Cassazione Penale, Sez. 4, 30 dicembre 2022, n. 49651 - Caduta mortale del lavoratore in nero durante i lavori di edili su un terrazzo e responsabilità del datore di lavoro


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 22/11/2022
 

Fatto


1. Con sentenza dell'8/3/2019 il GUP del Tribunale di Napoli Nord, all'esito di giudizio abbreviato, ritenuta la continuazione tra i reati, operata la diminuzione per il rito, condannava G.C. alla pena finale di anni 2, mesi 9 e giorni 10 di reclusione ed euro 200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio e alle spese nei confronti delle parti civili costituite, con rigetto della chiesta provvisionale, in quanto riconosciutolo colpevole (in concorso con la committente T.T., per la quale si procedeva separatamente):
• del delitto p.p. dagli artt. 113 e 589 co.2 c.p. perché, nelle rispettive qualità sopra indicate, il G.C. quale titolare dell'omonima impresa individuale edile, e dunque di datore di lavoro di M.R. (operaio al nero) e responsabile del servizio di prevenzione e sicurezza sul lavoro del cantiere aperto in Villa di Briano alla via Scarpetta n. 4, per esecuzione di lavori affidatigli dalla proprietaria T.T.; corresponsabile nella sua qualità di committente, agendo entrambi con colpevole negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle regole minime di prudenza; perizia ed attenzione imposte dal loro ruolo anche in forma di vigilanza, disapplicando in tronco ogni regola prevista dalla disciplina di sicurezza sul luogo del lavoro (trattandosi di lavori eseguiti con operai al nero, senza piano operativo di sicurezza, senza vigilanza, senza nomina di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, senza nomina di responsabile dei lavori e senza dotazione delle attrezzature minime di protezione ecc... ), con il loro colpevole comportamento, cagionavano la morte di M.R., il quale impegnato nella esecuzione di lavori edili sul terrazzo posto al secondo piano dell'immobile (lavori consistenti nella ripavimentazione dello stesso e rispetto ai quali nessuna preventiva valutazione in punto di rischi per i lavoratori e di esecuzione in sicurezza degli stessi anche in relazione allo stato dei luoghi, né svolto alcun controllo e vigilanza nell'esecuzione dei medesimi, documenti elaborati solo successivamente al decesso per consentire la prosecuzione dei lavori), dopo aver ancorato il montacarichi (per lo scarico delle macerie al suolo) e relativa tramoggia da incastrare ed agganciare ad un parapetto o altra base d'appoggio, nel montare il tubo convogliatore sul parapetto all'evidenza totalmente inadeguato a sostenerne il peso, anche perché privo di cordolo di collegamento in testa e di pilastrini di irrigidimento, a causa della cessione del parapetto veniva trascinato nel vuoto cadendo dal terrazzo sito al secondo piano unitamente alle attrezzature sopra menzionate, decedendo a causa dell'impatto al suolo. Il tutto anche in violazione delle seguenti specifiche disposizioni del d.lvo n. 81/2008:

