Regione Umbria

Deliberazione dell’assemblea legislativa 19 marzo 2019, n. 315.
PROPOSTA DI LEGGE ALLE CAMERE - “Disposizioni in materia di lavoro mediante piattaforme digitali”.

B.U.R. 10 aprile 2019, n. 17 - s.o. n. 1
 

PROPOSTA DI LEGGE ALLE CAMERE
"Disposizioni in materia di lavoro mediante piattaforme digitali"
 

Relazione illustrativa e tecnico-finanziaria

 

Secondo la comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo del 2 giugno 2016, l’economia collaborativa ha generato nuove opportunità per imprenditori e consumatori. “I ricavi totali lordi nell’UE di piattaforme e prestatori di servizi di collaborazione sono stati stimati a 28 miliardi di EUR nel 2015. Rispetto all’anno precedente i ricavi nell’UE di cinque settori chiave sono quasi raddoppiati e si prevede che continueranno stabilmente a crescere. Si registra fin dal 2013 una forte crescita che ha subito una ulteriore accelerazione nel 2015, grazie ai notevoli investimenti di grandi piattaforme che hanno ampliato la loro attività in Europa. Alcuni esperti stimano che in futuro l’economia collaborativa potrebbe apportare all’economia dell’UE da 160 a 572 miliardi di EUR di ulteriore giro d’affari”.
Tuttavia, quando si parla di economia nell’epoca del digitale bisogna intendersi. Sempre più spesso si associa il fenomeno, in modo incompleto e inesatto, alla parola “sharing”. L’idea dell’economia condivisa è affascinante, ma con la digitalizzazione si sono diffuse anche pratiche che hanno sfruttato l’evoluzione tecnologica al fine di accrescere diseguaglianze e sfruttare il lavoro.
Infatti, accanto alla sharing economy o economia della condivisione, è nata la gig economy, ovvero l’economia del lavoretto o on demand, che ha trasformato il volto di molte attività lavorative. In questo modo, la crescita dei servizi prestati ai clienti è andata purtroppo di pari passo alla diminuzione di salario e tutele nei confronti dei lavoratori.
L’esempio più clamoroso, che ha fatto deflagrare anche in Italia i problemi della gig economy, è quello di Foodora, società attiva nel servizio di consegna a domicilio di pasti preparati in ristoranti convenzionati, mediante l’utilizzo di una app, ovvero una piattaforma digitale. All’interno di Foodora, a inizio ottobre 2016, circa 50 lavoratori di Torino hanno avviato la prima forma di protesta collettiva per chiedere tutele e diritti.
La Commissione Europea ha definito la sharing economy in termini di “modelli imprenditoriali in cui le attività sono facilitate da piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l’uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati. L’economia collaborativa coinvolge tre categorie di soggetti: I) i prestatori di servizi che condividono beni, risorse, tempo e/o competenze e possono essere sia privati che offrono servizi su base occasionale (“pari”) sia prestatori di servizi nell’ambito della loro capacità professionale (“prestatori di servizi professionali”); II) gli utenti di tali servizi; e III) gli intermediari che mettono in comunicazione - attraverso una piattaforma online - i prestatori e utenti e che agevolano le transazioni tra di essi (“piattaforme di collaborazione”). Le transazioni dell’economia collaborativa generalmente non comportano un trasferimento di proprietà e possono essere effettuate a scopo di lucro o senza scopo di lucro”. Si tratta in sostanza della monetizzazione di risorse sottoutilizzate o non utilizzate, che punta ad abbattere i costi attraverso la condivisione di azioni che si compirebbero comunque. L’esempio del noto servizio Blablacar aiuta a comprendere: l’automobilista che ha pianificato un viaggio e ha spazio in macchina, per contenere le spese, mette a reddito i posti liberi condividendo il viaggio con terzi.
La gig economy, invece, è stata definita come un sistema di lavoro apparentemente free lance, facilitato dalla tecnologia, che ha a che fare con esigenze generazionali e sociali. È una forma efficiente di impresa capitalistica, su lavori che scontano flessibilità e intermittenza. È questo il caso dei rider/fattorini di Foodora, pagati a consegne, oppure del servizio Uber. Quest’ultimo, a differenza di Blablacar, non rappresenta un servizio di condivisione messo a disposizione da un automobilista che avrebbe comunque intrapreso un viaggio, ma è un servizio prestato da un autista che si sposta su chiamata, come un taxista.
Pertanto, nella gig economy non si rinvengono significativi elementi di condivisione (sharing): nel servizio a pagamento di consegna del cibo a domicilio non si condividono bicicletta, smartphone o altro; nel servizio di taxi non si condividono le automobili o la benzina, così come nel servizio di pulizie di Helpling (altro esempio di gig economy) gli addetti non condividono spazzolone e strofinaccio. In questi esempi di attività lavorative l’unico elemento in comune con la sharing economy è il fatto che basano le proprie operazioni su piattaforme digitali, ma la somiglianza finisce qui.
