Cassazione Penale, Sez. 4, 30 dicembre 2022, n. 49650 - Amputazione delle dita durante la marcatura di un gruppo di tubi. Responsabilità del direttore tecnico con procura institoria


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 22/11/2022
 

Fatto


1. Con sentenza emessa l'11/9/2020 il Tribunale di Brescia - assolto il coimputato G.P. dal reato a lui ascritto in imputazione perché il fatto non sussiste- ha dichiarato F.G. responsabile del reato di lesioni gravi col­pose, con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, commesso in Torbole Casaglia (BS) il 27.5.2014 e, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla aggravante di cui al co. 3 dell'art. 590 cod. pen., lo ha condannato alla pena di giorni 30 di reclusione, sostituita con la pena di € 7. 500 di multa.
Nello specifico, l'imputazione era la seguente: reato p. e p. dall'art. 590 co. 1 e 3 cod. pen., in relazione all'art. 583 c.p. perché, G.P. in qualità di Amministratore Delegato della società "SILMET S.p.a.", con sede legale e unità operativa in Torbole Casaglia (BS), datore di lavoro dell'infortunato, e F.G. in qualità di Direttore Tecnico con procura institoria della medesima società, per colpa cagionavano a M.A.A. lesioni personali gravi consistite in amputazione della falange distale IV dito ed amputazione falangi intermedia e distale V dito mano destra, giudicate guaribili in 150 giorni con invalidità permanente valutata dall'INAIL in misura dell'8%, in quanto, mentre il suddetto lavoratore era intento, mediante una marcatrice alla marcatura di un gruppo di tubi, la mano destra veniva presa dai rulli all'imbocco della macchina priva di protezioni, procurandosi le sopra descritte conseguenze lesive. Colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nonché nell'inosservanza di norme preposte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare nella violazione:

G.P.:
- dell'art. 28 comma 2 lettera a) D.lgs. 81/2008 in relazione all'art. 17 comma 1 lettera a) medesimo decreto in quanto nella qualità di Datore di lavoro, non valutava tutti i rischi, nel DVR infatti non erano compresi i rischi relativi alla marcatrice, inoltre, nonostante la valutazione dei rischi e la relativa elaborazione del DVR non siano delegabili, la firma del documento era quella di F.G. in forza di una procura Istitoria.
- dell'art. 16. comma 3 D.lgs. 81/2008 in quanto, ometteva di vigilare sul Delegato F.G. circa il corretto svolgimento delle funzioni trasferitegli, in assenza del MOG.

