Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 19 ottobre 2022, n. 39481 - Sfondamento della lastra del lucernario durante i lavori di rifacimento del tetto. Annullamento con rinvio della sentenza di condanna di DL e preposto per mancanza del giudizio controfattuale


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: VIGNALE LUCIA Data Udienza: 14/09/2022

 

Fatto


1. Con sentenza del 24 maggio 2021, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Torino il 12 aprile 2018, con la quale G.S., C.P. e A.A. erano stati assolti perché il fatto non sussiste, ha dichiarato C.P. (quale «preposto di Bra Italia s.r.l.»), responsabile del reato di cui all'art. 589 cod. pen., commesso in danno di F.E. (dipendente della società), e lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno di reclusione. Ha affermato, inoltre, la responsabilità civile di G.S., legale rappresentante della società, nei cui confronti era stato proposto appello dalle sole parti civili, e della «Bra Italia s.r.l.», citata in giudizio quale responsabile civile. Con la medesima sentenza (il cui dispositivo è stato modificato con ordinanza di correzione di errore materiale depositata il 26 maggio 2021) G.S. e la Bra Italia s.r.l sono stati condannati al risarcimento dei danni in favore di «tutte le parti civili costituite rimettendole avanti al giudice civile competente per la relativa liquidazione». Alle parti civili OMISSIS (rispettivamente moglie e figli del defunto) sono state assegnate provvisionali provvisoriamente esecutive. Nessuna provvisionale è stata riconosciuta invece alle altre parti civili - OMISSIS (rispettivamente madre e sorelle del defunto) - le quali, come risulta dalla sentenza impugnata, non hanno presentato conclusioni scritte in grado di appello.

2. Il procedimento riguarda un infortunio sul lavoro verificatosi a Torino, il 18 ottobre 2013, nel palazzo della stazione di Porta Nuova, oggetto di lavori di ristrutturazione che prevedevano tra l'altro, e per quanto qui interessa, il rifacimento del tetto. Dalle sentenze di merito risulta che il corpo senza vita di F.E. fu rivenuto da un dipendente di Trenitalia s.p.a., intorno alle ore 17, nel vano scale dell'edificio n. 1 (così denominato nei documenti di cantiere). Il corpo era sul pavimento del vano scale al di sotto di un lucernario in plexiglass, una lastra di tale lucernario, posto a 14 metri di altezza rispetto al pavimento, era rotta e i frammenti erano vicini al corpo. I giudici di primo e secondo grado, pur essendo pervenuti a conclusioni opposte quanto all'affermazione della penale responsabilità degli odierni ricorrenti, sono concordi nella ricostruzione dei fatti. Ne emerge: che il lucernaio si trovava nel solaio del sottotetto dell'edificio e il tetto sovrastante era oggetto dei lavori; che i lavori su quella porzione di tetto (denominata nei documenti di cantiere «tetto o» o «copertura O») erano in fase di completamento, ma non erano terminati (doveva ancora essere posata una parte delle tegole di copertura e su una falda spiovente, in corrispondenza del lucernario orizzontale, doveva essere collocato un lucernario inclinato così da garantire l'illuminazione naturale del sottostante vano scala); che il lucernario orizzontale ai piedi del quale fu rinvenuto il corpo dell'infortunato non era oggetto dei lavori di ristrutturazione; che si trattava di una botola di m. 3,70 x 4,10, coperta da otto lastre in plexiglass molto sottili (dunque fragili e comunque inidonee a sopportare il peso di una persona) e, proprio per questo, da sempre circondata da una ringhiera; che la ringhiera, dell'altezza di un metro, era dotata di un corrente intermedio, fungeva dunque da parapetto e aveva la funzione di evitare che qualcuno potesse camminare sul lucernario oppure cadervi o salirvi inavvertitamente mentre si trovava sul solaio del sottotetto; che F.E. era stato incaricato di riordinare il cantiere e stava verosimilmente ripulendo la zona del sottotetto (gli ufficiali di polizia giudiziaria intervenuti constatarono infatti che una parte della pavimentazione del solaio era ripulita, vi era della sporcizia accumulata per essere raccolta e che nella tromba delle scale, in corrispondenza con la lastra infranta, vi erano una scopa col manico spezzato e il pezzo residuo del manico); che F.E. scavalcò la ringhiera e precipitò nel vuoto per la rottura della lastra di plexiglass sulla quale era salito; che, proprio quel giorno, al mattino, una struttura provvisionale costituita da tubi e tavolati metallici, posta a copertura del lucernario in plexiglass, era stata rimossa.

3. Contro la sentenza, hanno proposto tempestivo ricorso C.P. e G.S., quest'ultimo in proprio e quale legale rappresentante della responsabile civile «Bra Italia s.r.l.». I ricorsi si articolano in più motivi che vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall'art. 173 comma 1 d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271.