In sostanza si tratta di situazioni in cui l’intervento della piattaforma nell’accordo fra prestatore di servizi e utente è a tal punto pervasivo da limitare gli spazi di autonomia delle parti che definiscono il regolamento contrattuale.
Significa che la piattaforma cessa di essere un mero intermediario che eroga solo il servizio della società dell’informazione, per fornire essa stessa il servizio che ne dipende grazie ai prestatori di servizi che, a loro volta, sono di fatto suoi dipendenti.
Per questo, nel caso di Uber, numerosi tribunali di diverse giurisdizioni (la California Labor Commission nel 2015, la United States District Court Norther District of California nel 2015, il Tribunale del Lavoro di Londra nel 2015, la Vara do Trabalho de Belo Horizonte il 13 febbraio 2017, la Corte di Giustizia Europea il 26 dicembre 2017) hanno riconosciuto tra i drivers e la piattaforma un rapporto di lavoro subordinato, così come nel caso di Lyft, sempre con sentenza del 2015 dello United States District Court Northern District of California. Analogamente, il Consiglio di Stato in Italia ha evidenziato l’originalità del rapporto con l’utente, irriducibile a una semplice intermediazione. Ciò che accomuna le sentenze richiamate è l’applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, ossia sulla volontà cartolare delle parti (la denominazione attribuita dalle parti al contratto): il riconoscimento del servizio di trasporto come l’attività principale comporta che i conducenti della società siano sottoposti indubbiamente al suo potere organizzativo, il che implica elementi decisivi per la qualificazione di lavoro subordinato.
Nell’aprile del 2018, la Danimarca è diventata il primo Paese UE a registrare l’equivalente di un contratto collettivo nazionale per i cosiddetti giggers, caso unico su scala continentale. L’accordo è nato sotto forma di un patto fra Hilfr, una startup danese che mette in contatto proprietari di casa con addetti alle pulizie, e il sindacato nazionale 3F. Il nuovo contratto verrà sperimentato per un periodo di prova di 12 mesi, a partire dal primo agosto 2018, su tutti i 450 lavoratori che forniscono un servizio veicolato dal circuito della app. Fra le tutele garantite ci saranno ferie pagate, permessi per le ferie e contributi previdenziali. Inoltre, Hilfr ha acconsentito a fissare una retribuzione minima di circa 19 euro l’ora, cifra che può arrivare a cinque o dieci volte la paga incassata dai corrieri di alcune delle piattaforme che dominano il mercato.
Le piattaforme di consegna a domicilio tramite app in bicicletta o motorino si sono diffuse in Italia negli ultimi due anni e sono numerose e variegate: oltre a Foodora, Deliveroo, JustEat, UberEats, Glovo e altre. Secondo fonti riconducibili alle imprese stesse, questo mercato vale in Italia circa 2 miliardi di euro e, nelle previsioni, impiegherà migliaia di persone.
Il problema dell’inquadramento dei lavoratori della gig economy è, come si è visto, globale. Negli Stati Uniti i processi citati incardinati contro Uber, con
l’obiettivo di far luce sulle condizioni di lavoro degli autisti e di stabilire se siano lavoratori autonomi o no, hanno fatto molto notizia.
Nell’estate del 2016, a Londra hanno scioperato i lavoratori di Deliveroo e UberEats, per contrastare il tentativo delle aziende di passare da una retribuzione oraria a una paga a cottimo.
Le stesse ragioni sono alla base delle proteste dei lavoratori di Foodora Italia. Inizialmente hanno avviato un contenzioso sulle biciclette, che i lavoratori sono tenuti a fornire a proprie spese, facendosi carico anche della manutenzione dei mezzi. Lo stesso avviene per smartphone e costi telefonici. Successivamente il contenzioso è stato esteso al passaggio da una retribuzione oraria di 5,40 euro a una retribuzione a cottimo (2,70 euro per consegna), che l’azienda ha introdotto per tutti i neo assunti, fino a estenderla progressivamente all’intera forza lavoro.
Infine, i lavoratori hanno messo in discussione il tipo di contratto: i fattorini e i promoter (ossia coloro che si occupano di fare pubblicità all’azienda) che lavorano per Foodora Italia non sono dipendenti ma risultano essere liberi professionisti assunti con un contratto di collaborazione coordinata. Non hanno quindi alcun diritto a ferie, copertura per infortuni o malattie pagate.
In risposta alla vertenza aperta dai lavoratori, gli amministratori di Foodora Italia hanno comunicato la disponibilità a colloqui individuali, escludendo a priori qualsiasi possibilità di rappresentanza collettiva, con ciò ponendosi fuori da ogni volontà di instaurare corrette relazioni industriali.
Inoltre, pochi giorni dopo la protesta tenuta a Torino a inizio ottobre, La Stampa ha dato notizia che due promoter della società sono state “licenziate” per aver solidarizzato con la mobilitazione. Il licenziamento, di fatto istantaneo, è avvenuto bloccando loro l’accesso alla app tramite la quale si organizzano i turni di lavoro, senza alcuna formalizzazione e nessuna possibilità di tutelare i loro diritti, tra i quali anche quello di mettere in atto una vertenza per migliorare le proprie condizioni di lavoro.