- Artt. 17 e 28, avendo omesso il G.C. di elaborare il documento valutazione rischi e non avendo fornito ai lavoratori idoneo materiale di protezione (casco protettivo) e/o vigilato sul loro utilizzo ed avendo omesso la T.T. di verificare l'esistenza del predetto documento;
- Artt. 18 e 37, non avendo il G.C. provveduto ad assicurare ai lavoratori idonea formazione in materia di salute e di sicurezza sul luogo di lavoro, né cura­ tosi dell'osservanza da parte dei lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza (non essendo peraltro, come detto, stato adottato né il documento di valutazione rischi, né il piano operativo di sicurezza);
- Art. 96 co. 1 lett. g), per non avere il G.C. adottato il piano operativo di sicurezza;
- Art. 90 co. 9 lettere a), b) e c), non avendo da un lato la T.T. verificato l'idoneità tecnico-professionale della impresa appaltatrice (la quale ne era infatti sfornita), ne chiesto ne acquisto le dichiarazioni di cui alle lettere b e c non avendo dall'altro il G.C. eseguito i lavori in assenza dei medesimi documenti e presupposti;
In Villa di Briano il 27.7.2016
Pronunciando sull'appello proposto dal G.C., la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 9/11/2021, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava estinti per prescrizione i reati contravvenzionali allo stesso ascritti e rideterminava la pena residua in anni due e mesi quattro di reclusione, confermando nel resto, ivi comprese le statuizioni civili e condanna l'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in quel grado.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il G.C., deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come di­ sposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen., violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all'art. 590 bis cod. pen.
La Corte di Appello incorrerebbe per il ricorrente in una palese violazione di legge allorquando evidenzia l'impossibilità di ascrivere alla sola condotta del M.R. la sola, idonea, a cagionare l'evento, senza che alcuna responsabilità penale possa ascriversi all'imputato in ragione del fatto che la vittima non considerava che il muretto non era rinforzato dal cordolo e, quindi, egli stesso lo riteneva adeguato a sostenere il carico dei tubi ivi successivamente posizionati.
Tale aspetto -ci si duole- viene totalmente estromesso dal giudizio di merito, determinando la stesura di una motivazione del tutto violativa della legge penale in materia di omicidio colposo.
Altro dato che verrebbe totalmente espunto dal ragionamento del giudicante afferisce, per il ricorrente1ad una precisa dinamica degli eventi, anch'essa realizzata dagli operai che, unita all'attività di spicconatura dell'intonaco, e alla mancata verifica dell'assenza del cordolo di cemento del parapetto, era valevole a provocare il tragico evento. Si fa riferimento, in particolare all'attività con la quale gli operai forzavano i tubi in modo che si curvassero lateralmente all'interno del cassone.
In altri termini, altro dato che sfuggirebbe alla valutazione del giudicante è l'attività di direzionamento dei tubi che unita alle altre condotte analizzate cagionava il crollo del parapetto. Tali condizioni erano ben conosciute sia dal P. che dal M.R., essendo i due operai edili di lunga esperienza nel settore. Ci si duole, ancora, che alcuna valutazione circa il bagaglio di conoscenza dei lavoratori venga indicato nella sentenza della Corte napoletana la quale, enfatizzando unicamente i comportamenti del datore del lavoro, espungerebbe dal compendio valutativo la consapevolezza e/o la conoscenza dei due lavoratori delle modalità di realizzazione dell'opera edilizia e soprattutto di come la forzatura di un parapetto (attraverso il direzionamento dei tubi), già deficitario da un punto di vista strutturale, ben avrebbe potuto determinarne il crollo.
La prassi comunemente rilevabile nelle normali operazioni edilizie - si legge in ricorso- avrebbe dovuto indurre i lavoranti a verificare autonomamente che le attività di spicconatura prima, e di forzatura dopo del parapetto, ben avrebbero potuto provocarne il crollo. .
Ed allora proprio sul punto la corte di Appello sorvolerebbe sulla possibilità di ascrivere ad una condotta eccentrica la causa dell'evento, a prescindere degli obblighi formativi del G.C..
L'attività compiute dalla povera vittima - si sostiene- può essere ritenuta eccezionale o abnorme - e come tale in grado di escludere la responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio occorso - proprio perché egli decideva di agire impropriamente, pur disponendo delle informazioni necessarie e di adeguate competenze per la valutazione dei rischi cui si espone, trattandosi di informazioni che non richiedevano alcuna specifica formazione.
Sul punto il ragionamento della Corte sarebbe del tutto contraddittorio perché finirebbe per dare valore ad elementi che nulla hanno a che vedere con la concreta realizzazione della condotta, svilendo completamento il paradigma della causalità omissiva nella verificazione dell'evento. Come a dire che il ragionamento della Corte partenopea determinerebbe una palese violazione dell'art. 589 bis c.p. in quanto la omessa formazione ed informazione, nel caso in esame, non apparirebbe causalmente rilevante per la verificazione dell'evento lesivo, secondo il ben noto paradigma enucleabile dalla sentenza delle SSUU Franzese del 2002.
Secondo la tesi proposta in ricorso il difetto di preparazione non poteva rappresentare la causa colposa della morte, stante la evidente conoscenza che le attività concretamente svolte dai lavoratori ben avrebbero comportato il crollo così come verificatosi. I due lavoratori, infatti, avevano proceduto in maniera del tutto inconsapevole a compiere le manovre pericolose di cui all'imputazione.
Perciò il ricorrente censura la Corte territoriale nell'avere ritenuto, oltre ogni ragionevole dubbio, che se i lavoratori avessero avuto adeguata conoscenza della pericolosità di quanto hanno poi fatto, non avrebbero mai proceduto come invece avvenuto, in quanto sarebbero stati ben consapevoli del rischio che ciò avrebbe comportato, e di conseguenza non si sarebbero verificate quelle condizioni meccaniche indispensabili affinché l'evento si realizzasse.
La carenza di formazione - si sostiene- alcun ruolo ha avuto nella causazione dell'evento in quanto alla base del sinistro vi sono due fondamentali errori operativi ascrivibili unicamente agli operatori edili dai quali la Corte si sgancia completamente.
Sul punto quindi, la sentenza esprimerebbe una evidente violazione di legge. Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla l. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.l. 228/21 conv. con modif. dalla L. 15/22), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. e l'Avv. Giovanni Pizzo, difensore delle parti civili Omissis, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso, con vittoria di spese, come da nota scritta depositata in uno con le conclusioni.
 

