Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 06 ottobre 2022, n. 29097 - Rendita da malattia professionale dell'autista-trasportatore


 

 

Presidente: ESPOSITO LUCIA
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO
Data pubblicazione: 06/10/2022
 

RILEVATO CHE
1. la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha respinto l’appello proposto da P.C. nei confronti dell’INAIL avverso la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda del lavoratore, autista-trasportatore, volta alla costituzione di una rendita per malattia professionale (“sindrome bilaterale a carico della cuffia dei rotatori delle spalle, operate”);
2. la Corte, in sintesi, ha ritenuto, avuto riguardo al primo motivo di appello del lavoratore, che “la domanda giudiziale avanzata dal ricorrente [fosse] assolutamente carente di idonee allegazioni e riscontri probatori in ordine alle mansioni lavorative effettivamente svolte e alle condizioni di nocività in cui le mansioni sono state espletate; né possono sopperire a tali carenze la prova testimoniale richiesta nel ricorso di primo grado, che, anche a prescindere dalla questione relativa alla dichiarata decadenza, appare inammissibile perché avente ad oggetto circostanze generiche e quindi irrilevante per l'accertamento dei fatti di causa”; sulla base delle considerazioni così espresse, le quali - secondo la Corte - risultano “assorbenti rispetto ad ogni ulteriore questione sollevata da parte appellante”, l'appello del P.C. è stato respinto;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con tre motivi; ha resistito con controricorso l’INAIL;
4. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale;
il ricorrente ha depositato memoria;