F.G.
- dell'art. 71 comma 1 D.lgs. 81/2008 in relazione all'art. 70 comma 2 D.lgs. 81/08 punto 5.6.1 dell'allegato V parte II stesso decreto, in quanto, metteva a disposizione del lavoratore la marcatrice inidonea sotto il profilo della sicurezza del lavoro poiché richiedeva che l'addetto guidasse manualmente i tubi fra i rulli di lavorazione in assenza di protezioni idonee in quanto consentivano l'introduzione delle dita e le protezioni mobili non erano dotate dei necessari dispositivi di blocco in presenza di rischio di presa e schiacciamento per le dita dell'addetto.
Fatto aggravato per aver cagionato lesioni gravi e perché commesso con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
In Torbole Casaglia (BS) il 27/05/2014.
Sul gravame proposto dall'imputato, con sentenza del 1/10/2021, la Corte di Appello di Brescia ha confermato la sentenza impugnata.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il F.G., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con il primo motivo il ricorrente deduce difetto di motivazione nonché travi­samento delle prove assunte in dibattimento, con particolare riguardo alle dichia­razioni rese dai testi B. e S..
Per il ricorrente, la Corte d'Appello, travisando le dichiarazioni testimoniali, ha ritenuto che all'epoca dell'infortunio vigesse una prassi aziendale di tolleranza a fronte dell'utilizzo scorretto del macchinario, il quale sarebbe stato comunque "inidoneo e non conforme alle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, come correttamente specificate nel capo di imputazione".
In realtà si sostiene che dalle escussioni testimoniali emergerebbe proprio il contrario. Anzitutto, il teste B. ha smentito categoricamente l'esistenza di una prassi aziendale che tollerasse l'apposizione di pezzi di legno sul pedale per impedire il blocco della macchina. Sul punto, egli ha affermato che l'azienda non metteva a disposizione alcun pezzo di legno e che, invece, doveva essere stato l'operaio a procurarsi un tassello di forma e grandezza idonea a tenere premuto il pedale. Lo stesso ha poi chiarito che le maestranze hanno ricevuto una specifica formazione per l'utilizzo del macchinario ("sì, sì, perché comunque siamo preparati ( ... ) per lavorare") e che l'azienda mai ha tollerato o avallato condotte negligenti del personale ("se se ne accorgono sì, sicuramente ( ... ) comunque ti rimproverano" e ancora "ma l'operaio viene richiamato e anche a volte è sanzionato con delle lettere di richiamo", cfr. pag. 7 di 13 - stenotipia relativa all'escussione del teste B.).
Ciò -prosegue il ricorso- è rimarcato anche dalle dichiarazioni rese dal teste S., il quale negava l'esistenza di prassi aziendali che permettessero l'uso del tassello di legno per tenere il pedale abbassato e aggiungeva che, qualora ciò fosse successo, lui, in qualità di responsabile del macchinario, avrebbe dovuto richiamare l'operaio negligente "perché ( ... ) questo non doveva succedere" (cfr. pag. 6 di 10 - stenotipia relativa all'escussione del teste S.).

