Cassazione Penale, Sez. 4, 25 luglio 2022, n. 29367 - Infortunio durante i lavori «in nero» di resinatura della carena dell'imbarcazione da pesca. Definizione di lavoratore


 

 

Presidente: SERRAO EUGENIA
Relatore: RICCI ANNA LUISA ANGELA
Data Udienza: 26/05/2022
 

 

Fatto




1. La Corte d'appello di Genova con sentenza del 13 gennaio 2021 ha confermato la sentenza del Tribunale di Savona di condanna alla pena di anni due di reclusione nei confronti di G.B. in ordine al delitto di lesioni colpose, aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di A.N., avvenuto in Varazze in data 11 novembre 2017.
I fatti sono stati ricostruiti nelle sentenze di merito, conformi, nel modo seguente. G.B. nella qualità di datore di lavoro di fatto aveva commissionato a titolo oneroso a A.N. dei lavori «in nero» di resinatura della carena della sua imbarcazione da pesca che si trovava alata in secca all'interno di un cantiere, sopra due cavalletti; nella esecuzione di detti lavori A.N. era precipitato al suolo da un'altezza di circa 2,5 metri, procurandosi lesioni encefaliche e vertebrali tali da ridurlo in stato vegetativo permanente. L'addebito di colpa a carico dell'imputato è stato individuato nel non aver adottato, ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., tutte le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica erano necessarie a tutelare l'integrità fisica del prestatore del lavoro, oltre che nella violazione degli artt. 111 comma 1 lett.a) e 122 d.lgs 9 aprile 2008 n. 81, per non avere, nel quadro di un lavoro temporaneo in quota, scelto le attrezzature più idonee a garantire e mantenere le condizioni di lavoro sicure e per non avere adottato adeguate impalcature o ponteggio o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta delle persone.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo ha dedotto violazione di legge ed in particolare degli artt. 23 decreto legge 9 novembre 2020 n. 149 e 23 bis decreto legge 28 ottobre 2020 n. 137, conv. con modif. dalla legge 18 dicembre 2020 n. 176 per non essere stato celebrato il processo di appello in udienza pubblica. Lamenta il ricorrente che l'autorità procedente avrebbe dovuto dare aviso all'imputato personalmente della facoltà di richiedere la discussione orale e che in ogni caso, sulla base della disposizione transitoria dettata dall'art. 23, comma 5 del predetto decreto, la normativa in esame non avrebbe dovuto essere applicata al presente processo nel quale l'udienza del 13 gennaio 2021 era stata fissata il 23 ottobre 2020, ossia prima della entrata in vigore della legislazione emergenziale.

2.2 Con il secondo motivo ha dedotto violazione di legge processuale ed in particolare dell'art. 23 comma 2 D. L. 149/2020. Lamenta il ricorrente che il Procuratore Generale aveva formulato le sue conclusioni scritte oltre il termine del decimo giorno antecedente all'udienza, previsto dall'art. 23, ovvero otto giorni prima dell'udienza, ed in tal modo il difensore dell'imputato, tenuto a presentare a sua volta le sue conclusioni entro il quinto giorno antecedente all'udienza, aveva avuto solo tre giorni di tempo per controdedurre.
2.3 Con il terzo motivo ha dedotto la mancanza, l'illogicità e contraddittorietà della motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza all'epoca del fatto di un rapporto di lavoro subordinato fra A.N. e G.B.. Lamenta il ricorrente che la Corte, a fronte del rilievo per cui plurimi elementi avevano dimostrato come il rapporto di subordinazione non fosse attuale (G.B. non era presente sul luogo di lavoro; aveva sconsigliato a A.N. di proseguire la resinatura; non aveva consegnato il voucher per quella mattina a differenza che in tutte le precedenti occasioni), si era limitata a ribadire che era stato G.B. a incaricare A.N. di effettuare i lavori di resinatura della barca, così deducendo la persistenza del rapporto lavorativo dal fatto che detto rapporto era stato certamente in essere qualche giorno prima.
2.4 Con il quarto motivo ha dedotto la violazione di legge ed in particolare degli artt. 191 e 360 cod. proc. pen e assenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine alla affermazione per cui A.N., al momento dell'incidente, stava effettuando i lavori di resinatura ad un'altezza superiore a due metri dal suolo. La Corte, a fronte della censura per cui la misurazione di detta altezza avrebbe dovuto essere effettuata con le modalità di cui all'art. 360 cod. proc. pen,. aveva replicato che la misurazione non aveva di per sé alcun carattere di irripetibilità e che la modifica dei luoghi era avvenuta qualche mese dopo a seguito di un evento eccezionale, mentre in realtà tale modifica era stata prodotta da una mareggiata, ovvero da un evento prevedibile.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Lidia Giorgio, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

