Cassazione Civile, Sez. 6, 16 novembre 2022, n. 33779 - Pagamento dell’indennità temporanea assoluta a seguito di infortunio sul lavoro


 

Anno 2022 Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: FEDELE ILEANA
Data pubblicazione: 16/11/2022
 

Rilevato che:

1. la Corte d’appello di Salerno ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’I.N.A.I.L. avverso la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania, che aveva accolto la domanda di I.M. e condannato l’Istituto previdenziale al pagamento (oltre che della rendita) dell’indennità temporanea assoluta a seguito di infortunio sul lavoro – occorso nel novembre 2012 – ininterrottamente sino 30 novembre 2016, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali;
2. per quanto qui rileva, la Corte territoriale ha ritenuto che le doglianze articolate dall’I.N.A.I.L. fossero prive di specificità, in quanto il dedotto rifiuto dell’assicurata di sottoporsi ad intervento chirurgico, in violazione del generale obbligo di collaborazione del creditore, non era configurabile come tale quanto piuttosto come rifiuto di una ineludibile cura chirurgica, senza tuttavia censurare specificamente, con rilievi tecnici, puntuali e concreti, la valutazione medico-legale rassegnata dall’ausiliare e fatta propria del giudice di prima istanza, che aveva ricostruito la storia clinica dell’assicurata e verificato la puntuale osservanza delle prescrizioni che venivano via via formulate, con conseguente adempimento dell’obbligo di collaborazione; quanto ai tempi clinici tra un trattamento clinico e l’altro, fino al trattamento chirurgico, essi non potevano rappresentare né tempi di remissione né tempi di ingiustificato rifiuto di cure, ma «congrui tempi di attesa prima di reinterventi in attesa del risultato dei trattamenti precedenti», in cui l’assicurata aveva patito uno stato di inabilità temporanea, cosicché la scelta dell’assicurata fu dettata dalla ritenuta adeguatezza delle cure cliniche validamente eseguibili e non da un irragionevole rifiuto di risottoporsi alla cura chirurgica i cui rischi costituiscono remora condivisibile. Parimenti generica è stata ritenuta dai giudici di merito la seconda censura, che «più che rimessa al confronto in contraddittorio e quindi alla deduzione critica, appare genericamente devoluta al giudice quale arbitro di un iudicium novum che ne debba rilevare l’illegittimità ex se senza la previa indicazione delle concrete ragioni della lamentata illegittimità»;
3. avverso tale pronuncia l’I.N.A.I.L. ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi di censura, cui resiste I.M. con controricorso;
4. è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
 

Considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso l’I.N.A.I.L. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 342 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile l’appello per genericità, nonostante l’Istituto avesse puntualmente articolato le proprie censure avverso le conclusioni del CTU in ordine alla necessità dell’intervento chirurgico (non essendo riconoscibili come inabilità temporanea i periodi intercorrenti tra i vari tentativi terapeutici) ed avesse altresì altrettanto specificamente censurato la statuizione di condanna al cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi legali;
2. con il secondo motivo di ricorso l’I.N.A.I.L. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 cod. proc. civ. e 16, comma 6, della l. 30 dicembre 1991, n. 412, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale condannato l’Istituto al pagamento degli interessi e rivalutazione monetaria senza tener conto del divieto di cumulo nella subiecta materia;
3. il primo motivo è fondato nei termini che seguono, con conseguente assorbimento del secondo motivo, avuto riguardo all’orientamento consolidatosi a seguito dell’interpretazione resa da questa Corte a Sezioni Unite, secondo cui «gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata» (Cass. Sez. U, 16/11/2017, n. 27199, in senso conforme, fra molte, Cass. Sez. 6-3, 30/05/2018, n. 13535);
4. in applicazione di tale principio, dalla disamina del ricorso – ove, nel rispetto del principio di autosufficiente, sono stati riportati i passi salienti del gravame reputato dalla Corte di merito inammissibile (pp. 6-9 del ricorso, ove si riportano le pp. 7-8 del ricorso in appello) – emerge chiaramente che l’Istituto aveva specificamente censurato la sentenza di primo grado che, in adesione alle conclusioni del CTU, aveva riconosciuto il diritto dell’assicurata all’indennità temporanea ininterrottamente sino al 30 novembre 2016, svolgendo specifiche critiche di tipo diagnostico, anche sui tempi di ristabilimento dopo ogni tentativo terapeutico posto in essere, risolvendosi ogni ulteriore considerazione sul punto non già nel preliminare vaglio di ammissibilità dell’appello bensì nella diversa valutazione sul merito della doglianza, estranea alla presente sede; altrettanto specifica deve considerarsi l’ulteriore censura, pure formulata in appello dall’Istituto, siccome puntualmente indicato nel ricorso (cfr. p. 9 ricorso in cassazione, ove si fa riferimento alle pp. 9 e 10 del ricorso in appello), in ordine all’illegittimità della condanna al cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi legali, perché vietata dalla legge (l. 412/91);
5. pertanto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
 

P.Q.M.
 

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 settembre 2022