Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 15 settembre 2022, n. 33969 - Manutenzione del macchinario in movimento e amputazione della mano del lavoratore. Nessuna abnormità di comportamento


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 07/04/2022
 

 

Fatto




1. La Corte di appello di Firenze ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale della stessa città emessa nei confronti di R.M. riconoscendo in suo favore le circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata e riterminando, in conseguenza la pena.
2. L'imputato è stato condannato per il delitto di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. perché, quale presidente della Revet Vetri s.r.l., avente sede in Empoli e datore di lavoro di P.D., aveva cagionato al suddetto lavoratore, per colpa generica e per violazione delle norme in materia di sicurezza del lavoro, lesioni da schiacciamento della mano sinistra, da cui era derivata l'amputazione della mano e di parte dell'avanbraccio sinistro. L'infortunio si era verificato il 27/02/2016, presso la sede operativa della Revet Vetri ove il P.D. svolgeva mansioni di manutentore, quale lavoratore interinale dipendente dell'Agenzia Lavorapiù s.p.a. ed era stato ricostruito, nel corso del dibattimento, sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, da alcuni dipendenti della società e dall'operatore della ASL Leopardi. Nello svolgimento delle proprie mansioni di manutentore, il P.D. era salito, tramite una scala in metallo, sulle travi in ferro che sorreggevano il nastro trasportatore per eseguire la pulizia ed eliminare i residui di vetro. Per fare ciò, operando con il macchinario in movimento, aveva sollevato con la mano destra la gomma che fungeva da protezione al rullo, mentre con la sinistra cercava di eliminare i pezzi di vetro. Durante questa operazione, la punta del guanto sinistro rimaneva impigliata tra il rullo ed il nastro, per cui la mano sinistra era catturata dal rullo che aveva trascinato il corpo del lavoratore. Richiamati dalle urla dell'infortunato, i compagni di lavoro arrestavano il moto del macchinario tramite il pulsante di emergenza. Era emerso che il rullo trasportatore era dotato di un carter metallico la cui funzione era di impedire il contatto tra il corpo dell'operatore e le parti meccaniche in movimento; tale carter aveva, però, subito un'alterazione perché era stata praticata un'apertura chiusa con un pezzo di gomma fissata con una barretta metallica. Alcuni dipendenti avevano poi riferito che, nonostante fosse prescritto che le operazioni di pulizia dovessero avvenire a macchinario fermo, spesso venivano fatte con il macchinario in movimento in quanto la rotazione consentiva una maggiore possibilità di eliminare i residui di vetro incastrati nel macchinario.
3. Il Tribunale aveva affermato la responsabilità dell'imputato reputando che egli avesse violato l'obbligo su di lui incombente, quale datore di lavoro, di fornire attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza e garantire l'eliminazione dei difetti che potessero pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori, nonché permesso l'instaurarsi di una prassi operativa pericolosa.

4. Avverso la prefata sentenza ricorre il difensore dell'imputato articolando due motivi.
4.1. Con il primo, deduce violazione degli artt. 50, 51, 178 e 179 cod. proc. pen. e dell'art. 17, comma 3, d.lgs. n. 116/2017, perché le funzioni di pubblico ministero erano state svolte da un v.p.o., in luogo di un magistrato togato come previsto - dal predetto art. 17, comma 3 - nel caso dei delitti di cui agli artt. 589 e 590 cod. pen. commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
4.2. Con il secondo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo agli artt. 40, 41, 589 cod. pen., nonché all'art. 71 d.lgs. n. 81/2008, laddove la Corte del merito esclude che la condotta della vittima sia stata esorbitante o comunque abnorme - abnormità ribadita con il presente motivo - con conseguente esclusione del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento. Il P.D., del tutto arbitrariamente ed esorbitando delle istruzioni ricevute, si era avvicinato al rullo in movimento utilizzando una semplice pistola ad aria compressa, invece che il previsto tubo di gomma lungo un metro. A conferma dell'assunto, il ricorrente riporta uno stralcio della deposizione di E.Y.. Con riferimento all'art. 71 cit., si sostiene in particolare che il P.D. avrebbe alterato, spostato e forzato il sistema di protezione presente sul macchinario, non facendo spegnere prima l'impianto e non facendo uso del predetto tubo per la pulizia, come da istruzioni e relativa formazione ricevuta, idoneo ad evitare qualunque contatto diretto con gli arti.
5. Il Procuratore Generale chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.




