Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 23 novembre 2022, n. 44557 - Cedimento della struttura in cartongesso e caduta nel vuoto. Responsabilità del committente per omessa nomina del coordinatore per la sicurezza


 

 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: VIGNALE LUCIA
Data Udienza: 09/11/2022
 

 

Fatto




1. Con sentenza in data 8 ottobre 2021, la Corte di appello di Torino ha riformato quanto al trattamento sanzionatorio la sentenza emessa il 17 gennaio 2019 dal Tribunale della stessa città valutando le attenuanti generiche prevalenti sulle riconosciute aggravanti, eliminando le statuizioni civili in ragione dell'intervenuto risarcimento del danno, e condannando G.D. alla pena, condizionalmente sospesa, di 20 giorni di reclusione per il reato di cui agli artt. 40, secondo comma, 113, 590, commi 1, 2 e 3, cod. pen. Secondo l'ipotesi accusatoria G.D. avrebbe commesso il reato in cooperazione colposa con J.C., legale rappresentante della «Impianti J.C. s.r.l.», che è stato giudicato separatamente.

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi a Grugliasco in una palazzina di uffici che, all'epoca dei fatti, in forza di un contratto di locazione finanziaria, era nella disponibilità della «Helvetia s.p.a.», società della quale G.D. è il legale rappresentante. Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, il 1° giugno 2015 la «Helvetia s.p.a.» aveva sottoscritto con la «CAAR s.p.a.» un contratto preliminare per la locazione di una parte della palazzina attribuendo alla promissaria conduttrice l'immediata disponibilità dei locali per consentirle di eseguire lavori di manutenzione e adattamento degli stessi in vista di un contratto definitivo che sarebbe stato stipulato il 1 ° ottobre 2015. Dalle sentenze di primo e secondo grado emerge che nel mese di settembre del 2015 nella palazzina furono eseguiti lavori di manutenzione straordinaria che coinvolsero l'intera struttura. In particolare: la Helvetia stipulò un contratto di appalto con la «Impianti J.C. s.r.l.» per la realizzazione nell'intero stabile degli impianti di riscaldamento e raffreddamento; la CAAR incaricò la ditta individuale «C.P.F. di C.P.» di realizzare murature REI (certificate resistenti al fuoco) e di tinteggiare i locali che aveva promesso di prendere in locazione; dispose, inoltre, il rifacimento dell'impianto elettrico presente in quei locali affidando tale incarico alla ditta individuale «R.E. di R.E.». La ditta R.E. a far data dal 15 gennaio 2015 era stata incaricata dalla Helvetia della manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti elettrici dell'intera palazzina. L'infortunio si verificò il 29 settembre 2015, quando i lavori affidati alla C.P.F. erano ormai quasi terminati (si trattava di eseguire i ritocchi eventualmente resi necessari dai lavori ancora in corso). Proprio perché i lavori erano quasi finiti, nella palazzina non erano più presenti maestranze della C.P.F. che aveva lasciato in deposito in un bagno i materiali per la tinteggiatura e una scala di alluminio. Nel pomeriggio del 29 settembre C.P., titolare della C.P.F. e datore di lavoro di F.M., lo incaricò di recarsi presso la palazzina e prelevare la scala che doveva essere utilizzata altrove. Recatosi sul posto, F.M. constatò che la scala non era più dove era stata lasciata e, parlando con alcuni lavoratori presenti, apprese che era stata utilizzata dai dipendenti della «Impianti J.C. s.r.l.» per far passare le tubazioni dell'impianto di condizionamento all'interno di un cavedio cui si poteva accedere attraverso una porticina presente in un bagno al primo piano.
Dalle sentenze emerge (e il dato non è controverso) che la pavimentazione del cavedio era costituita nella parte iniziale da un pianerottolo in grigliato metallico e che alla sinistra di quel pianerottolo c'era un corridoio largo 95 centimetri e lungo 4 metri, privo di illuminazione, la cui pavimentazione era costituita da pannelli in cartongesso ed era dunque inidonea a sostenere il peso di una persona. Nel punto di passaggio dal pianerottolo in grigliato metallico al corridoio era inizialmente collocato un cancelletto di protezione che era stato rimosso nel corso dei lavori. Al di sopra dei pannelli, inoltre, erano presenti tubolari metallici che fungevano da supporti per il posizionamento di tavole sulle quali era possibile camminare nel caso in cui fosse necessario accedere al locale.
Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, avendo appreso che la scala si trovava nel cavedio, F.M. vi entrò. Nessuno lo aveva informato delle caratteristiche del pavimento e per entrare non dovette superare nessun ostacolo perché la porticina di accesso era aperta. Facendosi luce col telefono cellulare, vide la scala, collocata sul fondo del corridoio e andò a prenderla. Mentre tornava indietro, a causa del cedimento della struttura in cartongesso, precipitò nel locale sottostante con un volo di oltre 5 metri riportando gravi lesioni.
G.D. è accusato di aver provocato l'infortunio, quale committente dei lavori, per non aver provveduto alla nomina di un coordinatore per la progettazione che «redigesse il piano di sicurezza e coordinamento» e di un coordinatore per l'esecuzione che «vigilasse sulla sicurezza dei lavori verificando i singoli piani operativi di sicurezza delle imprese o società esecutrici».

