Cassazione Penale, Sez. 4, 25 ottobre 2022, n. 40337 - Si getta dal trattore a seguito della rottura dei freni. Nessun comportamento abnorme del lavoratore se la manutenzione del mezzo da parte datoriale è carente


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: SERRAO EUGENIA Data Udienza: 13/10/2022
 

 

Fatto




1. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza indicata in epigrafe, ha riformato la sentenza assolutoria emessa in data 27 giugno 2019 dal Tribunale di Siena nei confronti di M.M. con formula «perché il fatto non costituisce reato», dichiarando l'imputato responsabile del delitto di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. commesso in Castellina in Chianti, località Montelupo il 10 dicembre 2016.

2. Il fatto era così descritto nel capo di imputazione: M.M. aveva incaricato il lavoratore dipendente P.P. di effettuare delle lavorazioni a bordo del trattore Massey Ferguson; a seguito dell'improvvisa rottura dei freni il lavoratore si era gettato dal mezzo, riportando lesioni personali consistite nella frattura esposta alla gamba sinistra di durata superiore a 40 giorni. Al datore di lavoro era imputata la violazione dell'art. 71, comma 1, d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 per non aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi e idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere.
2.1. Il giudice di primo grado aveva assolto l'imputato per non esservi prova certa del nesso causale in quanto l'evento lesivo si era determinato in forza di una dinamica che prescindeva dall'omessa installazione di un sistema di ancoraggio del conducente al sedile del trattore. Con la premessa che il pubblico ministero avesse strutturato l'ipotesi accusatoria su tale omissione e sul rilievo che il trattore fosse munito del dispositivo di protezione contro il ribaltamento ma che non fossero state installate le cinture di sicurezza, il tribunale ha considerato che, in quel particolare frangente e in quelle condizioni emotive, non potesse escludersi che il lavoratore si sarebbe comunque liberato del sistema di ancoraggio.
2.2. La Corte di appello, investita del giudizio di impugnazione dalla pubblica accusa, ha rilevato che l'ipotesi accusatoria prevedeva una condotta omissiva più ampia di quella esaminata dal primo giudice, inclusiva dell'omessa adozione da parte del datore di lavoro di una corretta procedura di controllo e manutenzione del sistema frenante, sottolineando come fosse incontestata la circostanza che durante l'uso del mezzo freni, inizialmente funzionanti, si fossero improvvisamente guastati nonostante il terreno fosse solo «lievemente in pendenza» e rimarcando come la rottura dei freni fosse all'origine del processo causale dal quale erano derivate le lesioni.
3·. M.M. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata, con un primo motivo, per erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione. La difesa sostiene che la Corte ha riconosciuto nella determinazione dell'infortunio un ruolo centrale all'omessa manutenzione del sistema di frenata del mezzo utilizzato dalla persona offesa, sebbene il ricorrente avesse adempiuto agli obblighi di manutenzione, come risulta dal documento datato 28 giugno 2016, dal quale emerge l'intervenuta manutenzione del mezzo agricolo e uno specifico intervento sul sistema frenante, precisamente il cambio dei dischi dei freni, facendo emergere come il guasto sia avvenuto in maniera del tutto improvvisa e imprevedibile. La Corte fiorentina ha parlato di constatata inefficienza, ma la stessa chiazza d'olio, indicata dalla Corte di appello quale possibile prova di un problema meccanico, dimostra l'inevitabilità dell'evento. La difesa lamenta l'omessa valutazione della linea difensiva prospettata nella memoria depositata ai sensi dell'art.121 cod. proc. pen., ribadita in sede di discussione; la Corte di appello avrebbe fornito motivazione carente, limitandosi in pochi passaggi a ribaltare la decisione del tribunale senza esaminare la contrapposta versione fornita dalla difesa. Nel ricorso si precisa, altresì, che l'installazione dei dispositivi di ancoraggio del conducente al sedile era del tutto inconferente rispetto al rischio in concreto verificatosi.
Con un secondo motivo deduce mancanza di motivazione ed errore di diritto sotto il profilo della valutazione della condotta del tutto imprevedibile del lavoratore, che si sarebbe dovuta considerare tale da interrompere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento. Il dipendente aveva frequentato uno specifico corso formativo per la guida di mezzi come il trattore e aveva una certa esperienza, per cui ci si sarebbe potuti attendere una reazione diversa, come ad esempio quella di spegnimento del trattore, sufficiente per tali veicoli a fermare il mezzo, a maggior ragione in terreni pianeggianti.