Diritto




1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo è privo di pregio. Il disposto dell'art. 72, comma 2, dell'Ordinamento Giudiziario, che prevede la non delegabilità delle funzioni di pubblico ministero in relazione a procedimenti relativi a reati diversi da quelli per cui si procede con citazione diretta a giudizio ai sensi dell'art. 550 cod. proc. pen., è indicativo di un mero criterio di massima cui il Procuratore della Repubblica deve attenersi nel conferire la delega a vice procuratori onorari e agli altri soggetti indicati nel comma 1, lett. a) della predetta disposizione (sempre che non sussistano contrarie esigenze di servizio che ne impongano il superamento). Ne consegue che la delega al vice procuratore onorario, per svolgere le funzioni di pubblico ministero in relazione a procedimenti diversi da quelli da celebrare nelle forme contemplate dall'art. 550 cod. proc. pen., non dà luogo ad alcuna nullità ex art. 178 lett. b), cod. proc. pen. (cfr. Sez. 6, n. 2232 del 16/12/2010, dep. 2011, Cannizzaro, Rv. 249199 - 01; Sez. 4, n. 30439 del 12/07/2005, Avvisati, Rv. 232022 - 01, massimata nei seguenti termini: "Il criterio della non delegabilità delle funzioni di P.M. a soggetti non togati nei procedimenti per reati diversi da quelli per i quali si procede con la citazione diretta a giudizio, stabilito dall'art. 72, ultimo comma, dell'ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941 n. 12), costituisce una prescrizione per i dirigenti degli uffici requirenti, relativa alla organizzazione del lavoro nelle Procure, ma non ha rilievo esterno all'ufficio e non incide sulla validità delle deleghe conferite e degli atti compiuti. Detta normativa, infatti, detta soltanto un criterio di massima al quale l'organo delegante deve attenersi compatibilmente con le inderogabili esigenze di funzionamento dell'ufficio, senza che l'apprezzamento di tali esigenze possa assumere rilievo esterno all'ufficio e dar luogo ad implicazioni sulla capacità della parte pubblica nel processo").
Invero, deve essere richiamato il principio di tassatività delle nullità, per il quale "L'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge" (art. 177 cod. proc. pen.).
3. Parimenti infondato è il secondo motivo concernente la pretesa abnormità del comportamento della persona offesa. Sul punto, occorre ricordare come la giurisprudenza di questa Corte sia assolutamente costante nel ritenere che la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386; Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Milio ed altri, Rv. 250710, che ha precisato che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misura di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli). Si è, in particolare, precisato che, per potersi parlare di abnormità del comportamento del lavoratore, è necessario che esso sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti Federica Micaela, Rv. 280914; Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603). Niente di tutto ciò è riscontrabile nel caso di specie, nel quale il rischio concretizzatosi nell'evento non può certo dirsi esorbitante o diverso rispetto a quello connesso al compito affidato al lavoratore. Sul punto, la Corte di appello ricorda come la deposizione del P.D. sia stata riscontrata dalle dichiarazioni dei testi G. e Y., i quali hanno riferito che le operazioni di pulizia erano spesso compiute a macchinario in movimento per far fronte alle situazioni illustrate dal P.D. (e cioè che, a macchina ferma, non si riescono a togliere tutti i detriti rimasti sotto il nastro, atteso altresì che, per arrestare il macchinario, bisogna azionare un fungo di emergenza distante dalla postazione, operazione difficile da fare da soli).
In particolare, dalla lettura congiunta delle sentenze di merito - che si fondano sui medesimi elementi oggetto di concorde motivazione, finendo per costituire un unico corpo argomentativo - è emerso che il rullo trasportatore, sul quale il lavoratore P.D. stava svolgendo lavori di manutenzione al momento dell'infortunio, aveva subito un'alterazione, in quanto era stata praticata un'apertura chiusa con un pezzo di gomma fissata con una barretta metallica, alterazione che non è risultata essere stata posta in essere dal P.D. (diversamente da quanto asserito dal ricorrente) e che le anzidette aperture, in violazione della specifica norma di cui all'all. V, punto 6, del d. lgs. n. 81/2008, consentivano di fatto l'accesso agli ingranaggi in movimento con conseguente rischio di contatto accidentale da parte del lavoratore. E tali aperture, come sottolineato in entrambe le sentenze, costituivano una prassi scorretta ed elusiva, posta in essere dai lavoratori per pulire la macchina in movimento. La condotta del P.D., il quale non aveva usato il tubo (peraltro artigianale e non conforme ai requisiti di sicurezza: cfr. p. 7 della sentenza di primo grado) ma una pistola attraverso l'apertura di cui sopra, era del tutto prevedibile e attivava un rischio tipico del luogo di lavoro. Ne deriva che la condotta del lavoratore non è qualificabile come comportamento abnorme (tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia) e, quindi, non esclude, nel caso di specie, la responsabilità dell'imputato, il quale è tenuto, nella sua veste di datore di lavoro, a verificare e garantire la persistenza nel tempo dei requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro messe a disposizione dei propri dipendenti. Non è, infatti, configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Meda, 269255 - 01).