3. L'imputato ha proposto tempestivo ricorso contro la sentenza della Corte di appello di Torino articolandolo in tre motivi che vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall'art. 173 comma 1 d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271.
3.1 Col primo motivo il ricorrente lamenta erronea applicazione del titolo IV del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81. Sostiene, in particolare, che nel caso di specie le norme in materia di cantieri temporanei o mobili non sarebbero applicabili. Ai sensi dell'art. 88 comma 2 lett. g-bis) d.lgs. n. 81/08, infatti, le disposizioni del titolo IV non si applicano «ai lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento che non comportino lavori edili o di ingegneria civile di cui all'allegato X» e nel cavedio furono solo fatti passare dei tubi in rame che dovevano portare il condizionamento dal piano rialzato ai piani superiori: una attività che i dipendenti della «Impianti J.C. s.r.l.» poterono svolgere limitandosi ad apporre qualche tassello di fissaggio dei tubi e quindi senza eseguire lavori edili o di ingegneria civile. Più in generale, il ricorrente osserva che nella palazzina fu eseguito un unico intervento di natura edile consistente nella costruzione di muri REI e ad eseguirlo fu la ditta C.P.F., che fu incaricata dalla CAAR e non ebbe mai alcun rapporto contrattuale con la Helvetia.
La difesa si duole che la sentenza impugnata non abbia risposto ad analoga doglianza contenuta nell'atto di gravame. Sostiene che la Corte di appello si è limitata a menzionare l'installazione delle tubature in rame assumendo apoditticamente che tale attività ricada tra quelle menzionate nell'allegato X.
3.2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta erronea applicazione della legge penale con riferimento all'ipotizzata sussistenza del nesso di causalità. Osserva che lo stato di pericolosità del cavedio è stato determinato dall'asportazione di cautele preesistenti e la nomina di un coordinatore per la progettazione dell'opera e/o di un coordinatore per l'esecuzione dei lavori, non sono previste per impedire che cautele già predisposte siano eliminate.
Rileva che l'accesso al cavedio era regolato da una porta la cui chiave era in possesso soltanto di G.D. e dell'elettricista Emilio Re, ma fu imprudentemente lasciata aperta e che la predisposizione di un piano di sicurezza e coordinamento non sarebbe stata idonea ad impedire che questo avvenisse.
La difesa sottolinea che, quando un rischio non sia stato preso in considerazione nel documento di valutazione dei rischi, per affermare che tale condotta omissiva è stata causa dell'evento è comunque sempre necessario accertare in concreto che, se il rischio fosse stato correttamente valutato, l'infortunio non si sarebbe verificato. La difesa sostiene che la se-nte-nza impugnata non si sarebbe attenuta a questi principi perché avrebbe apoditticamente affermato che se fosse stato nominato un coordinatore per la sicurezza e fosse stato quindi predisposto un piano di sicurezza e coordinamento, l'esistenza di questo documento avrebbe, per ciò solo, impedito l'evento.
Quanto alla mancata nomina di un coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva, il ricorrente osserva che il coordinatore nominato ha una funzione di alta vigilanza riguardo alle modalità esecutive delle singole lavorazioni, ma non è tenuto al puntuale controllo dell'attività dei lavoratori, de quale devono occuparsi datori di lavoro, dirigenti e preposti. Sostiene che, anche se nominato, un coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva non avrebbe potuto impedire l'evento, che si verificò nel giro di poche ore perché i dipendenti della J.C. lasciarono aperta la porta di accesso al cavedio e qualcuno indicò all'infortunato che la scala era stata lasciata in quel luogo senza avvisarlo del pericolo.
3.3. Col terzo e ultimo motivo, la difesa deduce violazione di legge per essere stata attribuita a G.D., quale legale rappresentante della «Melvetia s.p.a.» la qualifica di committente. Rileva che, ai sensi dell'art. 89 comma 1 lett. b) d.lgs. n. 81/08, committente è colui «per conto del quale» l'opera viene realizzata e sottolinea che, nel caso di specie, era stata la CAAR e non la Helvetia a incaricare due imprese (la ditta R.E. e la ditta C.P.F.) di eseguire ne lo stabile lavorazioni che potevano determinare un rischio interferenziale (installazione di pareti divisorie, tinteggiatura e rifacimento dell'impianto elettrico). Secondo il ricorrente, non rileva in contrario la circostanza che la CAAR fosse stata autorizzata ad eseguire lavori di ristrutturazione dalla Helvetia in vista della stipula del contratto di locazione che avvenne il 1° ottobre 2015. Era la CAAR, infatti, ad avere interesse alla realizzazione dell'opera e solo la CAAR aveva commissionato l'esecuzione di lavori edili sicché, se un coordinatore per la progettazione e/o un coordinatore per l'esecuzione dovevano essere nominati, quest'obbligo non incombeva su G.D., quale legale rappresentante della Helvetia, ma, caso mai, sul legale rappresentante della CAAR.
A questo proposito il ricorrente sottolinea che i giudici di appello hanno disposto la trasmissione degli atti al Pubblico ministero «per l'eventuale ulteriore corso nei confronti del legale rappresentante di CAAR s.p.a.» e vi è contraddizione tra questa decisione e l'affermazione della penale responsabilità di G.D. quale committente dei lavori.
 