Inoltre, si lamenta che, mentre il giudice di primo grado individuava la causa principale dell'infortunio non nella macchina marcatrice in sé, ma nell'utilizzo della stessa secondo modalità non conformi alle regole di sicurezza (''è agevole dedurre che la causa principale dell'infortunio vada individuata nell'utilizzo della marcatrice secondo modalità non conformi alle regole di sicurezza" cfr. pag. 7 sentenza di I grado), la Corte d'Appello, invece, ha ritenuto che l'infortunio si sarebbe verificato a causa dell'inidoneità della macchina "in quanto la protezione mobile (che avrebbe dovuto proteggere dita e mani dai rulli in movimento) non era dotata dei necessari dispositivi di blocco in presenza di rischio di presa e schiacciamento delle dita dell'addetto" (cfr. pag. 9 sentenza di appello).
In altri termini, la Corte d'Appello non ritiene sufficiente il dispositivo di blocco con il pedale, richiedendo un ulteriore sistema di bloccaggio dipendente dal sollevamento della protezione mobile.
Tali deduzioni, tuttavia, traviserebbero ancora una volta le risultanze probatorie emerse dal dibattimento, dalle quali emergerebbe l'adeguatezza della macchina sotto il profilo della sicurezza.
Ciò in quanto, sul punto, il teste B. ha affermato che sulla marcatrice "la protezione c'è sempre stata" ed ha precisato che è compito inderogabile dell'operatore apporla sul macchinario, prima della messa in moto dello stesso. Quanto poi alla ritenuta assenza di un dispositivo bloccante della macchina, è lo stesso B. ad affermare che "dal momento in cui tu attivi la macchina non va in automatico. Per farla andare bisogna schiacciare un pedale". Alla richiesta di spiegazioni, B. precisava che, per far andare la macchina, l'operatore deve continuamente tenere il piede sul pedale, in quanto, nel momento in cui il piede viene alzato, "i rulli si fermano subito". D'altro canto il teste S. ha riferito che "finita l'attrezzatura si doveva mettere il coperchio di sicurezza e il pedale avendo un cavo di un metro e mezzo doveva rimanere indietro, in modo che quando fai l'infilaggio del tubo nei rulli non doveva succedere niente".
È dunque ovvio che il fatto che il pedale si trovasse ad un metro e mezzo di distanza dai rulli era di per sé sufficiente ad escludere qualsiasi infortunio, perché, se l'operaio non avesse posto il tassello di legno, per avvicinarsi ai rulli avrebbe necessariamente dovuto levate il piede, con conseguente arresto immediato del macchinario.
Con il secondo motivo, si deduce inosservanza della legge penale nel rappresentare la sussistenza di una posizione di garanzia in capo al ricorrente rispetto ad eventi imprevedibili, quali la condotta della persona offesa che si sarebbe pro­ curata autonomamente il tassello in legno per bloccare la marcatrice.
Con il terzo motivo si lamenta mancanza e manifesta contraddittorietà della motivazione in relazione ai fatti riportati dalla persona offesa, le cui dichiarazioni sarebbero state "interpretate" dagli operanti in assenza di un traduttore qualificato.
Quanto sopra sarebbe confermato anche dal fatto che durante il processo di primo grado, la difesa degli imputati ha rinunciato all'escussione del teste, in quanto lo stesso, come detto, non parlava l'italiano ed in quanto vi erano difficoltà a rintracciare un interprete con nozioni adeguate al fine di potere effettuare una corretta traduzione delle dichiarazioni rese dall'infortunato.
Perciò, secondo il ricorrente, non devono essere ritenute dirimenti le dichiarazioni che la persona offesa avrebbe reso ai funzionari di ATS in data 13.2.2015, le quali, invero, sono state verbalizzate con un eloquio oggettivamente fluente, contenente anche richiami tecnici specifici.
Il travisamento della prova in questione risulterebbe tanto più evidente confrontando dette dichiarazioni con quanto dichiarato dall'UPG in occasione dell'escussione testimoniale avvenuta all'udienza del 15.11.2019. Se a ciò si aggiunge poi la rinuncia all'esame della p.o. per mancanza di interprete, si deve per forza pervenire alla conclusione che quanto verbalizzato a s.i.t. non sia, del tutto o in parte, genuino.
Con il quarto motivo, si deduce vizio di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della circostanza attenuante del risarcimento del danno di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen.
Il ricorrente evidenzia che nella sentenza impugnata il giudice d'appello ha negato l'applicazione, oltre alle attenuanti generiche, anche dell'attenuante ex art. 62 n. 6 c.p., sul rilievo che "il risarcimento del danno non è avvenuto "prima del giudizio e, in ogni caso, il Tribunale ne ha già tenuto conto nel riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche".
Quanto affermato si scontrerebbe, tuttavia con l'evidenza, posto che, come risulta dal verbale d'udienza del 22 febbraio 2019, in quella sede il tribunale aveva disposto un rinvio proprio al fine di permettere la formalizzazione del risarcimento in favore della p.o., che veniva quindi versato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
Sarebbe evidente che la Corte territoriale avrebbe male interpretato il dispo­sto dell'art. 62 n. 6 cod. pen., atteso che l'espressione "prima del giudizio" si riferisce alla fase antecedente le formalità di apertura del dibattimento e non a quella antecedente la prima udienza. Avendo dunque l'imputato, prima del giudizio, indennizzato integralmente il danno patito dalla p.o., l'attenuante in questione avrebbe dovuto essere posta in prevalenza rispetto alla contestata aggravante e, per l'effetto, la pena va proporzionalmente diminuita.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.

3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla l. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.l. 228/21 conv. con modif. dalla 1.15/22), il P.G., che ha chiesto il rigetto del ricorso e l'Avv. Leonardo Peli per il ricorrente, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso o, in subordine, perché si prenda atto dell'intervenuta prescrizione del reato.
 