 

Diritto

 

1. Il ricorso deve essere rigettato.

2. I primi due motivi attengono alla trattazione del processo da parte della Corte di Appello di Genova in camera di consiglio con il rito cartolare ex art. 23 bis D.L 137/2020. Per quanto di interesse in questa sede in relazione alle censure mosse dal ricorrente, si ricorda che secondo tale ultima disposizione a decorrere dal 9 novembre 2020 per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero facciano richiesta di discussione orale o che l'imputato manifesti la volontà di comparire; il comma 4 dello stesso articolo prevede che la richiesta di discussione orale debba essere formulata per iscritto dal Pubblico Ministero e dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza, con trasmissione alla cancelleria della corte attraverso i canali di comunicazione previsti dal comma 2 e che entro lo stesso termine perentorio e con le stesse modalità debba essere formulata dall'imputato, sempre a mezzo del difensore, anche la richiesta di partecipazione all'udienza; entro il decimo giorno precedente l'udienza il Pubblico Ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte che invia l'atto immediatamente ai difensori delle altre parti, i quali entro il quinto giorno antecedente l'udienza possono presentare le conclusioni con atto scritto.
2.1 Ciò premesso le lamentate violazioni alla normativa emergenziale indicata sono infondate in quanto:
- la normativa su indicata era applicabile al processo celebrato davanti alla corte di appello di Genova, in quanto fissato per la data del 13 gennaio 2021, successiva al 9 novembre 2020. L'art. 23 bis, comma 5, d.l 137/2020, prevede che la normativa emergenziale si applichi a far data dal 9 novembre 2020 "per la decisione sugli appelli" con ciò evidentemente riferendosi alla data dell'udienza; il successivo comma 5 dello stesso articolo prevede che la disciplina dettata non si applichi ai procedimenti nei quali l'udienza per il giudizio di appello è fissata entro quindici giorni a far data dal 9 novembre 2020, ovvero per le udienze celebrate entro il 24 novembre 2020. Nella disciplina dettata dalla norma in esame la nozione di udienza fissata deve essere intesa come riferita alla data dell'udienza da celebrare e non già alla data di emissione del decreto di citazione, a nulla rilevando quindi che nel caso in esame il decreto di citazione per l'udienza del 13 gennaio 2021 fosse stato emesso il 23 ottobre 2020;
-nessuna norma prevede che, per effetto dell'entrata in vigore della disciplina emergenziale nelle more dell'appello, debba essere comunicato all'imputato il mutamento del rito in forma camerale partecipata;
- la sequenza procedimentale, supraindicata, prevede che, ove nessuna delle parti abbia formulato istanza di trattazione orale entro i quindici giorni liberi precedenti, il Procuratore genera le deve formulare le proprie conclusioni per iscritto entro il termine di dieci giorni prima dell'udienza, mentre le altre parti, alle quali le conclusioni debbono essere telematicamente inviate, possono presentare a loro volta conclusioni scritte entro il quinto giorno precedente l'udienza. Il tenore letterale della disposizione non prevede che le conclusioni del Procuratore generale siano trasmesse alle parti entro un termine perentorio, dovendosi comunque interpretare l'avverbio «immediatamente» nel senso che la cancelleria è tenuta a trasmettere le conclusioni del Procuratore alle altre parti nel più breve tempo possibile, ma nessuna nullità può prospettarsi quale conseguenza del mancato rispetto delle cadenze temporali indicate dalla norma. Il legislatore ha voluto garantire che sia la parte civile che l'imputato concludano dopo aver conosciuto la requisitoria del Procuratore generale, ma non ha condizionato il valido svolgimento del processo alla comunicazione tempestiva di tale requisitoria. In difetto di espressa indicazione di perentorietà e di connessa sanzione di nullità in caso di mancato rispetto dei suddetti termini. solo la cir costanza che le parti non siano state messe in condizione di concludere può costituire causa di nullità ai sensi dell'art. 178 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 38177 del 07/09/2021, Fantasia, Rv. 282373). Nel caso in esame, la sentenza risulta deliberata all'udienza del 13 gennaio 2021 e le conclusioni del Procuratore generale sono state depositate otto giorni prima, ossia in tempo utile per la formulazione da parte del difensore dell'imputato delle conclusioni entro i cinque giorni previsti dalla norma. Fra l'altro il ricorrente non ha specificato, come invece avrebbe dovuto, quale concreto pregiudizio egli abbia ricevuto dalla inosservanza del termine suddetto (Sez. 3 n. 40562 del 5.10.2021 non mass. secondo cui "Non ricorre alcuna violazione del diritto di difesa, e, conseguentemente, alcuna invalidità dell'udienza o della sentenza di appello a causa dei mancato rispetto del termine di dieci giorni per il deposito e la comunicazione delle conclusioni del pubblico ministero, non essendo stato specificato il concreto il pregiudizio derivato alla difesa da tale inosservanza").