 

Diritto




1. I motivi di ricorso non sono fondati e la sentenza impugnata merita conferma.

2. Si deve premettere che una sentenza di appello non può essere censurata sol perché - come è avvenuto nel caso di specie - esamina i motivi di appello con criteri omogenei a quelli del primo giudice e opera frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza. In questi casi, infatti, poiché vi è concordanza tra i giudici del gravame e il giudice di primo grado nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. tra le tante: Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).

3. Col primo motivo il ricorrente sostiene che, nel caso di specie, il titolo IV del d.lgs n. 81/08 non potrebbe trovare applicazione perché nel cavedio ove si verificò l'incidente non erano stati eseguiti lavori edili e ad operarvi era stata soltanto la «Impianti J.C. s.r.l.», incaricata di realizzare un impianto di condizionamento. Secondo la difesa, nel caso di specie troverebbe applicazione l'art. 88 comma 2 lett. g-bis) d.lgs. n. 81/08, in base al quale le disposizioni del titolo IV non si applicano «ai lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento che non comportino lavori edili o di ingegneria civile di cui all'allegato X». Il ricorrente sostiene, inoltre, che la sentenza impugnata, non avrebbe fornito risposta ad analoga doglianza, già sollevata nell'atto di appello.
L'argomentazione difensiva muove dalla premessa che la disposizione di cui all'art. 88 comma 2 lett. g-bis) d.lgs. 81/08 operi in relazione alla tipologia di lavoro svolta in una determinata parte di un cantiere e non in relazione al tipo di lavoro svolto nel cantiere complessivamente considerato. La lettura congiunta degli artt. 88 e 89 d.lgs. n. 81/08, invece, fa ritenere che le disposizioni in materia di cantieri temporanei o mobili non operino se in un cantiere si svolgono soltanto «lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento che non comportino lavori edili o di ingegneria civile»; ma se in quel cantiere, unitamente a quest'ultimo tipo di lavori, si svolgono anche lavori edili o di ingegneria civile, allora le disposizioni del Titolo IV trovano applicazione, tanto più se vi è rischio di interferenza tra i lavori di tipo impiantistico e i contestuali lavori edili o di ingegneria civile.
A questo proposito si deve osservare che, nel fornire la definizione di «cantiere» ai fini della applicazione della normativa in esame, l'art. 89 comma 1 lett. b) d.lgs. n. 81/08 individua come tale ogni luogo «in cui si effettuano lavori edili o di ingegneria civile» corrispondenti all'elenco di cui all'allegato X. I lavori edili e di ingegneria civile elencati nell'allegato X sono: «I lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristrutturazione o equipaggiamento, la trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, comprese le parti strutturali delle line-e elettriche e le parti strutturali degli impianti elettrici, le opere stradali, ferroviarie, idrauliche, marittime, idroelettriche e, solo per la parte che comporta lavori edili o di ingegneria civile, le opere di bonifica, di sistemazione forestale e di sterro». Sono, inoltre, lavori di costruzione edile o di ingegneria civile: «gli scavi, ed il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per la realizzazione di lavori edili o di ingegneria civile».
