Cassazione Civile, Sez. 6, 06 ottobre 2022, n. 29059 - Demansionamento della dipendente pubblica: non vi è mobbing e non vi è straining


 

 

Presidente Esposito – Relatore Bellè

 

Fatto


1. La Corte d'Appello di Napoli, confermando la sentenza del Tribunale di Nola, ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni per mobbing proposta nei riguardi del Comune di (omissis) dalla lavoratrice C.A. , già responsabile dei servizi finanziari e poi trasferita ai servizi sociali e cimiteriali;

2. la Corte di merito, pronunciando anche nel contraddittorio con gli Assicuratori dei (omissis), ha escluso che vi fosse stata prova dell'intento lesivo, sostenendo che esso risultava incompatibile con l'esistenza di comportamenti asseritamente dannosi, ma ascritti a due diverse compagini amministrative, il cui convergere in un medesimo atteggiamento persecutorio non era spiegabile.

3. quanto al ricorrere di "sgradevoli affermazioni" da parte del Difensore Civico verso la ricorrente, la sentenza di appello ha ritenuto l'inidoneità di esse ad interferire in modo significativo con l'attività di un'articolazione comunale di rilievo come il servizio finanziario, rispetto al quale quella figura era priva di poteri diretti;

4. la Corte distrettuale riconosceva come in effetti la Corte dei Conti avesse criticato, nel decidere su profili contabili, l'assenza di motivazione del provvedimento con cui la C. era stata sostituta da altro responsabile ai servizi finanziari, ma ha anche rilevato come la medesima Corte avesse altresì mosso censure all'attività dei servizi finanziari (inserimento in bilancio di entrate inesistenti; mancata emissione di avvisi di accertamento per un'annualità di ICI) per un periodo in cui era stata la ricorrente la responsabile di esso;

5. i giudici di appello ne concludevano quindi che quella emersa era una accesa conflittualità tra le parti, non trasmodata in condotta vessatoria;

6. infine, quanto al dedotto demansionamento, la Corte d'Appello ha ritenuto che la stessa C. avrebbe riconosciuto la corrispondenza delle nuove mansioni alla qualifica di appartenenza ed anche i testimoni non avevano riferito nulla di decisivo nel senso rivendicato dalla ricorrente, mentre scarsamente provata era l'assenza di dotazioni per i servizi che la ricorrente doveva svolgere, rispetto alle quali non risultava neanche che essa si fosse attivata per ovviare alle difficoltà eventualmente esistenti;

7. C.A. ha proposto ricorso per cassazione con un motivo, resistito da controricorso del Comune e dei (omissis);

8. la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alle parti ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata;

9. tutte le parti hanno depositato memoria.

 

Diritto


1. l'unico motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2087 e 2103 c.c., e art. 112 c.p.c., ed esso si incentra sul rilievo per cui, pur in mancanza di un intento persecutorio, la Corte di merito avrebbe dovuto valutare l'attuarsi di condizioni stressogene di lavoro e di nocività ambientale, riportabili alla fattispecie del c.d. straining, da ricostruire anche in via presuntiva e comunque valutando il disagio lavorativo e il demansionamento quali fonti di danni non patrimoniali maturati in pregiudizio della ricorrente, il tutto tenendo conto che, non essendovi stata pronuncia su tale profilo, si era determinata anche violazione dell'art. 112 c.p.c.;

2. il motivo è infondato;

3. la Corte territoriale ha esaminato, con dovizia di dettagli ed ampia analisi dell'istruttoria, le circostanze di causa e ne ha concluso, con giudizio non raggiunto da specifiche e puntuali critiche, che di inadempimenti, cioè di demansionamento, sottrazione di mezzi di lavoro, accuse infondate, insubordinazioni di sottoposti indebitamente tollerate o incentivate, non ce ne erano state, accertando solo l'esistenza di una "accesa conflittualità tra le parti" non sviluppatasi in condotte vessatorie;

4. il motivo, come si è detto, si incentra sul tema del c.d. straining, con riferimento all'obbligo datoriale di assicurare, anche ai sensi dell'art. 2087 c.c., un ambiente idoneo allo svolgimento sicuro della prestazione, che dunque potrebbe non escludere l'inadempimento se il lavoro si manifesti in sé nocivo per la connotazione indebitamente stressogena (2676/2021;  3291/2016);

5. in proposito, vanno però ancora richiamate le conclusioni di merito della Corte territoriale in ordine al fatto che "quello che con certezza risulta emergere dagli atti è una situazione di accesa conflittualità tra le parti... non... trasmodata in una condotta vessatoria da parte delle diverse amministrazioni comunali succedutesi nel tempo";

6. tali valutazioni di fatto, centrali nella ratio decidendi, delineano soltanto una situazione di forti divergenze sul luogo di lavoro e come tali non intercettano una situazione di nocività, perché il rapporto interpersonale, specie se inserito in una relazione gerarchica continuativa e tanto più in una situazione di difficoltà amministrativa quale emerge dagli atti, è in sé possibile fonte di tensioni, il cui sfociare in una malattia del lavoratore non può dirsi, se non vi sia esorbitanza nei modi rispetto a quelli appropriati per il confronto umano nelle condizioni sopra dette, ragione di responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c.;

7. l'esistenza di un disagio lavorativo, su cui la ricorrente insiste ripercorrendo anche i dati istruttori, non è dunque decisiva, proprio perché alla base delle conclusioni assunte dalla Corte territoriale vi è un giudizio di merito, non implausibile, che è giuridicamente corretto per quanto appena detto e che rende superflua - anche al di là dell'improprietà della proposizione in sede di legittimità di una diversa lettura dell'istruttoria (C., S.U., 34476/2019; C., S.U., 24148/2013) - ogni diversa considerazione;

7. l'apprezzamento dell'insussistenza dell'esorbitanza rispetto ad una situazione di conflittualità interpersonale esclude altresì che si possa ragionare in termini di omessa pronuncia, perché comunque l'accertamento fattuale svolto si colloca al di fuori della fattispecie del c.d. straining e dunque non ricorre errore di diritto (C., S.U., 2731/2017; 28663/2013);

8. il ricorso per cassazione va quindi disatteso e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, nel rapporto tra la ricorrente ed il Comune;

9. per quanto riguarda i (omissis) si deve rilevare che la procura speciale, quale reperibile nel fascicolo telematico in allegato al deposito del 1.7.2021 riguarda il giudizio di appello e non quello di cassazione;

10. manca dunque la procura speciale che, stante il rinvio dell'art. 370 c.p.c., all'art. 365 c.p.c., deve riguardare il giudizio di legittimità ad essere posteriore alla sentenza di appello;

11. non possono poi valere gli speciali casi di sanatoria ritenuti da questa S.C. (Euro 14793/08) rispetto a controricorso munito di procura (per l'appello) posta a margine del ricorso per cassazione (o in calce, v. Euro 18781/2011), perché qui la procura è contenuto in atto separato;

12. inoltre, essa, non fa riferimento solo al giudizio di appello, ma proprio al gravame promosso dalla C. "per l'impugnazione della sentenza... del Tribunale di Nola"

13. ne deriva l'inammissibilità del controricorso, il che è assorbente di ogni altro aspetto agitato in causa nei riguardi dell'assicuratore;

14. peraltro, i (omissis), che non hanno proposto ricorso incidentale, una volta apprezzata l'inammissibilità del loro controricorso, non possono essere ritenuti soccombenti e quindi tutto si riduce, nei loro confronti, all'esclusione del diritto al recupero delle spese nei riguardi della ricorrente principale.

 

P.Q.M.
 


La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del Comune di (omissis) delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.700,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.