4. Col primo e secondo motivo di ricorso il difensore di G.S. e della Bra Italia s.r.l. lamenta violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità e omessa motivazione riguardo ad analoga eccezione sollevata nel corso del giudizio di appello. Rileva, in particolare, che l'assoluzione pronunciata in primo grado nei confronti di G.S. è stata impugnata soltanto dalla parte civile e non anche dal pubblico ministero e sostiene che tale atto di impugnazione è viziato sotto un duplice profilo. In primo luogo, perché l'appello è stato proposto da un difensore cui non era stato conferito specifico mandato in tal senso. La procura speciale rilasciata al difensore ai fini della costituzione di parte civile, infatti, non comprende necessariamente anche la procura ad impugnare e, nel caso di specie, l'esistenza di una tale procura non potrebbe essere desunta dall'interpretazione del mandato. In secondo luogo, perché l'atto di appello si limita a richiedere l'affermazione della responsabilità penale degli imputati, non menziona neppure la responsabile civile Bra Italia s.r.l. e non contiene un riferimento espresso e diretto agli effetti civili che vuol conseguire, ciò che, invece, in assenza di appello del pubblico ministero, è indispensabile atteso che, ai sensi dell'art. 576 cod. proc. pen., la parte civile può proporre impugnazione soltanto contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e ai soli effetti della responsabilità civile.
4.1. Col terzo motivo di ricorso la difesa di G.S. lamenta contraddittorietà e mancanza di motivazione su punti essenziali della decisione. Rileva che la penale responsabilità di G.S. e la responsabilità civile della Bra Italia s.r.l. sono state affermate sulla base dell'assunto secondo cui, quale legale rappresentante della Bra Italia s.r.l. e datore di lavoro dell'infortunato, G.S. sarebbe stato tenuto a predisporre un Piano di Sicurezza e Coordinamento che contemplasse il rischio correlato alla presenza del lucernario. Un assunto errato in fatto e in diritto, perché, ai sensi del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, il PSC deve essere redatto dal coordinatore per la sicurezza nominato dal committente e non dai datori di lavoro titolari delle imprese esecutrici. Il ricorrente osserva: che il PSC non faceva alcun riferimento al lucernario posto nel sottotetto perché il contratto di appalto non prevedeva lavorazioni nel sottotetto; che G.S. era tenuto a redigere il Piano Operativo di Sicurezza adeguandolo al PSC e così fece; che l'esistenza nel sottotetto di un lucernario orizzontale coperto in plexiglass fu individuata come situazione di potenziale pericolo atteso che gli operai lavoravano sul tetto sovrastante e il plexiglass avrebbe potuto rompersi anche per la caduta di materiali; che, conseguentemente, il lucernario fu coperto da un tavolato di protezione; che, operando in tal modo, fu individuata una situazione di pericolo e adottata una misura di prevenzione e protezione integrativa rispetto a quelle previste dal PSC e la circostanza che l'adozione di tale misura non sia stata inserita nel POS - non vi sia stato dunque l'aggio rn amento documentate richiesto dal d.lgs. n. 81/08, allegato XV, sez. 3.2.1, lett. g - non ha avuto rilevanza causale sul verificarsi dell'evento.
Quanto all'ulteriore profilo di colpa individuato dalla sentenza impugnata - consistente nel non aver previsto un'apposita procedura per la rimozione della copertura del lucernario (rimozione che, ai sensi dell'art. 123 d.lgs. n. 81/08 avrebbe dovuto essere eseguita «sotto la diretta sorveglianza di un preposto ai lavori») - la difesa ricorrente osserva che una procedura deve essere pianificata nel POS solo quando prevista dal PSC. Rileva, inoltre, che G.S. aveva previsto la presenza in cantiere di due figure professionali cui era affidato il compito di vigilare sulla corretta esecuzione delle lavorazioni: C.P., libero professionista cui era stato attribuito l'incarico di Direttore tecnico di cantiere (secondo il ricorrente non un «preposto», ma un «dirigente», soggetto agli obblighi di cui all'art. 18 d.lgs. n. 81/08) e M.M., caposquadra degli addetti al ponteggio (secondo il ricorrente, «preposto» ai sensi dell'art. 19 d.lgs n. 81/08). Sottolinea che lo smontaggio del tavolato di protezione fu disposto, poche ore prima dell'incidente, proprio da M.M., il quale agì in autonomia senza aver ricevuto disposizioni in tal senso né da G.S. né da C.P..
La difesa ricorrente osserva, infine, che l'infortunio non fu determinato dalla mancata protezione del lucernario - che peraltro non era un luogo di lavoro al quale i dipendenti della Bra Italia s.r.l. dovessero accedere - bensì dal sovrapporsi di due condotte, entrambe anomale: la decisione di rimuovere il tavolato di protezione collocato sopra il lucernario, che fu adottata in autonomia dal «preposto ai ponteggi»; l'iniziativa dell'infortunato, il quale, per svolgere mansioni che la difesa reputa «del tutto estranee alle lavorazioni in corso», scavalcò la ringhiera posta intorno al lucernario, la cui funzione era proprio quella di evitare che qualcuno potesse salire sulle sottili lastre in plexiglass con le quali era stato realizzato.

