Cassazione Civile, Sez. Lav., 28 ottobre 2022, n. 31956 - Risarcimento del danno differenziale, morale e patrimoniale connesso all'attività di addetto alla palificazione /elettrificazione


 

Presidente: ESPOSITO LUCIA
Relatore: PAGETTA ANTONELLA
Data pubblicazione: 28/10/2022
 

 

Fatto



1. M.B., premesso di essere stato in via giudiziale riconosciuto affetto da malattia professionale con condanna dell'INAIL all'indennizzo del danno biologico pari al 16%, ha agito in giudizio per vedersi riconosciuto il risarcimento del danno differenziale oltre che morale e patrimoniale connesso all'attività di addetto alla palificazione /elettrificazione svolta alle dipendenze di Enel Distribuzione s.p.a.; ha allegato che tale attività comportava la movimentazione manuale dei carichi, l'esposizione a vibrazioni ed a posture incongrue nonché ad eventi climatici e dedotto la violazione da parte della datrice di lavoro delle norme poste a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
2. Il giudice di primo grado ha respinto la domanda.
3. La Corte di appello di Campobasso, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato E -Distribuzione s.p.a. (già Enel Distribuzione s.p.a.) a corrispondere al M.B., a titolo di risarcimento del danno differenziale da malattia professionale, la somma di € 65.021,64, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla domanda al soddisfo, respingendo la domanda di manleva proposta dalla società datrice di lavoro nei confronti di Generali Italia s.p.a già Ina Assitalia s.p.a.; ha condannato E- Distribuzione s.p.a. alla rifusione delle spese di lite del doppio grado liquidate in complessivi € 3.000,00 in favore del M.B. ed in € 1.500,00 in favore della società assicuratrice .
3.1. Per quel che qui rileva, il giudice di appello ha ritenuto che: a) il termine - decennale ex art. 2087 cod. civ. - di prescrizione, decorrente dal 31.3.2001 (data di cessazione dell'adibizione del lavoratore alle mansioni di elettricista, coincidente con il suo collocamento a riposo) era stato utilmente interrotto dalla lettera di messa in mora del 15/5/2006; b) le emergenze in atti ed in particolare la prova orale avevano confermato lo svolgimento dell'attività dedotta; c) il nesso causale con la patologia sofferta doveva ritenersi sussistente alla stregua della consulenza tecnica d'ufficio i cui esiti erano corroborati dalle emergenze in atti; d) la società datrice di lavoro, sulla quale ricadeva il relativo onere, non aveva dimostrato di avere adottato le cautele dirette ad eliminare o ridurre il rischio specifico connesso all'attività prestata; in particolare non aveva dimostrato di avere osservato l'obbligo di sorveglianza sanitaria periodica previsto dagli artt. 24 e 33 d. P.R. n. 303/1956 (per l'attività implicante esposizione a vibrazioni e scuotimenti), e dagli artt. 16 e 48 d. lgs n. 626/1994 (per le attività implicanti movimentazione e manuale dei carichi), di avere effettuato la valutazione dei rischi connessi alle lavorazioni espletate di avere assolto agli obblighi formativi e informativi nei confronti del lavoratore; e) la percentuale di invalidità secondo quanto accertato dal consulente tecnico d'ufficio era pari al 22% e la liquidazione del relativo danno, effettuata sulla base delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano detratto quanto liquidato dall'INAIL a titolo di indennizzo del danno biologico, ammontava a € 65.021,64; e) la domanda di manleva di E- Distribuzione s.p.a. era infondata alla luce delle condizioni di polizza.
4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso E- Distribuzione s.p.a. (già Enel Distribuzione s.p.a. ) sulla base di otto motivi; M.B. e Generali Italia s.p.a. (già Ina Assitalia s.p.a.) hanno ciascuna resistito con controricorso; M.B. ha proposto ricorso incidentale affidato a un unico motivo.
5. Tutte le parti hanno depositato memoria.

