Categoria: Giurisprudenza civile di merito
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L'Inail, per proporre azione di regresso, è necessario che la fattispecie dedotta in giudizio integri un reato perseguibile d’ufficio, dunque anche la colpa datoriale (così come il fatto, il danno ed il nesso causale) va dimostrata secondo i criteri della responsabilità penale.


Fatto

Con ricorso al Tribunale di Bologna, Sezione lavoro, l’Inail esponeva che con denuncia amministrativa di malattia professionale pervenuta in data 1° agosto 1996 l’En. Fe. de. St. S.p.A. segnalava la malattia professionale del proprio dipendente BB, assunto in data 1° maggio 1951 e, quindi, impiegato presso le Ferrovie Italiane fino al momento del suo pensionamento, avvenuto in data 30 maggio 1982.
Il sig. BB aveva svolto dal 1° maggio 1957 al 1° giugno 1982 varie mansioni presso l’Officina Grandi Riparazioni (Ogr) di Bologna, risultando continuamente esposto a polveri di amianto utilizzato nella riparazione dei rotabili.
Più specificatamente l’amianto era utilizzato come coibente nella cassa dei rotabili e veniva rimosso e manipolato nella attività manutentiva senza alcuna precauzione e senza l’impiego di alcun dispositivo di aerazione o bonifica ambientale.
Il sig. BB era deceduto in data 11 marzo 1996 a seguito di arresto cardiocircolatorio provocato da neoplasia polmonare.
Assunta la indennizzabilità ope legis della malattia professionale de qua contratta a causa ed in dipendenza della attività lavorativa svolta, l’Istituto aveva erogato prestazioni economiche di assegno funerario e rendita ai superstiti ex art. 85 t.u. n. 1124 del 1965 sostenendo oneri economici pari ad euro 93.835,72.
Esperiva, quindi, azione di regresso ex artt. 10 e 11 del precedente t.u. nei confronti di Tr. S.p.A. e Rfi - Re. Fe.
It. S.p.A., in via solidale e/o alternativa tra di loro a rivalere esso istituto della predetta somma o di quella diversa accertata in causa, con interessi e rivalutazione monetaria.
Riassunta la causa a seguito della interruzione del processo pronunciata all’udienza del 12 maggio 2006, il Tribunale di Bologna, Sezione lavoro, con sentenza n. 388 del 2007, in accoglimento della eccezione sollevata dalle parti convenute ritualmente costituite in giudizio, dichiarava il difetto di legittimazione passiva di entrambe le società convenute.
Avverso tale sentenza ha proposto appello Inail contestando come erronea la decisione di primo grado che aveva affermato la carenza di legittimazione passiva di entrambe le società convenute in giudizio; nel merito insisteva per l’accoglimento della domanda proposta.
Parte appellante ha insistito per l’ammissione di tutti i mezzi istruttori dedotti in primo grado nonché per l’ammissione di c.t.u. ambientale nei locali dell’Ogr di Bologna per l’accertamento dell’esposizione a polveri di amianto nel periodo dal 1957 al 1982.
Si sono costituite sia Re. Fe. It. società per azioni sia Tr. S.p.A., che hanno ribadito il proprio difetto di legittimazione passiva e, nel merito, hanno eccepito l'infondatezza della domanda Inail.
La causa è stata decisa all’udienza del giorno 17 febbraio 2009 come da dispositivo in atti.
Diritto

Il Tribunale di Bologna, Sezione lavoro ha escluso la legittimazione passiva di entrambe le società odierne convenute valorizzando la circostanza che il rapporto di lavoro di BB (in relazione ai cui indennizzi, corrisposti agli eredi per la malattia professionale da lui contratta a causa della attività svolta alle dipendenze del Ministero dei Trasporti-Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, agisce in regresso l’Inail) si era concluso in data 1° giugno 1982, vale a dire in epoca ben anteriore alla costituzione delle società convenute e della società loro dante causa Fe. de. St. So. di tr. e se. S.p.A.