3.1. Ciò richiamato, il Collegio rileva che la sentenza impugnata si colloca correttamente nell'alveo della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, non integra il "comportamento abnorme" idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (così Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013 dep. 2014, Rovaldi, Rv. 259313, in un caso relativo all'amputazione di una falange ungueale subita dal dipendente di un panificio che aveva introdotto la mano negli ingranaggi privi di protezione di una macchina "spezzatrice").
Con riferimento poi alle macchine pericolose ed alla nozione di area di rischio che il datore di lavoro deve gestire a fronte dell'instaurazione di prassi di lavoro non corrette va poi precisato che l'obbligo del datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori macchinari provvisti di blocco automatico atto a impedire di entrare in contatto con le parti in movimento è configurabile anche in relazione alle attrezzature acquistate prima dell'entrata in vigore della "Direttiva Macchine" del 1996, in base al combinato disposto di cui agli artt. 70, comma 2, d.lgs 9 aprile 2008, n. 81, e 6.3. dell'allegato V al predetto decreto legislativo, atteso che quest'ultima disposizione richiama testualmente quella enunciata dall'art. 72, d.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, la quale costituisce applicazione del principio generale affermato dalla disposizione di cui all'art. 68 del medesimo testo normativo, che trova applicazione in tutti i casi in cui vengono usate macchine pericolose, e che non è stata superata dal d.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (Sez. 4, n. 36153 del 22/09/2021, Dossena, Rv. 281886 - 01). Parimenti, con riguardo all'obbligo del datore di lavoro di vigilare sull'osservanza per la tutela della sicurezza, che è assolto anche con sistema di controllo effettivo, questa Corte ha affermato che, in tema di infortuni sul lavoro, l'obbligo del datore di lavoro di vigilare sull'esatta osservanza, da parte dei lavoratori, delle prescrizioni volte alla tutela della loro sicurezza, può ritenersi adempiuto soltanto in caso di predisposizione e attuazione di un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto delle prassi elusive seguite dai lavoratori di cui il datore di lavoro sia a conoscenza (Sez. 4, n. 35858 del 14/09/2021, Tamellini Giacomo, Rv. 281855 - 01: in applicazione del principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen., in relazione all'infortunio occorso al conducente di un trattore, deceduto per non aver fatto uso della cintura di sicurezza, ravvisando la colpa del datore di lavoro nell'omessa nomina di un preposto, nonostante la sua conoscenza della prassi instauratasi in relazione all'inosservanza dell'obbligo di allacciare le cinture di sicurezza, a fronte della quale egli si era limitato a ricorrere a richiami verbali del lavoratori).
3.2. È certamente vero che, in materia di prevenzione antinfortunistica, si è passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 del d.lgs. n. 81 del 2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr., sul punto, Sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, Santini e altro, Rv. 266073 secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore). Tuttavia, pur dandosi atto che, da tempo, si è individuato il principio di auto responsabilità del lavoratore e che è stato abbandonato il criterio esterno delle mansioni, sostituito con il parametro della prevedibilità, intesa come dominabilità umana del fattore causale (cfr., in motivazione, Sez. 4 n. 41486 del 05/05/2015, Viotto), passandosi, a seguito dell'introduzione del d.lgs. n. 626 del 1994 e, poi, del T.U. n. 81 del 2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore.
All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT c/ Musso Paolo, Rv. 275017; Sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, cit.); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, cit.). Le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza od imperizia, sicché la condotta imprudente dell'infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente all'attività svolta dal lavoratore ed all'omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro. In proposito, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità sul punto, deve considerarsi che è interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri; in tempi recenti, tra le altre, Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914; Sez. 4, n.  15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, cit.).
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna per ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 

Rigetta il ricorso e condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 7 aprile 2022