 

Diritto


1. Non essendo tutti i motivi sopra illustrati manifestamente infondati, il Collegio non può che prendere atto dell'intervenuta prescrizione del reato e pertanto annullare senza rinvio la sentenza impugnata per l'estinzione del reato.
Pur riscontrata ex actis la presenza di un periodo di sospensione della prescrizione pari a 70 giorni (per il rinvio su richiesta della difesa, in primo grado, dal 22/2/2019 al 3/5/2019), al 5/2/2022 risulta infatti decorso per il delitto in imputazione il termine prescrizionale massimo di sette anni e mezzo.
Alla luce delle pronunzie di merito nemmeno si configura, infatti, l'evidenza della prova che consentirebbe l'adozione di una decisione liberatoria nel merito ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen.

2. In particolare, mentre i restanti motivi risultano inammissibili per la loro manifesta infondatezza, il quarto motivo illustrato in premessa non è manifestamente infondato.
Ed invero, fondatamente il ricorrente evidenzia che nella sentenza impugnata il giudice d'appello ha negato l'applicazione, oltre alle attenuanti generiche, anche dell'attenuante ex art. 62 n. 6 c.p., sul rilievo che "il risarcimento del danno non è avvenuto "prima del giudizio e, in ogni caso, il Tribunale ne ha già tenuto conto nel riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche".
Come risulta dal verbale d'udienza del 22 febbraio 2019, tuttavia, in quella sede il tribunale aveva disposto un rinvio proprio al fine di permettere la formalizzazione del risarcimento in favore della p.o., che veniva quindi versato prima della dichiara-zione di apertura del dibattimento.
E' fondato, pertanto, il rilievo evidente che la Corte territoriale ha male interpretato il disposto dell'art. 62 n. 6 cod. pen., atteso che l'espressione "prima del giudizio" si riferisce alla fase antecedente le formalità di apertura del dibattimento e non a quella antecedente la prima udienza (così la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, cfr. ex multis Sez. 3, n. 18937 del 19/1/2016, S., Rv. 266579 nella cui motivazione, la Corte ha osservato che l'attenuante presuppone una dimostrazione di spontaneo ravvedimento, non condizionata dall'andamento del dibattimento e Sez. 5, n. 57573 del 31/10/2017, P. Rv. 271872 secondo cui l'attenuante del risarcimento del danno di cui all'art. 62, co. 1, n. 6, prima parte, cod. pen. esige esclusivamente che la riparazione del danno - mediante le restituzioni o il risarcimento - sia integrale e avvenga prima del giudizio; non richiede, invece, che l'attività del reo sia anche spontanea, come nella seconda ipotesi della stessa disposizione, essendo sufficiente che si tratti di attività volontaria).
Nemmeno pare rilevante, ai fini del diniego, anzi si pone in contraddizione con quest'ultimo, la circostanza, richiamata dai giudici del gravame del merito, che dell'avvenuto risarcimento del danno il giudice di primo grado abbia tenuto conto ai fini della concessione delle, circostanze attenuanti generiche. Scrive il giudice di primo grado: a quest'ultima sono riconosciute le circostanze attenuanti generiche, per aver prontamente ed adeguatamente risarcito il lavoratore infortunato, il che è attestato dalla documentazione prodotta dalla difesa, e in ragione del corretto comportamento processuale.

3. Per completezza va evidenziato che i restanti motivi proposti sono manifestamente infondati, in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censura­ bile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

4. I fatti, come ricostruiti dai giudici di merito, per quello che rileva in questa sede, si sono svolti il 27/5/2014, presso l'unità produttiva dell'azienda "Silmet S.p.A." in Torbole Casaglia, avente per oggetto sociale l'attività industriale di laminazione e trafilatura di metalli nonché il commercio degli stessi, ove si verificò un infortunio sul lavoro in danno del dipendente M.A.A., che ebbe a riportare lesioni personali gravi consistite nell' amputazione della falange distale IV dito ed amputazione falangi intermedia e distale V dito mano destra, giudicate guaribili in 150 giorni, con invalidità permanente valutata dall'INAIL in misura dell'8%.