Pertanto «le odierne convenute non sono legittimate passivamente nei confronti dell’Inail in relazione a fatti verificatesi a danno di un lavoratore che non è mai stato alle loro dipendenze né debbono rispondere a titolo di successione nella azienda in difetto dei presupposti ex art. 2560 co. 2 c.c. considerato altresì che la denuncia di malattia professionale risale all’11 marzo 1996» (v. la motivazione di tale decisione).
Inail ha censurato tale sentenza ricordando che «alla fine degli anni ’90 inizia un processo di c.d. divisionalizzazione della società FF.SS. S.p.A. concretato nella articolazione in divisione quindi trasformate in società autonome con la costituzione in data 1° giugno 2000 di Tr. S.p.A. conferitaria della gestione e trasporto ferroviario e quindi nel luglio 2001 di Re. Fe. It. S.p.A. (di seguito Rfi S.p.A.) con compiti relativi alla gestione della infrastruttura ferroviaria.
Ne consegue la successione delle ridette società nelle posizioni giuridiche attive e passive delle Fe. de. St. - So. di Tr. e Se. S.p.A. alle cui dipendenze lavorava BB e la conseguente legittimazione passiva nella presente causa di regresso proposta dall’Inail» richiamando quanto deciso da Corte di appello Venezia, Sez. lav. n. 416/2003 e da Corte di Cassazione n. 644/2005.
Tale censura risulta essere fondata con riferimento alla società Re. Fe. It. S.p.A.
È vero (come ricordato nella decisione impugnata) che il sig. BB è stato dipendente, fino al momento del suo pensionamento della Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato.
Tutto questo, però, non appare sufficiente per escludere la legittimazione passiva di Re. Fe. It. S.p.A.
La Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato è stata trasformata in Ente Ferrovie dello Stato con la legge n. 210 del 1985.
L’art. 1 di tale legge, nell'istituire l’Ente Ferrovie dello Stato, ha previsto (co. 2) che l’Ente ha personalità giuridica ed autonomia patrimoniale, contabile e finanziaria ai sensi dell’art. 2093, co. 2 c.c., nei limiti stabiliti dalla presente legge ed è posto sotto la vigilanza del Ministero dei Trasporti.
Ha previsto, ulteriormente (v. co. 3) che l’Ente succede in tutti i rapporti attivi e passivi, beni, partecipazioni, gestioni speciali già di pertinenza della Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato.
Quindi l’Ente ferrovie dello Stato si è trasformato in data 12 agosto 1992 (sulla base di delibera Cipe ex art. 18 d.l. 11 luglio 1992 conv. con l. 8 agosto 1992, n. 359) in Ferrovie dello Stato Società di Trasporti e Servizi per azioni.
Tale società ha poi, nel luglio 2001, assunto la denominazione attuale di Re. Fe. It. S.p.A.
Proprio sulla base di tale successione cronologica di fatti e sulla base, in particolare, di quanto espressamente previsto dal precedente art. 1, co. 3 della l. n. 210/1985 si può affermare la sussistenza della legittimazione passiva di Re. Fe. It. S.p.A. con riferimento all’azione di regresso promossa da Inail e ciò in quanto l’Ente Ferrovie dello Stato era succeduto in tutti i rapporti attivi e passivi già di pertinenza della Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, oltre che nei beni e partecipazione e gestioni speciali di tale Azienda Autonoma.
Nell’ambito di tali rapporti attivi e passivi, proprio alla luce del carattere generale di tale espressione, si devono fare rientrare anche le domande con conseguenti azioni riconducibili direttamente al rapporto di lavoro che il defunto sig. BB aveva avuto in essere fino al 30 maggio 1982 con la Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato.
