Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 08 novembre 2022, n. 42035 - Infortunio mortale del lavoratore. Responsabilità del capo cantiere/preposto per non aver vigilato sulle modalità di accatastamento di pannelli da getto


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 13/10/2022
 

 

Fatto




1. La Corte d'Appello di Roma ha rigettato l'appello proposto dall'imputato A.L. avverso la sentenza con la quale costui era stato condannato dal Tribunale cittadino per il reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, nella qualità di capo cantiere e preposto (artt. 1 comma 1, lett. a e 56, comma 1 lett. a, d. lgs. n. 81/2008), ai danni del lavoratore T.I., per non avere vigilato adeguatamente sulle modalità di accatastamento di pannelli da getto, precedentemente rimossi.
Secondo la dinamica descritta nella sentenza impugnata, il sinistro si era verificato durante le fasi della rimozione di tale materiale ligneo precedentemente utilizzato per armare un muro in cemento armato: in particolare, il lavoratore era intento a pulire i pannelli di disarmo e ad accatastarli ed era stato travolto dal tavolame, posizionato su due "moraletti", che cadeva verso terra, finendo così per incastrarlo, provocando un politraumatismo che ne cagionava il decesso.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso la difesa dell'imputato, formulando due motivi.

Con il primo, di natura processuale, ha dedotto vizio motivazionale quanto alla doglianza con la quale in appello si era contestata la decisione del primo giudice di rigettare l'istanza di rinvio dell'udienza formulata dal difensore per concomitante impegno professionale. Il deducente rileva che la circostanza che il rinvio dell'udienza davanti al Tribunale di Roma nel presente procedimento fosse antecedente alla fissazione dell'udienza relativa all'impegno concomitante non sarebbe rilevante, atteso che anche il primo processo era di competenza del giudice monocratico, senza rischi di prescrizione del reato, laddove il secondo riguardava una vicenda processuale che coinvolgeva più imputati e più capi d'imputazione.
Nel caso in esame, secondo la difesa, difetterebbe una coerenza strutturale della decisione di rigetto, contestandosi la valutazione comparativa tra i due impegni professionali, alla stregua di una norma (l'art. 132 bis disp. att . cod. proc. pen.) erroneamente applicata nella specie, poiché nell'elenco dei reati a trattazione prioritaria ivi stabilito non rientrerebbe quello all'esame, difettando le condizioni di cui agli artt. 52 e 55, cod. pen. Sotto altro profilo, peraltro, la difesa rileva che la norma in questione non può applicarsi al caso di specie, essendo stata introdotta nel 2019, successivamente alla presentazione dell'istanza di rinvio (formulata dalla difesa il 17/ 2/ 2016 ).
Con il secondo motivo, ha dedotto vizio della motivazione quanto alla valutazione della penale responsabilità dell'imputato, sotto il profilo del travisamento dei dati probatori (il riferimento è alla testimonianza del lavoratore S.), dai quali sarebbe emerso che l'evento era stato la conseguenza del comportamento del lavoratore deceduto, il quale aveva disatteso le direttive impartite dal capo cantiere sul disarmo e trasporto delle travi, trattandosi di operazione assai semplice che un operaio avrebbe potuto svolgere con normale diligenza, evitando ogni rischio.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Felicetta MARINELLI, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.