5. Come si è detto, C.P. è stato ritenuto responsabile in grado di appello del reato di cui all'art. 589 cod. pen. nella qualità di «preposto della Bra Italia s.r.l.» e ha presentato tempestivo ricorso contro la sentenza di condanna.
5.1. Col primo motivo, la difesa del ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione del d.lgs. n.81/08 e degli artt. 40 e 43 cod. pen. Col secondo motivo, che è connesso al primo ed è trattato congiuntamente ad esso nel ricorso, lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La difesa sottolinea che C.P. è stato ritenuto responsabile del reato per aver omesso di vigilare sul corretto uso e mantenimento di un mezzo di protezione collettiva quale era il tavolato posto a copertura del lucernario; per non aver individuato e indicato le modalità di dismissione di tale sistema di protezione; per aver omesso di recarsi nel sottotetto e verificare lo stato dei luoghi. Rileva che, nel giungere a tali conclusioni, la sentenza impugnata non ha considerato le emergenze istruttorie, dalle quali risulta in modo inequivoco: che la decisione di rimuovere la copertura fu adottata dalle maestranze; che C.P. non era dipendente della Bra Italia s.r.l., ma un libero professionista e l'incarico che aveva assunto prevedeva la sua presenza in cantiere per tre ore al giorno; che (come riferito in giudizio dal teste G.F.) i lavori sul tetto O dell'edificio 1 non erano ultimati.
Secondo la difesa, tali circostanze, delle quali la sentenza impugnata dà atto, dovevano indurre ad escludere che C.P. avesse violato i propri obblighi di vigilanza. A questi obblighi, infatti, egli adempì puntualmente disponendo affinché il lucernario fosse coperto da un tavolato che avrebbe dovuto essere rimosso solo al termine dei lavori. Anche a voler ammettere che la procedura di rimozione del tavolato di copertura del lucernario dovesse essere procedimentalizzata - osserva la difesa - tale mancata procedimentalizzazione non ebbe efficacia causale nel verificarsi dell'evento. F.E., infatti, scavalcò intenzionalmente il parapetto che circondava il lucernario e tale abnorme comportamento non era prevedibile né evitabile. Il ricorrente rileva, inoltre, che la decisione di rimuovere il tavolato di copertura, adottata dalle maestranze poche ore prima dell'infortunio, non poteva essere prevista da C.P. e, poiché non risulta che egli ne sia stato informato, non poteva neppure essere evitata. Secondo la difesa, infine, non si può sostenere che tale decisione sia stata possibile perché C.P. non aveva calendarizzato la rimozione del tavolato: invero, secondo quanto riferito da Fontana, le opere provvisionali avrebbero dovuto essere rimosse soltanto a lavori ultimati.

6. Il difensore della «Alphe Ponteggi s.r.l.», costituita in giudizio quale responsabile civile per effetto dell'imputazione formulata a carico di A.A. (che, in ipotesi accusatoria, ne era l'amministratore di fatto), è comparso all'odierna udienza. Come lo stesso difensore ha rilevato, tuttavia, questa società è ormai estranea al giudizio, perché A.A. è stato assolto dalla Corte di appello e la sentenza non è stata impugnata.
Nel corso della discussione, il difensore della parte civile, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso proposto nell'interesse della Responsabile civile «Bra Italia s.r.l.» osservando: che, per tutto il corso del giudizio di merito, la società è stata assistita dall'avv. Immacolata Carratore; che, ai fini della proposizione del ricorso, G.S., in proprio e quale legale rappresentante della società, ha nominato l'avv. Alfonso Quarto, senza revocare la precedente nomina; che il responsabile civile sta in giudizio col ministero di un solo difensore; che, ai sensi dell'art. 24 d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271, la nomina di ulteriori difensori «si considera senza effetto» finché la parte non provvede alla revoca delle nomine precedenti se in eccedenza rispetto al numero previsto.

 

Diritto




1. L'eccezione di inammissibilità del ricorso proposto nell'interesse della responsabile civile «Bra Italia s.r.l.», sollevata in udienza dal difensore di parte civile, è fondata. Il ricorso è stato proposto infatti dall'avv. Alfonso Quarto, appositamente nominato a tal fine, ma il legale rappresentante della società non ha provveduto alla revoca del difensore precedentemente nominato in persona dell'avv. Immacolata Carratore. A differenza dell'imputato, che ha diritto a nominare fino a due difensori (art. 96, comma 1, cod. proc. pen.), le altre parti private - tra queste, il responsabile civile - «stanno in giudizio col ministero di un difensore» (art. 100, comma 1, cod. proc. pen). In caso di nomina di più difensori, quindi, opera l'art. 24 d.lgs. n. 271/89 in base al quale la nomina di ulteriori difensori «si considera senza effetto finché la parte non provvede alla revoca delle nomine precedenti che risultano in eccedenza rispetto al numero previsto dagli artt. 96, 100 e 101 del codice». Nel caso di specie non risulta essere intervenuta alcuna revoca. Di conseguenza, la nomina del difensore che ha proposto il ricorso deve essere considerata «senza effetto», il ricorso è stato proposto da soggetto non legittimato e deve esserne dichiarata l'inammissibilità.