 

Diritto



Ricorso principale
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2943 cod. civ. e degli artt. 1362 e sgg. cod. civ. (per quanto applicabili ex art. 1324 cod. civ.) e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, censurando la sentenza impugnata per avere riconosciuto efficacia interruttiva del decorso del termine prescrizionale alla lettera in data 15.5.2006; tale lettera - sostiene- non conteneva, alcuna specifica richiesta risarcitoria, né individuava pretese economiche nei confronti della società datrice di lavoro.
2. Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 10 d.P.R. n. 1124/1965 censurando la sentenza impugnata per avere omesso di verificare la sussistenza del presupposto di applicabilità dell'art. 10 cit. rappresentato dalla esistenza di una condanna penale o comunque dalla configurabilità di una condotta penalmente rilevante a carico della parte datrice di lavoro.
3. Con il terzo motivo deduce, in via gradata rispetto al secondo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2697 cod. civ., violazione e falsa applicazione del d. P.R. n. 164/1956, dell'art. 37 c.c.n.l. 1973, degli artt. 4, 24, 33, 34 d. P.R. n. 303/1956 e relativa Tabella nonché degli artt. 4, 16, 21 e 22 d. lgs n. 626/1994 in relazione alla imputata omissione della sorveglianza sanitaria; violazione e falsa applicazione dell'art 4 d. lgs. n. 626/ 1994, dell'art. 2087 cod. civ. e dell'art. 11 Preleggi in relazione al profilo della omessa considerazione della movimentazione manuale dei carichi da parte del documento valutazione dei rischi elaborato dalla società datrice di lavoro e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Critica la sentenza impugnata per avere ricondotto le attività svolte dal M.B. a quelle disciplinate dal d.P.R n. 303/1956 e dall"art. 37 c.c.n.l. 1973. In particolare rappresenta, mediante richiamo alle allegazioni formulate nel ricorso introduttivo, che il M.B. negli anni dal 1986/al 1996 era stato adibito a mansioni di magazziniere, operatore di mezzi speciali e infine autista, non facendo parte neppure dei cd lavoratori cantieristi. In conseguenza, - sostiene non era ravvisabile un obbligo di sorveglianza sanitaria ex d.P.R. n. 303/1956 e, quindi anche alla stregua del d. lgs n. 626/1994; deduce che le attività svolte risultavano comunque contemplate nel documento di valutazione rischi che la società era tenuta ad effettuare ai sensi del d. lgs. n. 626/1994 e che esse erano riconducibili a quelle regolate dal d. P.R. n. 164/1956;
evidenzia, inoltre, di avere contestato le allegazioni attoree
4. Con il quarto motivo deduce omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., degli artt. 115, 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp att. cod. proc. civ. in relazione alla omessa dimostrazione da parte dell'Enel di avere adottato tutte le cautele possibili per l'attenuazione dei rischi specifici; deduce, inoltre, nullità della sentenza per avere la Corte distrettuale fondato la responsabilità della società datrice di lavoro sulla natura intrinsecamente operativa delle mansioni e sulla gravosità di alcune tipologie di lavori senza verificare specifiche negligenze o carenze da imputare alla società datrice ed in questa prospettiva denunzia apparenza di motivazione.
5. Con il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 10 del d.P.R. 1124/1965, degli artt. 1223, 2087 e 2697 cod. civ. per avere la Corte di appello ritenuto sussistente la responsabilità di E-Distribuzione s.p.a. per omessa sorveglianza sanitaria, sebbene non fosse stata fornita alcuna allegazione e prova oggettiva del fatto che la suddetta sorveglianza consentisse di evitare le patologie in evoluzione.
6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. e degli artt. 112, 113, 115, 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp att. cod. proc. civ., nullità del procedimento e violazione e falsa applicazione del d. lgs n. 38/2000 quanto alle Tabelle sulle menomazioni. Censura, in sintesi, la sentenza impugnata per non avere motivato sulle critiche formulate da essa E- Distribuzione s.p.a. alla consulenza tecnica d'ufficio in punto di nesso eziologico fra le attività lavorative prestate dal M.B. e l'insorgenza delle patologie e sulla stima della percentuale di inabilità; in relazione a questo profilo denunzia apparenza di motivazione e nullità del procedimento.
7. Con il settimo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 10 d.P.R. n. 1124/1965 e 13 d. lgs. n. 38/2000. Premesso che non era giustificata la percentuale di invalidità accertata dal consulente tecnico d'ufficio, sostiene che il datore di lavoro era tenuto a risarcire il danno differenziale esclusivamente nei limiti della medesima percentuale di danno già riconosciuta al lavoratore ai sensi del d. lgs n. 38/2000 in quanto una maggiore percentuale implicherebbe la necessità di revisione della rendita INAIL. Assume, inoltre, che era stato riconosciuto un risarcimento di importo superiore a quello richiesto da controparte nelle proprie note conclusionali in appello.
8. Con l'ottavo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1368 cod. civ. con riferimento alla polizza assicurativa stipulata dalla società datrice di lavoro censurando il rigetto della domanda di manleva proposta dalla società nei confronti della Compagnia assicuratrice.
 