2. La Corte capitolina ha rigettato il motivo processuale, riproposto in ricorso, rilevando la correttezza della motivazione assunta dal Tribunale nell'ordinanza con la quale era stata respinta la richiesta di differimento dell'udienza per concomitante impegno professionale del difensore. In particolare, i giudici del gravame hanno rilevato che l'istanza di cui si discute era stata rigettata dal Tribunale per non avere il difensore argomentato alcunché circa la sua impossibilità di nominare sostituti processuali nel diverso processo, trattandosi comunque di imputati liberi, essendosi l'istante limitato a rappresentare che si trattava di un processo a carico di più imputati e relativi difensori. Hanno, poi, considerato che il processo di cui al concomitante impegno professionale era stato fissato successivamente al rinvio del processo a carico dell'A.L., giustificazione ritenuta coerente con principi di elaborazione giurisprudenziale, avendo il difensore presentato la richiesta circa quindici giorni prima dell'udienza fissata, con riferimento a un processo avente a oggetto un grave reato, a trattazione prioritaria.
Quanto alla penale responsabilità, quel giudice ha ritenuto correttamente ricostruiti i fatti sulla scorta del compendio probatorio (testimonianza dei lavoratori, degli organi accertatori e del consulente a difesa; consulenza medico-legale; informativa di reato; esame dell'imputato). In base ad esso, si era accertato che, il giorno del sinistro, durante le fasi di rimozione del materiale ligneo di un cantiere, il T.I. si era trovato a pulire i pannelli in disarmo e ad accatastarli; il responsabile del cantiere era l'A.L., il quale aveva impartito l'ordine di portare via i pannelli a mano perché la gru non funzionava; la vittima aveva posizionato, per l'accatastamento, due elementi in legno a sezione quadrata (i c.d. moraletti) sulla parte sporgente della trave di fondazione e su di essi aveva posizionato le tavole sino a formare una catasta alta circa due metri; i moraletti sporgevano di circa cm 70 e, a un certo punto, la catasta subiva un ribaltamento, investendo il lavoratore.
Il capo cantiere, che ne aveva l'obbligo, aveva omesso di sorvegliare affinché la vittima osservasse le prescrizioni per eseguire quel lavoro in sicurezza (ovvero, portasse via i pannelli manualmente, via via che essi venivano staccati e puliti). Ciò che i due lavoratori impegnati in quella incombenza non avevano invece fatto, optando per l'accatastamento dei pannelli (ben 40 sino alla altezza di circa due metri). Tale operazione aveva richiesto un considerevole lasso di tempo, cosicché la stessa non poteva esser considerata evenienza imprevedibile e estemporanea della vittima, poiché, ove il preposto avesse vigilato, l'evento non si sarebbe verificato, poiché l'A.L. avrebbe rilevato l'altezza della catasta, impedendone la caduta.

3. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Con esso, in sostanza, la parte ripropone le censure formulate in appello e non tiene in alcun conto la motivazione in base alla quale la Corte territoriale ha ritenuto corretto il diniego del rinvio dell'udienza da parte del giudice di primo grado, valorizzando la compiuta comparazione dei due impegni professionali e la pregressa conoscenza del concomitante impegno alla data del disposto rinvio, oltre al mancato verificarsi di una compromissione del diritto di difesa.
Sul punto, pare sufficiente un richiamo all'orientamento consolidato di questa Corte di legittimità: fermi i requisiti di ammissibilità dell'istanza di rinvio, vale a dire la tempestiva prospettazione dell'impedimento; la rappresentazione delle ragioni che rendono essenziale la presenza del difensore nel diverso processo; l'indicazione della assenza nel primo procedimento di altro co-difensore che possa validamente difendere l'imputato; l'impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'art. 102 cod. proc. pen., sia nel processo a cui intende partecipare, sia in quello di cui chiede il rinvio (Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, dep. 2015, Torchio, Rv. 262912), in tema di legittimo impedimento del difensore per concomitante impegno professionale, infatti, il giudice deve accertare il carattere eventualmente dilatorio della richiesta valutando nel merito l'urgenza del procedimento concomitante, tenuto conto dell'obbligo di diligenza gravante sul difensore che gli impone di dare preferenza alla posizione processuale che risulterebbe maggiormente pregiudicata dalla mancata trattazione del giudizio (sez. 3, n. 23764 del 22/11/201, dep. 2017, M., Rv. 270330).
Trattasi, infatti, di valutazione che richiede un bilanciamento tra l'interesse difensivo e quello pubblico all'immediata trattazione del processo, per cui, ancorché la priorità temporale costituisca un parametro di valutazione, anche un impegno assunto successivamente può essere considerato prevalente rispetto ad altro preesistente (sez. 5, n. 49454 del 13/11/2019, Antonini, Rv. 277744; sez. 3, n. 43649 del 3/7/2018, B., Rv. 274416; sez. 6, n. 11174 del 8/3/2012, Giovane/li, RV. 252191). Orbene, ribadita la necessità di tale valutazione comparativa, va d'altro canto evidenziata la correlata esigenza che la richiesta di rinvio sia debitamente argomentata proprio con riferimento alle circostanze messe in rilievo dal diritto vivente che consentono al giudice di procedere al bilanciamento degli opposti interessi (sez. 5, n. 44299 del 4/7/2008, Buscemi, RV. 241571, quanto alla mancata nomina di un sostituto processuale; n. 7418 del 6/11/2013, dep. 2014, Anelli, Rv. 259520, in cui si è precisato che il difensore deve fornire l'attestazione dell'assenza di un ca-difensore nell'altro procedimento e prospettare le specifiche ragioni per le quali non possa farsi sostituire nell'uno o nell'altro dei due processi contemporanei, nonché i motivi che impongono la sua presenza nell'altro processo, in relazione alla particolare natura dell'attività che deve svolgervi, al fine di dimostrare che l'impedimento non sia funzionale a manovre dilatorie; sez. 6, n. 20130 del 4/3/2015, Caputi, Rv. 263395, in cui si è precisato che, a tal fine, l'impossibilità di nominare un sostituto non può desumersi dalla deduzione del difensore secondo cui gli assistiti intendevano avvalersi della sua opera professionale, e non di quella di sostituti).
La manifesta infondatezza del motivo, peraltro, non può essere superata neppure con l'argomento di natura processuale per il quale erroneamente i giudici d'appello avrebbero fatto rinvio alla regola di cui all'art. 132 bis, disp. att. cod. proc.: il richiamo a tale disposizione, infatti, è stato operato dai giudici d'appello all'esito di una corretta valutazione comparativa, sulla base dei principi sopra richiamati, cosicché l'ulteriore argomento resta, a ben vedere, del tutto irrilevante rispetto al giudizio complessivamente formulato, del tutto adeguato a giustificare il diniego della istanza di rinvio.

4. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Rispetto ad esso, però, vanno operate alcune premesse in diritto.

4.1. Nella specie, siamo di fronte a una conforme valutazione dei giudici del doppio grado di merito: in tale ipotesi, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (sez. 3, n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993, 1994, Rv. 197250), a maggior ragione allorché i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella decisione impugnata (sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615). Di qui, l'ulteriore principio per il quale sono estranei al vaglio di legittimità gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Il principio costituisce il diretto precipitato di quello, altrettanto consolidato, per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito ( ez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099).

4.2. La difesa, peraltro, nel contestare la valutazione della prova dichiarativa (testimonianza S.) operata dai giudici territoriali, introduce sostanzialmente l'ulteriore tema dell'esatta individuazione del vizio motivazionale deducibile in sede di legittimità. È vero che - a seguito della modifica apportata all'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., dall'art. 8, comma primo, della legge n. 46 del 2006 - il legislatore ha esteso l'ambito della deducibilità di tale vizio anche ad altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, così introducendo il travisamento della prova quale ulteriore criterio di valutazione della contraddittorietà estrinseca della motivazione il cui esame nel giudizio di legittimità deve riguardare uno o più specifici atti del giudizio, non il fatto nella sua interezza ez. 3 n. 38341 del 31/1/2018, Ndoja, Rv. 273911); ma è altrettanto pacifico che, anche a seguito di tale modifica, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 3, n. 18521 del 11/1/2018, Ferri, RV. 273217; sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099, cit.). In ogni caso, va ribadito che un ricorso per cassazione che deduca il travisamento (e non soltanto l'erronea interpretazione) di una prova decisiva, ovvero l'omessa valutazione di circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati, impone di verificare l'eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l'esistenza della decisiva difformità, fermo restando il divieto di operare una diversa ricostruzione del fatto, quando si tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco (sez. 4, n. 14732 del 1/3/2011, Molinario, Rv. 250133; lSez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087, in cui, con riferimento alla prova dichiarativa, si è precisato che il vizio di travisamento di essa, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima; nello stesso senso, anche ez. 5, n. 8188 del 4/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406).