2. Tanto premesso, si deve procedere nell'esame dei motivi di ricorso ritualmente proposti dall'imputato G.S.. Devono essere esaminati per primi i motivi di ricorso che riguardano l'ammissibilità dell'appello proposto dalle parti civili. Il difensore di G.S. sostiene: col primo motivo, che il difensore delle parti civili non era legittimato ad impugnare la sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado non essendo munito di procura speciale in tal senso; col secondo motivo, che l'appello era inammissibile per difetto di specificità e, in particolare, perché non conteneva un riferimento espresso e diretto agli effetti civili che l'impugnazione voleva conseguire.
2.1. Come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, il difensore del ricorrente aveva già sostenuto, con memoria depositata in udienza, che l'atto di impugnazione delle parti civili non conteneva motivi specifici e pertinenti alla posizione del proprio assistito. Dalla sentenza non risulta che in quella memoria fosse stata contestata la legittimazione ad impugnare del difensore delle parti civili. Il motivo di ricorso tuttavia deve essere esaminato. Una impugnazione proposta da soggetto non legittimato, infatti, è inammissibile ai sensi dell'art. 591, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., il quarto comma di questo articolo stabilisce che l'inammissibilità dell'impugnazione «può essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento» e, ai sensi, dell'art. 609 cod. proc. pen. comma 2 cod. proc. pen. la Corte di cassazione deve decidere sulle questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado, anche se dedotte per la prima volta nel giudizio di legittimità. A ciò deve aggiungersi che, nel caso di specie, essendo stata pronunciata in primo grado sentenza di proscioglimento, l'appello non è stato proposto dagli odierni ricorrenti e la disposizione prevista dall'art. 606 comma 3 cod. proc. pen. non trova diretta applicazione. La questione proposta, peraltro, non richiede accertamenti in punto di fatto, e, nell'esame delle questioni processuali, è consentito al giudice di legittimità di esaminare gli atti per verificare se la violazione denunziata sia stata integrata (sul tema: Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092).
Dall'esame degli atti emerge che, nel presente procedimento, si sono costituite parti civili già nel corso dell'udienza preliminare omissis  (rispettivamente moglie e figli del defunto F.E.) e, nel corso delle formalità di apertura del dibattimento, si sono costituite parti civili anche la madre e le sorelle del defunto, in persona di Omissis. In calce ad entrambi gli atti di costituzione compare una procura speciale con la quale le parti civili conferiscono al difensore anche la facoltà di «impugnare la sentenza agli effetti civili». Per questa parte, dunque, il motivo di ricorso in esame è destituito di ogni fondamento.
2.2. Col secondo motivo di ricorso il difensore di G.S. sostiene che l'appello proposto dalle parti civili sarebbe inammissibile perché le stesse, sostituendosi a! pubblico ministero (che non ha appellato l'assoluzione di G.S.), avrebbero chiesto la condanna degli imputati senza fare riferimento espresso agli effetti civili che intendevano conseguire con l'impugnazione.
Si osserva in proposito che l'atto d'appello si conclude con la richiesta di riformare integralmente la sentenza impugnata «ai soli effetti della responsabilità civile, accogliendo le conclusioni di parte civile già depositate in primo grado»; opera dunque un rinvio per relationem alle conclusioni scritte con le quali era stata chiesta la condanna degli imputati (tra questi, di G.S.) al «risarcimento dei danni patrimoniali e morali» subiti dai congiunti di F.E. «quale conseguenza immediata e diretta della sua morte».
Tali considerazioni conducono al rigetto del secondo motivo di ricorso. In più occasioni, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che l'appello proposto dalla parte civile avverso la sentenza di proscioglimento è ammissibile se il riferimento agli effetti civili che vuole conseguire può desumersi, anche implicitamente, dai motivi purché dagli stessi «emerga in modo inequivoco la richiesta formulata» (Sez. 4, n. 41184 del 12/07/2012, Costa, Rv. 253948; in tal senso anche: Sez. 5, n. 22716 del 04/05/2010, Marengo, Rv. 247967). Parte della giurisprudenza ha sottolineato, inoltre, che l'atto di impugnazione va valutato nel suo complesso in applicazione del principio del "favor impugnationis" (Sez. 6, n. 29235 del 18/05/2010, Amato, Rv. 248205; Sez. 5, n. 42411 del 23/09/2009, p.c. in proc. Longo, Rv. 245392). Si tratta, per vero, di un orientamento non unitario e tuttavia non si può ignorare che i casi nei quali è stata ritenuta l'inammissibilità dell'impugnazione erano diversi da quello in esame perché l'atto di appello non conteneva alcun riferimento, neppure implicito, agli effetti di carattere civile che l'impugnazione intendeva conseguire (cfr. Sez. 4, n. 23155 del 03/05/2012, Di Curzio, Rv. 252763; Sez. 6, n. 9072 del 22/10/2009, dep. 2010, Bianco, Rv. 246168).
3. Nell'affermare la penale responsabilità di G.S. e C.P., la sentenza impugnata ha escluso, per prima cosa, che la condotta tenuta dal lavoratore infortunato possa essere considerata abnorme e tale da interrompere il nesso causale tra le condotte ascritte agli imputati e l'evento.
La Corte territoriale ha poi attribuito a G.S. le qualifiche di datore di lavoro e «direttore tecnico di cantiere», ha sottolineato che egli non aveva conferito deleghe formali in materia di sicurezza e C.P. (da lui nominato "direttore di cantiere") era obbligato per contratto a riferirgli di ogni iniziativa adottata in questa materia. Ha individuato, quale profilo di colpa a carico di G.S.: il mancato aggiornamento del POS (cui sarebbe conseguito l'aggiornamento del PSC, non ad opera di G.S. - come erroneamente scritto in sentenza - ma del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione); la conseguente mancata previsione di una procedura che determinasse modi e tempi della rimozione della copertura del lucernario, in assenza della quale tale rimozione non fu eseguita (come è imposto dalla legge) «sotto la diretta sorveglianza di un preposto ai lavori». Ha concluso perciò che l'evento sarebbe stato reso possibile dalla violazione degli artt. 28 e 123 del d.lgs. n. 81/08 (pagg. 35-37 della motivazione).
I giudici di appello, infine, hanno attribuito a C.P. la qualifica di preposto ai sensi dell'art. 19 d.lgs. n. 81/08, hanno sottolineato che egli era comunque obbligato per contratto a vigilare, con finalità di prevenzione antiinfortunistica, sia sull'organizzazione del lavoro che sul corretto uso e mantenimento dei mezzi di protezione collettiva e hanno individuato quali profili di colpa a suo carico: il non aver designato i soggetti preposti alla rimozione della copertura di protezione indicando loro tempi e modi per l'esecuzione di tale attività; l'avere omesso, il giorno dei fatti, «quando giunse in cantiere ed intuitivamente sapeva o apprese che i lavori sul tetto dell'edificio 1 corpo O si erano ultimati», di recarsi nel sottotetto per verificare lo stato dei luoghi e impartire le disposizioni conseguenti (pag. 39 e pa-g. 40 della motivazione).