Ricorso incidentale
9. Con l'unico motivo di ricorso incidentale M.B. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 d.m. n. 55/2014 ex art. 13, comma 6, legge n. 247/2012 e della tabella allegata ad esso allegata, censurando la liquidazione delle spese di lite che assume inferiore al minimo edittale.
 

Esame dei motivi di ricorso principale
10. Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile per essere le doglianze articolate inidonee alla valida censura della decisione in punto di ricostruzione del contenuto della lettera del 15/5/2006.
10.1. Occorre premettere che, come chiarito dal giudice di legittimità, la natura di atto giuridico in senso stretto (nonché recettizio) dell'atto di costituzione in mora, non consente l'applicabilità diretta ed immediata dei principi sui vizi del volere e della capacità dettati in tema di atti negoziali, ma legittima il ricorso, in via analogica, alle regole di ermeneutica, in quanto compatibili, degli atti negoziali stessi, con la conseguenza che anche l'attività interpretativa dell'atto di costituzione in mora si traduce in un'indagine di fatto istituzionalmente affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei soli casi di inadeguatezza della motivazione - tale, cioè, da non consentire la ricostruzione dell' "iter" logico seguito dal giudice per giungere all'attribuzione di un certo contenuto ( e di una certa significazione) all'atto in esame -, ovvero di inosservanza delle norme ermeneutiche compatibili con gli atti giuridici in senso stretto (Cass. n. 11416/2018, Cass. n. 11579/2014, Cass. n. 5104/2006, Cass. n. 22751/2004, Cass. n. 2200/2001).
10.2. Le censure formulate dal ricorrente, non sono coerenti con le indicazioni del giudice di legittimità in quanto si sostanziano in una lettura meramente contrappositiva a quella fatta propria dal giudice di merito della lettera in data 15/5/2006 inviata dal lavoratore, lettura non veicolata dalla specifica indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito si era discostato dalle regole legali di interpretazione o dalla individuazione di specifiche incongruità o illogicità della motivazione. Invero, secondo la costante giurisprudenza della S.C. ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici i quali, come detto, sono applicabili in via analogica anche agli atti giuridici in senso stretto, non è sufficiente l'astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato mentre la denuncia del vizio di motivazione dev'essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell'attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l'indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l' interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un'altra ( Cass. n. 19044/2010, Cass. n. 15604/2007, in motivazione; Cass. n. 4178/2007) dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell' interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell'annullamento di quest'ultima ( Cass. n. 14318/2013, Cass. n. 23635/2010).
11. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
11. 1. La pronuncia resa dalla Corte di appello di Campobasso ha accertato la responsabilità del datore con criteri di tipo civilistico, conformemente all'orientamento consolidato espresso da questa Suprema Corte (Cass. n. 9166/2017, Cass. n. 27699/2017, Cass. n. 12041/2020, Cass. n. 17655/2020). Già con la sentenza n. 9817/2008, cui sono seguite pronunce di analogo tenore, il giudice di legittimità ha affermato che "il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 c.c. sull'inadempimento delle obbligazioni ... ne consegue che il lavoratore deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno". Da una panoramica complessiva del sistema normativo vigente e della giurisprudenza costituzionale sul tema dei rapporti tra giudizio civile e penale emerge come l'attuale sistema si caratterizzi per la pressoché completa autonomia e separazione tra i due giudizi, per cui il giudizio civile inizia e procede senza essere condizionato da quello penale. Invero, le numerose pronunce del Giudice delle leggi che si sono susseguite nel corso degli ultimi anni hanno esteso la responsabilità del datore di lavoro, prima limitata agli eventi derivati da fatto imputabile ai soli incaricati della direzione o della sorveglianza dei lavoratori, anche a quelli commessi da qualunque altro dipendente di cui dovesse rispondere ex art. 2049 cod. civ. (sentenza n. 22 del 1967); hanno dichiarato l'incostituzionalità del quinto comma dell'art. 10, nella