Cassazione Penale, Sez. 4, 20 gennaio 2023, n. 2305 - Caduta mortale. Responsabilità del committente dei lavori di rifacimento della copertura di un capannone per non aver verificato l'idoneità tecnico-professionale del lavoratore autonomo


 

 

Secondo consolidato orientamento di questa Corte, ribadito in plurime pronunce che hanno riguardato fattispecie analoghe alla presente, il committente risponde dell'infortunio occorso al lavoratore autonomo ove sia dimostrato che egli abbia omesso di verificare la sua idoneità tecnico-professionale in relazione ai lavori da compiersi, specie in relazione a situazioni di oggettiva pericolosità, immediatamente percepibile, come nel caso in esame [cfr. ex multis Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016, Rv. 267744 - 01: "In materia di infortuni sul lavoro, il committente ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati. (Fattispecie, relativa alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall'alto della copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza)"].


 

Presidente: MONTAGNI ANDREA
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 16/12/2022
 

 

Fatto




1. La Corte d'appello di Catania, con sentenza del 25/11/2021, ha confermato la penale responsabilità dell'imputato C.C. per il reato di omicidio colposo commesso con violazione della normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro in danno di A.A.. In parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha revocato la pronuncia di condanna resa nei confronti del responsabile civile "Aimeri Ambiente s.r.l." in persona del legale rappresentante.
Era contestato all'imputato, nella qualità di committente dei lavori di rifacimento della copertura di un capannone per uso artigianale sito in Giarre, di proprietà dello stesso, ma concesso in locazione alla "Aimeri Ambiente s.r.l.", di avere cagionato la morte del lavoratore autonomo A.A., per colpa generica e specifica, quest'ultima consistita nella violazione degli artt. 2087 cod. civ.; 90, comma 9, lett a), 26 co. 3-ter e 148 d.lgs. n. 81/08, avendo omesso di verificare l'idoneità tecnico-professionale del lavoratore autonomo, di redigere il documento di valutazione dei rischi, di predisporre idonee misure di protezione individuali atte a garantirne l'incolumità.
Durante la lavorazione a cui era stato adibito, riguardante la riparazione della copertura metallica a falde inclinate del capannone, il lavoratore, issatosi sul tetto non calpestabile, mentre era intento a tagliare con una smerigliatrice angolare la parte finale delle lastre di copertura, a causa delle sollecitazioni provocate dal suo stesso peso, sfondava una delle lastre in vetroresina, precipitando da un'altezza di circa 4,50 metri, e decedeva sul colpo.
I giudici di merito, nelle due sentenze conformi, ritenevano dimostrata la penale responsabilità dell'imputato in ordine all'infortunio occorso al lavoratore, ritenendo integrate le violazioni in contestazione.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, articolando tre motivi di doglianza.
Dopo una breve premessa in cui è stato riassunto il contenuto dei motivi di appello e sono state illustrate le argomentazioni poste a fondamento della pronuncia impugnata, la difesa deduce quanto segue.
I) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
II) Violazione o erronea applicazione degli artt. 1326 e seguenti cod. civ.
La motivazione offerta dalla Corte di merito sarebbe incongrua e carente.
Il motivo principale dell'atto di appello aveva riguardato la mancata valutazione da parte del giudice di primo grado di tutte le prove a favore dell'imputato addotte dalla difesa nel corso del giudizio.
Il Tribunale aveva valutato solo alcune testimonianze, ritenendo inattendibili le dichiatazioni del teste V.M.; la Corte di appello sarebbe incorsa nel medesimo errore del primo giudice.
Pur riconoscendo la conflittualità dei rapporti tra l'imputato e la persona offesa nell'ambito delle trattative intercorse per il rifacimento del tetto, ha ritenuto egualmente che il contratto fosse stato stipulato.