La lettura congiunta di queste norme consente di ritenere: che debbano essere considerati "edili" i lavori che- comportano la trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di parti strutturali di impianti; che siano "cantieri edili" quelli in cui si svolgono tali lavori; che siano esclusi dalla applicazione della normativa in esame, ai sensi dell'art. 88 comma 2 lett. g-bis, «i lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento» che non comportino nessuno dei lavori edili o di ingegneria civile indicati dall'allegato X e, conseguentemente, i cantieri in cui si eseguano esclusivamente lavori di tipo impiantistico, non accompagnati dall'esecuzione di lavori edili né da parte dell'impresa incaricata della re-a-li zzazione . dell'impianto, né da parte delle imprese che operino contestualmente ad essa. Restano invece compresi nell'ambito operativo del titolo IV i lavori di impiantistica che comportano lavori edili nel senso sopra indicato e quelli che, pur non comportando il diretto compimento di lavori edili da parte dell'impresa, si svolgono all'interno di cantieri nei quali vengano eseguite opere edili o di ingegneria civile.
3.1. Muovendo da queste premesse in diritto, si deve ritenere che le sentenze di merito abbiano fornito una risposta adeguata, non illogica e non contraddittoria alle censure sollevate dal ricorrente quando hanno sottolineato che nella palazzina si svolgevano lavori edili e che questi lavori comportavano la presenza contemporanea di imprese diverse. Il ricorrente, del resto, non ha escluso affatto che la palazzina fosse oggetto di lavori di ristrutturazione che comportavano anche interventi di tipo edilizio, essendosi limitato a sottolineare che nessun intervento di quel tipo fu eseguito all'interno del cavedio ove si verificò l'infortunio.
A ciò deve aggiungersi che, come risulta dalle sentenze di merito, nella palazzina concessa in locazione finanziaria alla Helvetia, erano in corso lavori di ristrutturazione e manutenzione che comprendevano, oltre alla realizzazione di muri, anche il rifacimento dell'impianto elettrico e degli impianti di riscaldamento e raffreddamento (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata) e che, come riferisce la sentenza di primo grado, per raggiungere il cavedio e farvi scorrere i tubi di rame, fu necessario forarne la parete (pag. 5 della sentenza de Tribunale).
Dal ricorso non emerge che la realizzazione dell'impianto di riscaldamento e raffreddamento non comportasse l'esecuzione di lavori edili, ma solo che i tubi di rame che portavano il freddo dal piano rialzato al secondo piano furono fatti correre in un cavedio e fissati al muro con tasselli senza ne,eessità di predisporre apposite crene. Tale circostanza, però, non esclude affatto che lavori edili fossero necessari per la realizzazione dell'impianto di condizionamento (che - è bene ricordarlo - doveva servire l'intera palazzina) e per il rifacimento dell'impianto elettrico (che riguardava la parte della palazzina promessa in locazione). Si tratta dunque di un motivo di ricorso non fondato e, a ben guardare, neppure del tutto autosufficiente.