4. Nel terzo motivo del ricorso proposto nell'interesse di G.S. e nei motivi di ricorso proposti nell'interesse di C.P. i difensori denunciano erronea applicazione della legge penale e contraddittorietà o carenza della motivazione con riferimento alla ritenuta non abnormità della condotta del lavoratore. I ricorrenti sottolineano che F.E. scavalcò la ringhiera che delimitava il lucernario senza alcuna ragione plausibile, per svolgere una attività che non rientrava tra le sue mansioni, tenne dunque un comportamento realmente "abnorme", idoneo ad escludere il nesso causale tra le condotte ascritte agli imputati e l'evento.
Nel criticare la decisione del giudice di primo grado che aveva ritenuto sussistente tale abnormità la sentenza impugnata richiama quanto emerso nel corso della rinnovazione istruttoria eseguita in grado di appello e osserva:
- che la copertura collocata sul lucernario non serviva soltanto ad evitarne la rottura per la caduta dall'alto di cose o persone, ma anche per consentire di lavorare nella parte interna del tetto;
- che infatti il tavolato di copertura fu utilizzato nel corso del rifacimento delle travi del tetto e fu realizzato in modo da costituire un piano di calpestio idoneo alle lavorazioni;
- che dovendosi provvedere al rifacimento del tetto, l'area del sottotetto costituiva a tutti gli effetti un luogo di lavoro e, anche se non era oggetto di interventi di ristrutturazione, avrebbe dovuto essere contemplata nel PSC e nel POS;
- che, in tale situazione , la ringhiera che delimitava il lucernario non poteva costituire protezione adeguata;
- che, N.E. (definito in sentenza «capo squadra») incaricò F.E. di provvedere alla pulizia e al riordino dei luoghi di lavoro e «tale ordine non poteva che afferire (anche) al sottotetto, dove poi il lavoratore inG.F.to si recò» perché quel giorno «si era ultimato di lavorare proprio in quel settore dell'edificio» (pag. 29 della motivazione);
- che il lucernario era costituito da lastre di plexiglass non più riconoscibili come tali perché interamente ricoperte dalla polvere scura prodotta dai lavori di demolizione del tetto e, per questo, poteva confondersi con il pavimento;
- che «l'istruttoria dibattimentale non permette di validare alcuna altra logica e processualmente sostenibile ipotesi circa la decisione di F.E. di scavalcare la balaustra, se non quella di procedere alla pulizia del pavimento pensando erroneamente di accedere ad un piano di lavoro comunque sicuro» (pag. 31 della motivazione).
Tali motivazioni non possono essere ritenute incomplete, illogiche o contraddittorie e non sono dunque censurabili in questa sede.
Si deve ricordare, infatti, che, per giurisprudenza costante, un comportamento, anche avventato, del lavoratore, se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro (Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande A., Rv. 214999; Sez. 4, n. 1588 del 10/10/2001, Russello, Rv. 220651) e che - a differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti - l'evento lesivo non si verificò perché il comportamento di F.E. determinò l'attivarsi di un «rischio eccentrico» rispetto a quello prevedibile, ma perché il rischio, previsto e neutralizzato realizzando un piano calpestabile di copertura del lucernario, era nuovamente divenuto attuale con la rimozione della copertura. Il comportamento dell'infortunato, ancorché imprudente, fu tenuto nello svolgimento delle mansioni a lui affidate e, poiché le cautele finalizzate alla disciplina e al governo del rischio di tale comportamento imprudente, pur poste in opera, erano state rimosse, non è da se solo idoneo ad escludere la responsabilità del datore di lavoro (sull'argomento: Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).
In altri termini, l'evento verificatosi è comunque riconducibile alla insufficienza delle cautele che erano in atto e pertanto il comportamento imprudente del lavoratore inG.F.to pur avendo dato occasione all'evento, non è idoneo ad interrompere il nesso causale (Cfr. Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321). Non si può ignorare, peraltro, che quel comportamento poteva non apparire imprudente proprio perché il rischio era stato in precedenza neutralizzato attraverso misure di protezione. Come risulta dalle sentenze di merito, infatti, nei giorni precedenti all'infortunio, F.E. era salito sul tavolato di protezione, ma dall'istruttoria dibattimentale non è emerso che egli fosse stato avvisato della rimozione di quel tavolato, improvvidamente avvenuta poche ore prima dell'incidente.

