Cassazione Penale, Sez. 4, 29 dicembre 2022, n. 49418 - Caduta dall'alto del lavoratore irregolare addetto alle vendite all'ingrosso. Responsabilità del titolare della ditta


 

 

Presidente: MONTAGNI ANDREA
Relatore: ANTEZZA FABIO Data Udienza: 23/11/2022
 

 

Fatto
 



1. La Corte d'appello di Roma, con la pronuncia indicata in epigrafe, ha confermato la condanna di L.G., nella qualità di titolare dell'omonima ditta individuale, in merito al decesso di G.B., lavoratore alle sue dipendenze ancorché in assenza di formale assunzione, cagionato con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 589, commi primo e secondo, cod. pen., in relazione agli artt. 17, 29 e 28 d.lgs. n. 81 del 2008). Ne è seguita altresì la conferma della condanna dell'imputato al risarcimento dei danni (con provvisionale) in favore delle costituite parti civili (Omissis).
G.B., lavoratore «irregolare» addetto alle vendite all'ingrosso dei beni presenti nel magazzino gestito dall'imputato, suo datore di lavoro, l'11 gennaio 2014, al fine di sostituire alcuni pannelli costituenti la copertura del magazzino, acquistati direttamente dal datore di lavoro il giorno precedente, si è recato sul solaio con altro lavoratore precipitando dall'altezza di circa sei metri a causa di un buco creatosi in uno dei pannelli, così decedendo per «arresto cardio-respiratorio irreversibile». Così ricostruiti i fatti, tanto in primo quanto in secondo grado, la Corte territoriale ha confermato la responsabilità di L.G. per l'omicidio colposo, accertata la mancata valutazione degli specifici rischi di caduta dall'alto da parte del datore di lavoro con conseguente mancata adozione di idonei sistemi di protezione, tra cui l'imbracatura di sicurezza oltre che idonea impalcatura.

2. Avverso la sentenza d'appello l'imputato, tramite i difensori, ha proposto ricorso per cassazione fondato su sei motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con i primi due motivi sostanzialmente si deduce l'errore nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale nel rigettare l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado per aver il Tribunale con ordinanza resa all'udienza del 24 gennaio 2019 rigettato l'istanza di rinvio avanzata dall'avvocato e motivata in ragione di un proprio legittimo impedimento, in quanto impegnato, nella stessa giornata, in udienza relativa ad altro processo da celebrarsi in Calabria ed a carico di imputati in misura cautelare.
La Corte territoriale, in particolare avrebbe errato nel sostenere fondato il diniego di rinvio ritenendo irrilevante, ai fini della legittimità dell'impedimento, l'assenza di autorizzazione resa al difensore, tanto da L.G. quanto dall'imputato assistito in Calabria, di farsi sostituire ex art. 102 cod. proc. pen. Peraltro, il giudice d'appello avrebbe anche erroneamente supportato sul punto la decisione muovendo dall'assunto per il quale, ex art. 132-bis dis. att. cod. proc. pen., anche il processo a carico di L.G. rientrava nell'ambito di quelli a trattazione prioritaria. A dire del ricorrente, nell'ambito di quelli indicati dal detto art. 132-bis cod. proc. pen., dovrebbero comunque considerarsi prioritari, rispetto agli altri pure ivi annoverati, i processi a carico di soggetti in custodia cautelare.
2.2. Con i motivi terzo, quarto e quinto si deducono vizi motivazionali per l'immotivata selezione da parte del giudice di merito del materiale probatorio fondante la decisione.
La Corte territoriale, nel dettaglio, avrebbe fondato la statuizione di condanna solo sulle dichiarazioni rese dal figlio del lavoratore deceduto, anch'egli alle dipendenze di L.G., costituitosi parte civile, in assenza di un vaglio critico circa la relativa attendibilità. L'irrilevanza probatoria delle dichiarazioni rese dal citato soggetto, poi, avrebbe privato di supporto probatorio la ritenuta dinamica del sinistro, in considerazione anche dell'inutilizzabilità della deposizione resa da C. in ragione del rapporto di affinità con L.G., dichiarata dalla Corte territoriale in accoglimento di specifico motivo d'appello proposto dalla difesa dell'imputato. Non avrebbe peraltro il giudice d'appello valutato le dichiarazioni rese dal fabbro originariamente contattato, dal datore di lavoro, per l'esecuzione dei lavori di manutenzione del capannone oltre che quelle rese dal fornitore dei pannelli da utilizzare per il detto intervento. Quanto innanzi avrebbe infine sostanzialmente implicato la violazione della regola di giudizio del «ragionevole dubbio», di cui all'art 533 cod. proc. pen., in relazione alla ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa. Per essa, l'addetto alle vendite all'ingrosso, G.B., si sarebbe recato sul tetto del capannone, in assenza di sistemi di protezione e di una valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro, «molto probabilmente per una mera ispezione non autorizzata dell'area», con conseguente «abnormità» del relativo comportamento.
2.3. Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la Corte territoriale in sede di commisurazione giudiziale della pena, per la sua esorbitanza, oltre che nell'aver escluso la sussistenza delle , circostanze attenuanti generiche, peraltro argomentando dalla scelta difensiva dell'imputato di non rendere dichiarazioni nel corso del procedimento e del processo.
3. La Procura generale della Repubblica presso la Suprema Corte, le difese delle parti civili e dell'imputato hanno discusso e concluso nei termini di cui in epigrafe.