Diritto

 


1. Il ricorso è inammissibile, in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E, ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

2. I fatti, come ricostruiti dai giudici di merito, sulla base degli atti investigativi - pienamente utilizzabili essendosi proceduto con il rito abbreviato- ed in particolare della relazione del funzionario dell'ASL di Caserta dott. Nicola Pagano, delle s.i.t del dipendente D.P. presente ai fatti, della consulenza autoptica a firma del dott. Luigi Barbato e della consulenza tecnica affidata dal Pubblico Ministero all'ing. Anacleto Fuschetti per la ricostruzione delle cause e della dinamica dell'incidente, nonché per l'accertamento di profili di responsabilità colposa, si sono svolti il 27.7. 20161 verso le ore 15.oq presso l'abitazione di proprietà di T.T. , soggetto privato committente dei lavori di ripavimentazione del terrazzo, per la quale si è proceduto separatamente.
Come si ricorda nella sentenza impugnata, dalle dichiarazioni del teste P. risulta che la mattina dello stesso giorno dell'incidente, egli, insieme al M.R., aveva proceduto allo smantellamento della pavimentazione del terrazzo della villetta della T.T. e allo spicconamento del parapetto. Nel pomeriggio i due avevano montato il montacarichi e stavano procedendo ad assemblare la colonna di tubi per lo scarico dei materiali di risulta, agganciando i tubi l'uno all'altro e assicurando la colonna al telaio della tramoggia posizionata a scavalco sul parapetto del terrazzino. Montata la colonna di tubi, i due operai si sono, però, resi conto che non arrivava precisamente nel cassone nel quale dovevano confluire i detriti e pertanto hanno cercato di direzionarla in maniera tale da orientarla precisamente sul cassone, esercitando pressione affinché la stessa si curvasse lateralmente verso lo stesso. Terminata quest'operazione, che vedeva M.R. operare dall'alto del terrazzo e D.P. in basso dal cassone, occorreva montare la parte finale (la tramoggia) che andava ancorata al parapetto del terrazzo. Ma mentre il D.P. si apprestava a risalire in terrazza attraverso le scale, M.R. precipitava al suolo. La caduta dall'alto del terrazzo provocava allo stesso un politraumatismo, che ne determinava il decesso.
Il primo giudice sulla base della relazione dell'ASL e della ct di parte pubblica individuava la causa dell'evento nell'avere i due operai posizionato il telaio della tramoggia a scavalco del parapetto, che a causa della sua fragilità strutturale non era in grado di sorreggere il peso della colonna tubi. Il parapetto non era dotato di cordolo di cemento armato e di pilastrini di rinforzo ed era stato indebolito dai lavori di spicconamento effettuati quella mattina dai due operai. Concludeva il Gip che "la particolare vulnerabilità del parapetto ... avrebbe dovuto indurre il datore di lavoro a valutarne preventivamente il rischio di cedimento e quindi a verificare con particolare attenzione la sua idoneità alla sollecitazione indotta da tale predetta installazione ".
Il primo giudice riteneva sussistenti profili di colpa specifica in quanto il datore di lavoro, nell'affidare i compiti ai lavoratori, non aveva valutato le loro capacità e le condizioni degli stessi in rapporto alla salute e alla sicurezza, non aveva assicurato ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, non aveva dotato gli stessi dei mezzi di protezione collettivi ed individuali né aveva vigilato sull'osservanza da parte dei lavoratori delle norme antiinfortunistiche. Il Gip indicava, sulla scorta delle conclusioni del consulente del PM, la condotta alternativa lecita che l'imputato avrebbe dovuto tenere: utilizzo dei sistemi di ritenzione anticaduta, cinture di sicurezza, ponti metallici ad elementi tubolari a cui agganciare la colonna tubi per lo scarico verso il basso dei materiali di risulta ovvero in alternativa l'apertura di un varco nel parapetto ed installazione di un sistema di protezione adeguato e conforme per l'operazione di scarico in basso dei materiali. Condotte alternative che avrebbero certamente impedito il verificarsi dell'evento concretamente accaduto. Il giudice di prime cure ricorda infine a conferma dell'assenza di qualsiasi formazione degli operai e valutazione delle loro competenze che il M.R. era stato assunto il giorno stesso dell'apertura del cantiere e il D.P. era invece un lavoratore non in regola, chiamato a collaborare dallo stesso M.R. il giorno dei fatti.
La Corte territoriale, nel rispondere alle specifiche doglianze in punto di responsabilità, reiterate tout court in questa sede, premesso che risulta incontestata la dinamica dell'evento così come ricostruita dal giudice di primo grado in sentenza, confuta motivatamente la tesi difensiva che l'evento sia stato causato unicamente dalla condotta imprudente e imprevedibile dei due operai che hanno dapprima agganciato la colonna tubi al muretto e poi hanno esercitato ulteriori manovre di sollecitazione.