5. Alla luce delle considerazioni svolte si deve procedere nel valutare la valenza impeditiva delle condotte doverose che gli imputati sono accusati di aver omesso e la concreta esigibilità di tali condotte. I ricorrenti contestano infatti sia l'una che l'altra e sostengono che la sentenza impugnata le avrebbe ritenute sussistenti con una motivazione carente, illogica, contraddittoria e non rispettosa dei principi di diritto in materia.
Le sentenze di merito sono concordi nel riferire che il tavolato di protezione posto a copertura del lucernario era stato installato nel mese di luglio del 2013 per iniziativa di C.P. e di G.F. (indicati nel POS della Bra Italia s.r.l rispettivamente come «direttore tecnico di cantiere» e «preposto dell'impresa esecutrice - capo cantiere») i quali si erano resi conto della potenziale pericolosità di una botola dotata di una copertura così fragile. Le sentenze riferiscono che la struttura fu realizzata da dipendenti della Alphe Ponteggi s.r.l. che lavoravano per la Bra Italia s.r.l., presso la quale erano stati "distaccati" in forza di una scrittura privata del 22 maggio 2013. M.M. era tra i lavoratori in distacco e aveva funzioni di capo squadra dei ponteggiatori.
Anche sulla rimozione della copertura le sentenze di merito sono concordi. Riferiscono che fu eseguita per iniziativa di M.M., il quale ha sostenuto, però, di aver agito su ordine di N.E. (cui le sentenze di merito attribuiscono la qualifica di capo squadra). Aggiungono che tale decisione fu adottata perché, quando il tetto fosse stato terminato con l'apposizione del lucernario inclinato e delle tegole ancora mancanti, non sarebbe stato più possibile far passare i tavolati attraverso l'apertura ancora presente e portarli a terra usando la gru, ma sarebbe stato necessario trasportarli all'esterno attraverso le scale, con maggior dispendio di tempo e di energie. Le sentenze danno atto che, tra le attività programmate per la giornata in cui si verificò l'infortunio, non c'era lo smontaggio della copertura.

6. Con riferimento alla posizione di G.S., la Corte territoriale sottolinea che, quale legale rappresentante dell'impresa esecutrice e datore di lavoro, egli era tenuto alla redazione del POS ai sensi dell'art. 28 d.lgs. n. 81/08, avrebbe quindi dovuto aggiornarlo quando fu verificata una situazione di pericolo e si decise di predisporre un tavolato a protezione del lucernario (iniziativa della quale C.P. era obbligato a informarlo sicché non v'è ragione di pensare che non lo abbia fatto). L'allegato XV del d.lgs. n. 81/08, infatti, al punto 3.2.1. lett. g) prevede che il datore di lavoro debba individuare nel POS le «misure preventive e protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC [ ...] adottate in relazione ai rischi connessi alle proprie lavorazioni in cantiere». Ai sensi dell'art. 92 d.lgs. n. 81/08, durante l'esecuzione dei lavori, il POS predisposto dalle imprese esecutrici deve essere considerato «come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento» previsto dall'art. 100 dello stesso decreto e il coordinatore per l'esecuzione dei lavori nominato dal committente ha l'obbligo di assicurare «la coerenza» tra il POS e il PSC e di adeguare il PSC «in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere». Ne consegue che, quando - come nel caso di specie - nel corso dei lavori emergano situazioni di pericolo non valutate nel PSC, è compito del datore di lavoro adeguare il POS, ma è compito del coordinatore per l'esecuzione adeguare il PSC. Il citato art. 92, del resto, attribuisce al coordinatore per l'esecuzione il compito di verificare l'idoneità dei POS predisposti dalle singole imprese esecutrici. Più volte la sentenza impugnata afferma che il PSC «predisposto da Bra Italia» non fu aggiornato (pag. 17 e pag. 24 della motivazione) e attribuisce a G.S. la diretta responsabilità di tale mancato aggiornamento incorrendo così in un errore di diritto evidente. Il PSC fu predisposto infatti, come previsto dalla legge, dal coordinatore per la progettazione, e il coordinatore per l'esecuzione aveva il compito di coordinarlo col contenuto dei POS e di aggiornarlo.
Nel corso del giudizio di merito è emerso che il pericolo costituito dall'esistenza nel sottotetto dell'edificio di un fragile lucernario non è mai stato segnalato nel POS predisposto da G.S. e che il POS non fu aggiornato a seguito della predisposizione del tavolato che copriva il lucernario. Non è noto se nelle riunioni di coordinamento per la sicurezza si sia parlato di questo, ma la circostanza non rileva in questa sede. L'infortunio, infatti, non fu reso possibile dal mancato governo di un rischio intetferenziale: l'infortunato era dipendente della Bra Italia s.r.l. e furono i dipendenti di questa società (o i dipendenti della Alphe ponteggi in distacco presso la Bra Italia) a realizzare, e poi rimuovere, il tavolato di protezione.
Avendo preso atto del mancato aggiornamento del POS, la Corte territoriale non ha operato alcun giudizio controfattuale e non ha spiegato in che modo tale mancato aggiornamento documentale possa aver causato l'evento. La sentenza impugnata tratta l'argomento a pag. 37, ma non fa riferimento al mancato aggiornamento del POS e si limita ad osservare che se il tavolato di copertura non fosse stato rimosso l'evento non si sarebbe verificato. A fronte di una disposizione generale, contenuta nel PSC, secondo la quale la rimozione, anche temporanea, delle opere provvisionali destinate alla protezione contro le cadute dall'alto doveva essere «esplicitamente autorizzata dal preposto (o assistente) responsabile dei lavori in zona», la sentenza non spiega per quale motivo, la mancata previsione di una specifica procedura per la rimozione di quel particolare presidio di protezione abbia avuto efficacia causale nel verificarsi dell'evento.
A ben guardare, la mancata procedimentalizzazione ascritta al G.S. è diretta conseguenza della poca chiarezza nell'individuazione dell'organigramma di cantiere e della conseguente "catena di comando".