4. Come risulta dalle sentenze di merito, nel cantiere come sopra individuato operavano tre diverse imprese:
- la «Impianti J.C. s.r.l.», che aveva ricevuto dalla Helvetia l'incarico di realizzare gli impianti di riscaldamento e raffreddamento per l'intera palazzina;
- la ditta individuale «R.E. di R.E.», che aveva ricevuto dalla Helvetia l'incarico di curare la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto elettrico dell'intera palazzina dal 15 gennaio 2015 al 15 dicembre 2016 e (il 19 agosto 2015) era stata incaricata dalla CAAR del rifacimento dell'impianto elettrico del piano rialzato;
- la ditta individuale «C.P.F. di C.P.», che aveva stipulato con la CAAR due distinti contratti (uno relativo alla costruzione di muri REI; l'altro relativo alla tinteggiatura dei locali) per lavori da eseguire nella parte dello stabile che la Helvetia aveva promesso in locazione alla CAAR.
Le tre imprese erano destinate ad operare anche in contemporanea nell'area dello stabile promessa in locazione alla CAAR. Di questo G.D. (legale rappre-sentante della «Helvetia s.p.a.») era informato: perché era stato lui, al momento della stipula del preliminare di locazione, ad attribuire alla futura conduttrice il possesso dei locali a partire dal 1° giugno 2015 «allo scopo di effettuare i lavori di adattamento specificati al punto 6) del contratto» e perché, in una comunicazione inviata alla Helvetia, la «Impianti J.C. s.r.l.» aveva individuato il 7 settembre 2015 quale data di inizio lavori, fissandone la fine al 31 dicembre 2015 (pagg. 4 e 5 della sentenza di primo grado).
4.2. La sentenza del Tribunale (alla cui motivazione la sentenza impugnata fa rinvio) sottolinea:
- che nel piano operativo di sicurezza predisposto da J.C., non fu valutato il rischio correlato alle particolari condizioni del cavedio nel quale i dipendenti della Impianti J.C. dovevano andare a lavorare;
- che la situazione di pericolo fu rilevata da J.C. o dai suoi dipendenti, i quali, per accedere al locale, utilizzarono tavole di legno che furono collocate su tubolari metallici posti al di sopra dei pannelli in cartongesso;
- che la pericolosità del luogo era nota a G.D., il quale era in possesso delle chiavi della porta -di accesso al cavedio e, proprio perché consapevole del pericolo, aveva consegnato l'unica altra chiave a R.E.;
- che, non vi fu alcuno scambio di informazioni tra i titolari e i dipendenti delle diverse ditte operanti in cantiere rispetto a tale situazione di pericolo;
- che, infatti, i dipendenti di J.C., dopo aver terminato i lavori nel cavedio e rimosso le tavole di legno utilizzate per muoversi in sicurezza, abbandonarono in quel luogo la scala di proprietà della C.P.F. e lasciarono aperta la porta di accesso al locale;
- che qualcuno (forse gli elettricisti, forse dipendenti della J.C.) disse a F.M. dove era la scala senza informarlo che era pericoloso entrare nel cavedio e pertanto non tutti i lavoratori erano informati di tale situazione, pure accertata da J.C. e nota a R.E.;
- che non fu stabilita alcuna forma di coordinamento affinché, in assenza di misure adeguate, la porta del cavedio restasse chiusa a chiave.
Si tratta di argomentazioni complete, coerenti e non manifestamente illogiche volte ad evidenziare che l'infortunio fu reso possibile dalla mancata condivisione di informazioni e dal mancato coordinamento tra le attività delle diverse imprese e, quindi, dalla concretizzazione del rischio interferenziale che l'art. 90 d.lgs. n. 81/08 mira a prevenire.
