Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 09 agosto 2022, n. 30809 - Caduta dal tetto dell'operaio della ditta appaltatrice e condanna, nel merito, del committente: per la Corte gli addebiti colposi non sono congruenti rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio


 

 

Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: CIRESE MARINA Data Udienza: 05/05/2022
 

 

Fatto



1. Il Tribunale di Milano con sentenza in data 13.3.2018 ha ritenuto LR.S., LR.F., nelle rispettive qualità di soci amministratori della ditta "Fratelli LR. di LR.S.- LR.F. e C. s.n.c.", ditta esecutrice, e P.A., nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della società Marca s.r.l., società committente, colpevoli del reato di cui agli artt. 113 e 590, commi l, 2, 3 e 5 cod. pen. per avere cagionato con cooperazione di condotte colpose le lesioni patite da L.E.B., dipendente della "Fratelli LR. di LR.S.- LR.F. e C. s.n.c." nonché per una serie di violazioni del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81 (come meglio descritte nell'imputazione) e li ha condannati alla pena di mesi sei di reclusione (i primi due) e mesi due di reclusione (il secondo) oltre al risarcimento del danno patito dalla parte civile costituita da liquidarsi in separato giudizio con concessione di una provvisionale immediatamente esecutiva.

Interposto gravame avverso detta pronuncia da parte degli imputati, la Corte d'appello di Milano con sentenza in data 2.3.2021, in parziale riforma della sentenza di primo grado, concesse le circostanze attenuanti generiche a LR.S. e LR.F. equivalenti alle contestate aggravanti, ha rideterminato la pena nei loro confronti in mesi tre di reclusione ciascuno con pena sospesa nei confronti di tutti gli imputati. Ha altresì revocato le statuizioni civili nei confronti di LR.S. e LR.F. e la provvisionale nei confronti di P.A. rimettendo con riferimento a quest'ultimo le parti dinanzi al competente giudice civile.

1.2. Dalla ricostruzione offerta dalle sentenze di merito il fatto può essere così riassunto:

in data 9 marzo 2015 nel corso dei lavori di esecuzione di un appalto stipulato tra la Società Marca s.r.l. quale committente e la Fratelli LR. s.n.c. quale appaltatrice, avente ad oggetto la sostituzione del manto di copertura in eternit di un capannone in Nerviano di proprietà della Marca s.r.l., L.E.B., dipendente della Fratelli LR. s.n.c., sfondando una lastra di cemento amianto precipitava dalla quota del tetto del capannone per circa sette metri cadendo all'interno dello stesso e procurandosi lesioni consistite in frattura I costa destra e VIII, IX e X sinistra con contusione polmonare e conseguente incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a quaranta giorni.
Il L.E.B. era salito in quota con la piattaforma sollevatrice e privo, come gli altri operai, di un dispositivo individuale anticaduta; la copertura del tetto era inoltre priva di protezioni perimetrali atte ad evitare la caduta dall'alto e non pedonabile in sicurezza. Esistevano, come comprovato dalle foto in atti, strettissimi corridoi costituiti da travi autoportanti in cemento alternate alle lastre non calpestabili in eternit.
Le sentenze di merito sulla scorta delle prove testimoniali assunte hanno ritenuto provata la responsabilità tanto dei datori di lavoro dell'infortunato, LR.F. e LR.S., quanto di P.A., Presidente della Marca s.r.l.
Quanto ai primi. gli stessi venivano ritenuti responsabili dei reati loro contestati in quanto avevano omesso di redigere il POS attinente lo specifico cantiere avendone redatto uno riguardanti lavori di impermeabilizzazione al tetto e non invece quelli di rimozione della copertura in lastre di cemento amianto e non avevano predisposto opere provvisionali atte ad impedire la caduta dall'alto, né linee vita, parapetti o tracciati pedonabili.

Con riguardo al P.A., in particolare, il quale aveva delegato al figlio M. l'incombenza di accompagnare la ditta appaltatrice al capannone per il sopralluogo, l'addebito è quello di aver omesso di verificare che il suo delegato avesse fornito all'appaltatore secondo la cooperazione imposta dall'art. 26 comma 2 lett. a) d.lgs. n. 81 /2008 ogni informazione circa la situazione della copertura, di non aver preso informazioni circa la serietà con cui l'appaltatore aveva da sé valutato le condizioni del luogo di lavoro concludendo un contratto di appalto che ometteva la specifica delle opere provvisionali e di non aver cooperato con il datore di lavoro nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi incidenti sull'attività lavorativa oggetto del contratto di appalto.

Non è stata invece ritenuta la responsabilità del medesimo in relazione all'art. 100 d.lgs. n. 81 /2008 giacché la redazione del PSC non era obbligatoria in assenza di interferenza tra ditte in operatività.

2. Avverso la sentenza d'appello P.A., a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.

Con il primo motivo deduce la violazione ed erronea applicazione degli artt. 40 e 43 cod. pen. nonché travisamento del fatto e della prova e contraddittorietà della sentenza impugnato risultante dal testo e da altri atti del processo specificamente indicati ex art. 606 comma l, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen.

Assume che non sussiste alcun nesso di causalità tra il comportamento del P.A. e l'evento atteso che lo stesso non era stato avvisato dell'inizio dei lavori e che il rispetto delle regole di sicurezza incombeva sul datore di lavoro di L.E.B.. Rileva altresì la manifesta contraddittorietà della sentenza impugnata laddove sulla scorta degli atti e delle dichiarazioni dei testi può affermarsi il travisamento del fatto e della prova.
Con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione, l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale - Artt. 113 e 590 cod. pen. e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale- art. 26 e l00 d.lgs. n. 81 del 2008 ex art. 606, comma l, lett. b) cod. proc. pen.

