Cassazione Civile, Sez. 6, 19 ottobre 2022, n. 30922 - Precipita a terra durante i lavori di rifacimento del solaio del tetto. Responsabilità del committente che non verifica l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa esecutrice


 

 

Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: BOGHETICH ELENA
Data pubblicazione: 19/10/2022
 

 

RILEVATO CHE
1. con la sentenza n. 998 del 2020 la Corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato G.C. al pagamento della somma di euro 358.252,13 a favore dell’Inail che aveva agito in via di regresso, dichiarando, inoltre, improcedibile l’appello nei confronti di P.G.;
2. la Corte di appello ha rilevato che - a parte la sentenza del Tribunale penale della medesima sede che, in data 16.5.2013, aveva dichiarato di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 590 c.p. a danno di V.B. – gli elementi probatori acquisiti dimostravano che anche il G.C. (oltre alla moglie, Se.) doveva ritenersi committente dei lavori di ristrutturazione dell’immobile presso il quale il lavoratore V.B., intento ad effettuare dei lavori di rifacimento del solaio del tetto, era precipitato a terra riportando gravissime lesioni; la Corte territoriale ha ascritto la responsabilità dell’infortunio, oltre che al datore di lavoro P.G.., alle cui dipendenze lavorava l’infortunato, anche al G.C., quale committente dei lavori edili, per aver omesso di verificare, in violazione dell’art. 3, comma 8, 1.a) e a) del D.L. n. 494/96, l’idoneità tecnica e professionale dell’impresa esecutrice dei lavori e per aver omesso di richiedere i documenti previsti alla successiva lett. b), affidando i lavori a un soggetto che non era titolare di una regolare ditta; il giudice di appello ha, pertanto, condannato il G.C. al rimborso della somma corrispondente alle prestazioni economiche erogate in conseguenza dell’infortunio sul lavoro del 12.4.2005 al lavoratore;
3. avverso detta sentenza il G.C. propone ricorso affidato a due motivi e l’Inail oppone difese depositando controricorso; P.G. è rimasto intimato;
4. veniva depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio;
 

CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 650 c.p.p., (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, errato nell’attribuire la qualità di committente in capo al G.C., posto che lo stesso aveva ottenuto, in sede penale, la declaratoria di non doversi procedere, mentre la moglie, la sig.ra Se., era la proprietaria dell’immobile e l’unica ad essere stata destinataria di una sentenza di condanna;
2. con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2700, 2729 c.c. e 116 c.p.c. per avere, la Corte territoriale, fondato la propria decisione, in assenza di qualsivoglia allegazione di elemento di prova da parte dell’Inail, unicamente sulle dichiarazioni contenute nei verbali di sommarie informazioni, rese dinanzi al Dipartimento di Prevenzione, peraltro, da un soggetto avente interesse nel giudizio;
3. i motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente considerata la stretta connessione, sono inammissibili;
4. la violazione dell'art. 116 c.p.c. è configurabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solamente nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (cfr. Cass. Sez.U. n. 11892 del 2016, Cass. Sez.U. n. 20867 del 2020, nonché, ex plurimis, Cass. n. 13960 del 2014), censura – questa ultima - a monte non consentita dall'art. 348-ter, commi 4 e 5, cod. proc. civ., essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme di merito basata sulle medesime ragioni di fatto circa la qualità di committente del Cassarà e la sua responsabilità in ordine all’infortunio del lavoratore;
5. in ordine alla dedotta carenza di allegazioni, da parte dell’INAIL, della qualifica di committente del G.C., le censure sono prospettate con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio dell’ente previdenziale, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l'individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.pro.civ.
6. deve, inoltre, rimarcarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394);
6.1. nella specie è evidente che il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un'erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma n. 5 cod.proc.civ., come detto precluso in presenza di doppia pronuncia conforme;
7. in ogni caso, questa Corte ha ripetutamente affermato che “il giudice civile ben può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale, ponendo a base del convincimento stesso gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede” (Cass. n. 16893 del 2019, Cass. n. 12164 del 2021; con riguardo all’utilizzo delle sommarie informazioni assunte durante la fase delle indagini preliminari, Cass. n. 18025 del 2019, Cass. n. 5317 del 2017, Cass. n. 132 del 2008), e la Corte territoriale, procedendo ad un’autonoma valutazione dei fatti, ha tratto utili elementi di prova dal materiale istruttorio acquisito nel corso delle indagini preliminari, in particolare dalla relazione del Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro nonché dai verbali di sommarie informazioni, dai quali si evinceva che era stato il G.C. a rivolgersi al cugino architetto, demandandogli l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione.
8. In conclusione il motivo di ricorso va respinto e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ. a favore dell’ente previdenziale controricorrente; sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità a favore dell’Inail, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile.