Cassazione Penale, Sez. 1, 15 settembre 2022, n. 34025 - Calamita applicata sul sensore di velocità montato sul cambio e modifica del funzionamento del cronotachigrafo


 

 

Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: DI GIURO GAETANO Data Udienza: 25/05/2022
 

 

Fatto




1. Il G.i.p. del Tribunale di Latina, con sentenza del 2 luglio 2018, dichiarava D.C. responsabile dei reati di cui all'art. 20, comma 2, lett. d) e 59, comma 1, lett. a) d. lgs. n. 81 del 2008 (capo 1), di cui all'art. 437 cod. pen. (capo 2) e di cui all'art. 484 cod. pen.(capo 3), e, ritenuta la continuazione, considerato più grave il reato sub 2), lo condannava, previa concessione delle circostanze attenuati generiche, alla pena complessiva di mesi quattro di reclusione.
La Corte di appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato sub 1), perché estinto per prescrizione, e ha, quindi, rideterminato la pena in ordine ai restanti reati nella misura di mesi tre e giorni dieci di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

2. Avverso tale sentenza D.C. propone, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione.
2.1. Col primo motivo di impugnazione deduce vizio di motivazione con riferimento all'art. 129 cod. proc. pen.
Rileva la difesa di avere osservato col secondo motivo di appello che D.C. era stato condannato per violazione dell'art. 20, comma 2, lett. f), d. lgs. n. 81 del 2008 e quindi per una fattispecie diversa da quella oggetto di contestazione, di cui alla lett. d) del medesimo comma. La Corte di appello, pertanto, non avrebbe dovuto pronunciare la prescrizione in ordine a detta fattispecie, neppure invocata, ma avrebbe dovuto annullare la condanna sul punto, rimettendo gli atti al primo Giudice, il quale eventualmente in quella sede avrebbe potuto dichiarare la prescrizione.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso viene rilevato vizio di motivazione con riguardo al computo della sentenza di appello nella rideterminazione della pena. Si rileva che nella sentenza di primo grado non era stato indicato l'aumento di pena per la continuazione in relazione al reato sub 1) della rubrica e che quindi
la riduzione della pena nella misura di venti giorni operata dalla Corte territoriale per detto reato, dichiarato estinto per prescrizione, risulta illegittima.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione dell'art. 441 cod. proc. pen. con riguardo in particolare al comma 5.
Si duole la difesa che la Corte di appello abbia respinto il primo motivo di appello relativo alla nullità degli atti redatti dalla Polizia Stradale per contrasto circa l'orario dei fatti fra quanto indicato nel verbale di contravvenzione del 17 marzo 2015, dove le ore 18.25 sono state corrette a mano dopo la redazione del verbale, in 19.25, ed il rapporto del 18 giugno 2015, in cui si precisa che i fatti sono del 17 giugno (e non del 17 marzo) 2015, cosa non vera, e si sono verificati alle 19.25 mentre in realtà gli stessi sono delle 18.25.
Rileva il difensore che l'affermazione della Corte di appello secondo cui, avendo l'appellante scelto di definire il giudizio con rito abbreviato, non avrebbe potuto sindacare la correttezza e rispondenza al vero del verbale di contravvenzione e del rapporto, cozzerebbe con il preciso dovere del giudice dell'abbreviato, ai sensi del quinto comma dell'art. 441 cod. proc. pen., di assumere anche d'ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione.
2.4. Con il quarto motivo di impugnazione viene denunciata violazione degli artt. 473 e 484 cod. pen.
Rileva il difensore che l'unico reato che si sarebbe dovuto contestare al ricorrente è quello contravvenzionale sub 1), dovendosi ritenersi assorbite le fattispecie di cui agli articoli del codice penale da quanto previsto nella norma speciale di cui a detto capo. Inoltre, nel caso in esame risulta esservi stato l'utilizzo di una calamita, senza alcuna modifica o rimozione di impianti o apparecchi, come previsto dall'art. 437 cod. pen.; infine, D.C. si è limitato ad applicare sul dispositivo una calamita, non potendosi, pertanto, parlare di violazione dell'art. 484 cod. pen.
Per tali motivi il difensore insiste per l'annullamento della sentenza impugnata.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell'art. 23 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, dott. Giovanni Di Leo, chiede di dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

 