In quest’attività lavorativa, che si colloca in una zona grigia tra il lavoro da freelance e quello da dipendente, gli elementi di subordinazione sono numerosi, come il fatto di essere tenuti a indossare un’uniforme aziendale, di avere un orario concordato, molto spesso turni stabiliti (anche se in svariati casi si è liberi di dare o meno la propria disponibilità), un luogo prefissato di partenza per le consegne, un compenso stabilito unilateralmente dalla piattaforma, un rapporto di lavoro spesso continuativo, senza trascurare l’elemento del controllo a distanza operato mediante la geolocalizzazione costante e in tempo reale dell’operatore. Tutti questi elementi evidenziano che i lavoratori sono sottoposti a una organizzazione del lavoro stabilita dall’azienda.
Non solo: il rischio è tutto schiacciato sulle spalle dei lavoratori, che investono sul proprio mezzo, la bicicletta, sul proprio smartphone e sul loro stesso tempo. Pagano di tasca propria le riparazioni e la telefonia e fanno i conti con eventuali infortuni, malattie, guasti o perturbazioni climatiche senza alcuna tutela.
Certo, le piattaforme della gig economy italiana hanno diversi modelli di organizzazione del lavoro, di inquadramento contrattuale, di elargizione del compenso, di durata e recesso del rapporto di lavoro. Se alcune riconoscono un compenso orario fisso, altre corrispondono un compenso a consegna, ossia a cottimo. Le forme contrattuali più diffuse sono la co.co.co. e la collaborazione autonoma occasionale con ritenuta d’acconto, che presentano differenze sensibili per quanto riguarda il piano fiscale, previdenziale e assicurativo. In ogni caso, tutti i contratti sanciscono la natura autonoma del rapporto di lavoro, con clausole ispirate alle Indipendent contractor clauses della gig economy anglosassone.
Foodora, in particolare, è a tutti gli effetti un’azienda come molte altre, che offre un servizio di consegna a domicilio. Il suo servizio di consegna on demand attualmente coinvolge dieci Paesi e più di 36 città. Le sue fortune sono legate alla capacità di essere una grande piazza commerciale, una vetrina ampia che attira molti esercenti e incontra anche la necessità di chi non ha bisogno di visibilità ma non vuole avere a che fare con fattorini e pony espress locali. La società ha aumentato i propri ordini del 75% ogni mese, proprio perché questo mix sembra cogliere le esigenze di tanti.
Inoltre, a differenza del caso Uber, non esistono portatori di interessi tanto forti (come i taxisti) da opporsi a tale escalation.
Tuttavia, in questo come negli altri casi, le effettive modalità di esecuzione della prestazione spesso smentiscono la sua definizione formale. In particolare, ciò avviene nel caso delle piattaforme che prevedono un sistema di turni predeterminato e/o il log-in esclusivamente in alcuni luoghi (hotspot) precisi.
Per questo una delle strade per regolamentare la gig economy è quella della riqualificazione del rapporto fra piattaforma e prestatori del servizio.
La presente proposta di legge interviene, pertanto, sulla base di quanto premesso, proprio per definire l’indispensabile inquadramento dei lavoratori per riconoscere diritti e tutele che già oggi sarebbe possibile riconoscere, ma che invece vengono negati ai lavoratori della gig economy.
Innanzitutto, si intende restituire dignità al lavoro e contrastare l’idea, che pure è stata espressa, che l’attività di fattorino sia “un’opportunità per andare in bici, guadagnando anche un piccolo stipendio”, negando il rispetto della professionalità, la responsabilità e la fatica fisica che questo e altri lavori richiedono.
Inoltre, si intende contrastare l’ultra precarietà di un lavoro con un livello di retribuzione troppo basso per permettere a un lavoratore di sopravvivere lavorando esclusivamente per Foodora (lo stipendio difficilmente supera i 4-500 euro al mese). Come già avvenuto a Londra nel caso di UberEats, all’inizio dell’attività le imprese utilizzano un compenso orario. Ma il sistema di consegne a domicilio sul modello di Foodora o Deliveroo utilizza il meccanismo dell’algoritmo per gestire la fluttuazione della domanda: si basa sull’avere a disposizione una forza lavoro flessibile, che può venire mobilizzata o smobilizzata a seconda della domanda dei consumatori. La decisione delle imprese di passare a un sistema di compensi stabilito a prestazione piuttosto che a ora permette alle piattaforme di esternalizzare totalmente il rischio e i costi dei potenziali tempi morti o di bassa domanda sui lavoratori stessi, operando dunque una stretta al ribasso sui costi del lavoro.
Infine, la proposta di legge intende impedire che siano aggirate molte delle regolamentazioni previste dai contratti collettivi, come le tutele in caso di malattia.
La presente proposta di legge alle Camere non comporta nuovi o maggiori oneri finanziari per il bilancio regionale.
 

