Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 03 novembre 2022, n. 41340 - Lavoratore schiacciato dalla parete dello scavo privo di armatura. La posizione di garanzia assunta dal direttore dei lavori non esonera il datore di lavoro dalla gestione del relativo rischio


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: ANTEZZA FABIO Data Udienza: 15/09/2022
 

 

Fatto




1. La Corte d'appello di Torino, con la pronuncia indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza con la quale F.M. è stato condannato dal Tribunale di Aosta, all'esito di giudizio abbreviato, con riferimento al delitto di omicidio colposo dell'artigiano P.J., di cui all'art. 589, comma secondo, cod. pen.

2. L'imputato, in particolare, è stato ritenuto responsabile di aver cagionato, nella qualità di datore di lavoro, la morte dell'artigiano P.J. per colpa consistita, oltre che in imprudenza, imperizia e negligenza, nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 118, 119 e 120 d.lgs. n. 81 del 2008, per non aver provveduto all'armatura di uno scavo, nonostante eseguito con una profondità superiore a 1,5 m, e per aver depositato il materiale di scavo sul ciglio dello stesso.
2.1. Per come accertato dai giudici di merito, in ipotesi di c.d. «doppia conforme», il tragico evento si è verificato nel mentre P.J., unitamente ad un altro operaio, F.H., era intento ad effettuare, all'interno del cantiere, uno scavo finalizzato alla posa in opera di una tubazione per le acque reflue posta al servizio di una stalla in costruzione (di proprietà della committente). I due lavoratori, in particolare, erano posizionati all'interno dello scavo - di profondità media di 220-230 cm, di larghezza pari a circa 110 cm, nonché lungo 40 m - privo di armature di sostegno e con ingenti depositi di materiale riposti sul ciglio, allorquando erano stati travolti da un movimento franoso distaccatosi dal lato rivolto a monte, così venendo schiacciati contro la parete dello scavo, con conseguente decesso di P.J. per asfissia meccanica determinata dalla subita compressione dell'emitorace sinistro.

3. Avverso la sentenza d'appello F.M., tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
3.1. Con il primo motivo di ricorso si deducono l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 40 cod. pen. nonché la mancanza di motivazione.
In particolare, la Corte territoriale avrebbe ritenuto responsabile l'imputato (nei termini innanzi sintetizzati) senza considerare il ruolo e la condotta del progettista e direttore dei lavori (A.G.), presente in cantiere lo stesso giorno del sinistro, giudicato separatamente e ritenuto responsabile dell'omicidio colposo di P.J.. Il detto direttore, difatti, è stato condannato con sentenza irrevocabile per aver omesso di vigilare sulla corretta esecuzione delle opere provvisionali e di sostegno dello scavo effettuato dalla vittima, necessarie per la sicurezza dei lavoratori, con particolare riferimento all'adozione delle misure idonee a impedire crolli delle pareti dello scavo, altresì omettendo di disporre, nell'inerzia dell'imprenditore, il blocco dei lavori o, quantomeno, la sospensione della loro prosecuzione nell'interesse della sicurezza dei lavoratori (si veda Sez. 4, n. 29022 del 05/04/2022, che ha rigettat o il ricorso proposto avverso alla sentenza d'appello dal direttore dei lavori A.G.).
Sicché, conclude sul punto il profilo di doglianza, la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare il peso delle descritte condotte del direttore dei lavori, anch'egli titolare di una posizione di garanzia, ai fini dell'accertamento del nesso causale.
In particolare, il giudice di merito avrebbe dovuto verificare se il detto comportamento fosse stato tale, nella specie, da modificare la situazione di pericolo per non aver egli controllato (prima) e sospeso (poi) l'esecuzione dei lavori, in quanto consistenti, in modo non conforme al progetto, nella realizzazione di uno scavo di profondità superiore a 1,5 m, quindi tale da richiedere armature di sostegno. Per il ricorrente, in definitiva, se il direttore dei lavori avesse tenuto la condotta dovuta, in quanto garante, l'evento non si sarebbe verificato.
La condotta omissiva del direttore dei lavori, unitamente alla scelta abnorme dei lavoratori di effettuare un'attività completamente diversa rispetto a quella commissionata (scavo di profondità superio1"e a 1,5 m) avrebbe quindi interrotto il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro e l'evento.
Il medesimo profilo è poi sindacato, sempre con il primo motivo di ricorso, in termini di omessa motivazione in merito a quanto dedotto dalla difesa nel giudizio d'appello, con memoria e motivi nuovi datata 23 febbraio 2021. La Corte territoriale non avrebbe pronunciato in merito alle dette deduzioni e ai motivi nuovi, come sarebbe dimostrato dalla totale assenza di riferimenti alla sentenza d'appello emessa all'esito del separato giudizio a carico del direttore dei lavori A.G..
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 62, n. 6, cod. pen., nonché la mancanza di motivazione in merito alla non applicazione della detta circostanza attenuante che, a dire del ricorrente, sarebbe stata integrata in ragione del risarcimento del danno intervenuto prima del giudizio. In particolare, la Corte territoriale, in fattispecie nella quale il danno è stato risarcito in parte dalla compagnia assicuratrice del datore di lavoro e in parte dall'INAIL, avrebbe erroneamente escluso la sussistenza dell'attenuante facendo riferimento alla non integralità del risarcimento.