La successione dell’Ente Ferrovie dello Stato in tutti i rapporti attivi e passivi già di pertinenza della omonima Azienda autonoma ha integrato (v. Cass. n. 1558/1995) un trasferimento ex lege di tali rapporti, con la conseguenza che si sono trasferiti anche diritti ed obblighi correlati alla posizione lavorativa del BB, anche se quest’ultimo a tale data non era più dipendente della precitata Azienda autonoma e ciò in quanto la precitata norma, proprio alla luce del suo carattere del tutto generale, non consente di operare una distinzione tra rapporti attivi e passivi afferenti a rapporti di lavoro in essere al momento della istituzione dell’Ente Ferrovie dello Stato e rapporti attivi e passivi afferenti a rapporti di lavoro non più esistenti a tale data, anche considerando che l’Ente Ferrovie dello Stato è succeduto alla Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato non solo in tali rapporti attivi e passivi anche in tutti i beni, le partecipazioni e le gestione speciali già di pertinenza della predetta Azienda autonoma, acquisendo così le disponibilità economiche per rispondere dei rapporti passivi che faceva capo alla precitata Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato.
Quindi in tutti tali rapporti attivi e passivi sono rimasti in capo a Ferrovie dello Stato Società di Trasporti e Servizi per Azioni (che è subentrata all’Ente Ferrovie dello Stato nell’anno 1992).
Ulteriormente in tutti i predetti rapporti attivi e passivi è subentrata (per effetto di successione a titolo universale, cfr. Cass. n. 1998 del 2005) Re. Fe. It. S.p.A., con conseguente sua legittimazione a contraddire alla domanda di regresso proposta da Inail.
È vero che in data 1° giugno 2000 è stata creata Tr. S.p.A. per la gestione ed organizzazione del trasporto ferroviario e che in data 28 novembre 2000 il ramo di azienda concernente il trasporto di cose e persone è stata ceduto proprio a Tr. S.p.A. ma tutto questo non appare sufficiente per affermare la legittimazione passiva (anche o solamente) di tale ultimo soggetto atteso che in atti Inail nulla ha allegato ed illustrato circa il contenuto di tale cessione di ramo di azienda, nulla in particolare specificando ed allegando in ordine alla circostanza se tale cessione di ramo di azienda abbia riguardato anche i rapporti (attivi e passivi) già facenti capo e trovanti la loro origine nel lontano rapporto di lavoro del defunto sig. BB.
In atto di appello (v. penultimo paragrafo di pag. 4) si legge che «analogamente si connota successore a titolo particolare nelle obbligazioni attive e passive Tr. conferitaria del ramo di azienda concernente il servizio ferroviario di trasporto persone e cose a fare tempo dal 28 novembre 2000» senza ulteriore specificazioni e motivazioni in ordine a tale affermazione tali da giustificare la ulteriore affermazione contenuta in tale atto di appello secondo la quale «conclusivamente, non può revocarsi in dubbio l’attuale legittimazione processuale passiva delle società appellate in relazione alla domanda di regresso dell’Inail».
Occorre pertanto dichiarare la legittimazione passiva di Re. Fe. It. S.p.A. in ordine alla predetta azione di regresso di Inail, nel contempo dichiarando la carenza di legittimazione passiva di Tr. S.p.A. in ordine a tale domanda.

Ciò precisato e venendo al merito di tale azione di regresso (chiaramente non affrontato dal giudice di primo grado) ritiene questa Corte di appello che deve essere respinta la domanda di Inail.
Tale azione di regresso si fonda su di un preciso presupposto, l’affermazione della «responsabilità di Rfi in ordine al reato presupposto ex art. 589, co. 2 c.p. di omicidio colposo di BB» e ciò in quanto (sul punto vi è consenso di tutte le parti) l’elemento condizionante e pregiudiziale rispetto ad una siffatta domanda di regresso è che nella fattispecie dedotta in giudizio (id est decesso del sig. BB) sia ravvisabile un profilo di illiceità tale da fondare un addebito di responsabilità penale (nel caso di specie reato ex art. 589, co. 2 c.p.).
E l’onere di allegazione e prova in tal senso deve gravare su parte ricorrente integrando tale presupposto un fatto costitutivo della sua domanda di regresso. Tale onere non risulta essere stato adempiuto nel presente giudizio.
