Categoria: Cassazione penale
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Responsabilità del legale rappresentante della "T. s.r.l." che, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, ed in particolare per violazione delle norme di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro, ha cagionato agli operai R.D. e H.G., dipendenti della società, lesioni personali gravissime.
L'infortunio avvenne quando i nominati dipendenti erano intenti, in un cantiere gestito dalla indicata società, ad eseguire, su specifico ordine del capocantiere, la discesa a terra di alcune lastre di vetro antiproiettile di diverse dimensioni, del peso di circa 80/100 chili ciascuna, con l'ausilio della gru a torre, utilizzando un bancale ad "L" sul quale erano state appoggiate le lastre. Nel mentre eseguivano la manovra di spostare il bancale dal muro per consentire il passaggio delle funi dietro la sponda verticale del bancale stesso, non appena questo venne sollevato da terra oscillò in avanti ed alcune lastre investirono R. al piede sinistro e H. all'addome.

Il Tribunale riteneva fondata e provata la prospettazione accusatoria secondo cui il bancale ad "L" non era assolutamente idoneo all'operazione e che, quindi, la ragione materiale dell'incidente era costituita dall'utilizzo di un bancale inidoneo per forma e dimensione.
Individuava, quindi, la colpa dell'imputato nel non aver fornito ai due lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ed idonee al fine della sicurezza e della salute (il bancale ad "L" anzichè a "T" rovesciata) e per non aver assicurato ai propri dipendenti una sufficiente ed adeguata formazione in relazione alle proprie mansioni.

La Corte d'Appello conferma la sentenza di primo grado.

Ricorre in Cassazione - Inammissibile.

La Corte afferma che: "a carico del datore di lavoro, ai sensi della normativa di cui al D.P.R. n. 547 del 1955 (art. 391 e art. 392, comma 6) e di quella generale in materia di sicurezza aziendale (D.Lgs. n. 626 del 1994 art. 4) ed anche in riferimento alla norma c.d. "di chiusura del sistema" ex art. 2087 c.c., sussiste un obbligo di controllo dell'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni e procedure aziendali di sicurezza. In altre parole, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p.p., comma 2.
Nè tali obblighi di vigilanza e controllo del datore di lavoro, di per sè delegabili ad altro responsabile (il che, peraltro, non risulta avvenuto nel caso di specie), vengono meno con la nomina del responsabile del servizio prevenzione e protezione al quale sono demandati compiti diversi (v. D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 8 e 9) intesi ad individuare i fattori a rischio, ad elaborare le misure preventive e protettive, le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali. Per contro, la vigilanza sull'applicazione delle misure disposte e sull'osservanza di queste da parte dei lavoratori rimane a carico del datore di lavoro, se non ritualmente delegate ad altri soggetti.

Il ricorrente, in fatto, eccepisce che, comunque, gli obblighi di prevenzione gravavano sul capocantiere B..

Sul punto si osserva che è stato affermato da questa Corte che nella materia infortunistica, perchè possa prodursi l'effetto del trasferimento dell'obbligo di prevenzione dal titolare della posizione di garanzia ad altri soggetti inseriti nell'apparato organizzativo dell'impresa (siano essi responsabili di settore o capireparto) è necessaria una delega di funzioni da parte dell'imprenditore o del datore di lavoro che deve trovare consacrazione in un formale atto di investitura in modo che risulti certo l'affidamento dell'incarico a persona ben individuata, che lo abbia volontariamente accettato nella consapevolezza dell'obbligo di cui viene a gravarsi; quello cioè di osservare e fare rispettare la normativa di sicurezza."

"Relativamente al secondo motivo il ricorrente essenzialmente disancora il nesso causale dal suo comportamento omissivo facendo ricadere la causazione dell'evento unicamente sul comportamento delle persone offese, dimenticando che esse, nonostante il loro ruolo attivo nella esecuzione dei lavori, erano le destinatane delle garanzie antinfortunistiche.

Con tranquillante uniformità questa Corte ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza.
Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento".

"Quanto poi al rilievo difensivo che i dipendenti avessero avuto una formazione adeguata per lo svolgimento degli incombenti relativi alle proprie mansioni, è assorbente, per rilevarne l'infondatezza, l'osservazione in fatto della Corte d'Appello laddove ha riportato le dichiarazioni del R. e dell' H. che hanno riferito di avere imparato ad usare la gru solo guardando gli altri ed apprendendo le informazioni necessarie in giro. Del resto, non si vede quale valenza difensiva avrebbe potuto assumere la circostanza che i lavoratori fossero stati istruiti sui rischi e sui modi per evitarli quando non sono state materialmente attuale le misure di prevenzione."