4. Sono state depositate conclusioni, ex art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, dalla Procura generale della Repubblica presso la Suprema Corte, in persona del Sostituto Procuratore Ferdinando Lignola, nel senso del ri9etto del ricorso, e dalla difesa del ricorrente che ha invece insistito per l'accoglimento dell'impugnazione.

 

Diritto




1. Il ricorso, globalmente considerato, è infondato.

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce l'omessa motivazione in merito a quanto dedotto dalla difesa nel giudizio d'appello, con memoria e motivi nuovi datata 23 febbraio 2021, non avendo la Corte territoriale pronunciato in merito. Ciò sarebbe dimostrato dalla totale assenza di riferimenti alla sentenza d'appello emessa nel separato giudizio a carico del direttore dei lavori A.G..
In particolare, il giudice di merito avrebbe dovuto verificare se il detto comportamento fosse stato tale, nella specie, da modificare la situazione di pericolo per non aver il direttore dei lavori controllato (prima) e sospeso (poi) l'esecuzione dei lavori, in quanto consistenti, in modo non conforme al progetto, nella realizzazione di uno scavo di profondità superiore a 1,5 m, quindi tale da richiedere armature di sostegno. Per il ricorrente, in definitiva, se il direttore dei lavori avesse tenuto la condotta dovuta, in quanto garante l'evento non si sarebbe verificato. La condotta omissiva del direttore dei lavori, unitamente alla scelta abnorme dei lavoratori di effettuare un'attività completamente diversa rispetto a quella commissionata (scavo di profondità superiore a 1,5 m) avrebbe quindi interrotto il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro e l'evento.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. In primo luogo, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, la memoria datata 23 febbraio 2021, allegata al ricorso e comunque conoscibile dalla Suprema Corte in ragione dell'errar in procedendo sindacato, non contiene motivi nuovi ex art. 585 cod. pen., sostanziandosi, peraltro come esplicitato in essa, in «argomentazioni ... in aggiunta ed a sostegno rispetto a quelle già proposte con i motivi d'impugnazione».
Ne consegue che il detto profilo è suscettibile di essere apprezzato, nella specie, solo in termini di difetto motivazionale se tale da influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione della sentenza impugnata quale provvedimento che definisce il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive che si assumono non considerate (ex plurimis : Sez. 2, n. 14975 del 16/03/2018, Tropea, Rv. 272542; si veda in merito anct1e Sez. 5, n. 17798 del 22/03/2019, C., Rv. 276766).
2.3. Orbene, la Corte territoriale ha evidenziato la contestata cooperazione colposa, ex art. 113 cod. pen., tra il datore di lavoro, F.M., e il direttore dei lavori, A.G.. Essa ha altresì chiarito che nei confronti di quest'ultimo è stata disposta dal Tribunale la restituzione degli atti al Pubblico Ministero per le ragioni di cui alla stessa sentenza di primo grado. Ciò in ragione dell'emersione a suo carico di diversi profili di colpa sostanzialmente consistenti proprio nell'omessa vigilanza sulla corretta esecuzione delle opere e nell'omessa interruzione delle stesse in quanto eseguite ad una profondità superiore a 1,5 m e senza l'adozione delle misure idonee a impedire crolli delle pareti dello scavo.
In considerazione delle specifiche doglianze dell'appellante, la Corte ha poi ritenuto responsabile il datore di lavoro essendosi egli limitato a comandare il dipendente F.H. sul cantiere ordinandogli di seguire le indicazioni che gli sarebbero state fornite da P.J. (persona offesa), sia per quanto riguarda il tratto da scavare che in merito alla profondità dello stesso, senza istruire entrambi sulla necessità di non scendere con lo scavo al di sotto della c.d. quota antigelo (convenzionalmente compresa tra 1,2 m e 1,5 m). Questa rappresenta in particolare la soglia di rischio superata la quale le pareti della trincea necessitano di essere armate per garantire la sicurezza dei lavoratori dal pericolo di crollo. Sono state nella specie omesse anche istruzioni in merito all'area di stoccaggio del materiale di risulta, invece posizionato sul bordo dello scavo. Così facendo, prosegue la sentenza impugnata anche al fine di escludere la paventata interruzione del nesso causale per eccentricità del rischio da gestire, l'imputato ha abdicato agli obblighi inerenti alla propria posizione di garanzia, sostanzialmente rimettendoli ai due lavoratori, che invece gli imponevano di assicurare la sicurezza dei lavoratori e di vigilare sull'andamento dello scavo, sia circa la sua profondità sia in merito alla necessità di armare la trincea oltre che in ordine alle relative modalità.
2.4. L'iter logico-giuridico di cui innanzi si mostra dunque non manifestamente illogico in considerazione della cooperazione colposa del direttore dei lavori che, difatti, è stato condannato per aver omesso di vigilare sulla corretta esecuzione delle opere e di disporre, proprio nell'inerzia del datore di lavoro, il blocco dei lavori o, quantomeno, la sospensione della loro prosecuzione nell'interesse della sicurezza dei lavoratori (si veda Sez. 4, n. 29022 del 05/04/2022, che ha rigettato il ricorso proposto avverso alla sentenza d'appello dal direttore dei lavori A.G.) .