Sul punto la Corte di Cassazione si è recentemente espressa in questi termini: «la responsabilità conseguente alla violazione dell’art. 2087 c.c. ha natura contrattuale sicché non solo il lavoratore che agisce per il riconoscimento del danno da infortunio ma anche l’Istituto che agisca in via di regresso deve allegare e provare la esistenza della obbligazione lavorativa e del danno nonché del nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno, e che gli esiti dannosi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile» (v. espressamente sul punto sent. Cass. n. 10592/2008). Applicando tale orientamento (suscettibile, ad avviso di questa Corte, delle osservazioni dissenzienti di cui oltre) onere di Inali era quello di allegare e provare:
a)    il fatto;
b)    il danno;
c)    il nesso causale.
Tale onere di allegazione e prova non è stato adempiuto dall’Istituto atteso che risulta essere condivisibile la difesa di parte convenuta/appellata quando mette in luce la circostanza che l’Istituto allega la responsabilità datoriale anche con specifico riferimento alla derivazione causale dall’amianto della patologia contratta dal dipendente senza però offrire al riguardo un valido corredo probatorio, in buona sostanza limitandosi ad allegare la circostanza che la prova del nesso di causalità tra esposizione ad amianto ed evento morboso sviluppatosi in danno del sig. BB possa desumersi dalla semplice ed unica circostanza che la malattia diagnosticata al sig. BB è stata riconosciuta (dallo stesso Istituto) come dipendente da causa di servizio e ciò in quanto il proposto ricorso non contiene — ad avviso di questa Corte — una sia pure sintetica ma ugualmente sufficientemente precisa allegazione delle circostanze di fatto dalle quali — in ipotesi — possa desumersi la sussistenza dei predetti requisiti, e ciò con specifico riferimento alla esistenza del nesso causale.
A ciò deve aggiungersi che il proposto ricorso articola una serie di richieste istruttorie che non paiono essere accoglibili.
L’istanza volta alla ammissione di c.t.u. ambientale sui locali dell’Ogr di Bologna per l’accertamento dell’esposizione a polveri di amianto nel periodo dal 1957 al 1982 risulta essere, per come formulata ed alla luce della mancata allegazione di cui sopra, non ammissibile finendo con il rivestire un carattere puramente esplorativo, non compatibile con la natura e la finalità di tale consulenza.
La stessa osservazione deve essere fatta con riferimento alla c.t.u. medico legale per l’accertamento del nesso eziologico tra il decesso del BB e la neoplasia polmonare contratta, avendo anche e soprattutto tale c.t.u. un carattere meramente esplorativo in quanto, nella sostanza, viene demandato al c.t.u. un incarico puramente investigativo ed esplorativo volto, in buona sostanza ed in sintesi, ad accertare l’esistenza di un elemento essenziale della domanda di Inail e che, quindi, doveva, quantomeno nella sua realtà fattuale, essere allegato e provato da tale Istituto.
La richiesta di prova orale del funzionario Inail a conferma del costo dell’infortunio è chiaramente irrilevante per la prova dei sopra ricordati presupposti.
L’audizione del rappresentante sindacale richiesta ex art. 425 c.p.c. pure non appare ammissibile e rilevante non solo per la genericità delle circostanze allegate (in tale istanza si fa riferimento, senza nessuna ulteriore specificazione, alle segnalazioni compiute dalla Organizzazione Sindacale alla Direzione circa l’esposizione all’amianto) ma anche e soprattutto perché tali segnalazioni sostanzialmente non appaiono idonee, neppure presuntivamente, a fornire elementi di riscontro probatorio agli elementi essenziali della domanda di regresso proposta da Inail.
Lo stesso dicasi per la richiesta di accesso ex art. 421, co. 3 c.p.c. atteso che lo stato dei luoghi certamente è ben diverso da quelle esistente nell’arco di tempo 1957/1982.
Proprio alla luce delle predette carenze in punto di allegazione dei fatti afferenti tali elementi costitutivi risulta sostanzialmente irrilevante acquisire copia degli atti penali del processo penale 2519/1991 e 18258/1998 non solo perché non è dato comprendere se tali processi penali abbia fatto riferimento alla posizione del sig. BB ma anche e soprattutto alla luce della articolata e condivisibile richiesta di archiviazione proposta dal Pubblico Ministero di Bologna ed acquisita in atti.