 

Diritto

 


1. Il ricorso è inammissibile.

2. I primi due motivi di ricorso sono manifestamente infondati avendo la Corte territoriale correttamente argomentato il mancato accoglimento del motivo d'appello deducente l'errar in procedendo nel quale sarebbe incorso il Tribunale rigettando l'istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore dell'imputato, con riferimento all'udienza dibattimentale del 24 gennaio 2019. É sul punto assorbente quanto argomentato dal giudice di merito circa l'irrilevanza, ai fini della valutazione, come legittimo, dell'impedimento del difensore derivante da concomitante impegno processuale, dell'impossibilità di farsi sostituire ex art. 102 cod. proc. pen., nei diversi procedimenti in quanto non autorizzato dai relativi assistiti.
Deve difatti darsi continuità al principio, invece applicato dal giudice di merito con conseguente manifesta infondatezza della relativa doglianza, sancito dalla Suprema Corte, ed in questa sede ribadito, per cui, in tema di legittimo impedimento del difensore per concomitante impegno professionale, non osta alla nomina di un sostituto la mancata autorizzazione del soggetto patrocinato perché le scelte professionali del difensore, tra cui rientra anche la nomina un sostituto di udienza, sono espressione della sua discrezionalità tecnica e non possono, quindi, essere sindacate dal soggetto difeso il quale può esclusivamente, ove sussista un'insanabile divergenza in ordine alle modalità di espletamento del mandato professionale, revocare il mandato e sostituire il mandatario con altro difensore (Sez. 3, n. 31377 del 08/03/2018, P.D.C., Rv. 273808).

