANDRO
Data Udienza: 05/04/2022
 

 

Fatto




1. Con sentenza del 7 gennaio 2021 la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Aosta del 5 giugno 2019 con cui G.A., in esito a giudizio abbreviato, era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione in ordine al reato di cui agli artt. 40, comma 2, e 589, commi 1 e 2, cod. pen.
Tale decisione era stata assunta pronunciandosi su una nuova richiesta di rinvio a giudizio, formulata dalla Procura della Repubblica di Aosta dopo che il Tribunale, con sentenza n. 260/2018, aveva disposto ai sensi dell'art. 521 cod. proc. pen. la restituzione degli atti al P.M., nella ritenuta insussistenza di responsabilità da parte del G.A. in ordine alla contestazione elevatagli in qualità di progettista dell'impianto di realizzazione dell'impianto fognario, al contempo, tuttavia, segnalando la possibile ricorrenza di un profilo di colpa gravante a suo carico nella qualità di direttore dei lavori, per aver omesso di prestare adeguata sorveglianza sull'andamento dei lavori di scavo.
1.1. Il G.A., infatti, è stato ritenuto responsabile di aver cagionato - nella qualità (per l'appunto) di direttore dei lavori del cantiere ove prestava attività la persona offesa - la morte di J.P., per colpa consistita in imprudenza, imperizia e negligenza, nonché per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro prescritte dagli artt. 2087 cod. civ.; 118, comma 1, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81; 119, comma 1, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81; 120, comma 1, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Per i giudici di merito, in particolare, l'imputato aveva omesso di vigilare sulla corretta esecuzione delle opere provvisionali e di sostegno dello scavo effettuato dalla vittima, necessarie per la sicurezza dei lavoratori, nonché di richiedere all'imprenditore M.F. la preventiva redazione del piano di sicurezza e, quindi, l'adozione delle misure idonee a impedire crolli delle pareti dello scavo, altresì omettendo di disporre, nell'inerzia dell'imprenditore, il blocco dei lavori o, quantomeno, la loro prosecuzione nell'interesse della sicurezza dei lavoratori.
1.2. Il tragico evento si era verificato nel mentre lo J.P., unitamente ad un altro operaio di nome H.F., era intento ad effettuare, all'interno del cantiere, uno scavo finalizzato alla posa in opera di una tubazione per le acque reflue posta al servizio di una stalla in costruzione, di proprietà della committente F.N..

Lo J.P. e l'H.F., in particolare, erano posizionati all'interno dello scavo - di profondità media di cm. 220-230 e di larghezza pari a circa cm. 110 -, privo di armature di sostegno e con ingenti depositi di materiale riposti sul ciglio, allorquando, del tutto inopinatamente, erano stati travolti da un movimento franoso distaccatosi dal lato rivolto a monte, così venendo schiacciati contro la parete dello scavo, con conseguente decesso dello J.P. per asfissia meccanica determinata dalla subita compressione dell'emitorace sinistro.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione G.A., a mezzo del suo difensore, deducendo cinque motivi di doglianza.
Con il primo ha eccepito inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 40, comma 2, e 589, comma 1, cod. pen., per aver ravvisato in capo al direttore dei lavori una posizione di garanzia a fini antinfortunistici, oltre a contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine all'individuazione della fonte di tale obbligo prevenzionistico.
La Corte di appello avrebbe, infatti, dapprima correttamente escluso l'ascrivibilità al prevenuto degli obblighi prevenzionistici di cui al d.lgs. n. 81 del 2008, per poi illogicamente ritenere che, nella sua veste di direttore dei lavori, si sarebbe dovuto attivare per riconoscere ed impedire il pericolo antinfortunistico concretamente verificatosi. In tal maniera, quindi, si sarebbe di fatto recuperato, sotto il profilo della colpa generica (imperizia), quanto escluso nei riguardi dell'imputato con riferimento alla colpa specifica, finendo per rimproverargli di non essersi attivato per scongiurare quello stesso evento che, in linea di principio, si era escluso che avesse l'obbligo giuridico di impedire.
Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento alle disposizioni che disciplinano la posizione del direttore dei lavori, avendo errato la Corte territoriale nell'individuare degli obblighi su di lui gravanti, oltre a mancanza e illogicità della motivazione in ordine alla portata dei doveri spettanti a tale figura.
La normativa applicabile al direttore dei lavori, infatti, prevede la sussistenza di obblighi e responsabilità sintetizzabili nel dovere di verifica e di garanzia della regolare esecuzione delle opere edilizie, e cioè della conformità di esse rispetto al capitolato di appalto ed ai titoli abilitativi, e non già alla regolarità antinfortunistica dell'iter operativo svolto, la cui vigilanza pertiene ad altre figure professionali. Sarebbe del tutto erroneo, pertanto, il riferimento effettuato dai giudici di merito - al fine di comprovare la colpevolezza del G.A. - a precedenti giurisprudenziali in cui era stata ritenuta la responsabilità del direttore dei lavori, atteso che, in tali casi, trattavasi di ipotesi, palesemente difformi da quella in esame, in cui il cedimento dell'opera era stato determinato da difformità progettuali ovvero dall'inadeguatezza dei materiali utilizzati, e cioè da condotte direttamente imputabili al direttore dei lavori.
Con la terza doglianza è stata lamentata contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine alla presunta difformità dello scavo rispetto al progetto.
A dire del ricorrente, la Corte di merito avrebbe errato nell'affermare che lo scavo avesse una profondità eccessiva e comunque superiore a quella indicata nel progetto redatto dal G.A., considerato che tale aspetto non era stato in alcun modo considerato nell'ambito di tale progetto. Ciò, del resto, era già stato accertato dal Tribunale di Aosta nella sentenza n. 260/2018, in cui era stato anche affermato che l'indicata omissione progettuale non avesse, comunque, avuto alcuna efficacia causale nella verificazione dell'evento mortale.
Con il quarto motivo è stata eccepita inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 40, comma 2, 41, comma 2, e 43, comma 3, cod. pen., per non avere la Corte di appello indicato in modo preciso il comportamento alternativo lecito e per avere omesso di valutarne l'efficacia impeditiva alla stregua del canone di elevata probabilità, oltre a contraddittorietà e mancanza di motivazione circa il nesso di causalità omissiva.
La Corte territoriale, cioè, non avrebbe fatto buon governo dei principi che regolano la causalità omissiva, mancando di precisare in cosa sarebbe consistita la colpa ascrivibile all'imputato, oltre ad individuare il comportamento alternativo lecito da lui esigibile, verificandone la reale efficacia impeditiva.
Con l'ultima censura è stata dedotta, infine, inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità con riferimento agli artt. 63 e 438, comma 6-bis, cod. proc. pen., per essere state utilizzate contra reum le dichiarazioni rese dal G.A. nel verbale di s.i.t. del 27 ottobre 2017, oltre a conseguente mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza della colpa.
Il giudice di secondo grado, infatti, avrebbe illegittimamente utilizzato dichiarazioni autoaccusatorie, pur essendo state rese dall'imputato senza il rispetto delle garanzie previste dall'art. 63 cod. proc. pen.