4.3. Ancorché il tema non sia specificamente trattato nel ricorso si deve precisare che a G.D. è stata contestata la violazione dei commi 3 e 4 dell'art. 90 d.lgs. n. 81/08 per aver omesso di designare il coordinatore per la progettazione e il coordinatore per l'esecuzione dei lavori. Non è noto se nel caso in esame i lavori fossero soggetti a permesso di costruire o di importo superiore a 100.000 euro, nel qual caso avrebbe trovato applicazione il comma 10 del citato art. 90 e il committente sarebbe stato tenuto solo alla nomina del coordinatore per l'esecuzione che avrebbe dovuto svolgere anche le funzioni del coordinatore per la progettazione. Nell'uno e nell'altro caso, comunque, il coordinatore avrebbe dovuto verificare l'idoneità dei POS delle singole imprese e richiederne l'aggiornamento in relazione all'evoluzione dei lavori e all'individuazione di nuove fonti di pericolo. Avrebbe inoltre dovuto organizzare la cooperazione tra i datori di lavoro, il coordinamento delle loro attività, nonché «la loro reciproca informazione» (art. 92 d.lgs. n. 81/08). Avrebbe così potuto assicurarsi: che tutti i datori di lavoro fossero informati del pericolo costituito dalla particolare conformazione del pavimento del cavedio e ne informassero i rispettivi dipendenti; che le opere provvisionali predisposte per consentire ai lavoratori di accedere al cavedio non fossero rimosse; che, prima della predisposizione di tali opere provvisionali o dopo la loro rimozione, la porta di accesso fosse chiusa a chiave e solo una persona edotta della situazione di pericolo potesse averne la disponibilità. Alla luce di questo giudizio controfattuale, compiutamente esplicitato nella sentenza di primo grado (cui la sentenza impugnata fa rinvio), il nesso causale esistente tra la mancata nomina di coordinatori per la sicurezza e l'infortunio concretamente verificatosi appare evidente.
Per quanto esposto, le osservazioni del ricorrente, secondo il quale, l'infortunio fu reso possibile dalla rimozione delle sicurezze di cui il cavedio era dotato si appalesano prive di pregio. Invero, una volta accertata la necessità di predisporre opere provvisionali per consentire l'accesso in sicurezza al cavedio, sarebbe stato preciso compito del coordinatore informare di ciò tutti i datori di lavoro operanti in cantiere e provvedere affinché, in assenza di tali opere provvisionali, l'accesso al cavedio fosse precluso. Se ciò fosse avvenuto, F.M. sarebbe stato informato della pericolosità del locale e, in ogni caso, lo sarebbero stati i lavoratori che indicarono all'infortunato dove poteva recuperare la scala. Non solo, sarebbero state date disposizioni affinché l'opera provvisionale che consentiva di camminare nel cavedio in sicurezza non fosse rimossa. In alternativa, la porta sarebbe stata chiusa a chiave (impedendo così a F.M. di entrare) in conformità ad una regola che lo stesso ricorrente sembra aver ritenuto necessaria, atteso che consegnò a Re la chiave della porta di accesso al locale e mantenne l'unica altra chiave nella sua esclusiva disponibilità.
Non vale obiettare, come fa il ricorrente, che il coordinatore per l'esecuzione non è tenuto ad essere costantemente presente in cantiere. Si tratta, invero, di una funzione di «alta vigilanza» preposta a adottare misure di prevenzione che hanno carattere strutturale e organizzativo al fine di evitare situazioni di pericolo derivanti da possibili interferenze tra le attività delle diverse imprese operanti nel medesimo cantiere (Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021, Paletti, Rv. 281489; Sez. 4, n. 2293 del 19/11/2020, dep. 2021, Vasa, Rv. 280695; Sez. 4, n. 43852 del 19/07/2018, Bartolini, Rv. 274266) e proprio questa attività organizzativa (come de-tto idonea ad impedire l'evento) difettò nel caso di specie.