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RIZZO Aldo Sebastiano - Presidente

Dott. D'ISA Claudio - rel. Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza



sul ricorso proposto da:

1) Z.P.G., N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 854/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del 09/06/2008;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/01/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D'ISA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MONETTI Vito, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore avv. Crisci Simonetta, in sost. dell'avv. Bonomassa Giorgio, difensore dell'imputato, conclude per l'accoglimento del ricorso.


Fatto


Z.P.G. ricorre in Cassazione avverso la sentenza, in data 9.06.2008, della Corte d'Appello di Milano di conferma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale dello stesso capoluogo il 2.05.2007 nei suoi confronti in ordine al delitto di cui all'art. 590 c.p. aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica.

All'imputato era stato addebitato di avere, nella qualità di legale rappresentante della "T. s.r.l.", per colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, ed in particolare per violazione delle norme di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro, cagionato agli operai R.D. e H.G., dipendenti della società, lesioni personali gravissime.

Il (OMISSIS), i nominati dipendenti, erano intenti, in un cantiere gestito dalla indicata società, ad eseguire, su specifico ordine del capocantiere, la discesa a terra di alcune lastre di vetro antiproiettile di diverse dimensioni, del peso di circa 80/100 chili ciascuna, con l'ausilio della gru a torre, utilizzando un bancale ad "L" sul quale erano state appoggiate le lastre. Nel mentre eseguivano la manovra di spostare il bancale dal muro per consentire il passaggio delle funi dietro la sponda verticale del bancale stesso, non appena questo venne sollevato da terra oscillò in avanti ed alcune lastre investirono R. al piede sinistro e H. all'addome.

Il Tribunale riteneva fondata e provata la prospettazione accusatoria secondo cui il bancale ad "L" non era assolutamente idoneo all'operazione e che, quindi, la ragione materiale dell'incidente era costituita dall'utilizzo di un bancale inidoneo per forma e dimensione.

Individuava, quindi, la colpa dell'imputato nel non aver fornito ai due lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ed idonee al fine della sicurezza e della salute (il bancale ad "L" anzichè a "T" rovesciata) e per non aver assicurato ai propri dipendenti una sufficiente ed adeguata formazione in relazione alle proprie mansioni.

La Corte d'Appello, nell'analizzare i motivi posti a base dell'impugnazione ritenendoli infondati, ha fatto proprio l'impianto motivazionale della sentenza del Tribunale.

Z.P.G., premette alcune osservazioni in fatto con riferimento all'attività che doveva essere svolta dai due dipendenti quali:

- dall'esame del teste B. (capocantiere) era emerso che i vetri dovevano essere portati a terra uno alla volta e che il loro spostamento avrebbe dovuto essere effettuato, senza muovere in alcun modo il bancale ad "L", ma spostando i vetri uno alla volta sull'apposito bancale piano a disposizione a tal fine sul tetto, e poi calando detto bancale con la gru a terra, sempre un vetro alla volta;

- che l'operazione di trasporto dei vetri sopra il tetto era stata eseguita in precedenza proprio con tali modalità da parte delle stesse parti lese;

- che, secondo le stesse, anche il bancale a "T" rovesciata sarebbe stato inidoneo all'operazione di portare più vetri;

- che, quindi i due dipendenti avevano coscientemente tentato di compiere una operazione che non era necessaria per l'attività a loro richiesta, al fine di utilizzare per la stessa un mezzo da loro stesso ritenuto inidoneo.

Inoltre, si premette che, circa la preparazione e la formazione dei due dipendenti:

- essi avevano una formazione adeguata in quanto entrambi lavoravano da svariati anni nel settore svolgendo quelle mansioni;

- H. dichiarava di aver ricevuto un continuo addestramento in cantiere nei vari anni di lavoro dal B.;

- R. aveva dichiarato di avere una consistente esperienza nello svolgimento delle mansioni affidategli, anch'egli riferendo degli insegnamenti ricevuti dal B..