3. Quanto alle censure di cui ai motivi terzo, quarto e quinto rileva premettere quanto segue.
I giudici di merito, in ipotesi di c.d. «doppia conforme», con motivazione esente dalle prospettate critiche, hanno ricostruito la situazione di contesto dell'infortunio, ritenendo accertato che G.B., lavoratore «irregolare» addetto alle vendite all'ingrosso dei beni presenti nel magazzino gestito dall'imputato, suo datore di lavoro, 1'11 gennaio 2014, al fine di sostituire alcuni pannelli costituenti la copertura del magazzino, acquistati direttamente dal datore di lavoro il giorno precedente, si è recato sul solaio con altro lavoratore precipitando dall'altezza di circa sei metri a causa di un buco creatosi in uno dei pannelli, così decedendo per «arresto cardio-respiratorio irreversibile». Così ricostruiti i fatti (tanto in primo quanto in secondo grado), la Corte territoriale ha confermato la responsabilità di L.G. per l'omicidio colposo, accertata la mancata valutazione degli specifici rischi di caduta dall'alto da parte del datore di lavoro con conseguente mancata adozione di idonei sistemi di protezione, tra cui l'imbracatura di sicurezza oltre che idonea impalcatura.
3.1. Orbene, premesso quanto innanzi, le censure in esame non si confrontano con l'esplicitata motivazione della sentenza impugnata, così non cogliendone la relativa ratio decidendi che, dunque, non sindacano.
Come costantemente affermato dalla Corte di legittimità (ex plurimis, Sez.6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584), difatti, la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata, avverso il provvedimento cui si riferisce, che si realizza attraverso la presentazione di motivi i quali, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Ne consegue che, se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all'inammissibilità, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente impugnato, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.
3.2. Nella specie, il giudice d'appello è infatti lungi dall'aver argomentato in forza della sola deposizione del figlio del lavoratore deceduto, anch'egli alle dipendenze di L.G. nonché costituitosi parte civile. L'accertamento della dinamica del sinistro, non sindacabile in questa sede in quanto retta da motivazione esente dalle prospettate censure, si è in particolare fondato su una pluralità di elementi probatori tra loco concordanti, oltre che tali da confermare e ulteriormente circostanziare quanto narrato dalla citata parte civile circa l'aver udito il proprio padre e il datore di lavoro interloquire in merito ai lavori di manutenzione da effettuare. Il riferimento è, in particolare, sempre differentemente da quanto sostenuto dal ricorrente, alle dichiarazioni rese dal fabbro originariamente contattato, dal datore di lavoro, per l'esecuzione dei lavori di manutenzione del capannone, oltre che da quelle rese dal fornitore dei pannelli da utilizzare per il detto intervento. Le Core territoriale difatti sul punto rileva che proprio per la necessità di organizzazione il detto lavoro in sicurezza, peraltro, il fabbro contattato dall'imputato per l'intervento manutentivo del tetto del capannone aveva deciso (prima del Natale) di soprassedere per il momento per verificarne la fattività in un momento successivo, mentre proprio il giorno prima del sinistro lo stesso L.G. aveva acquistato i panelli da sostituire.
3.3. Gli altri profili di cui alle censure in esame, come emerge dal raffronto con i motivi d'appello riportati in maniera specifica nella sentenza impugnata, oltre a essere fondati esclusivamente su doglianze che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte territoriale (pag. 5 e ss), dovendosi quindi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti in quanto omettono di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (ex plurimis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710), si risolvono in motivi diversi da quelli prospettabili in sede di legittimità. Essi sono infatti costituiti da doglianze in fatto, con le quali si prospettano anche erronee valutazioni di natura probatoria del giudice di merito, non scandite dalla necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata (sul contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione si vedano ex plurimis: Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584, e, tra le più recenti, Sez. 7, n. 9378 del 09/02/2022, Galperti, in motivazione; si veda altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtellì, Rv. 268822, in ordine ai motivi d'appello ma sulla base di principi rilevanti anche al ricorso per cassazione).
3.4. L'inammissibilità caratterizza anche il profilo di doglianza sostanzialmente prospettato in termini di violazione dell'art. 533 cod. proc. pen. e in particolare della regola di giudizio del «ragionevole dubbio», ancorché, in realtà, si tratta nella specie di censura integrante un «non motivo» in quanto formulata in via meramente ipotetica. Per la tesi difensiva, difatti, G.B., lavoratore «non in regola» alle dipendenze di L.G. con la mansione di addetto alle vendite all'ingrosso, si sarebbe recato sul tetto del capannone, in assenza di sistemi di protezione e di una valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro, «molto probabilmente per una mera ispezione non autorizzata dell'area», con conseguente abnormità del relativo comportamento.
La prospettazione del ricorrente dimentica quindi che la regola di giudizio compendiata nella formula che il ricorrente assume violata («al di là di ogni ragionevole dubbio») rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., non avendo la Suprema Corte alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D'Urso, Rv. 270108-01, nonché, con particolare riferimento ai limiti di ammissibilità del ricorso per cassazione avverso sentenza di applicazione di pena su richiesta delle parti, Sez. 4, n. 2132 del 12/01/2021, Maggio, Rv. 280245-01). In ogni caso, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall'imputato che intenda far valere l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di un'ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non, come nella specie, meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (ex plurimis, Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237-01).

4. Parimenti inammissibile è il sesto motivo di ricorso inerente al trattamento sanzionatorio oltre che sindacante la ritenuta insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, anch'esso articolato senza effettivo confronto con la motivazione della sentenza impugnata.
La Corte territoriale fa difatti riferimento all'accertata gravità della colpa per il concreto atteggiarsi degli omessi presidi a tutela dei lavoratori, peraltro caratterizzante una condotta tenuta in merito a un lavoratore non regolarmente assunto, oltre che, quanto alle invocate circostanze attenuanti generiche, all'assenza di segnali di resipiscenza. Il richiamo all'assenza di dichiarazioni procedimentali e processuali dell'imputato, al fine di escludere le dette circostanze, lo si deve difatti leggere in uno con l'argomentazione della valutazione in termini negativi dell'assenza di segni di resipiscenza da parte di L.G..

5. In conclusione, all'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte Cast. 13 giugno 2000, n. 186). Segue altresì la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute, per il presente giudizio di legittimità, dalle parti civili Omissis, che si liquidano in complessivi euro ottomilaquattrocento, oltre accessori di legge.
 


P.Q.M.

 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende oltre alla refusione delle spese processuali per questo giudizio di legittimità sostenute dalle parti civili Omissis che liquida in complessivi euro ottomilaquattrocento, oltre accessori di legge.
Così deciso il 23 novembre 2022