3. Il terzo motivo, con cui si contesta la sussistenza di un rapporto di lavoro fra l'imputato e la vittima, è infondato.
3.1. Si deve premettere che nel caso in cui il giudice di appello confermi la sentenza di primo grado, le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, purché la sentenza di appello si richiama alla sentenza di primo grado e adotti gli stessi criteri di valutazione della prova (Sez . 2 n. 37295 del 12/06/2019 E. Rv. 277218). Quanto alla natura del ricorso in cassazione, si è affermato che il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione deve essere il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fetta che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (in motivazione, Sez. 6 n. 8700 dei 21/1/2013, Leonardo1 Rv. 254584). Sono, perciò, estranei alla natura del sindacato di legittimità l'apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015 Musso 1 Rv. 265482).
3.2. Con motivazione chiara, logica ed esaustiva i giudici di primo e secondo grado hanno spiegato le ragioni per cui hanno ritenuto sussistente un rapporto di lavoro fra l'imputato e la persona offesa. In particolare hanno ricordato come l'istruttoria avesse evidenziato che:
- era stato G.B. a incaricare il N. di effettuare lavori di manutenzione della barca;
- i tabulati telefonici avevano evidenziato numerosi contatti fra i due nei mesi di dicembre 2016 e gennaio 2017 riferibili, in assenza di qualsivoglia altro rapporto, a contatti di lavoro;
-G.B. aveva fornito a N. e all'altro lavoratore C. il materiale da utilizzare per il lavoro;
- la saltuaria collaborazione della persona offesa con un impresa di Pompe Funebri non gli aveva impedito di eseguire i lavori di rimessaggio su incarico di G.B.;
- il rapporto di lavoro era stato certamente in essere, come comprovato dalla predisposizione dei voucher nei mesi precedenti.
I giudici hanno, pertanto, concluso che l'accertamento compiuto dall'Ispettorato del lavoro non poteva inficiare le risultanze richiamate, in quanto fondato su diversi e più limitati elementi rispetto a quelli emersi nel corso dell'istruttoria.
A fronte di tale motivazione, il ricorrente ha chiesto di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ovvero una operazione che è estranea al giudizio di legittimità (Sez.2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747: Sez 5. n. 48050 dei 02/07/2019, 5., Rv. 277758; Sez.
3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217)
La Corte di Appello, inoltre, ha fatto buon governo dei principi di diritto elaborati in relazione alla applicabilità della normativa prevenzionistica a rapporti quale quello in esame. Appare sotto tale profilo, utile ricordare la definizione di lavoratore contenuta nel d lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ovvero «la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione» è più ampia di quella prevista dalla normativa pregressa nella quale si faceva espresso riferimento al «lavoratore subordinato» (art. 3, d.P.R. n.547 del 1955) e alla «persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro» (art. 2, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 626 del 1994) (in tal senso, Sez. 3, n. 18396 del 15/03/2017, Cojocaru, Rv. 269637).
Peraltro, già prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2008, la Corte ha qualificato come lavoratori subordinati coloro che, indipendentemente dalla continuità e dall'onerosità del rapporto, abbiano prestano la loro attività fuori del proprio domicilio alle dipendenze e sotto la direzione altrui (Sez. 4, n. 267 del 28/06/1988, Anorini RV. l80135) e ha affermato il principio che, ai fini della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, un rapporto di lavoro subordinato deve essere considerato tale in riferimento all'assenza di autonomia del lavoratore nella prestazione dell'attività lavorativa e non già in relazione alla qualifica formale assunta dal medesimo (Sez. 4, n. 12348 del 29/01/2008, Giorgi, Rv. 239251).