parte in cui consentiva al giudice civile di accertare incidentalmente il fatto-reato soltanto nell'ipotesi di estinzione dell'azione penale per morte dell'imputato e per amnistia, e non anche per prescrizione del reato. Con successive pronunce, unitamente a modifiche normative, si è sostanzialmente decretata la fine della pregiudizialità penale. Con la sentenza n. 102 del 1981 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma quinto dell'art. 10 cit., "nella parte in cui non consente che, ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'INAIL, l'accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nei casi in cui il procedimento penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria o vi sia provvedimento di archiviazione"; inoltre ha dichiarato illegittime le norme impugnate, "nella parte in cui precludono al giudice civile di valutare i fatti dinanzi a lui dedotti in maniera diversa da quella ritenuta in sede penale, anche nei confronti del datore di lavoro che non sia stato posto in condizioni di partecipare al relativo procedimento". La sentenza n. 118 del 1986 ha esteso la declaratoria di illegittimità in favore dell'infortunato nel caso in cui il procedimento penale, nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente, si sia concluso con un provvedimento di archiviazione o proscioglimento in sede istruttoria. Con la sentenza n. 372 del 1988 la Corte costituzionale ha, poi, chiarito che pure il diritto di regresso dell'INAIL prescinde "dalla sorte contingente del procedimento penale" ed anche in sede di legittimità è pacifico che l'Istituto non debba necessariamente attendere l'instaurazione o l'esito del giudizio penale (Cass. n. 9601 del 2001; Cass. n. 5578 del 2003). Questo progressivo percorso di autonomizzazione del giudizio civile da quello penale è culminato con l'adozione del nuovo codice di procedura penale, che ha abbandonato il principio di unità della giurisdizione e di prevalenza del giudizio penale, in favore di quello della parità dei diversi ordini giurisdizionali e della loro reciproca indipendenza, soprattutto a seguito "della modifica dell'art. 295 cod. proc. civ., che ha limitato i casi di sospensione ' necessaria alle ipotesi previste dall'art. 75, co. 3, cod. proc. pen. da interpretarsi restrittivamente, stante il favore per la separazione dei giudizi con implicita accettazione del rischio di giudicati difformi. A seguito di questi mutamenti l'esonero non costituisce più una regola, bensì un elemento tendenzialmente recessivo rispetto all'esigenza prioritaria di assicurare alla vittima dell'infortunio, per i profili non coperti da indennizzo, una integrale riparazione del danno alla persona. Pertanto, la "condanna penale", che risulta ancora presente nella formulazione del secondo comma dell'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965, ha perduto del tutto la sua valenza prescrittiva, non solo perché sostituita dall'accertamento, in sede civile, del fatto che costituisce reato, ma anche perché non assolve più all'originaria funzione per cui era stata concepita, che era quella di disciplinare i rapporti di un pregiudiziale e prevalente procedimento penale rispetto ad un eventuale giudizio civile. In questo ambito la disciplina di cui agli artt. 10 ss. del d.P.R. 1124/1965 deve essere interpretata nel senso che l'accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in relazione all'elemento soggettivo della colpa e al nesso causale fra fatto ed evento dannoso. Dall'allegazione fornita dal lavoratore in ordine alla sussistenza di gravi infortuni o patologie professionali e alla presenza di condizioni di lavoro incompatibili con lo stato di salute, la Corte territoriale ha affermato la responsabilità datoriale per violazione quantomeno dell'art 2087 cod. civ. (posto che il lavoratore non deve essere mai posto ad operare in condizioni di lavoro nocive). Ciò vale ad integrare, ad un tempo, sia l'illiceità penale del fatto ex art.10 TU, sia l'esistenza dei requisiti occorrenti tanto per la liquidazione del danno differenziale. Infatti, laddove vi sia la violazione dell'art. 2087 cod. civ. è sempre astrattamente configurabile un fatto di reato.
12. Il terzo motivo di ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità.
12.1. In primo luogo, le censure non sono articolate in conformità dell'insegnamento di questa Corte secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d'impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; ( Cass. n. 26874/2018, Cass. n. 19443/2011).