3. La Corte territoriale richiama correttamente consolidati insegnamenti di questa Corte di legittimità secondo cui rientra nella sfera di vigilanza del datore di lavoro anche il comportamento negligente o imprudente del lavoratore, sicché spetterà al primo adottare tutte le cautele necessarie a prevenire, sulla base di un giudizio di prevedibilità ex ante, proprio gli eventuali errori commessi per colpa dal lavoratore nell'espletamento delle sue mansioni.
Proprio al fine di imporre all'imprenditore la predisposizione di cautele volte ad impedire condotte avventate del lavoratore, il legislatore ha previsto col d.lgs. 81/08 una serie di obblighi in capo al datore di lavoro che vanno dalla formazione dei lavoratori, alla loro dotazione di dispositivi di protezione individuali, alla messa in atto di mezzi di protezione collettivi, alla predisposizione del documento di valutazione rischi e di un piano operativo dì sicurezza.
Va subito precisato che nel caso di specie tali obblighi risultano tutti pacificamente disattesi dall'imputato.
In sentenza si dà conto che l'istruttoria compiuta dal funzionario dell'Asl (Pagano) consentiva di appurare che il M.R. aveva iniziato a lavorare con l'impresa G.C. il 26/7/2016, il giorno prima dell'incidente mortale. Ma scrive il dott. Pagano che "dall'analisi della documentazione acquisita è risultato che il signor M.R. è stato assunto il giorno 28/7/2016 e che l'apertura del cantiere è avvenuta lo stesso giorno. Tale condizione è stata segnalata all'ispettorato del Lavoro di Caserta per gli atti consequenziali" (cfr. pagg. 4-5 informativa alla Pro­ cura della Repubblica a firma del dott. Pagano).
E' evidente, dunque, che M.R. non è stato assunto in regola il giorno prima dei fatti e la sua posizione è stata "regolarizzata" ex post il giorno dopo l'evento mortale.
Tali circostanze -secondo la logica motivazione del provvedimento impugnato­ dimostrano inequivocabilmente che l'imputato non aveva svolto alcuna attività di formazione del M.R. antecedente all'apertura del cantiere circa i rischi delle attività di rifacimento del terrazzo che l'operaio avrebbe dovuto svolgere presso il cantiere di Villa di Briano. E neppure risulta che l'imputato avesse predisposto prima dell'avvio dei lavori, che coincide con il giorno dell'incidente, il documento di valutazione dei rischi a cui i lavoratori sarebbero stati sottoposti in quel cantiere e che avesse approntato il piano per la sicurezza dei lavoratori. Mentre la tipologia di lavori da effettuare, consistente nel rifacimento della pavimentazione ed in opere di spicconamento che interessavano il parapetto, doveva essere certamente oggetto di preventiva valutazione dei rischi e di predisposizione di una serie di cautele che era onere dell'imputato predispone e far osservare.