L'infortunio avvenne presso una marcatrice che il lavoratore stava utilizzando perché intento alla marcatura di un gruppo di tubi e conseguì al fatto che la sua mano destra veniva improvvisamente presa dai rulli all'imbocco della macchina.
Gli accertamenti furono effettuati dagli ispettori dell'A.T.S. Brescia, C. e S.. E -come ricorda la sentenza impugnata- dal verbale d'ispezione del 13/0212015 emerge la descrizione del macchinario, ovvero una macchina che esegue la marcatura esterna dei tubi in rame, con i tubi che vengono trascinati da alcuni cilindri fino al cilindro di marcatura; i cilindri di trascinamento presentano un riparo rigido in metallo, a sua volta sprovvisto di dispositivi di interblocco; la macchina dispone di un pedale di comando.
Il giudice di primo grado ha ritenuto accertata la penale responsabilità di F.G. per il reato a lui ascritto in imputazione, sussistendo colpa specifica per la messa a disposizione della marcatrice inidonea e colpa generica per l'aver tollerato o non contrastato con adeguate misure organizzative la prassi aziendale antidoverosa, e ha applicato la pena in epigrafe indicata.
Rispondendo al gravame nel merito, ove si erano in primo luogo contestate le risultanze testimoniali e si era proposto il travisamento della prova con riferimento all'escussione dei testi B. e S. oltre che l'imprevedibilità e abnormità del comportamento dell'infortunato e la prudenza con cui dovevano essere valutate le dichiarazioni della persona offesa, che non parla correttamente la lingua italiana, tutti temi riproposti tout court in questa sede, a sua volta la Corte bresciana ha ribadito che certamente la macchina marcatrice in questione è stata usata con modalità non conformi alle regole di sicurezza, tenuto conto della mancata apposizione della protezione mobile in metallo sui cilindri in movimento e dell'apposizione di un tassello di legno che teneva costantemente premuto il pedale di comando in modo tale che la macchina e i rulli fossero in costante movimento.
La sentenza impugnata ricorda anche che è circostanza accertata - e non contestata dalla difesa - che il giorno dell'incidente il lavoratore infortunato M.A.A. stava lavorando alla marchiatrice con la griglia di protezione a terra e con il pedale tenuto costantemente premuto da un tassello di legno. E che è altresì accertato che tali modalità di lavoro erano sovente utilizzate nell'azienda, carne si evince dalle dichiarazioni rese dal M.A.A. e da B. , sentita in dibattimento. Ha quindi evidenziato che dalle risultanze probatorie emerge che vi era una certa tolleranza per un utilizzo siffatto della marcatrice, come già rilevato dal primo giudice il quale già ha considerata che la circostanza non appare smentita dalle diverse dichiarazioni di altro lavoratore, S. , che possono eventualmente valere per un periodo successiva al suo insediamento quale responsabile dei macchinari, avvenuto nei primi mesi del 2014, e dunque sostanzialmente in epoca concomitante con l'infortunio occorso al M.A.A..
La Corte territoriale, tuttavia, ritiene che la questione principale del presente processo attiene all'aver messo a disposizione dei lavoratori una macchina marcatrice inidonea in quanto le protezione mobile (che avrebbe dovuto proteggere dita e mani del lavoratore dai rulli in movimento) non era dotata dei necessari dispositivi di blocco in presenza di rischio di presa e schiacciamento per le dita dell'addetto, così come contestato nel capo di imputazione. Ciò sul rilievo che è stato accertato che la macchina - a prescindere dal modo in cui veniva tenuto schiacciato il pedale - comunque poteva funzionare e quindi i rulli" lavoravano" anche quando non protetti dalla griglia di protezione.
Ciò -secondo la logica motivazione dei giudici del gravame del merito - rendeva il macchinario inidoneo e non conforme alle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, come correttamente specificate in capo di imputazione, in quanto se la protezione deve essere mobile - come nel caso di specie per la necessità di provvedere di volta in volta all'attrezzatura/regolazione" dei rulli (vedi teste S.) - allora è necessaria la predisposizione di un sistema di interblocco automatico, ovvero che garantisca il fermo dei rulli ogni qualvolta la protezione viene rimossa dal suo posto, proprio per scongiurare il contatto accidentale della mani del lavoratore con i rulli in movimento.
Si evidenzia in sentenza che è evidente che questo dispositivo è cosa diversa dal pedale a comando, e che quest'ultimo non è un dispositivo idoneo ad impedire ed escludere in ogni caso il contatto accidentale dei rulli in movimento con gli arti del lavoratore, e tutto ciò anche a prescindere da un uso scorretto del pedale come nel caso di specie.
Per queste ragioni tale dispositivo di blocco -ricorda ancora la Corte lombarda­ è stato oggetto di prescrizione da parte degli organi dell'ATS Brescia, come si evince da pag. 28 dal verbale di contravvenzione e prescrizione in atti.