3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto, in accoglimento del ricorso, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
 

Diritto
 



1. Il ricorso non è fondato, per cui lo stesso deve essere rigettato.

2. Con riguardo, in primo luogo, ai motivi dedotti con le due censure introduttive, inerenti alla ritenuta insussistenza in capo al G.A. di uno specifico obbligo di impedire l'evento, deve essere osservato come l'imputato rivestisse, nel caso di specie, la qualifica di direttore dei lavori.
Rispetto a quest'ultima, la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato che, in relazione al tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro, il ricoprire l'indicata qualifica di direttore dei lavori non comporta automaticamente la responsabilità per la sicurezza sul lavoro, ben potendo l'incarico di direttore limitarsi alla sorveglianza tecnica attinente alla esecuzione del progetto (così, tra le altre: Sez. 4, n. 49462 del 26/03/2003, Viscovo, Rv. 227070-01; Sez. 4, n. 12993 del 25/06/1999, Galeotti, Rv. 215165-01).
Il direttore dei lavori nominato dal committente normalmente svolge un'attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all'esecuzione del progetto nell'interesse di questi, con la conseguenza che risponde dell'infortunio subito dal lavoratore solo se è accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere (Sez. 3, n. 1471 del 14/11/2013, dep. 2014, Gebbia, Rv. 257922-01), come, ad esempio, nel caso in cui venga affidato al direttore dei lavori il compito di sovrintendere all'esecuzione dei lavori, con possibilità di impartire ordini alle maestranze in virtù di una particolare clausola inserita nel contratto di appalto o qualora, per fatti concludenti, risulti la sua concreta ingerenza nell'organizzazione del lavoro (Sez. 3, n. 19646 del 08/01/2019, Gregorio, Rv. 275746-01).
E' stato reiteratamente chiarito - sia pure con riferimento agli artt. 4 e 5 del D.P.R. n. 547 del 1955 (comunque aventi analogia con il disposto degli attuali artt. 17, 18 e 19 d.lgs. n. 81 del 2008) - che destinatari delle norme antinfortunistiche sono i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti, mentre il direttore dei lavori è solo tenuto, per conto del committente, alla vigilanza dell'esecuzione fedele del capitolato di appalto nell'interesse di quello e non può essere chiamato a rispondere dell'osservanza di norme antinfortunistiche, a meno che non venga accertata una sua ingerenza nell'organizzazione del cantiere.
Una diversa e più ampia estensione dei compiti del direttore dei lavori, comprensiva anche degli obblighi di prevenzione degli infortuni, deve, pertanto, essere rigorosamente provata, attraverso l'individuazione di comportamenti che possano attestare, in maniera inequivoca, l'ingerenza di costui nell'organizzazione del cantiere, o comunque nell'esercizio di tali funzioni.
2.1. L'indicata esegesi, per cui la responsabilità del direttore dei lavori è esclusa ove questi non si sia ingerito nell'organizzazione del lavoro e non abbia assunto il compito di sovrintendere alla esecuzione dei lavori, deve, ritenersi superata dall'interpretazione resa nelle più recenti decisioni di questa Corte di legittimità - che il Collegio ritiene di condividere - per le quali il direttore dei lavori è responsabile a titolo di colpa del crollo di costruzioni anche nell'ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli esercitare un'oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed in caso di necessità adottare le necessarie precauzioni d'ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell'assuntore dei lavori, rinunciando all'incarico ricevuto (così, Sez. 4, n. 46428 del 14/09/2018, A., Rv. 273991-01, con riguardo ad una fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del direttore dei lavori per aver consentito che questi iniziassero senza la nomina di un responsabile e senza la formazione di un documento di valutazione dei rischi, in zona soggetta a rischio di pericolo per la pubblica incolumità, dedotto in una ordinanza comunale interdittiva; cfr. altresì, in termini conformi, Sez. 4, n. 18445 del 21/02/2008, Strazzanti, Rv. 240157-01).