4. Corretto appare il rilievo che non spetta certo al singolo operaio valutare ex ante se il muretto di contenimento fosse dotato o meno dei rinforzi necessari a sopportare il carico della colonna tubi.
Come rilevano i giudici del merito era compito dell'imprenditore valutare (rectius: far valutare da tecnici) prima dell'avvio dei lavori, se il muretto fosse dotato di un cordolo di raccordo e di pilastrini di rinforzo e verificatane l'assenza, predisporre le opportune cautele a tutela dei lavoratori. E non rientra nella sfera di vigilanza dell'operaio valutare le modalità di ancoraggio della colonna tubi, ma dell'imprenditore che deve scegliere quella più sicura per i lavoratori. Ed è sempre il datore di lavoro che deve indicare, valutati preventivamente i rischi, i rimedi da adottare nel caso in cui la colonna tubi non scenda perfettamente in linea col cassone.
Al riguardo evidenziano i giudici di appello che l'ancoraggio al parapetto non era l'unica soluzione possibile, come si evince anche dalle foto allegate alla c.t. dell'ing. Fuschetti (il richiamo, in particolare, è a pag. 5 dove la colonna tubi è agganciata ai ponteggi esterni alla costruzione). E comunque, una volta deciso - si ribadisce da parte del datore di lavoro - che la colonna dovesse essere fissata a quel parapetto vetusto e composto solo da mattoni legati con la malta, era compito dell'imputato prevedere che il muretto non potesse sopportare il carico e predispone le opportune cautele (es. l'installazione preventiva di ponteggi) per impedire eventi del tipo di quello verificatosi.
Correttamente è stato ritenuto essere ovvio che si tratti di valutazioni e scelte da effettuarsi ex ante da parte dell'imprenditore in uno con i tecnici di cantiere previsti dalla normativa. E nel caso di specie, si è constatata, invece, la totale mancanza di qualsiasi approccio alla valutazione preventiva dei rischi da parte dell'imputato.
Quanto alla dotazione di presidi individuali di protezione, rileva la Corte territoriale che dalle foto allegate all'informativa dell'Asl risulta pacificamente che M.R. non avesse né il casco protettivo né gli altri dispositivi individuali di sicurezza necessari per effettuare i lavori dall'alto. Altrettanto incontestabile è l'assenza dei ponteggi lungo il perimetro del terrazzo dove i due operai dovevano lavorare.