A ciò deve aggiungersi l’osservazione che il pur autorevole orientamento della giurisprudenza di legittimità sopra ricordata si espone ad una osservazione critica che può così essere riassunta.
È assodato che il presupposto della azione di regresso Inail sia rappresentato dalla circostanza che la fattispecie dedotta in giudizio integri un reato perseguibile d’ufficio (nella specie il dedotto delitto di omicidio colposo).
Se così è, deve trovare applicazione, per la dimostrazione della esistenza di tale fattispecie penale, quella che è il principio fondamentale secondo il quale che anche la colpa (non solo il fatto, il danno ed il nesso causale) deve essere dimostrata secondo i criteri e canoni (ci sia consentita l’espressione) tipici della fattispecie penale, il che equivale a dire che deve essere provata da chi ne allega la esistenza (P.M. parte civile nel processo penale).
Detto in altri termini la fattispecie penale non conosce la nozione di presunzione di colpa a carico dell’asserito autore dell’ipotizzato reato colposo.
Tale affermazione, trasfusa nel contenzioso lavoristico, equivale a dire che anche il requisito della colpa deve essere provato da chi (id est Inail) pone alla base della sua domanda (id est azione di regresso) l’esistenza di una specifica fattispecie penale (id est omicidio colposo ex art. 590 c.p.).
Tutto ciò non accade in applicazione dell’orientamento sopra ricordata e ciò in quanto secondo tale orientamento — facendo applicazione di quanto previsto dall’art. 1218 c.c. — tale colpa è presunta, con conseguente onere a carico del convenuto di fornire la prova della assenza di colpa nella condotta che gli viene addebitata.
Così facendo si perviene (qualora il convenuto non fornisca tale prova liberatoria) alla conclusione che l’esistenza della fattispecie penale di cui all’art. 590 c.p.c. viene affermata sulla base di una semplice presunzione di colpa in capo all’asserito autore di tale fattispecie, il che non appare compatibile con i principi della fattispecie penalistica invocata e, più in generale, con il principio di presunzione di innocenza.
Una riprova, sia pure indiretta, la si può ravvisare in quel recente orientamento della Corte di Cassazione, Sezione Penale, secondo il quale, sulla base del disposto dell’art. 2 della l. n. 123/2007, l’Inail può costituirsi parte civile nel processo penale per ivi fare valere le sue pretese creditorie fondate sulla c.d. azione di regresso.
Tutto ciò significa, però, la prova, da parte dell’accusa pubblica e/o dell’accusa privata, dell’esistenza di tutti gli elementi integranti l’ipotizzata fattispecie penale, con la conseguenza che se tale prova non è raggiunta deve concludersi per l’insussistenza di tale fattispecie penale.
Se così è non si vede come l’esercizio da parte di Inail della medesima azione di regresso in sede di processo del lavoro possa esonerare tale Istituto dall’obbligo di fornire la prova dell’esistenza del presupposto di tale azione (vale a dire l’esistenza di un reato perseguibile d’ufficio) e, quindi, la prova dell’elemento psicologico di tale reato.
Nel caso in esame le osservazioni sopra fatte consentono di affermare che tale prova non può certo dirsi raggiunta in atti, nulla avendo al riguardo allegato e dedotto la difesa Inail in ordine alla condotta colposa del datore di lavoro del sig. BB e ciò sul presupposto (che si fonda sulla precitata sentenza della Corte di Cassazione ma che presta il fianco alle osservazioni critiche di cui sopra) che tale colpa si presume con conseguente onere a carico di parte convenuta di fornire la prova contraria.
Pertanto, non avendo parte ricorrente/appellante allegato e fornito al prova degli elementi essenziali della sua azione di regresso, la sua domanda nei confronti di Rfi S.p.A. deve essere respinta.
La natura della causa, alla sua peculiarità, la oggettiva opinabilità delle questioni trattate consentono di com-pensare integralmente tra le parti le spese di causa di en-trambi i gradi, di giudizio (Omissis).