2.5. Così argomentando, peraltro, la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi che governano la materia, con particolare riferimento alla rilevanza, nella materia degli infortuni sul lavoro, della c.d. «causalità additiva o cumulativa» e, quanto alla tematica dell'interruzione del nesso eziologico, della teoria del rischio eccentrico.
2.5.1. Circa il primo profilo, inerente alle concorrenti posizioni di altri garanti (in termini di gestori del rischio) rispetto allo specifico rischio considerato, va difatti ribadito, in linea generale, quanto più volte affermato dalla Suprema Corte in tema di infortuni sul lavoro: ciascun garante risulta per intero destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, fino a che non si esaurisca il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia (ex plurimis: Sez. 4, n. 46428 del 14/09/2018, A., in motivazione; Sez. 4., n. 6507 del 11/01/2018, Caputo, Rv. 272464; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253850; Sez. 4 n. 46849 del 03/11/2011, Di Carlantonio, Rv. 252149). Allorquando l'evento sia determinato dalla sommatoria delle condotte omissive ascrivibili a diversi garanti (in termini di gestori del rischio), intervenuti in tempi diversi, è configurabile il nesso causale tra l'evento e ciascuna delle riscontrate omissioni, essendo ognuna di esse essenziale alla sua produzione (Sez. 4, n. 46428/2018, A., cit., in motivazione, Sez. 4 n. 24455 del 22/04/2015, Plataroti, Rv. 263733).
La causalità additiva o cumulativa costituisce difatti applicazione della teoria condizionalistica di cui all'art. 41 cod. pen., giacché, essendo ciascuna omissione essenziale alla produzione dell'evento, l'eliminazione mentale di ciascuna di esse fa venir meno l'esito letale, tenuto conto dell'insufficienza di ognuna delle altre omissioni a determinarlo (Sez. 4, n. 46428/2018, A., cit., in motivazione, Sez. 4 n. 24455/2015, Plataroti, cit.; sul punto si veda altresì Sez. 4, n. 17887 del 02/02/2022, Bello, Rv. 283208). Tali principi (come chiarito da Sez. 4, n. 46428/2018, A., cit.) si pongono in linea di continuità con l'orientamento già consolidato nella giurisprudenza di legittimità per cui se più sono i titolari della posizione di garanzia ovvero dell'obbligo di impedire l'evento, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge e, in particolare, ciascuno per andare esente da responsabilità non può invocare neppure l'esaurimento del rapporto obbligatorio, fonte dell'obbligo di garanzia e l'eventuale subingresso in tale obbligo di terzi, ove il perdurare della situazione giuridica si riconduca alla condotta colpevole dei primi (si veda Sez. 4 n. 46515 del 19/05/2004, Fracasso, Rv. 230398, la quale, alla luce di tale principio, ha annullato la sentenza che, in un procedimento per omicidio colposo contestato precipitato dentro un pozzo artesiano, aveva escluso la responsabilità degli stessi rilevando, tra l'altro, che l'adempimento della prestazione prevista dalla fonte contrattuale aveva escluso la permanenza della posizione di garanzia in capo agli stessi nella specifica qualifica e che nella posizione era subentrato altro soggetto, nella specie il responsabile dell'Ufficio tecnico del Comune, proprietario dell'immobile; sul punto si veda anche Sez. 4 n, n. 7610 del 29/10/2004, dep. 2005, Rizzini, non massimata).
In merito allo specifico profilo di doglianza in esame, è infine il caso di evidenziare l'inconferenza, nella specie, del principio, invocato dal ricorrente, per cui, in tema di successione di posizioni di garanzia, quando l'obbligo di impedire l'evento connesso ad una situazione di pericolo grava su più persone obbligate ad intervenire in tempi diversi, l'accertamento del nesso causale rispetto all'evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascun titolare della posizione di garanzia, stabilendo cosa sarebbe accaduto nel caso in cui la condotta dovuta da ciascuno dei garanti fosse stata tenuta, anche verificando