Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 ottobre 2022, n. 30165 - Demansionamento e violazioni in materia di sicurezza. Ricorso inammissibile del lavoratore


 

Presidente: TRIA LUCIA
Relatore: BOGHETICH ELENA Data pubblicazione: 13/10/2022
 

Fatto


1. con sentenza n. 108/2016 la Corte di appello di Trieste, confermando la pronuncia del giudice di prime cure, ha respinto le domande di V.M., dipendente di Electrolux Italia s.p.a., per l’accertamento del demansionamento subìto sin dal 2005 (quando cominciò a soffrire di seri problemi di salute) nonché della violazione delle norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro e per la condanna al conseguente risarcimento del danno;
2. la Corte di appello ha precisato che (pur a fronte di un ricorso in appello generico) il lavoratore ha chiesto il risarcimento del danno sia per demansionamento (per violazione dell’art. 2103 cod.civ.) sia per danno biologico determinato dalla violazione delle norme di sicurezza sul lavoro; ha rilevato che, quanto al primo profilo, le prove testimoniali hanno provato che l’inidoneità fisica del lavoratore è stata continuamente monitorata attraverso frequenti visite mediche e continui aggiustamenti organizzativi (proprio adottati per consentire al lavoratore di utilizzare le sue capacità residue); le mansioni assegnate erano le uniche concretamente disponibili (e nulla su questo profilo è stato eccepito dal lavoratore); quanto alla violazione di norme di sicurezza, la Corte distrettuale ha rilevato che l’istruttoria ha dimostrato che gli aggiustamenti delle mansioni via via apportati nel tempo erano dovuti alla necessità di renderle compatibili con le limitazioni e le prescrizioni impartite dal medico competente, aggiungendo che nessuna allegazione né prova è stata raccolta sul fatto che tali mansioni fossero contrarie alle norme di sicurezza.
3. propone ricorso avverso tale sentenza V.M. affidandosi a tre motivi e la società Electrolux Italia resiste con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.
 

Diritto


1. con i primi due motivi di ricorso si deduce omesso esame di un fatto decisivo (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.), avendo, la Corte distrettuale, trascurato alcuni fatti – ossia determinate limitazioni all’adibizione al lavoro quali il divieto di lavoro notturno, il divieto di postazioni ortostatiche non fisiologiche, la mancanza di sorveglianza periodica annuale – dedotti sin dal primo grado nel ricorso introduttivo del giudizio e ribaditi in appello;
2. con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 6 CEDU, 47 Carta dei diritti fondamentali dell’uomo, 112 e 421 cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.), avendo, il giudice di primo grado nonché la Corte distrettuale, omesso di ammettere la prova testimoniale richiesta dal lavoratore, prova che doveva essere ammessa per togliere margini di incertezza alla vicenda;
3. i primi due motivi di ricorso, che possono essere valutati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili per plurimi motivi;
4. le censure sono prospettate con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto (o quantomeno i tratti salienti) del ricorso introduttivo del giudizio (ove erano descritte le specifiche limitazioni presentate dal lavoratore e le cadenze della sorveglianza sanitaria nonché i capitoli di prova testimoniale non ammessi) e delle istanze di ammissione della prova testimoniale (che si deduce essere state presentate sia in primo grado, mediante memoria del 14.2.2014, sia in secondo grado), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l'individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.pro.civ.;
5. inoltre, le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014) hanno sottolineato che l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alla presente fattispecie, ha introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
6. nel caso di specie, il ricorrente non ha indicato e trascritto l’atto ove emergevano i fatti storici esposti nei primi due motivi di ricorso, né il "come" e il "quando" tali fatti siano stato oggetto di discussione processuale tra le parti né la loro "decisività";
7. il terzo motivo di ricorso è inammissibile per plurimi motivi;
8. il ricorrente (oltre – come già evidenziato - ad omettere la trascrizione dei capitoli di prova testimoniale) non ha illustrato il profilo di decisività della prova testimoniale, nonostante questa Corte abbia ripetutamente affermato che il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la "ratio decidendi" risulti priva di fondamento (da ultimo, Cass. n. 16214 del 2019); è stato, poi, sottolineato che, in base al principio desumibile dagli artt. 132, n. 4, cod.proc.civ. e 118, comma 1, disp. att. cod.proc.civ., la sentenza di rigetto della domanda per difetto di prova è congruamente motivata anche mediante richiamo all'ordinanza istruttoria che abbia respinto una richiesta inammissibile di prova, trattandosi di pronuncia comunque espressiva del giudizio che la parte avrebbe dovuto dare impulso alla detta prova con la richiesta di mezzi ammissibili e concludenti (Cass. n. 27415 del 2018);
9. inoltre, seppur nel rito del lavoro, l'uso dei poteri istruttori da parte del giudice ex artt. 421 e 437 cod.proc.civ., non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio questi è tenuto a dar conto, tuttavia, al fine di censurare idoneamente in sede di ricorso per cassazione l'inesistenza o la lacunosità della motivazione sulla mancata attivazione di detti poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l'esercizio (in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito), circostanza che il ricorrente non ha allegato;
10. in conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
11. sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
 

P.Q.M.


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 4.000,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nell’Adunanza camerale del 21 settembre 2022.