L’ASSEMBLEA LEGISLATIVA

Visto il progetto di proposta di legge alle Camere di iniziativa dei consiglieri Solinas, Rometti e Chiacchieroni, concernente: “Disposizioni in materia di lavoro mediante piattaforme digitali”, depositato presso la Presidenza dell’Assemblea legislativa in data 5 febbraio 2019 e trasmesso per il parere alla III Commissione Consiliare permanente con nota prot. 798 del 7 febbraio 2019 (Atto n. 1957);
Atteso che l’atto è rimesso alla discussione ed approvazione di questa Assemblea legislativa ai sensi dell’articolo 28, comma 1 del regolamento interno;
Considerato che il presente atto, unitamente alla relazione tecnica, è trasmesso all’Assemblea legislativa sensi dell’articolo 17 bis, comma 9 del regolamento interno;
Visto il parere e udita la relazione della III Commissione consiliare permanente illustrata oralmente ai sensi dell’articolo 27, comma 6 del Regolamento interno, dal relatore Presidente Attilio Solinas (Atto n. 1957 bis);
Visto il regolamento del Parlamento europeo 27 aprile 2016, n. 2016/679/UE;
Vista la legge 20 maggio 1970, n. 300;
Visto l’articolo 4 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152;
Visto l’articolo 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81;
Visto l’articolo 2094 del codice civile;
Visto lo statuto regionale;
Visto il regolamento interno;
con votazione finale sull’intera legge che consta di n. 11 articoli, che ha registrato n. 12 voti favorevoli e n. 4 voti di astensione, espressi nei modi di legge dai 16 consiglieri votanti sui 17 consiglieri presenti
 

DELBIERA

• di approvare la proposta di legge alle Camere concernente: “Disposizioni in materia di lavoro mediante piattaforme digitali”, composta di n. 11 articoli nel testo che segue:
 

Art. 1
(Finalità)

1. La presente legge, al fine di tutelare le lavoratrici e i lavoratori delle piattaforme digitali, favorisce l’instaurazione di rapporti di lavoro attraverso contratti chiari e trasparenti, coerenti con le esigenze del contesto occupazionale, nel rispetto del giusto equilibrio tra flessibilità del lavoro e diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
 

Art. 2
(Oggetto)

1. In attuazione delle finalità di cui all’articolo 1, la presente legge contiene disposizioni che tutelano la dignità, la salute e la sicurezza del lavoratore digitale e contrastano ogni forma di diseguaglianza e di sfruttamento.
 