12.2. In secondo luogo, la deduzione di violazione di norme di diritto non è conforme all'insegnamento di questa Corte secondo il quale il vizio di cui all'art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ. . deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 16700/2020, Cass. n. 24298/2016, Cass. n. 5353/2007; Cass. n. 11501/2006 ).
12.3. In terzo luogo, si rileva che la Corte di merito o ha ritenuto provato sulla base delle emergenze in atti lo svolgimento, nel periodo dedotto, delle attività indicate dal lavoratore come fonte dell'obbligo datoriale di adozione delle misure di prevenzione, precisando che questi aveva allegato di essere stato adibito a mansioni usuranti comportanti la movimentazione manuale dei carichi, l'esposizione a vibrazioni ed a posture incongrue nonché ad eventi climatici (v. sentenza, pag. 3). Ha ritenuto che tali attività rientrassero nell'ambito di applicazione del d. P.R. n. 303/1956 e, quindi, del d. lgs. n. 626/1994 ed evidenziato che già il c.c.n.l. elettrici, nel maggio 1973, all'art. 37 prevedeva l'opportuno avvicendamento dei lavoratori che prestavano la loro opera in condizioni di particolare gravosità e disagio e la sottoposizione degli stessi a controlli medici necessari a prevenire conseguenze dannose alla loro integrità.
12.4. Ciò posto le deduzioni che contestano la riconducibilità dell'attività svolta dal ricorrente a quelle alle quali si riferiva l'art. 37 c.c.n.l. sul rilievo che questi nel ricorso introduttivo aveva allegato che nel periodo 1986/1996, aveva svolto mansioni di magazziniere, operatore di mezzi speciali ed infine autista, risultano inammissibili per la dirimente considerazione che esse sono affidate alla sola trascrizione di una breve frase contenuta nel ricorso introduttivo, la quale in quanto riprodotta in termini parziali e scollegati al contesto espositivo di riferimento si rivela del tutto inidonea ad inficiare la interpretazione del giudice di merito circa il contenuto delle allegazioni attoree alla base della pretesa azionata e la loro riconducibilità a quelle in relazione alle quali la norma collettiva imponeva il rispetto di determinate misure di prevenzione. La questione della verifica della particolare gravosità delle mansioni alla luce della definizione offerta dal c.c.n.l. 22.4.1986 non è stata specificamente affrontata  dalla Corte di merito e risulta quindi inammissibile per novità non avendo parte ricorrente, come suo onere, allegato la avvenuta, rituale deduzione della stessa nelle fasi di merito (Cass. n. 20694/2018, Cass. n. 15430/2018, Cass. n. 23675/2013).
12.5. Le deduzioni in punto di inapplicabilità del d.P.R. n. 303/1956 in tema di obbligo di sorveglianza sanitaria sono inammissibili in quanto l'errore sussuntivo in tesi ascritto alla sentenza impugnata non è riferito alla concreta fattispecie accertata dal giudice di appello circa le caratteristiche dell'attività svolta dal Bave ma fondato su una ricostruzione fattuale frutto di un diverso apprezzamento della prova orale (circa le modalità di utilizzo degli strumenti vibranti); le doglianze investono quindi direttamente un'attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, sindacabile solo nei ristretti limiti delineati dal vigente art. 360, n. 5 cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis (derivante dalla modifica di cui all'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), e, quindi, al di fuori dell'ipotesi ipotesi di assenza/ apparenza di motivazione - neppure formalmente prospettata in rubrica - di omesso esame di un fatto storico decisivo, con la conseguente riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione (vedi per tutte: Cass. Sez. Un. n. 8053/2014, Cass. n. 19881/2014, Cass. n. 12928/2014), fatto, da intendersi in senso storico- fenomenico, neppure individuato dall'odierna ricorrente.
12.6. E' inammissibile la censura che contesta l'apprezzamento della Corte di merito circa la mancata effettuazione nel relativo documento predisposto dalla società della valutazione dei rischi specifici connessi all'attività espletata dal lavoratore, venendo in rilievo anche in tal caso un'attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, sindacabile per vizio motivazionale solo nei ristretti limiti delineati nel paragrafo precedente, come viceversa, non avvenuto; parte ricorrente si è infatti limitata a contrapporre all'apprezzamento della Corte di merito il proprio apprezzamento sulla completezza ed idoneità del documento di valutazione rischi.