Quindi, denuncia violazione di legge argomentando che è stato ritenuto responsabile del reato ascrittogli esclusivamente in base alla posizione di legale rappresentante della società, nonostante, come emerso in dibattimento, in cantiere vi fosse un responsabile per la sicurezza e un direttore dei lavori, rappresentando che la T. aveva numerosi cantieri aperti ed è una società avente un'organizzazione aziendale complessa.
Con un secondo motivo denuncia vizio motivazionale in ordine alle doglianze rappresentate in appello con conseguente travisamento del fatto circa le osservazioni in fatto esposte in premessa.
Il Giudice di appello avrebbe dovuto integrare la motivazione del Tribunale al fine di spiegare perchè tali indicati elementi di fatto non erano rilevanti alla luce della normativa applicabile al caso di specie, ed in particolare alla luce della previsione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 22 e art. 35, comma 1, nella parte in cui connette l'adeguatezza e l'idoneità delle attrezzature al lavoro da svolgere e art. 5, comma 1, laddove prescrive il dovere del lavoratore di prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute, nonchè, comma 3, lett. b), laddove prescrive che i lavoratori utilizzino correttamente le apparecchiature e gli utensili di lavoro.
In sostanza si fa ricadere la causazione dell'evento sul comportamento dei due dipendenti.

Diritto


I motivi posti a base del ricorso sono manifestamente infondati e, pertanto, il gravame di legittimità va dichiarato inammissibile.

Con il primo motivo, ancorchè generico nella sua formulazione, quanto alla contestazione della titolarità della posizione di garanzia le argomentazioni riguardano la delega in materia di prevenzione antinfortunistica attribuita al responsabile del cantiere ( B.) ed al direttore dei lavori.

E' da rilevare innanzitutto, che tale censura non è stata oggetto dei motivi di appello, come rilevasi dalla sentenza impugnata e, pertanto, è da ritenersi inammissibile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., u.c., sostanziandosi in una violazione di legge.

Comunque, in diritto, il motivo ha da ritenersi manifestamente infondato sulla base dei dati obiettivi della vicenda acquisiti e con riferimento all'evidenziata normativa in tema di sicurezza nei posti di lavoro, circa la riscontrata colpevolezza dello Z., legale rappresentante della società T. s.r.l., presso cui erano dipendenti le parti offese.
Invero, a carico del datore di lavoro, ai sensi della normativa di cui al D.P.R. n. 547 del 1955 (art. 391 e art. 392, comma 6) e di quella generale in materia di sicurezza aziendale (D.Lgs. n. 626 del 1994 art. 4) ed anche in riferimento alla norma c.d. "di chiusura del sistema" ex art. 2087 c.c., sussiste un obbligo di controllo dell'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni e procedure aziendali di sicurezza. In altre parole, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p.p., comma 2.

Nè tali obblighi di vigilanza e controllo del datore di lavoro, di per sè delegabili ad altro responsabile (il che, peraltro, non risulta avvenuto nel caso di specie), vengono meno con la nomina del responsabile del servizio prevenzione e protezione al quale sono demandati compiti diversi (v. D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 8 e 9) intesi ad individuare i fattori a rischio, ad elaborare le misure preventive e protettive, le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali. Per contro, la vigilanza sull'applicazione delle misure disposte e sull'osservanza di queste da parte dei lavoratori rimane a carico del datore di lavoro, se non ritualmente delegate ad altri soggetti.

Il ricorrente, in fatto, eccepisce che, comunque, gli obblighi di prevenzione gravavano sul capocantiere B..