se la situazione di pericolo non si fosse modificata per effetto del tempo trascorso o di un comportamento dei successivi garanti. Si Vedano in merito, ex plurimis, Sez. 4, n. 6405 del 22/01/2019, Bonarrigo, Rv. 275573, e Sez. 4, n. 1350 del 20/11/2019, dep. 2020, L., Rv. 277953. Con la prima pronuncia, in fattispecie in tema di colpa medica di tre sanitari succedutisi nel turno per il decesso di un neonato in conseguenza di un "distress" respiratorio, in applicazione del detto principio la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva qualificato come inadeguata e imprudente la condotta dei tre imputati, senza distinguere le condotte di ciascuno. Con la citata statuizione n. 64 del 2019, invece, in fattispecie in tema di colpa medica di tre sanitari che si erano succeduti nella cura di un bambino, deceduto per la perforazione dell'intestino conseguita all'effettuazione di un clisma opaco senza la previa necessaria idratazione, la Corte ha annullato la sentenza di condanna dei medici intervenuti prima di quello che aveva eseguito il predetto esame strumentale, per non avere verificato se essi avessero contribuito all'omessa idratazione del paziente, quale fosse il livello di disidratazione raggiunto in concomitanza con il loro intervento e se i rischi connessi alla disidratazione si fossero aggravati in considerazione della decisione, presa da altri medici, di sottoporre il paziente al clisma opaco.
Nella fattispecie, difatti, comunque non caratterizzata da successione di posizioni di garanzia ma di coesistenza di quella del datore di lavoro e del direttore dei lavori, che ha omesso di intervenire nel disporre la messa in sicurezza dei lavori o la loro sospensione proprio nonostante l'inerzia del primo nella gestione del rischio a lui spettante, non vi è stata alcuna modifica della situazione di pericolo per effetto del tempo o di un comportamento dell'altro garante (il direttore dei lavori) tale da rendere eccentrico il rischio. La mancata armatura dello scavo, quale specifica competenza del datore di lavoro, integra peraltro un difetto strutturale del cantiere con la conseguenza che la posizione di garanzia assunta dal direttore dei lavori non esonera il datore di lavoro dalla gestione del relativo rischio.
2.5.2. La sentenza impugnata ha infine correttamente applicato i principi in tema di interruzione del nesso causale tra condotta del «gestore del rischio» e evento, in ragione dell'«eccentricità del rischio» determinato dalla condotta del lavoratore, già sanciti dalla giurisprudenza di legittimità e in questa sede ulteriormente ribaditi.
In merito, la più recente giurisprudenza alla quale il Collegio intende dare continuità, suggerisce di abbandonare il criterio della imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo ed evento, ponendosi i due concetti su piani distinti, perché ciò che davvero rileva è che tale comportamento attivi un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l'evento (per tutte, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, in motivazione; si vedano altresì per la successiva applicazione e elaborazione del principio, ex plurimis: Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603, anche in motivazione; Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242, anche in motivazione; Sez. 4, n. 22034 del 12/04/2018, Addezio, Rv. 273589, anche in motivazione; Sez. 4, n. 43350 del 05/10/2021, Mara, Rv. 282241, anche in motivazione; Sez. 4, n. 30814 del 11/05/2022, Lo Nero, in motivazione).
Ne è conseguita dunque la necessità di individuare l'«area di rischio» oggetto di gestione al fine di accertarne l'eventuale eccentricità rispetto a essa del rischio attivato dalla condotta del lavoratore inseritasi nella seriazione causale. Con la precisazione però che è dalla integrazione di obbligo di diligenza e regola cautelare che risulta in particolare definita l'«area di rischio», altrimenti ridotta alla mera titolarità della posizione gestoria. Ben si comprende, quindi, come il connettersi dell'evento verificatosi a un rischio esorbitante da quell'area escluda ogni addebito del fatto a chi è preposto a governare proprio (e solo) tale «area di rischio» (Sez. 4, n. 15124 del 313/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603, in motivazione).