4. All'udienza odierna, procedendosi a trattazione orale secondo la disciplina dettata dall'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020,n. 176, in virtù del disposto dell'art,16, comma 1, d.l. 30/12/2021 n. 228, sono comparsi il Procuratore generale e il difensore del ricorrente, che hanno concluso come indicato nell'intestazione.

 

Diritto



1. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.


2. Con il primo motivo di ricorso si prospettano vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione la cui esistenza sarebbe desumibile da un documento, allegato al ricorso, attestante l'avvenuta manutenzione del veicolo circa sei mesi prima dell'infortunio.
2.1. Ma il Collegio rileva che nel ricorso è assente ogni riferimento alla produzione di tale documento nelle fasi di merito, rendendo necessario esaminare quale incidenza tale assenza di riferimento abbia nel presente giudizio.
2.2. Ove il documento non fosse stato sottoposto all'esame dei giudici di merito, tale produzione sarebbe inammissibile in questa fase, trattandosi di una vera e propria prova documentale che richiede un'attività di apprezzamento della sua efficacia nel contesto delle acquisizioni istruttorie. E gli artt.585, comma 4, e 311, comma 4, cod. proc. pen. (quest'ultimo richiamato - in tema di misure cautelari reali - dall'art. 325, comma 3, cod. proc. pen.) consentono, rispettivamente in generale nel giudizio di impugnazione, e in particolare nel giudizio di legittimità, la formulazione di «motivi nuovi», non anche la produzione di «documenti nuovi». Secondo quanto ripetutamente affermato dalla Corte di legittimità (Sez. 1, n. 42817 del 06/05/2016, Tulli, Rv. 267801; Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, Sanvitale, Rv. 266390; Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, Platamone, Rv. 254302; Sez. 4, n. 3396 del 06/12/2005, dep. 2006, Kurugamage, Rv. 233241), non è ammissibile la produzione per la prima volta in sede di legittimità di «documenti nuovi», ovvero già non facenti parte del fascicolo, diversi da quelli che non costituiscono nuova prova e che non esigono attività di apprezzamento sulla loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte, perché tale attività è estranea ai compiti istituzionali della Corte di Cassazione. I documenti esibiti per la prima volta in sede di legittimità non sono, in altre parole, ricevibili perché il nuovo codice di rito non ha previsto all'art.613, diversamente dall'abrogato art. 533, tale facoltà: si è, in tal modo, inteso esaltare il ruolo di pura legittimità della Suprema Corte, che procede non ad. un esame degli atti, ma soltanto alla valutazione dell'esistenza e della logicità della motivazione (Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019 , Moretti Cuseri, Rv. 277609 - 01).
2.3. Qualora, al contrario, la difesa avesse già prodotto tale documento nelle fasi di merito, sarebbe stato necessario specificare tale dato processuale, posto che il giudice di legittimità non può dedurlo dal mero adempimento dell'onere di autosufficienza del ricorso, che altrimenti si trasformerebbe nello strumento per introdurre nel giudizio di legittimità documenti e fatti non dedotti tempestivamente davanti ai giudici del merito (Sez. 6, n.12645 del 04/03/2015, Bonavita, Rv. 263713 - 01).
2.4. A ciò si aggiunga che nella memoria ex art.121 cod. proc. pen. allegata al verbale del 28 maggio 2021 (nel quale peraltro non vi è menzione del deposito), non vi è alcun riferimento a tale documento e la difesa ha sviluppato argomentazioni inerenti a temi (imprevedibilità oggettiva e soggettiva dell'evento), congruamente esaminati nella sentenza impugnata.