2.2. Sulla scorta dell'indicato parametro ermeneutico, allora, risulta corretto l'assunto espresso dai giudici di merito per cui il ricorrente, una volta acquisita la formale qualifica di direttore dei lavori, non poteva esimersi dallo svolgimento dei compiti di vigilanza derivanti dall'indicato incarico.
Il G.A., infatti, era pienamente consapevole dell'effettuazione, all'interno del cantiere, di uno scavo finalizzato alla posa in opera di una tubazione per le acque reflue, così come dei rischi strutturalmente connessi alla sua realizzazione, atteso che tali lavori erano già iniziati il giorno antecedente alla verificazione dell'infortunio e che l'imputato, per come da lui stesso ammesso nel corso di sommarie informazioni testimoniali, si era recato «a visionare i lavori della stalla il giorno dell'incidente, ivi trattenendosi a suo dire dalle ore 13 alle 13,30 ma pure di aver visto che erano stati realizzati degli scavi per la posa della fognatura, sui quali però non si era soffermato, non ricordando di aver visto l'escavatore».
L'imputato, quindi, aveva acquisito piena contezza dell'attualità degli scavi per l'allacciamento fognario, dipanatisi secondo il percorso da lui individuato nella SCIA, e, ciò nonostante, non era intervenuto a verificarne l'effettiva regolarità, nonché la loro corrispondenza al progetto, omettendo così di adempiere al suo specifico «compito di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere in conformità dei progetti e della normativa edilizia ed urbanistica, oggetto della posizione di garanzia da lui rivestita».

3. Di nessun pregio è, poi, la doglianza dedotta con il terzo motivo, con cui il ricorrente ha lamentato la contraddittorietà e l'illogicità della motivazione con riguardo alla presunta difformità dello scavo rispetto al progetto - per il fatto di essere un aspetto non considerato nell'ambito di tale progetto - trattandosi comunque, per come chiarito nella sentenza impugnata, di scavo di profondità eccessiva e privo delle necessarie armature di sostegno, con proporzionale aumento del materiale di risulta estratto, inopportunamente posizionato sui fronti dello sbancamento con relativo aumento dei carichi.
La valutazione dell'indicato aspetto, ritenuto decisivo ai fini della verificazione dell'evento mortale, è stata resa dalla Corte di appello con motivazione priva di vizi logici, coerente con le emergenze processuali, in quanto tale insindacabile in questa sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altri, Rv. 242419-01).

4. Parimenti infondata è la censura con cui il G.A. ha dedotto, con il quarto motivo, la mancata indicazione del comportamento alternativo lecito, altresì omettendo di valutarne l'efficacia impeditiva alla stregua del canone di elevata probabilità.
Trattasi, infatti, di doglianza che non tiene in adeguato conto il giudizio controfattuale invece debitamente reso dalla Corte territoriale che, con motivazione del tutto logica e congrua, ha espressamente osservato che «se G.A. avesse effettuato un accesso alla parte terminale degli scavi, ne avrebbe certamente verificate le marchiane irregolarità, ed avrebbe impartito le necessarie misure precauzionali, quali il divieto assoluto di operare all'interno degli stessi, così impedendo la realizzazione dell'evento letale».

5. Privo di fondamento è, poi, anche l'ultimo motivo di ricorso, con cui l'imputato ha lamentato l'illegittimo utilizzo di proprie dichiarazioni autoaccusatorie, rese nel verbale di s.i.t. del 27 ottobre 2017, in quanto espresse in carenza delle garanzie previste dall'art. 63 cod. proc. pen.
Nel caso di specie, infatti, il G.A. non era stato ancora sottoposto ad indagine, per cui le sue propalazioni ben potevano essere utilizzate, come nel caso di specie avvenuto, trattandosi di celebrazione di un giudizio abbreviato.

6. Ne consegue, quindi, la pronuncia di rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 5 aprile 2022