Coerente e logico appare, pertanto, non avere ritenuto da parte della Corte territoriale condivisibile l'obiezione difensiva secondo cui le protezioni non potevano essere utilizzate in quanto si era ancora in una fase preparatoria dei lavori. Ciò sul rilievo, incontestato in fatto, che i due operai avevano già smantellato la pavimentazione nel corso della mattina di quel 27 luglio e avevano spicconato il parapetto (il richiamo, in sentenza, è alle s.i.t. D.P. e ai rilievi fotografici Asi). Erano dunque già iniziate le attività edilizie che richiedevano l'impiego di presidi di sicurezza che non furono apprestati. Era già attiva l'area di rischio di verificazione degli eventi dello stesso tipo di quello verificatosi. Non può sfuggire infatti che lo spicconamento del parapetto - attività che anche secondo l'appellante indebolì il muretto del terrazzo - comportava già il rischio che uno dei due operai potesse precipitare in assenza di dispositivi di ritenzione.
I giudici del gravame del merito ricordano anche che dagli accertamenti eseguiti dai carabinieri nell'immediatezza dei fatti e dalle s.i.t. dell'altro operaio (D.P.), si evince che sul cantiere al momento dell'incidente non vi era nessun altro all'infuori di M.R. e D.P., che fugge dopo aver visto il collega esanime in terra.'
Coerente appare, pertanto, la conclusione della Corte partenopea che i due operai, lasciati allo sbaraglio dall'imputato, sono stati costretti dalla situazione a compiere da soli valutazioni sullo stato dei luoghi e sui rischi da assumere, adottando decisioni che spettavano viceversa al datore di lavoro.

5. A fronte di tale congrua e logica motivazione -che si palesa immune da vizi di legittimità anche perché corretta in punto di diritto- i motivi di ricorso proposti non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono costituiti da mere doglianze in punto di fatto, sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e - sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell'atto impugnato.
L'impugnazione, invero, avente ad oggetto presunti vizi di motivazione, è incentrata - in termini sintetici e alquanto generici - solamente su doglianze che richiedono una nuova valutazione delle prove, in aperto contrasto al perimetro della giurisdizione di legittimità che non concerne nè la ricostruzione dei fatti, nè l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori (tra le altre, Sez. 2 n. 27866 del 17.6.2019, rv. 276976).
Il ricorrente, infatti, censura genericamente la valutazione sulla dinamica dell'infortunio (in particolare, con riguardo alla forzatura del parapetto da parte degli operai mediante il direzionamento dei tubi nella realizzazione dell'opera) e, soprattutto, sulla natura della condotta della persona offesa, considerata dal ricorrente abnorme in ragione della sua esperienza professionale, con considerazioni che refluiscono in una mera diversa interpretazione degli elementi di prova raccolti diversa da quella fatta propria dal giudice territoriale, finanche concentrandosi sol­ tanto su uno dei profili di colpa specifica ascritti a G.C. in relazione al D.lgs. 81/2008, ossia l'omessa informazione e formazione dei lavoratori da parte del datore di lavoro e sul giudizio controfattuale in caso di idonea formazione, non coltivato precipuamente in sede di appello, momento in cui si è censurato solo quello della predisposizione dei mezzi di protezione e della condotta "imprudente" di M.R..
Quanto all'abnormità del comportamento del lavoratore, questa Corte di legittimità ha da tempo chiarito che il datore di lavoro, e, in generale, il destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (vedasi sul punto Sez. 4, n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Costante giurisprudenza di legittimità, ha affermato il principio che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (così, ex multis, Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità - in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen. - dell'imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).
Inoltre, è altrettanto pacifico che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (così questa Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321 relativamente ad una fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Non è configurabile, in altri termini, la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497). Ciò perché il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza gravato non solo dell'obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro" (vedasi anche questa Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. il 2015, Ottino, Rv. 263200). E, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile Sez. 4, n. 4325 del 27/10/2015 dep. 2016, Zappalà ed altro, Rv. 265942).
Di rilievo anche il dictum di Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018 dep. 2019, Musso, Rv. 275017 che ribadisce che la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in quel caso la Corte di legittimità ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anziché utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato).
Ribadendo il concetto di "rischio eccentrico" altra recente pronuncia (Sez. 4 n. 27871 del 20/3/2019, Simeone, Rv. 276242) ha puntualizzato che, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante.

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nonché alla rifusione alle costituite parti civili OMISSIS delle spese di assistenza e rappresentanza per questo giudizio di legittimità che liquida nella misura indicata in dispositivo
 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione alle costituite parti civili Omissis delle spese di assistenza e rappresentanza per questo giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 4200,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 22 novembre 2022