Art. 3
(Forma contrattuale e informazioni)

1. Le lavoratrici e i lavoratori delle piattaforme digitali hanno diritto a condizioni contrattuali formulate per iscritto nonché a ricevere ogni informazione utile per la tutela dei loro interessi, dei loro diritti nonché della loro sicurezza.
2. Nei casi di cui al comma 1 del presente articolo, ai prestatori di lavoro deve essere applicato un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti dal contratto collettivo applicabile all’attività prestata, o, in mancanza, ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o categoria più affine.
3. In presenza di una pluralità di contratti collettivi per la medesima categoria, i datori di lavoro che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione della presente legge applicano ai propri dipendenti la cui prestazione di lavoro avvenga tramite piattaforma, applicazioni e algoritmi elaborati dal datore di lavoro o per suo conto, trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale della categoria.
4. La violazione dei diritti di cui al comma 1, da parte del datore di lavoro o del datore di lavoro gestore della piattaforma digitale, determina l’applicazione dell’articolo 4 del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152 (Attuazione della direttiva 91/533/CEE concernente l’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro), nonché il diritto del lavoratore e della lavoratrice al risarcimento del danno, da liquidare, da parte del giudice, con valutazione equitativa, in misura comunque idonea a indurre il datore di lavoro o il datore di lavoro gestore della piattaforma digitale al rispetto dei diritti di cui al comma 1 per il futuro.
5. In caso di controversie, il giudice tiene conto della violazione dei diritti di cui al comma 1 anche ai fini della prova delle condizioni contrattuali e dei diritti del lavoratore e della lavoratrice oggetto di eventuali controversie.
 

Art. 4
(Divieto di retribuzione a cottimo)

1. Non è consentito retribuire a cottimo, in tutto o in parte, le prestazioni di lavoro svolte tramite piattaforme, applicazioni e algoritmi elaborati dal datore di lavoro.
 

Art. 5
(Algoritmi)

1. Gli algoritmi per l’assegnazione dei turni, la distribuzione delle occasioni di lavoro e dei luoghi di esecuzione delle prestazioni di lavoro, e per la valutazione delle prestazioni di lavoro eseguite, possono entrare in vigore solo dopo un periodo di esperimento fissato dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, o dai contratti collettivi aziendali stipulati dalla rappresentanza sindacale unitaria, e previa consultazione con le medesime organizzazioni, dopo che alle stesse sia comunicato per iscritto il risultato dell’esperimento almeno sette giorni prima dell’esame congiunto da svolgere.
2. È vietata ogni forma di trattamento di dati finalizzata alla predisposizione di meccanismi di rating reputazionali, ivi compresi i dati pervenuti alle imprese titolari delle piattaforme digitali dall’utenza.
 

Art. 6
(Norme in materia di orario di lavoro, indennità di disponibilità, ferie e sospensione del rapporto di lavoro per le prestazioni a mezzo piattaforme, applicazioni e algoritmi elaborati dal datore di lavoro o per suo conto)

1. Ai fini della corresponsione della retribuzione, si considera orario di lavoro prestato quello intercorrente tra l’accettazione, da parte del prestatore, della prestazione sollecitata e il suo espletamento, registrato dalla piattaforma digitale.
2. Per i periodi nei quali il prestatore, in base a turni predeterminati o alla segnalazione della propria disponibilità attraverso la piattaforma digitale, pur non espletando la prestazione è a disposizione del datore di lavoro, spetta una indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, determinata dai contratti collettivi di cui all’articolo 3, e comunque non inferiore all’importo fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
3. L’indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo.
4. L’indennità di disponibilità è assoggettata a contribuzione previdenziale per il suo effettivo ammontare, in deroga alla normativa in materia di minimale contributivo.
5. In caso di malattia, maternità o di altro evento che renda impossibile l’erogazione della prestazione e la disponibilità a svolgerla, l’indennità dovuta è proporzionata alla retribuzione e all’indennità di disponibilità, secondo le disposizioni vigenti in tema di lavoro intermittente.
6. Il prestatore ha diritto alle ferie secondo le vigenti disposizioni legali e del contratto collettivo applicabile, in proporzione alle giornate nelle quali ha erogato le prestazioni di lavoro.
7. Il lavoratore può, per motivi personali, rifiutare la prestazione offerta, con conseguente rinunzia alla indennità di disponibilità per la quota oraria corrispondente.
 

Art. 7
(Diritto alla disconnessione)

1. Non è consentito l’invio di comunicazioni da parte del datore di lavoro, a mezzo di piattaforme digitali, applicazioni o altrimenti, per un periodo di almeno undici ore consecutive ogni ventiquattro ore, decorrenti dall’ultimo turno di disponibilità completato.
2. I contratti collettivi possono prevedere limiti più ampi delle undici ore di cui al comma precedente.
3. Nel caso di violazione della previsione del primo comma del presente articolo al datore di lavoro, salvo il risarcimento del danno nei confronti del prestatore, è comunque applicata una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250,00 a euro 1.250,00 per ciascun periodo e ciascun prestatore.
 