5. Resta da esaminare il terzo motivo di ricorso, col quale G.D. sostiene che la qualifica di committente non dovrebbe essere attribuita a lui ma, eventualmente, al legale rappresentante della CAAR che aveva incaricato la ditta R.E. de la realizzazione dell'impianto elettrico e la ditta C.P.F. dell'esecuzione di lavori edili. La difesa sottolinea: da un lato, che la «Helevetia s.p.a.» ha stipulato un unico contratto per la realizzazione dell'impianto di riscaldamento e condizionamento con la «Impianti J.C. s.r.l.» sicché la contemporanea presenza in cantiere di più imprese non è ascrivile al ricorrente; dall'altro, che le opere commissionate dalla CAAR riguardavano esclusivamente la porzione dell'edificio che questa società aveva preso in locazione sicché era la CAAR ad avere interesse alla realizzazione dell'opera.
La circostanza che solo la CAAR avesse interesse alla realizzazione dei lavori è contestata dalle sentenze di merito con argomentazioni esaurienti, scevre da profili di contraddittorietà o manifesta illogicità. I giudici di merito hanno sottolineato, infatti, che tra la Helvetia e la CAAR fu stipulato un contratto preliminare di locazione e la promissaria conduttrice fu immessa nel possesso del bene a decorrere dal 1° giugno 2015 per consentirle di eseguire «i lavori di adattamento specificati al punto 6) del contratto». Si trattava dunque di lavori concordati tra le parti, funzionali alla stipula del contratto di locazione, il cui costo, fu trasferito dalla Helvetia alla CAAR con la promessa di locazione.
Ne consegue che i lavori erano stati contrattualmente concordati tra la CAAR e la Helvetia, G.D. ne era informato, e, quando affidò alla società di J.C. il compito di realizzare l'impianto di riscaldamento e condizionamento dell'intera palazzina, sapeva benissimo che tra i lavori della ditta da lui incaricata e quelli delle ditte incaricate dalla CAAR avrebbero potuto crearsi interferenze. La circostanza che J.C. dovesse lavorare anche nella porzione di palazzina che la CAAR aveva promesso di prendere in locazione, inoltre, rende evidente che G.D. non era disinteressato ai lavori eseguiti dalla CAAR. Depone nello stesso senso (come i giudici di merito hanno puntualmente sottolineato) la constatazione che il rifacimento dell'impianto elettrico fu affidato alla «R.E. di R.E.» vale a dire proprio alla ditta cui G.D. aveva affidato la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto elettrico dell'intera palazzina.
A ciò deve aggiungersi che, come risulta dalle sentenze di merito, G.D. aveva la disponibilità delle chiavi del portoncino di accesso al cavedio e aveva affidato l'unico altro paio di chiavi a R.E.. Sapeva dunque che gli elettricisti e gli impiantisti avrebbero potuto dover accedere a quei locali e che un coordinamento tra le imprese era necessario ad evitare situazioni di pericolo.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che l'obbligo per il committente di nominare il coordinatore per la sicurezza, di cui all'art. 90, d.lgs. n. 81/08 «è connesso già solo alla previsione che più imprese lavorino nello stesso cantiere, anche non in contemporanea, e non alla verifica successiva di tale situazione» (Sez. 4, n. 4644 del 11/12/2018, dep. 2019, Scardina, Rv. 275707). La circostanza che G.D. abbia conferito alla «Impianti J.C. s.r.l.» il compito di eseguire lavori in una porzione di edificio che sapeva interessata all'attività di altre imprese era dunque sufficiente a far sì che egli fosse obbligato a nominare un coordinatore per la sicurezza a-I fine di evitare il sorgere di un rischio interfe-renziale com-e quello che in concreto si verificò (per una completa e approfondita analisi dello statuto del committente cfr. Sez. 4, Sentenza n. 5802 del 29/01/2021, Cribari, Rv. 280925).