Ai fini di cui innanzi è stato infine chiarito da Sez. 4, n. 30814 del 11/05/2022, Lo Nero che le principali disposizioni di cui al Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (in particolare artt. 6, 15, 18, comma 1, lett. c), 28, commi 1 e 2, e 29, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008) consentono di argomentare nel senso per cui «La condotta colposa del lavoratore è idonea a interrompere il nesso di causalità tra condotta e evento se tale da determinare un "rischio eccentrico" in quanto esorbitante dall"'area di rischio" governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione. La delimitazione, nella singola fattispecie, del rischio oggetto di valutazione e misura, quindi da gestire, necessità di una sua identificazione in termini astratti, quale rischio tipologico, e successiva considerazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa (rientrante o meno nelle specifiche mansioni attribuite)».
Orbene, la Corte territoriale si è attenuta al principio di cui innanzi escludendo nella specie l'interruzione del nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro («gestore del rischio») e l'evento anche in considerazione della concreta attività svolta e delle condizioni di contesto della relativa esecuzione, le cui modalità sono state rimesse dall'imputato alle determinazioni degli stessi lavoratori e, in particolare, della persona offesa.
2.5.3. In quanto rilevante nella specie, è infine necessario precisare che la Suprema Corte ha chiarito che qualora l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro (Sez. 4, n. 23127 del 12/05/2022, Clemente, in motivazione; Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017, dep. 2018, Spina, Rv. 273247-01).
Nel caso di specie l'addebito colposo è stato in particolare ritenuto caratterizzato dall'inesistenza di forme minime di tutela, avendo l'imputato abdicato agli obblighi inerenti alla posizione gestoria ricoperta (pag. 11 sent. D'appello). Sicché, laddove si configuri una situazione, come nella specie, di gravissima illegalità, per la violazione di una molteplicità di disposizioni inerenti alla prevenzione degli infortuni e alla sicurezza dei luoghi di lavoro, non può valutarsi come eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, il comportamento del lavoratore che abbia posto in essere una condotta in ipotesi gravemente pericolosa, in quanto l'inesistenza di qualsivoglia forma di tutela della sicurezza comporta l'ampliamento della stessa sfera del rischio fino a ricomprendervi gli at ti il cui prodursi dipende dall'inerzia del primo (sul punto si veda Sez. 4, n. 23127/2022, Clemente, cit., in motivazione).

3. Manifestamente infondato si mostra invece il secondo motivo di ricorso, con il quale si deducono vizi della sentenza impugnata in merito alla mancata applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, prima parte, cod. pen. in fattispecie nella quale il danno, per quanto confermato anche dal ricorrente tanto in ricorso quanto nelle depositate conclusioni, è stato risarcito solo in parte (dalla compagnia assicuratrice del datore di lavoro), registrandosi, nella specie, anche l'intervento (di natura indennitaria) dell'INAIL.
Trova difatti applicazione nella specie, ancorché caratterizzata da una parziale erogazione, il principio per cui l'attenuante in esame non è configurabile in caso di erogazione di somme da parte dell'INAIL, avendo la relativa prestazione carattere indennitario e non risarcitorio (Sez. 4, n. 45806 del 27/06/2017, Catenelli, Rv. 271023).

4. In conclusione, al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15 settembre 2022