13. Il quarto motivo di ricorso deve essere respinto in tutti articolati.
13.1. Innanzitutto, non si ravvisa violazione dell'art. 132, comma 2 n. 4 cod. proc. civ. in quanto le ragioni esposte a sostegno del decisum risultano agevolmente percepibili nei loro presupposti fattuali e logico -giuridici. La Corte di merito, infatti, una volta accertata l'attività in concreto espletata dal dipendente ed il nesso causale con le patologie riscontrate ha posto la concreta fattispecie in relazione con la disciplina antiinfortunistica rilevando una serie di violazioni al dovere di sicurezza gravante ex art. 2087 cod. civ. sulla parte datoriale. In relazione agli altri profili di censura si rileva che parte ricorrente, pur formalmente denunziando (anche) violazione e falsa applicazione di norme di diritto, non incentra le proprie doglianze sul significato e la portata applicativa delle norme evocate bensì sulla ricognizione della concreta fattispecie, ponendo quindi sostanzialmente una quaestio facti che nel giudizio di cassazione può essere validamente veicolata solo attraverso la deduzione di omesso esame di fatto controverso e decisivo ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ.. . A riguardo è opportuno rimarcare che secondo l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) e dalle successive pronunce conformi (cfr. Cass., 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016), l'omesso esame deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo. Non solo quindi la censura non può investire argomenti o profili giuridici, ma il riferimento al fatto secondario non implica che possa denunciarsi, ai sensi dell'art. 360 comma 1, n. 5 cod. proc. civ. anche l'omesso esame di determinati elementi probatori, come in concreto, viceversa, avvenuto (v. in particolare, ricorso, pag. 26, punto 38).
14. Il quinto motivo del ricorso principale è inammissibile in quanto pur formalmente denunziando violazione e falsa applicazione di norma di diritto risulta incentrato sulla ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa per cui valgono le osservazioni già formulate nel paragrafo precedente in merito alla inidoneità di tale prospettazione ai fini del giudizio cassatorio.
15. Il sesto motivo è anch'esso da respingere.