A questo proposito va ricordato che - come le sentenze di merito opportunamente sottolineano - «proprio l'attività demandata alla ditta appaltatrice incaricata dall'imputato» richiese l'ingresso delle maestranze nel cavedio (pag. 8 della sentenza impugnata), e, dunque, proprio l'incarico conferito da G.D. a J.C. rese possibile il concretizzarsi del rischio che la nomina del coordinatore per la sicurezza mira ad evitare.
6. I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, essendo imposta dal principio di colpevolezza la verifica, in concreto, oltre che della sussistenza della violaz1one, da parte del garante, di una regola cautelare (generica o specifica) causalmente rilevante rispetto agli eventi, anche la verifica della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (fra le tante: Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, Morelli, Rv. 24552601). La tematica involge il profilo della c.d. causalità della colpa, che va individuata nella capacità soggettiva dell'agent e di osservare la regola cautelare, ovvero nella concreta possibilità di pretenderne l'osservanza e nella esigibilità del comportamento dovuto.
La sentenza impugnata e quella di primo grado rilevano in proposito:
- che «l'uso promiscuo delle attrezzature da parte delle diverse organizzazioni ha favorito l'accesso nell'insidioso vano tecnico del dipendente di una terza ditta ivi operante che, ignaro del pericolo, non segnalato, quantomeno, attraverso l'adozione di opportuna cartellonistica, era entrato per riprendersi una scala avendo trovato la porta aperta e non chiusa a chiave» (pag. 14 della sentenza impugnata);
- che l'omessa valutazione del rischio correlato alle peculiari caratteristiche del cavedio ascritta a J.C., e l'omessa nomina di un coordinatore per la sicurezza ascritta G.D., sono condotte colpose tra loro correlate ai sensi dell'art. 113 cod. pen., atteso che l'omessa nomina di un coordinatore per la sicurezza ha fatto sì che il POS predisposto da J.C. potesse essere incompleto; non fossero individuate modalità di rimozione delle opere provvisionali idonee a garantire la sicurezza di tutti i lavoratori che avessero avuto accesso al cavedio; non fosse garantita la reciproca informazione e il coordinamento delle attività delle imprese;
- che G.D. «ben conosceva lo stato dei luoghi del cavedio interessato dall'infortunio, essendo uno dei due soggetti - identificandosi l'altro nell'elettricista di fiducia R.E. - che deteneva le chiavi del vano tecnico» (pag. 10 della sentenza del Tribunale).
Ciò colloca a pieno titolo l'evento verificatosi tra quelli che le norme cautelari violate miravano ad evitare e chiarisce, in termini chiari e coerenti, le ragioni per le quali, il mancato rispetto della norma violata rendeva prevedibile ed evitabile l'evento.

7. Per quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 9 novembre 2022