La sentenza impugnata non si sofferma sul tema;

sostiene, infatti, da un lato, (pag. 37 della motivazione) che G.S. «aveva deciso di non delegare ad alcuno la materia della sicurezza all'interno del cantiere»; dall'altro, che C.P. aveva in questa materia un potere così ampio da poter «sospendere le lavorazioni» ed era dunque un preposto ai sensi dell'art. 19 comma 1 d.lgs n. 81/08 (pag. 38 e 39 della motivazione). Dalle sentenze di merito emerge, però, che M.M. aveva qualifica di «caposquadra preposto al montaggio e smontaggio dei ponteggi e delle opere provvisionali» (secondo la sentenza di primo grado - pag. 16 della motivazione - ciò risulterebbe direttamente dal PIMUS) e N.E. aveva qualifica di «capo squadra» (così lo definisce la sentenza impugnata a pag. 29 della motivazione; e alla pag. 16 della sentenza di primo grado, non contestata sul punto, è scritto che egli «coordinava e impartiva le direttive delle operazioni sul tetto»). Fu N.E., infatti, (e il dato non è controverso) che, poco prima dell'infortunio, disse ad F.E. di mettere «a posto il cantiere». La sentenza impugnata, inoltre, non fornisce alcun chiarimento sul ruolo rivestito da G.F. (cui la sentenza di primo grado attribuisce la qualifica di «capocantiere») il quale, in sede di rinnovazione istruttoria, ha sostenuto di avere una posizione subordinata a quella di C.P. del quale «eseguiva gli ordini» e al quale spettava la decisione di procedere allo smontaggio della copertura; smontaggio che era stato concordato dovesse avvenire quando i lavori nella palazzina sarebbero stati terminati e non certo il giorno dell'infortunio, quando ancora il tetto dell'edificio non era stato chiuso (pag. 28 della motivazione della sentenza impugnata).
La condotta alternativa doverosa che G.S. è accusato di aver omesso è costituita dalla mancata procedimentalizzazione documentale della rimozione di uno strumento di protezione supplementare predisposto, a lavori iniziati, su un lucernario del quale era stata verificata la pericolosità. Secondo l'accusa, tale procedimentalizzazione avrebbe dovuto avvenire, nel rispetto dell'art. 123 d.lgs. n. 81/08, disponendo che la rimozione della piattaforma di protezione collocata sul lucernario avvenisse sotto la diretta sorveglianza di un preposto ai lavori e quindi (si deve ritenere) per ordine di quel preposto. Pertanto, un ragionamento controfattuale esaustivo avrebbe richiesto che fossero accertate le competenze dei dipendenti della Bra Italia s.r.l. presenti in cantiere cui le sentenze di merito attribuiscono qualifica corrispondente a quella di un preposto. Ed invero: se risultasse che le competenze previste dall'art. 19 d.lgs. n. 81/08 non erano state attribuite solo a C.P., ma anche ad altri, allora si dovrebbe capire se M.M., o N.E., o entrambi, fossero autorizzati a disporre la rimozione di opere provvisionali (che in base al PSC doveva essere autorizzata da un preposto o da un assistente); se risultasse invece (come sembra affermare la sentenza impugnata) che C.P. era l'unico preposto, allora il POS avrebbe potuto prevedere soltanto che la rimozione fosse autorizzata da lui. In questo secondo caso, la condotta omissiva del datore di lavoro eventualmente rilevante nella causazione dell'evento non consisterebbe tanto nel mancato aggiornamento documentale, ma piuttosto nella mancata predisposizione di un organigramma di cantiere adeguato. Se così fosse, infatti, G.S. avrebbe individuato come unico "preposto" un libero professionista, obbligato per contratto a recarsi in cantiere solo per tre ore al giorno, lasciando, nei fatti, i propri dipendenti liberi di adottare iniziative potenzialmente pericolose.
Il ricorso presentato da G.S. merita dunque accoglimento.