CONSIDERATO CHE

1. il primo motivo del ricorso denuncia: “omessa, contraddittoria motivazione rispetto ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla tabellazione, al codice 78 del D.M. 9 aprile 2008, sia della denunciata malattia professionale che della lavorazione, in relazione agli artt. 2727 e 2728 c.c. (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c.)”; si lamenta che i giudici di entrambi i gradi avrebbero trascurato di considerare che essendo tabellate le malattie denunciate sussisteva la presunzione dell’origine lavorativa della malattia;
col secondo motivo si denuncia: “violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2728 c.c.; degli artt. 115, 116, 356, 420 e 421 c.p.c. e dell’art. 53, c. 5, DPR n. 1124/1965 (ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.)”; si critica la sentenza impugnata per avere, da un lato, “fatto buon governo del principio di diritto secondo cui, nel caso di tabellazione della malattia ed della lavorazione, è presunta l’etiopatogenesi tecnopatica”, e, dall’altro, “omesso di applicare il secondo comma dell’art. 115 c.p.c. allorché non ha posto a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”; in proposito si sostiene che sarebbe notorio che il compito dei dipendenti delle aziende di trasporto, inquadrati come conducenti di mezzi pesanti, non sarebbe solo quello della guida, “ma anche della consegna delle merci le cui modalità variano giornalmente a seconda dei luoghi da raggiungere, del peso e delle dimensioni dei <colli>”;
con il terzo mezzo si denuncia ancora la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., oltre che la motivazione apparente, con riguardo all’art. 132 c.p.c.; si deduce che la Corte del merito avrebbe “omesso di considerare il rischio da sovraccarico biomeccanico dovuto all’abnorme impegno algo-disfunzionale dell’attività espletata”; si contesta l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui sarebbe “del tutto nuova ed assolutamente priva di riscontro probatorio la circostanza, dedotta per la prima volta nell’atto di appello, secondo cui l’INAIL avrebbe liquidato un danno temporaneo per la malattia”; si rileva, “prima di chiudere” il ricorso, che la Corte territoriale avrebbe erroneamente condannato l’istante al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non avvedendosi che il P.C. aveva depositato, unitamente al ricorso introduttivo del giudizio, dichiarazione volta all’esonero dal pagamento del contributo unificato;
2. le censure, esaminabili congiuntamente per connessione, risultano inammissibili;
esse, infatti, non si confrontano con l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, affatto apparente, che sta tutta – come ricordato nello storico della lite – nel difetto di allegazione e prova in ordine alle mansioni effettivamente disimpegnate dal P.C.; in ragione di ciò la Corte di Appello ha ritenuto assorbita ogni altra questione, evidentemente compresa quella della pretesa tabellazione della malattia che, secondo quanto riportato dallo stesso ricorrente, riguarda “lavorazioni, svolte in modo non occasionale, … che comportano, a carico delle spalle, movimenti ripetuti ed il mantenimento prolungato di posture incongrue”; il che presupponeva la descrizione analitica dei compiti svolti nonché la loro dimostrazione in giudizio;
per principio radicato nella giurisprudenza di questa Corte l’interpretazione della domanda giudiziale e dei suoi confini è riservata al giudice del merito (cfr., tra le altre, Cass. n. 31546 del 2019; Cass. n. 29609 del 2018; Cass. n. 18 del 2015, Cass. n. 21421 del 2014; Cass. n. 12944 del 2012; Cass. n. 21208 del 2005), sicché non è direttamente sindacabile in questa sede di legittimità l’assunto dei giudici d’appello che hanno ritenuto le allegazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio insufficienti a fondare la domanda;
così pure, la mancata ammissione della prova testimoniale può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. n. 11457 del 2007; conformi: Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del 2011 più di recente Cass. n. 16214 del 2019); inoltre spetta esclusivamente al giudice del merito valutare gli elementi di prova già acquisiti e la pertinenza di quelli richiesti - senza che possa neanche essere invocata la lesione dell'art. 6, primo comma, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo al fine di censurare l'ammissibilità di mezzi di prova concretamente decisa dal giudice nazionale (Cass. n. 13603 del 2011; Cass. n. 17004 del 2018) – con una valutazione che non è sindacabile nel giudizio di legittimità al di fuori dei rigorosi limiti imposti dalla novellata formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014);
fuori luogo, poi, il riferimento al “notorio” sul singolare assunto che tutti gli autisti svolgerebbero anche mansioni di carico e scarico, atteso che, in tema di prova civile, il ricorso alla nozione di "comune esperienza", va interpretato in senso rigoroso come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile e incontestabile, e, costituendo una deroga al principio dispositivo ex art. 112 c.p.c. e al principio di disponibilità delle prove ex art. 115 c.p.c., rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sicché può essere censurata in sede di legittimità la sola inesatta nozione del medesimo, ma non anche la sua mancata applicazione (di recente, Cass. n. 4428 del 2020, con la giurisprudenza ivi richiamata); parimenti inappropriata la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c., avendo ancora ribadito le Sezioni unite di questa Corte che, per dedurre tale violazione, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c. (Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020); così come spetta al giudice del merito apprezzare, nell'ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l'esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680 del 2019; Cass. n. 3126 del 2019);
priva di valore decisivo, poi, la questione del preteso riconoscimento dell’indennità per inabilità temporanea assoluta, a prescindere dalla sua novità o dalla sua prova, in quanto parte ricorrente non si confronta con il principio di diritto in base al quale: “In tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, il provvedimento affermativo del diritto all'indennità giornaliera per inabilità temporanea vale esclusivamente ad attribuire il detto beneficio, ma non esprime la volontà dell'istituto assicuratore di vincolarsi al riconoscimento di tutte le possibili prestazioni ricollegabili all'avveramento dell'infortunio, in relazione alle quali si esige la ricorrenza di specifici requisiti e l'espletamento di un'apposita procedura amministrativa, strumentale all'accertamento dell'esistenza dell'obbligazione previdenziale e all'adempimento di essa” (Cass. n. 2849 del 2017; conf. Cass. n. 6256 del 1999); inammissibile, infine, pure la doglianza sul pagamento del cd. “doppio” contributo, neanche specificamente configurata con riferimento ad uno dei cinque vizi tassativamente previsti dall’art. 360 c.p.c.;
3. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel suo complesso; nulla per le spese stante la dichiarazione ex art. 152 disp. att. c.p.c.;
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
 

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 26 maggio 2022