Sul punto si osserva che è stato affermato da questa Corte che nella materia infortunistica, perchè possa prodursi l'effetto del trasferimento dell'obbligo di prevenzione dal titolare della posizione di garanzia ad altri soggetti inseriti nell'apparato organizzativo dell'impresa (siano essi responsabili di settore o capireparto) è necessaria una delega di funzioni da parte dell'imprenditore o del datore di lavoro che deve trovare consacrazione in un formale atto di investitura in modo che risulti certo l'affidamento dell'incarico a persona ben individuata, che lo abbia volontariamente accettato nella consapevolezza dell'obbligo di cui viene a gravarsi; quello cioè di osservare e fare rispettare la normativa di sicurezza.
Se, dunque, è possibile che l'imprenditore possa delegare ad altri gli obblighi attinenti alla tutela delle condizioni di sicurezza del lavoro su di lui incombenti per legge, in quanto principale destinatario della normativa antinfortunistica, qualora sia impossibilitato ad esercitare di persona i poteri-doveri connessi alla sua qualità per la complessità ed ampiezza dell'impresa per la pluralità di settori produttivi di cui si compone o per altre ragioni, tuttavia il cennato obbligo di garanzia può ritenersi validamente trasferito purchè vi sia stata una specifica delega, e ciò per l'ovvia esigenza di evitare indebite esenzioni, da un lato, e, d'altro, compiacenti sostituzioni di responsabilità. Sul presupposto che l'individuazione dei destinatari dell'obbligo di prevenzione deve avvenire in relazione all'organizzazione dell'impresa e alla ripartizione delle incombenze, siccome attuata in concreto tra i vari soggetti chiamati a collaborare con l'imprenditore e ad assicurare in sua vece l'onere di tutela delle condizioni di lavoro, non può quest'ultimo essere esentato da colpa per qualsiasi evenienza infortunistica conseguente all'inosservanza dell'obbligo di garanzia suo proprio, quando non vi sia stato un trasferimento di competenza in materia antinfortunistica attraverso un atto di delega e ciò in attuazione del principio della divisione dei compiti e delle connesse diversificate responsabilità personali.
L'adesione alla tesi di una possibilità di una delega ampliata di funzioni, costituisce palese violazione della ratio dell'intero D.P.R. n. 547 del 1955, il quale, con l'espressione "competenze" ha inteso riferirsi alle posizioni occupate dai vari soggetti nell'ambito dell'impresa in base all'effettuata e completa ripartizione di incarichi tra: i datori di lavoro (sui quali precipuamente grava l'onere dell'apprestamento e dell'attuazione di tutti i necessari accorgimenti antinfortunistici), dirigenti, cui spettano poteri di coordinamento e di organizzazione in uno specifico settore operativo o in tutte le branche dell'attività aziendale, e preposti, cui competono poteri di controllo e di vigilanza, in modo da consentire l'individuazione delle rispettive responsabilità, qualora dovessero insorgere. Donde la necessità di una delega certa e specifica da parte dell'imprenditore, che valga a sollevarlo dall'obbligo di prevenzione, altrimenti su di lui gravante.

Relativamente al secondo motivo il ricorrente essenzialmente disancora il nesso causale dal suo comportamento omissivo facendo ricadere la causazione dell'evento unicamente sul comportamento delle persone offese, dimenticando che esse, nonostante il loro ruolo attivo nella esecuzione dei lavori, erano le destinatane delle garanzie antinfortunistiche.

Con tranquillante uniformità questa Corte ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza.
Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.).

Sul punto la motivazione della sentenza impugnata, facendo propria l'argomentazione della sentenza di primo grado, è più che congrua nel rilevare che la circostanza, secondo cui anche se gli operai si fossero resi conto che era stato messo a loro disposizione un bancale per il trasporto dei vetri antiproiettile non idoneo e che avrebbero dovuto eseguire l'attività di trasporto in maniera diversa (V. parte narrativa), non elide la responsabilità dell'imputato, tenuto a garantire la sicurezza dei lavoratori e del luogo di lavoro. In particolare, il fatto che il bancale si trovasse sul posto e non ve ne fosse un altro più idoneo (quello a "T" rovesciata) e che, per altro, l'operazione di trasporto veniva eseguita sotto il controllo del capocantiere, dimostra che era del tutto prevedibile che gli operai utilizzassero per ottimizzare (il trasporto di più lastre anzichè di una per volta) il lavoro il mezzo messo a loro disposizione. D'altronde è lo stesso ricorrente ad affermare che in precedenza gli stessi operai avevano eseguito il trasbordo ed il trasporto dei vetri dal bancale a T al bancale ad L da terra al tetto senza problemi, con ciò confermando di essere a conoscenza di non avere, quantomeno, impedito che si utilizzasse un mezzo non idoneo per lo svolgimento del lavoro.

Era del tutto prevedibile, quindi, che anche in seguito, per errore, gli operai utilizzassero un mezzo non idoneo al trasporto delle pesanti lastre.

L'applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro sottende proprio allo scopo di evitare che l'errore umano, possibile e, quindi, prevedibile, influente su di una condotta lavorativa diversa da quella corretta, ma pur sempre posta in essere nel contesto lavorativo, possa determinare il verificarsi di un infortunio. Se tutti i dipendenti fossero sempre diligenti, esperti e periti non sarebbe necessario dotare i luoghi di lavoro e le macchine di sistemi di protezione.

Quanto poi al rilievo difensivo che i dipendenti avessero avuto una formazione adeguata per lo svolgimento degli incombenti relativi alle proprie mansioni, è assorbente, per rilevarne l'infondatezza, l'osservazione in fatto della Corte d'Appello laddove ha riportato le dichiarazioni del R. e dell' H. che hanno riferito di avere imparato ad usare la gru solo guardando gli altri ed apprendendo le informazioni necessarie in giro. Del resto, non si vede quale valenza difensiva avrebbe potuto assumere la circostanza che i lavoratori fossero stati istruiti sui rischi e sui modi per evitarli quando non sono state materialmente attuale le misure di prevenzione.

- Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

 

P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010