5. Dunque, diversamente da quanto si opina in ricorso, se è vero che questa non conformità della macchina marcatrice -che peraltro già il giudice di primo grado aveva evidenziato- è la principale violazione delle norme antinfortunistiche ascritta ed accertata a carico dell'odierno imputato, la sentenza di secondo grado non va di contrario avviso rispetto a quella del tribunale rispetto alle riscontrate prassi lavorative contrarie alla sicurezza.
Il ricorrente lamenta un travisamento delle prove in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale (in ordine all'escussione testimoniale sia dei testi B. e S., che della persona offesa) per affermare, da un lato, che non fosse in alcun modo in vigore una prassi aziendale di tolleranza in ordine ad un utilizzo scorretto della marcatrice e, dall'altro, che il macchinario in esame fosse strutturalmente idoneo in quanto il suo funzionamento dipendeva da un pedale che doveva venire premuto ("altrimenti i rulli si fermano") e perché dotato di un sistema di protezione.
Il motivo, oltre che meramente ripropositivo e in fatto, difetta del requisito di specificità e della necessaria correlazione al percorso argomentativo del giudice di appello che, piuttosto, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite, ha definito come "non idoneo" il macchinario in sé, a prescindere dalle modalità inappropriate del suo utilizzo, in virtù di una valutazione delle prove non illogica o carente, avendo conferito la Corte territoriale pregnante valore probatorio in tal senso al Verbale di ispezione dell'ATS Brescia e all'ispettrice S., la quale, segnatamente, ha ribadito a dibattimento come il macchinario non rispettasse i requisiti minimi di sicurezza, in particolare in quanto privo di un dispositivo automatico di blocco in grado di intervenire ogni qualvolta venisse rimossa la protezione mobile dai rulli. Una volta ritenuta come dimostrata la carenza strutturale del macchinario sotto il profilo della sicurezza, perde di rilievo logicamente, nell'argomentare della Corte, ogni valutazione sull'utilizzo improprio o meno dello stesso (con riguardo all'inserimento di un tassello di legno nella pedaliera che garantisse il continuo funzionamento dei rulli), in ragione di una condotta delittuosa connotata dalla colpa specifica di non avere predisposto le misure di protezione idonee (con un sistema di blocco automatico) per scongiurare la lesione in oggetto.
Del resto, neppure il difensore contesta come all'interno dell'azienda l'utilizzo della griglia mobile di protezione fosse solo saltuario.
Non va trascurato, peraltro, che, questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636 secondo cui , sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sinda­cabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice; conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Capuzzi ed altro, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. 2017, La Gumina ed altro, Rv. 269217).
Nel caso dì specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del tribunale e, dopo avere preso atto delle censure proposte, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati.

6. Tuttavia, come si è detto, la non manifesta infondatezza del quarto motivo di ricorso, ha ben radicato il grado di giudizio dinanzi a questa Corte di legittimità e pertanto, come detto, si è dovuto prendere atto dell'intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
 

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma il 22 novembre 2022