3. Il secondo motivo si limita a contestare le valutazioni del fatto svolte in fase di appello con riguardo alla prospettata abnormità del comportamento del lavoratore, proponendo una rilettura delle prove in senso favorevole all'imputato.
3.1. Onde valutare la legittimità delle argomentazioni svolte dai giudici di merito, è bene richiamare in sintesi alcuni principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di condotta cosiddetta abnorme del lavoratore, da valutare in applicazione dell'art. 41, comma 2, cod. pen., a norma del quale il nesso eziologico può essere interrotto da una causa sopravvenuta che si presenti come atipica, estranea alle normali e prevedibili linee di sviluppo della serie causale attribuibile all'agente e costituisca, quindi, un fattore eccezionale. Giova soffermarsi sul punto della sentenza in cui la Corte territoriale ha ritenuto accertato che il sistema frenante del trattore al quale era stato addetto il lavoratore si è rivelato inidoneo. Le misure prevenzionistiche dettate dall'art.71 d. lgs. n. 81/2008 con riguardo alle attrezzature di lavoro impongono, tra l'altro, che il datore di lavoro prenda le misure necessarie affinche' le attrezzature di lavoro «siano oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza di cui all'articolo 70» che a sua volta rimanda alle regole generali raccolte nell'Allegato V, ove si fa riferimento (Parte II, par.2.6) lett.c) ai dispositivi di comando che consentano la frenatura e l'arresto delle attrezzature di lavoro mobili semoventi. Nel caso concreto, i giudici hanno ritenuto che l'improvvisa rottura del sistema frenante avesse rivelato un difetto di manutenzione e controllo da parte del datore di lavoro sul quale si era innestata la condotta del lavoratore, considerata come prevedibile gesto di reazione alla situazione di pericolo.
3.2. Si deve, a tal fine, ricordare che, in una sentenza di questa Sezione (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Lovison, Rv. 254094), sono state richiamate le pronunce della Corte nelle quali si è ritenuto che il comportamento del lavoratore avesse interrotto il nesso di causalità tra l'azione o l'omissione del datore di lavoro e l'evento e, in dettaglio, le seguenti:
a) un dipendente di un albergo in una località termale, terminato il turno di lavoro, si era diretto verso l'auto parcheggiata nei pressi e, per guadagnare tempo, invece di percorrere la strada normale, si era introdotto abusivamente in un'area di pertinenza di, un attiguo albergo ed aveva percorso un marciapiede posto a margine di una vasca con fango termale alla temperatura di circa 80 gradi. L'area era protetta da ringhiere metalliche ed il passaggio era sbarrato da due catenelle, mentre non esisteva alcuna protezione all'interno dell'area stessa, sui passaggi che fiancheggiavano le vasche. In prossimità dell'area si trovavano segnali di pericolo. L'uomo, che conosceva molto bene la zona, aveva scavalcato le catenelle e si era incamminato lungo i marciapiedi, ma aveva messo un piede in fallo cadendo nella vasca e perdendovi la vita (Sez. 4, n. 11311 del 07/05/1985, Bernardi, Rv. 171215). La pronunzia assolutoria, confermata dal giudice di legittimità, era motivata dal fatto che il lavoratore conosceva benissimo i luoghi e fosse ben consapevole dei pericoli derivanti dal fango ad alta temperatura, dai vapori che ne emanavano e dal buio;
b) un operaio addetto ad una pala meccanica che si era improvvisamente bloccata era sceso dal mezzo senza spegnere il motore e, sdraiatosi sotto di essa tra i cingoli, aveva sbloccato a mano la frizione difettosa sicché il veicolo, muovendosi, lo aveva travolto. La Corte ha, in tale occasione, affermato il principio che la responsabilità dell'imprenditore deve essere esclusa allorché l'infortunio si sia verificato a causa di una condotta del lavoratore inopinabile ed esorbitante dal procedimento di lavoro cui è addetto, oppure a causa di inosservanza di precise disposizioni antinfortunistiche (Sez.4, n.3510 del 10/11/1989, dep.1990, Addesso, Rv.183633);