4. Infine il quarto motivo con cui si censura l'inutilizzabilità delle misurazioni della polizia giudiziaria sul luogo dell'infortunio in quanto non effettuate nelle forme di cui all'art. 360 cod. proc. pen. è infondato.
Occorre, innanzitutto, ricordare che la polizia giudiziaria, ex art. 354 cod.proc. pen, anche prima dell'intervento del Pubblico Ministero, può compiere accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose, quando vi è il pericolo che le tracce del reato le cose e luoghi si alterino, si disperdano o subiscano modificazioni. Il rilievo e l'accertamento cui si riferisce l'art. 354 cod. proc. pen. sono l'individuazione e la raccolta d1 dati materiali e si differenziano dall'accertamento tecnico che consiste, invece, nella valutazione critico comparativa effettuata sulla base di specifiche competenze tecniche.
Il meccanismo procedurale di cui all'art. 360 cod. proc. pen., che secondo il ricorrente avrebbe dovuto essere attivato o nel caso di specie, si riferisce non già alla mera raccolta del dato che non richiede conoscenze di tipo tecnico, bensì agli accertamenti tecnici veri e propri. Tale norma infatti, prevede che quando gli
accertamenti di cui all' art. 359 cod. proc. pen. ovvero gli "accertamenti, rilievi
descrittivi e fotografici ed ogni altra operazione per cui sono necessarie specifiche competenze" e per i quali, i1 Pubblico Ministero può nominare un consulente
tecnico, riguardano persone. cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile, il PM deve dare avviso alle parti del giorno, ora e luogo di conferimento dell'incarico in modo da garantire loro la possibilità di nominare propri consulenti.
Gli accertamenti previsti dall'art. 359 cod. proc. pen. e (nell'ipotesi di non ripetibilità) dall'art. 360 cod. proc. pen. sono, quindi, quelli che comportano studio e valutazioni critiche lo più su basi tecnico-scientifiche. Sono estranei alla previsione delle predette norme i rilievi o meri accertamenti che si esauriscono in attività materiale di lettura, raccolta e conservazione e che non richiedono alcuna discrezionalità o preparazione tecnica per la loro valutazione. In tal caso è consentito l'intervento diretto della polizia giudiziaria, che, nell'ipotesi di urgenza e senza le garanzia del contraddittorio di cui all'art. 360 c.p.p., può procedere di sua iniziativa, in virtù del già richiamato art. 354 cod. proc. pen. Con tale norma il legislatore ha inteso attribuire alla polizia giudiziaria una mera raccolta di dati o, comunque, operazioni di carattere materiale che non comportino alcuna elaborazione critica e tantomeno di carattere scientifico, come confermato dal fatto che si fa riferimento ad accertamenti e non già ad "accertamenti tecnici" (in tal senso Sez. 3, 38087 del 2/7/2009, Cinti, Rv 244928).

Facendo applicazione di tali principi al caso di specie, la misurazione effettuata dalla polizia giudiziaria dell'altezza del piano di lavoro dal suolo, in sede di indagini volte alla ricostruzione della dinamica dell'infortunio ed alla individuazione della responsabilità del datore di lavoro, era accertamento che non comportava alcuna valutazione discrezionale o di carattere tecnico. La circostanza per cui non sia stato più possibile effettuare nuovamente tale misurazione, in quanto la barca era stata nel frattempo spostata a causa di una mareggiata, non ha dunque alcun rilievo, a prescindere dalla prevedibilità o meno di tale evenienza.

5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.



Rigetta il ricorse e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Deciso il 26 maggio 2022