4.3. Ciò posto, deve rilevarsi che il ragionamento condotto nella sentenza impugnata è del tutto coerente rispetto al compendio probatorio ricostruito nel doppio grado di merito, oltre che con i principi di matrice giurisprudenziale, quanto agli effetti che l'eventuale comportamento imprudente e/o scorretto del lavoratore può esplicare sul nesso causale tra la condotta contestata e l'evento.
Sul punto, premesso che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini dell'individuazione del soggetto espressamente deputato alla gestione dello specifico rischio deve tenersi presente il principio in base al quale alla sfera di responsabilità del preposto attiene l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo (sez. 4, n. 22606 del 4/4/2017, Minguzzi, Rv. 269972), vanno poi confermati i principi cui ormai da tempo si attiene questo giudice di legittimità nel valutare gli obblighi di protezione che gravano sugli stessi lavoratori, soprattutto con riferimento alla posizione datoriale.
In materia di prevenzione antinfortunistica, infatti, si è certamente passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facciano un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello "collaborativo", in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr., sul punto, sez. 4, n. 8883 del 10/2/2016, Santini, Rv. 266073). In altri termini, si è passati, a seguito dell'introduzione del d.lgs 626/94 e, poi, del TU. n. 81/200881/2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" Qsez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva.
Tuttavia, e ciò va fermamente ribadito in questa sede, è sempre valido il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (cfr. sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603; n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4, n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Nella specie, avuto riguardo alla posizione del preposto/capo cantiere, trattasi di figura della sicurezza precisamente deputata alla vigilanza dell'osservanza delle misure di prevenzione (sez. 4, n. 14915 del 19/2/2019, Arrigoni, Rv. 275577), atteso che lo stesso obbligo datoriale di vigilanza può ritenersi assolto soltanto in caso di predisposizione e attuazione di un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto delle prassi elusive seguite dai lavoratori di cui il datore di lavoro sia a conoscenza (sez. 4, n. 35858 del 14/9/2021, Tamellini, Rv. 281855, in cui, in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di cui all'art. 589, secondo comma, cod. pen., in relazione all'infortunio occorso al conducente di un trattore, deceduto per non aver fatto uso della cintura di sicurezza, ravvisando la colpa del datore di lavoro nell'omessa nomina di un pr eposto , nonostante la sua conoscenza della prassi instauratasi in relazione all'inosservanza dell'obbligo di allacciare le cinture di sicurezza, a fronte della quale egli si era limitato a ricorrere a richiami verbali del lavoratori) .

4.4. Nella specie, giudici territoriali hanno espressamente affermato che: la lavorazione nel corso della quale è accaduto l'infortunio era stata programmata (vedi pag.13 sentenza appellata); le direttive per lo spostamento dei pannelli erano state impartite dall'A.L. solo verbalmente; non vi era una gru disponibile in cantiere, né era emersa una segnalazione al datore di lavoro in ordine a tale carenza (pag. 17 sentenza appellata); l'accatastamento aveva richiesto un considerevole lasso temporale, durante il quale l'A.L. era stato in grado di accorgersi delle scorrette modalità lavorative approntate dai lavoratori (sentenze del doppio grado).
Rispetto a tale ricostruzione fattuale, congruamente sostenuta e dunque esente da censure deducibili in sede di legittimità, la difesa ha omesso un effettivo confronto, limitandosi a opporre una disobbedienza della vittima alle indicazioni verbali date dall'imputato, a fronte di una ricostruzione per la quale l'imputato avrebbe dovuto vigilare affinché proprio a tali disposizioni i lavoratori dessero attuazione, invece di consentire che la lavorazione programmata si svolgesse in un contesto lavorativo che gli aveva consentito di prenderne atto e con modalità tali da ingenerare il rischio poi concretizzatosi.

5. All'inammissibilità del ricorso segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero (Corte cost. 186/2000).
 

P.Q.M.
 

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 13 ottobre 2022