c) un lavoratore, addetto ad una macchina dotata di fresatrice, con il compito di introdurvi manualmente degli elementi di legno, aveva inserito la mano all'interno dell'apparato, «eseguendo una manovra tanto spontanea quanto imprudente», per rimuovere residui di lavorazione, subendone l'amputazione. L'imputazione riguardava il reato di cui all'art. 590 cod. pen. in relazione all'art. 68 d.P.R. n.547/55 per la mancata adozione di idonei dispositivi di sicurezza. La Corte d'appello aveva affermato la responsabilità del titolare della ditta e del preposto ai lavori. La Corte di Cassazione ha, invece, annullato con rinvio ai giudice di merito perché verificasse se l'incongruo intervento del lavoratore fosse stato richiesto da particolari esigenze tecniche, osservando che l'operazione compiuta era rigorosamente vietata; che la macchina era dotata di idoneo strumento aspiratore; che il lavoratore era perfettamente consapevole che la fresatrice fosse in movimento; che qualunque accorgimento tecnico volto ad obbligare l'operatore a tenere ambo le mani impegnate per far andare la macchina avrebbe dovuto fare i conti con il tipo di lavorazione, nel quale la manualità dell'operatore era totalmente assorbita nell'introduzione del legno nell'apparato (Sez.4, n. 10733 del 25/09/1995, Dal Pont, Rv. 203223).
3.3. La condotta colposa del lavoratore è stata, in altra pronuncia, ritenuta idonea ad escludere la responsabilità dell'imprenditore, dei dirigenti e dei preposti in quanto esorbitante dal procedimento di lavoro al quale egli era addetto oppure concretantesi nella inosservanza di precise norme antinfortunistiche (Sez. 4; n. 1484 del 08/11/1989, dep.1990, Dell'Oro, Rv.183199). In alcune sentenze il principio è stato ribadito, e si è altresì sottolineato che la condotta esorbitante deve essere incompatibile con il sistema di lavorazione o, pur rientrandovi, deve consistere in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, tali non essendo comportamenti tipici del lavoratore abituato al lavoro di routine (Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004, Giustiniani, Rv.229564; Sez. 4, n. 9568 del 11/02/1991, Lapi, Rv. 188202); in altre si è sostenuto che l'inopinabilità può essere desunta o dalla estraneità al processo produttivo o dall'estraneità alle mansioni attribuite (Sez.4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande, Rv.214998; Sez.4, n.8676 del 14/06/1996, Ieritano, Rv. 206012), o dal carattere del tutto anomalo della condotta del lavoratore (Sez.4, n. 2172 del 13/11/1984, dep.1986, Accettura, Rv.172160).
3.4. Se, dunque, da un lato, è stato posto l'accento sulle mansioni del lavoratore, quale criterio idoneo a discriminare il comportamento anomalo da quello che non lo è, nel concetto di esorbitanza si è ritenuto di includere anche l'inosservanza di precise norme antinfortunistiche, ovvero la condotta del lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute, a condizione che l'infortunio non risulti determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza adottate dal datore di lavoro (Sez.4, n.3455 del 03/11/2004, dep. 2005, Volpi, Rv.230770).
3.5. In sintesi, si può cogliere nella giurisprudenza di legittimità la tendenza a considerare interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso ma anche quando, pur collocandosi nell'area di rischio, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute e, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro; cionondimeno, quest'ultimo, dal canto suo, deve aver previsto il rischio e adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro.
3.6. In definitiva, applicando tali principi al caso concreto, la pronuncia impugnata risulta rispettosa del dettato dell'art.41, comma 2, cod. pen., in particolare laddove i giudici di merito hanno ritenuto che il comportamento del lavoratore non fosse qualificabile come causa sopravvenuta sufficiente a determinare l'evento, essendo stato accertato che la manutenzione dell'attrezzatura semovente fornita al lavoratore si era rivelata carente.
3.7. E', inoltre, ripetutamente affermato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione il principio secondo il quale nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un'esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti né a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze istruttorie, essendo necessario e sufficiente che spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente disattese le opposte deduzioni difensive ancorchè non apertamente confutate. In altre parole, non rappresenta vizio censurabile l'omesso esame critico di ogni questione sottoposta all'attenzione del giudice di merito qualora dal complessivo contesto argomentativo sia desumibile che alcune questioni siano state implicitamente rigettate o ritenute non decisive, essendo a tal fine sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del giudice (Sez.2, n.9242 del 8/02/2013, Reggio, Rv.254988; Sez.6, n.49970 del 19/10/2012, Muià, Rv.254107; Sez.4, n.34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv.253512; Sez.4, n.45126 del 6/11/2008, Ghisellini, Rv.241907).

4. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell'art.616 cod.proc.pen. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 3.000,00.

 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 13 ottobre 2022