Cassazione Civile, Sez. Lav., 4 gennaio 2023, n. 171 - Precipita dal tetto del capannone durante un sopralluogo: qualifica solo formale di subappaltatore ma di fatto privo di autonomia. Responsabilità del datore di lavoro


 

 

Presidente: ESPOSITO LUCIA
Relatore: MICHELINI GUALTIERO
Data pubblicazione: 04/01/2023
 

Rilevato che

1. la Corte d’Appello di Venezia, in parziale riforma di sentenza del Tribunale di Padova che aveva respinto le originarie domande dell'infortunato, ha dichiarato la responsabilità esclusiva di M.B. nella causazione dell'infortunio occorso a T.R. in data 8/9/2003, accertato il conseguente diritto di quest'ultimo al risarcimento del danno non patrimoniale differenziale nell'importo capitale già rivalutato all'attualità di € 907.283, oltre interessi legali sulla somma devalutata alla data del sinistro e annualmente rivalutata, condannato per l'effetto M.B. al pagamento in favore di T.R. di detta somma, previa detrazione dell'acconto di € 660.000 da rivalutare all'attualità già ricevuto da Toro Assicurazioni;
2. la Corte di merito, in particolare, sulla base delle sentenze penali intervenute sulla vicenda (qualificate come prova atipica), delle testimonianze degli ispettori intervenuti sul luogo dell’infortunio, dei documenti contabili raccolti, di CTU, ha ritenuto che il lavoratore infortunatosi (precipitando dal tetto di un capannone nel corso di un sopralluogo, procurandosi gravissime lesioni) all'epoca dei fatti rivestisse solo formalmente la qualifica di subappaltatore, essendo in realtà privo di autonomia ed a disposizione della ditta subappaltante, in violazione del divieto di intermediazione illecita di manodopera, così da considerarsi dipendente del M.B. che ne utilizzava effettivamente le prestazioni; ha configurato la responsabilità esclusiva di questi nella causazione dell'infortunio per violazione della normativa antinfortunistica (omissione di predisposizione di idonei presidi collettivi ed individuali contro le cadute dall'alto, omissione di accertamento che la copertura del capannone avesse resistenza sufficiente per sostenere il peso del lavoratore, mancata informazione del lavoratore sui rischi specifici connessi all'attività da svolgere), violazione del principio generale di cui all'art. 2087 c.c.; di conseguenza, ha condannato il datore di lavoro al risarcimento del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psicofisica riportato in conseguenza di un infortunio, liquidato come danno differenziale tra l'importo dovuto nell'ambito dell'ordinaria responsabilità civile quantificato in base alle tabelle del Tribunale di Milano del 2014 e l'importo già corrisposto o da corrispondere da parte dell'INAIL a titolo di indennizzo per danno biologico temporaneo e permanente;
3. M.B., in proprio e quale titolare dell'omonima ditta individuale, propone ricorso per cassazione con unico articolato motivo; resiste controparte con controricorso, e propone ricorso incidentale con unico articolato motivo, cui il ricorrente principale resiste con controricorso al ricorso incidentale;

 

Considerato che

1. il ricorrente principale censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.) nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. e dell’art. 1227 c.c., dell'art. 1 legge n. 1369/1960 e dell’art. 29 d. lgs. n. 276/2003 (in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c.); sostiene che la Corte di merito ha errato nella ricostruzione delle circostanze fattuali, non tenendo conto della condotta autonoma ed anomala del lavoratore, il mancato assolvimento dell'onere probatorio relativo alla sussistenza di un rapporto di lavoro di tipo subordinato, l'interruzione del nesso causale tra l'asserita condotta omissiva del M.B. e l'evento, da ricondursi a rischio elettivo;
2. il ricorso principale è inammissibile, perché con esso vengono riproposte questioni interamente di fatto, già esaminate dalla Corte d'Appello ed esterne al perimetro del giudizio di legittimità, sollecitando una rivisitazione delle prove non consentita in questa sede, atteso che il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale valutare elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass. 20814/2018, n. 15276/2021, n. 13485/2014, n. 20553/2021, n. 17097/2010, n. 12362/2006, n. 11933/2003);
3. questa Corte ha, infatti, chiarito (Cass. S.U. 34476/2019) che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito; con il ricorso per cassazione, la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass n. 29404/2017. n. 15568/2020 e giurisprudenza ivi richiamata, n. 8758/2021);
4. osserva il Collegio che la sussistenza dell'elemento della subordinazione nell'ambito di un contratto di lavoro, da individuare sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, costituisce un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità, rimanendo la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro effettuata dal giudice di merito censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l'accertamento degli elementi, che rivelino l'effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto e che siano idonei a ricondurre la prestazione al suo modello, costituisce un apprezzamento di fatto delle risultanze processuali (cfr. Cass. n. 3407/2022, n. 5436/2019, n. 14434/2015);
5. inoltre, la sentenza impugnata risulta conforme alla giurisprudenza di questa Corte, tanto in tema di responsabilità nel datore di lavoro, quanto di valutazione della condotta del lavoratore;
6. sotto il primo profilo, è stato di recente ribadito che la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c., pur non configurando un'ipotesi di responsabilità oggettiva, sorge non soltanto in caso di violazione di regole di esperienza o di regole tecniche già conosciute e preesistenti, ma sanziona anche l’omessa predisposizione, da parte del datore di lavoro, di tutte le misure e cautele idonee a preservare l'integrità psico-fisica del lavoratore in relazione alla specifica situazione di pericolosità, inclusa la mancata adozione di direttive inibitorie nei confronti del lavoratore medesimo (Cass. n. 15112/2020; cfr. anche Cass. n. 25597/2021);
7. sotto il secondo profilo, si osserva che, in tema di infortuni sul lavoro, il cd. rischio elettivo, che comporta la responsabilità esclusiva del lavoratore, sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, sulla base di una scelta arbitraria volta a creare e ad affrontare, volutamente, per ragioni o impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente l'attività lavorativa, creando condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere e ponendosi, in tal modo, come causa esclusiva dell'evento dannoso (Cass. n. 3763/2021; cfr. anche, sulla nozione di rischio elettivo che esclude la cd. occasione di lavoro, la considerazione della sola condotta del lavoratore avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa, tenuta volontariamente in base a ragioni e motivazioni personali, Cass. n. 7649/2019, n. 8988/2020);
8. a norma dell’art. 334 c.p.c., all’inammissibilità dell’impugnazione principale consegue la perdita di efficacia del ricorso incidentale (con il quale viene dedotta violazione dell'art. 116 c.p.c. ex art. 360, n. 5 c.p.c. per omissione di fatti decisivi per il giudizio e degli artt. 1223 e 2056, comma 2, c.c. ex art. 360, n. 3, c.p.c. circa il mancato riconoscimento del danno da lucro cessante);
9. in ragione della soccombenza, parte ricorrente principale deve essere condannata al rimborso in favore della controparte delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo (cfr. Cass. n. 15220/2018, secondo cui, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell'art. 334, comma 2, c.p.c., con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all'esame dell'impugnazione incidentale e dunque l'applicazione del principio di causalità con riferimento al "decisum" evidenzia che l'instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale);
10. la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione principale determina il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali, mentre, il controricorrente, il cui ricorso incidentale tardivo sia dichiarato inefficace a seguito di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, non può essere condannato al pagamento del doppio del contributo unificato, trattandosi di sanzione conseguente alle sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, ex art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. n. 18348/2017);

 

P.Q.M.
 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, inefficace il ricorso incidentale.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 6.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 26 ottobre 2022