Assume che nella specie la responsabilità dell'evento non può ascriversi al committente in quanto nel luogo del sinistro non operavano contemporaneamente lavoratori dipendenti sia dal committente che dall'appaltatore; inoltre il capannone ove è avvenuto l'incidente non può qualificarsi azienda in quanto la Marca s.r.l. non aveva neanche la disponibilità giuridica del luogo (in uso a tale Pe.).

Unico datore di lavoro e responsabile dei rischi connessi era, pertanto, la Fratelli LR. s.n.c. non ricorrendo peraltro alcuna ipotesi di rischio interferenziale in quanto sul cantiere erano presenti solo i prestatori d'opera subordinati della Fratelli LR. s.n.c.

Con il terzo motivo di ricorso deduce l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 597 cod.proc. pen. per violazione del principio della reformatio in peius ex art. 606 comma l, lett. b) cod.proc.pen.

Assume che la sentenza di appello ha riformato in peius quella di primo grado irrogando al P.A. la pena di mesi tre di reclusione in luogo di quella di mesi due inflitta in primo grado.

3. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso.
 



Diritto



1.1. Va esaminato in via prioritaria il secondo motivo del ricorso.

La censura attinge la ritenuta sussistenza in capo al P.A., quale committente, delle violazioni di cui all'art. 26 comma 2 lett. a) e 26 comma 5 d.lgs. n. 81 del 2008 ponendo il problema della corretta individuazione del perimetro di applicabilità della norma anzidetta .
Va premesso che l'art. 26 d.lgs. n. 81/2008 disciplina e presidia il processo di sicurezza sul lavoro in tutte quelle situazioni in cui all'interno di un luogo di lavoro , per effetto della stipula di contratti frutto della scelta del datore di lavoro, facciano ingresso soggetti estranei all'attività di impresa, ma che comunque operano nell'interesse del processo produttivo, venendo però inevitabilmente a realizzarsi, per effetto di tale interferenza, condizioni aggiuntive di rischio per la tutela dei lavoratori.
La ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro. In particolare, è quella di far si che il datore di lavoro "committente" appresti all'interno della propria azienda quanto necessario al fine di prevenire ed evitare i rischi aggiuntivi detti interferenziali, derivanti cioé dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente di lavoro dove prestano la propria attività lavorativa.

L'art. 26 d.lgs n. 81/2008 è stato poi integrato rispetto alla versione originaria dall'art. 16 D.Lgs. 106/2009 con l'aggiunta al primo comma dell'inciso "...sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo".

Il profilo soggettivo, che è quello che viene qui in rilievo, è stato nel tempo oggetto di diverse interpretazioni giurisprudenziali in relazione alla questione se gli obblighi contemplati dall'art. 26 cit. fossero applicabili anche al committente che non sia imprenditore. L'interpretazione cui è giunta la giurisprudenza é nel senso di ritenere che il committente ex art. 26 sia un vero e proprio datore di lavoro, e non un soggetto privato.

Ne deriva che la disciplina di cui all'art. 26 cit. ha come ambito di applicazione l'azienda, il ciclo produttivo, sempre che il datore di lavoro abbia la disponibilità giuridica dei luoghi ove si svolge l'appalto.

Ebbene posti tali principi, dalla lettura delle sentenze di merito , è incontestato che nel caso dedotto in giudizio il contratto di appalto stipulato tra LR. s.n.c. e la Marca s.r.l. aveva ad oggetto i lavori di sostituzione delle travi di copertura di un capannone industriale di proprietà della seconda e detenuto da tale Pe. che lo utilizzava come deposito di talché l'immobile non era neanche nella disponibilità giuridica della società committente.

E' del pari incontroverso che nella realizzazione dei lavori de quibus non erano coinvolte altre imprese essendo stati presenti in loco i soli prestatori di lavoro alle dipendenze della Fratelli LR. s.n.c. cosicché non era neanche configurabile un rischio di tipo interferenziale.
Pertanto il richiamo all'art. 26 d.lgs. n. 81 /2008, in quanto disciplinare una fattispecie diversa, si rivela incongruo.
Inoltre dalla lettura delle sentenze di merito non si evince neppure che l'imputato abbia attuato quella "ingerenza" espressiva di una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, tale da renderlo, per questa ragione, destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore, tra questi quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere.
Invero, l'"ingerenza", quale fattore idoneo a coinvolgere il committente nella responsabilità per eventi lesivi occorsi agli addetti,deve consistere in una attività di concreta interferenza sul lavoro altrui, tale da modificarne le modalità di svolgimento e da stabilire comunque con gli addetti ai lavori un rapporto idoneo ad influire sull'esecuzione degli stessi (ex multis, cfr., in motivazione, Sez. 4, n. 14407 del 07/12/2011, dep. 2012, P.G. e P.C. in proc. Bergamelli, Rv. 253295).
Pertanto, una volta che la Manca s.r.l. aveva provveduto ad individuare un soggetto dotato dei previsti requisiti tecnico-organizzativi per la realizzazione dei lavori (profilo che eventualmente avrebbe potuto radicare una culpa in eligendo, che non risulta essere mai stata contestata nel presente giudizio) e rilevato peraltro che con riguardo al luogo in cui l'opus andava realizzato non può parlarsi di cantiere, il rischio specifico relativo allo smaltimento delle lastre di amianto incombeva unicamente sulla Fratelli LR. s.n.c.
Alla luce di quanto fin qui esposto, gli specifici addebiti colposi mossi all'odierno imputato non risultano congruenti rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio che quindi dovrà essere nuovamente valutata.

2.2. I restanti motivi di ricorso sono assorbiti.

Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.


P.Q.M.
 


Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.

Così deciso il 5 maggio 2022