Diritto





1. Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo è infondato, ai limiti dell'inammissibilità per carenza di interesse.
Quanto, invero, a quest'ultimo profilo va preliminarmente osservato che è inammissibile il ricorso per cassazione, avverso una sentenza di annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione, che tende soltanto al mutamento della qualificazione giuridica del fatto e al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e non ad un proscioglimento nel merito con una formula più ampia, perché l'interesse alla proposizione della impugnazione non consiste nella mera aspirazione all'esattezza tecnico-giuridica del provvedimento, dovendo essere rivolto a conseguire un concreto vantaggio (Sez. 1, n. 39215 del 03/07/2017, Morrone, Rv. 270957).
Deve, comunque, osservarsi che il motivo, a parte la carenza di interesse, è manifestamente infondato, dovendosi ritenere il riferimento alla lettera f) dell'art. 20, comma 2, d. lgs. n. 81 del 2008, contenuto nell'imputazione, un mero errore materiale, in quanto l'utilizzo di una calamita applicata sul sensore di velocità montato sul cambio, con modifica del funzionamento del cronotachigrafo, come descritto in imputazione, integra un uso inappropriato da parte dell'imputato dei dispositivi messi a sua disposizione su cui argomenta il primo Giudice.
1.2. Infondato è, invece, il secondo motivo di impugnazione.
E' vero che nel computo della pena svolto dal G.i.p. del Tribunale di Latina per mero errore materiale non viene specificato l'aumento per il reato di cui al primo capo. E' tuttavia anche vero che dal successivo passaggio di detto computo, relativo all'aumento di pena per il reato di cui al terzo capo di imputazione, quando invero si passa alla pena di mesi sei, si evince il precedente aumento di pena (sulla pena base di mesi sei di reclusione, decurtata per le circostanze attenuanti generiche a mesi quattro) di un mese; e che, anche a ritenere un aumento di pena complessivo per i due reati di mesi due di reclusione, l'aumento per ogni singolo reato va calcolato in mesi uno. Correttamente, quindi, la Corte territoriale, nel dichiarare estinto per prescrizione il primo reato, decurta dalla pena inflitta dal primo Giudice giorni venti di reclusione, pari ad un mese di aumento di pena per la continuazione, decurtato della diminuzione per il rito.
1.3. Infondato è, altresì, il terzo motivo di ricorso, alla luce delle argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici della sentenza di appello.
Detta pronuncia, invero, osserva che «avendo l'appellante chiesto il giudizio abbreviato è chiaro che ha accettato le eventuali nullità dei verbali predetti (su cui nulla ha peraltro eccepito in primo grado, nonostante fossero atti delle indagini preliminari)». Inoltre aggiunge che «il fatto è stato verbalizzato successivamente e un mero errore di indicazione dell'ora non appare avere alcuna rilevanza; il cronotachigrafo invece riporta l'ora UTC, che non è l'ora legale, per cui può esservi stato un errore nell'indicazione dell'uno o altro orario nel verbale"; e che «dalla stampa del cronotachigrafo è chiaro invece che alle 18, 25, ora UTC, del 17.3 lo stesso D.C. risultava in riposo, mentre alle 19.22, ora legale (che corrisponde alle 18.22 ora UTC) stava marciando come riscontrato dalla polizia che lo aveva fermato».
E' evidente che a fronte di tali argomentazioni le doglianze sopra riportate, che arrivano ad invocare l'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio del G.i.p. trascurando che lo stesso può avvenire solo in caso di assoluta necessità ai fini della decisione, manifestano la propria infondatezza.
1.4. Infondato è, infine, il quarto motivo di impugnazione.
La Corte di appello di Roma rileva che: - essendovi stato nel caso in esame «la rimozione o alterazione di una cautela prevista dalla legge per evitare disastri o incidenti sul lavoro, data la pericolosità di una guida protratta per un lungo tempo[...] si tratta di una violazione dell'art. 437 c.p. come contestata»; - il cronotachigrafo, come rileva la sentenza di primo grado, è essenziale per il rispetto dei tempi di lavoro e quindi della sicurezza del guidatore, consentendo di valutare il rispetto dei tempi di lavoro e delle pause imposte dalla lunga durate dei viaggi; la norma tutela non solo dai disastri ma anche dai semplici infortuni individuali come si rileva leggendo la norma e chiaramente il cronotachigrafo è strumento atto a prevenire gli infortuni»; - deve ritenersi integrata anche la fattispecie di cui all'art. 484 cod. pen., in quanto il cronotachigrafo è oggettivamente un registro che attesta la circolazione del mezzo su cui è apposto e serve alla polizia stradale, che ha la tutela della sicurezza stradale, al fine di controllare appunto la regolarità della circolazione del conducente del mezzo sulla strada. A tali argomentazioni, che correttamente fanno leva sulla diversità dei beni giuridici sottesi alle norme di cui alle tre fattispecie (va, peraltro, considerato che la contestualità tra contravvenzioni amministrative e il reato di cui all'art. 437 cod. pen., seppure con riferimento al codice della strada, è stata affrontata con argomenti sovrapponibili alla fattispecie concreta: si veda Sez. 1, n. 10494 del 15/05/2019 - dep. 2020, Conversano, Rv. 278496), il ricorrente oppone l'assorbimento nella fattispecie contravvenzionale dei reati previsti dal codice penale e comunque l'insussistenza di questi ultimi, dando vita a censure infondate, ai limiti dell'inammissibilità per aspecificità.

2. Al rigetto consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna di D.C. al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2022.