Art. 8
(Libertà di opinione)

1. Il lavoratore e la lavoratrice manifestano liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e del segreto aziendale, anche attraverso l’esercizio della critica e della cronaca, che non possono essere limitati attraverso poteri direttivi, disciplinari, di coordinamento, di controllo o di verifica del datore di lavoro o del datore di lavoro gestore della piattaforma.
 

Art. 9
(Divieto di discriminazione)

1. I lavoratori e le lavoratrici delle piattaforme digitali hanno diritto a non essere discriminati, nell’accesso alla piattaforma e nel corso del rapporto di lavoro, a causa delle convinzioni personali, dell’affiliazione e partecipazione all’attività politica o sindacale, del credo religioso, del sesso e delle scelte sessuali, dello stato matrimoniale o di famiglia, dell’orientamento sessuale, dell’età, dell’origine etnica, del colore, del gruppo linguistico, dell’ascendenza, della nazionalità, della cittadinanza, della residenza, di condizioni sociali o di condizioni e scelte personali, di controversie con il datore di lavoro o datore di lavoro gestore della piattaforma digitale o con il datore di lavoro o datore di lavoro gestore della piattaforma digitale del precedente rapporto di lavoro, o del fatto di avere denunciato condotte illecite di cui sono venuti a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro.
2. I lavoratori e le lavoratrici delle piattaforme digitali si intendono discriminati se sussistono le ipotesi di discriminazione diretta o indiretta, molestie, ordine di porre in essere un atto o un comportamento discriminatorio, a causa di uno dei fattori di cui al comma 1.
3. Sussiste discriminazione diretta, ai fini della presente legge, quando, per uno dei fattori individuati dal comma 1, indipendentemente dalla intenzione e motivazione, una persona è trattata meno favorevolmente rispetto ad un’altra in una situazione analoga.
4. Sussiste discriminazione indiretta, ai fini della presente legge, quando, per uno dei fattori individuati dal comma 1, indipendentemente dalla intenzione e motivazione adottata, una persona è posta in una posizione di particolare svantaggio, rispetto ad altre persone, in applicazione di disposizioni, criteri o prassi apparentemente neutri.
 

Art. 10
(Protezione dei dati personali e controlli)

1. I dati personali dei lavoratori e delle lavoratrici delle piattaforme digitali sono trattati in conformità delle disposizioni del Regolamento del Parlamento europeo 27 aprile 2016, n. 2016/679/UE relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE.
2. Gli articoli 2, 3, 6 e 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), si applicano anche alle piattaforme digitali.
 

Art. 11
(Norme finali)

1. È considerato prestatore di lavoro subordinato, ai sensi dell’articolo 2094 del codice civile, chiunque si obblighi, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale, alle dipendenze e secondo le direttive, anche se fomite esclusivamente a mezzo di applicazioni informatiche dell’imprenditore, pure nei casi nei quali non vi sia la predeterminazione di un orario di lavoro e il prestatore sia libero di accettare la singola prestazione richiesta, se vi sia la destinazione al datore di lavoro del risultato della prestazione e se l’organizzazione alla quale viene destinata la prestazione non sia la propria ma del datore di lavoro.
2. È subordinata anche la prestazione di attività chiesta e remunerata direttamente da un terzo e resa personalmente nei suoi confronti qualora il datore di lavoro, anche per il tramite di programmi informatici o applicazioni digitali e a scopo di lucro, realizzi un’intermediazione tra lavoratore e terzo, altresì stabilendo o influenzando in modo determinante le condizioni e la remunerazione dello scambio. La natura subordinata resta ferma anche nell’ipotesi in cui il lavoratore renda la prestazione impiegando beni e strumenti nella propria disponibilità.
3. L’organizzazione fa capo al datore di lavoro qualora la prestazione di lavoro avvenga tramite piattaforme digitali, applicazioni e algoritmi elaborati dal datore di lavoro o per suo conto, a prescindere dalla titolarità degli strumenti attraverso cui è espletata la prestazione. Si considerano piattaforme digitali i programmi delle imprese che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, mettono in relazione a distanza per via elettronica le persone per la vendita di un bene, la prestazione di un servizio, lo scambio o la condivisione di un bene o di un servizio, determinando le caratteristiche delle prestazioni del servizio che sarà fornito o del bene che sarà venduto e fissandone il prezzo.
4. L’articolo 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), è abrogato.
• di trasmettere la presente proposta al Senato della Repubblica.