La sentenza impugnata non ha eseguito, infatti, un giudizio controfattuale completo e dalla stessa non emerge con chiarezza la valenza impeditiva della condotta doverosa omessa, che la Corte territoriale ha individuato nel mancato aggiornamento del POS e nel non aver disposto affinché la rimozione del piano di calpestio posto a protezione del lucernario (che certamente G.S. non aveva ordinato e della quale non risulta fosse stato informato) avvenisse sotto la diretta sorveglianza di un preposto.
7. Quanto sin qui argomentato rileva anche con riferimento alla posizione di C.P.. La sentenza impugnata sostiene, infatti, che dopo aver disposto la collocazione della copertura di protezione, egli omise di procedimentalizzare la fase di rimozione, omise quindi di prevenire azioni pregiudizievoli della sicurezza lavorativa da parte di un singolo lavoratore. Trascura però quanto emerso dalla deposizione di G.F., secondo il quale la rimozione della copertura sarebbe stata disposta e procedimentalizzata qua do i lavori fossero terminati e, quindi, solo dopo il completamento del tetto. Come già illustrato, inoltre, la sentenza non chiarisce se C.P. fosse l'unico preposto in cantiere, se egli abbia quindi omesso di impartire specifiche direttive ad altri in ordine alla necessità di non procedere alla rimozione dell'intavolato protettivo fino a quando i lavori non fossero ultimati o ciò non fosse necessario perché nessuna iniziativa poteva essere adottata dalle maestranze senza un ordine suo o di G.S..
La Corte territoriale sembra dare per scontato che C.P. sapesse della rimozione o potesse prevederla. Afferma infatti che egli «rimase colposamente inerte[...] e, il giorno 18 ottobre 2013, quando giunse in cantiere ed intuitivamente sapeva o apprese che i lavori sul tetto dell'edificio 1 corpo O erano ultimati, omise di recarsi nel sottotetto per verificare lo stato dei luoghi ed impartire le conseguenti disposizioni, compresa quella relativa alla rimozione della copertura del lucernario che egli sapeva essere avvenuta trasportando i tavolati attraverso il varco del tetto, varco che il lunedì successivo sarebbe stato chiuso» (così testualmente pag. 39 e 40 della motivazione).
La motivazione è contraddittoria perché afferma, da un lato, che C.P. «sapeva o apprese» che i lavori erano ultimati; dall'altro, che il varco nel tetto era ancora aperto e sarebbe stato chiuso il lunedì successivo. Afferma inoltre - ma non spiega su cosa tale affermazione sia fondata - che C.P. sapeva della rimozione della piattaforma di copertura del lucernario e sapeva anche che era avvenuta trasportando i tavolati attraverso il varco del tetto; introduce quindi nell'iter argomentativo una informazione rilevante che, per quanto è dato comprendere, non esiste nel processo.
La Corte territoriale osserva che la mattina del 18 ottobre C.P. si recò in cantiere (una circostanza che emerge pacificamente dagli atti) e sembra sostenere che ciò avvenne dopo che il tavolato era stato rimosso. Dalla sentenza risulta però che la rimozione, proprio perché eseguita attraverso il tetto, non richiese più di trenta minuti e che, per contratto, C.P. doveva recarsi in cantiere per tre ore ogni giorno. Non si comprende perciò come i giudici di appello abbiano potuto concludere che il giorno dei fatti C.P. fece visita al cantiere mentre la rimozione era in corso o dopo che era avvenuta, ma non prima. La circostanza che C.P. «esercitasse il potere di impartire ordini a tutti gli operai e ai capisquadra» e il fatto che proprio lui avesse chiesto ai ponteggiatori di approntare una sicura e idonea copertura del lucernario non prova che C.P. abbia impartito l'ordine della rimozione e neppure che ne sia stato informato, non smentisce dunque la tesi difensiva secondo la quale egli apprese, solo dopo l'infortunio, che il tavolato era stato rimosso.
L'informazione introdotta nella motivazione e la contraddittorietà della stessa sono indubbiamente rilevanti. Com'è evidente, infatti, se avesse saputo che il tavolato era stato rimosso, C.P. avrebbe dovuto attivarsi per impedire l'accesso dei lavoratori al sottotetto o, quanto meno, per informarli che la copertura del lucernario non era più sicura e la ringhiera di protezione non doveva essere scavalcata. Analogamente, l'ultimazione dei lavori nella palazzina poteva rendere prevedibile una iniziativa delle maestranze volta alla rimozione del tavolato e rendere quindi doveroso un intervento volto a prevenirla.
Il motivo di ricorso col quale si denuncia la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato merita dunque accoglimento. Come noto, infatti, il vizio di travisamento della prova deducibile in cassazione, ai sensi dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., può essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati ed è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (tra le tante: Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 276567; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).

8. L'accoglimento dei ricorsi proposti da G.S. e C.P. comporta l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino, cui deve essere rimessa la regolamentazione tra le parti delle spese relative al presente giudizio di legittimità. L'inammissibilità del ricorso proposto dalla responsabile civile «Bra Italia s.r.l.» comporta, invece, la condanna della società al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la responsabile civile ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a carico della stessa, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere di versare la somma di€ 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle
ragioni di inammissibilità.


 

P.Q.M.



Annulla la sentenza impugnata nei confronti di G.S. e C.P. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello dì Torino, cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità. Dichiara inammissibile il ricorso del responsabile civile che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 14 settembre 2022