15.1. L'accertamento del nesso causale tra le omissioni riscontrate a carico della società datrice di lavoro e la patologia sofferta dal lavoratore costituisce tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incrinabile solo dalla deduzione di omesso esame di fatto controverso e decisivo ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ., deduzione che nello specifico non risulta conforme alle indicazioni di questa Corte (ex plurimis Cass. Sez. Un. n. 8053/2014). Le doglianze di parte ricorrente non riguardano la omessa considerazione di un fatto storico - fenomenico, risultante dalla sentenza o dagli atti di causa, ma solo la mancata " motivazione" in ordine alle note critiche depositate dall'Enel sul metodo e le conclusioni alle quali era pervenuto il consulente tecnico di ufficio, omissioni che oltre ad essere indimostrate ed a risultare comunque superate dalla dichiarata adesione del giudice di appello agli esiti della consulenza tecnica di ufficio, risultano intrinsecamente inidonee a dare contezza dell' errore in tesi ascritto alla sentenza impugnata nell'affermare il nesso di causalità tra la condotta omissiva della società e le patologie del lavoratore .
16. Il settimo motivo di ricorso non è meritevole di accoglimento.

16.1. La tesi dell'odierno ricorrente secondo la quale il datore di lavoro può essere tenuto a risarcire il danno differenziale esclusivamente nei limiti della medesima percentuale di danno già riconosciuta dal lavoratore in sede INAIL è priva di fondamento normativo, tenuto conto della diversità strutturale e funzionale tra l'erogazione indennizzo ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici, diversità che non consente di ritenere che le somme versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato o ammalato, con la conseguenza che il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l'indennizzo erogato dall'INAIL secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale (Cass. n. 9112/2019). Né diverse indicazioni possono trarsi da Cass. n. 9166/2017 la quale, per quel che qui rileva si è limitata a chiarire che il "danno differenziale", costituisce quella parte di risarcimento che eccede l'importo dell'indennizzo dovuto in base all'assicurazione obbligatoria e che resta a carico del datore di lavoro ove il fatto costituisca reato perseguibile d'ufficio. <<Esso è quello che rientra nel tipo già considerato dall'assicurazione obbligatoria, ma che, in ragione del carattere indennitario di questa, può presentare delle differenze dei valori monetari rispetto al danno civilistico, primariamente sia per la diversa valutazione del grado di inabilità in sede INAIL in confronto al diritto comune (dove il grado di invalidità permanente viene determinato con criteri non imposti dalla legge ma elaborati dalla scienza medico legale), sia per il diverso valore del punto di inabilità>>.
16.2. Infine è inammissibile in quanto priva di autosufficiente riferimento agli atti di causa la doglianza di liquidazione del danno in misura superiore a quella richiesta dal lavoratore nelle note conclusionali di appello.
17. L'ottavo motivo di ricorso deve essere respinto.

17.1. La ricorrente non specifica in maniera chiara e precisa i vizi esegetici in cui è incorsa la Corte territoriale nell'interpretare il contratto di assicurazione e nel rigettare, in particolare, la domanda di manleva, non sussistendo, peraltro, alcuna contraddizione tra la mancata considerazione del rilievo penale della condotta datoriale e il rigetto della suddetta domanda di manleva. Invero, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un'indagine di fatto, istituzionalmente affidata al giudice di merito e censurabile avanti al giudice di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità. (Cass. n. 27136/2017).
17.2. La censura, quindi, non può risolversi, come, viceversa, avvenuto nel caso di specie, nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest'ultima non deve essere l'unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni: sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l'altra. (Cass. n. 28319/2017, Cass. n. 9461/2021).


Esame del motivo di ricorso incidentale

18. E' fondato il motivo di ricorso incidentale che investe il regolamento delle spese di lite del giudizio di merito quantificate dalla sentenza impugnata nella misura complessiva di € 3.000,00 per compensi professionali riferita ad entrambi i gradi del giudizio.
18.1. Premesso il principio della inderogabilità dei minimi edittali sancito dall'art. 24 della l. n. 794 del 1942, si osserva che a mente dell'art. 4 d.m. n. 55/2014, nella liquidazione dei compensi il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate che in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati, di regola fino all'80 per cento o diminuiti fino al 50 per cento con la precisazione che per la fase istruttoria l'aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione fino al 70 per cento.
18.2. Nello specifico, in applicazione del criterio del "decisum" sancito dall'art. 5, comma primo, terzo periodo, d.m. 10 marzo 2014, n. 55, la individuazione dei valori di riferimento avrebbe dovuto essere effettuata in ragione dell'importo in concreto liquidato dal giudice di secondo grado, pari a € 65.021,64, in relazione a quanto previsto dalla tabella allegata al d.m. per le cause di lavoro di valore compreso tra € 52.001 a € 260.000,00. La Corte di merito non si è attenuta a tale parametro ma ha liquidato le spese di lite in misura largamente inferiore.
A tanto consegue la cassazione in parte qua della sentenza impugnata con decisione nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto; pertanto le spese di lite dei gradi di merito, determinate in applicazione di quanto previsto dalla tabella allegata al d.m. per le cause di lavoro di valore compreso tra € 52.001 a € 260.000,00 con la riduzione dei valori medi in considerazione della natura seriale della controversia e della non particolare complessità delle questioni giuridiche trattate, sono liquidate come da dispositivo.
19. Le spese di lite del giudizio di legittimità sono liquidate secondo soccombenza.
20. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dell' art.13 d. P.R. n. 115/2002.
 

P.Q.M.
 


La Corte accoglie il ricorso incidentale e rigetta il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e , decidendo nel merito, condanna E Distribuzione s.p.a. alla rifusione a M.B. delle spese di lite che liquida per il primo grado in € 6.400,00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge e, per il secondo grado in € 6.900,00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Condanna E Distribuzione s.p.a. alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore del controricorrente M.B. in € 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge e, in favore di Generali Italia s.p.a. in € 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge . Con distrazione delle spese complessive di lite liquidate in favore di M.B..
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 22 giugno 2022