Tale risultato sarebbe frutto di un'errata interpretazione: l'accordo avente ad oggetto l'incarico all'operaio per il rifacimento del tetto non è mai intervenuto ed il convincimento contrario maturato dalla Corte di merito è frutto di mere presunzioni e distorsioni interpretative delle testimonianze raccolte. L'unico fatto verificatosi è rappresentato da una trattativa, sostanziatasi in alcune discussioni mai giunte a conclusione.
L'assenza di accordo risulta confermata da tutti i testi escussi, anche da V.M., la cui deposizione sarebbe stata male interpretata dai giudici di merito. Costui ha riferito chiaramente che l'A.A. decise autonomamente di occuparsi del rifacimento del tetto del capannone senza avvertire il proprietario. Le ulteriori testimonianze raccolte, non tenute in considerazione dai giudici di merito, avvalorerebbero l'assunto difensivo.
III) Violazione o erronea applicazione degli artt. 1571 e ss. cod. civ.
La sentenza impugnata sarebbe meritevole di censura anche nella parte in cui ha annullato l'ordinanza del primo giudice, che aveva ammesso quale responsabile civile la società "Aimeri Ambiente".
Tale decisione risulterebbe incomprensibile, essendo il conduttore tenuto ad un obbligo di vigilanza e sorveglianza sul capannone locato.
Non essendovi prova dell'accordo ipotizzato tra C.C. e A.A., l'unico soggetto nei cui confronti poteva realmente profilarsi un giudizio di responsabilità era proprio la società "Aimeri", i cui dipendenti erano presenti in loco nel giorno dell'infortunio, unitamente al Coordinatore ed al Responsabile della sicurezza (in persona di R.R. e A.A.). L'obbligo di verificare la presenza delle caratteristiche tecniche ed antinfortunistiche dei locali, in riferimento all'attività che al suo interno viene svolta, incombe sul conduttore e non sul locatore.
Il sig. A.A. non doveva essere presente nel luogo in cui si è verificato l'infortunio e la responsabilità per l'ingresso di quest'ultimo nel capannone doveva essere riferita al titolare della società che aveva preso in affitto i locali. La società "Aimeri Ambiente s.r.l.", quale conduttrice del capannone, presente sui luoghi con proprio personale anche qualificato, era tenuta a vigilare ed impedire l'accesso del lavoratore.
Dalla normativa specifica in tema di locazione si evince la sussistenza di un obbligo di custodia a carico del conduttore, il quale risponde dei danni che la cosa locata abbia cagionato a terzi.
La posizione di garanzia doveva essere individuata in capo al conduttore in base agli artt. 1575 e 1580 cod. civ.
Il C.C., quale locatore del bene, ha rispettato tutti gli obblighi previsti dalle disposizioni codicistiche (ha consegnato l'immobile esente da vizi, ha assicurato il pacifico godimento del bene ecc.); non può pertanto essergli addebitata alcuna responsabilità per un fatto che si poneva al di fuori della propria sfera di controllo: invero, con la consegna materiale del bene si delinea in capo al locatore un preciso dovere di sicurezza.
3. Le parti civili costituite, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno depositato conclusioni scritte nelle quali hanno chiesto il rigetto del ricorso, allegando note spese. Hanno rivolto alla Corte di Cassazione anche ulteriori richieste, illustrate nell'apposito paragrafo della parte in diritto a cui si rinvia.

 

Diritto




1. I motivi di doglianza proposti dal ricorrente risultano manifestamente infondati.
Le sentenze di primo e secondo grado, le cui motivazioni si integrano, completandosi vicendevolmente, sono sostenute da conferente apparato argomentativo, del tutto idoneo a rendere conto delle ragioni del decisum.
Si è ritenuto dimostrato che il ricorrente avesse incaricato A.A. di effettuare lavori di rifacimento del tetto del capannone di sua proprietà.
Il committente, secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, non verificava la capacità tecnica del commissionario, non effettuava alcun controllo sull'adozione da parte di questi dei mezzi e delle cautele necessarie per eseguire il lavoro in sicurezza, pur essendo consapevole che l'intervento doveva essere eseguito in quota, su un solaio non calpestabile, inidoneo a sostenere il peso della persona offesa.
I primi due motivi di ricorso ripropongono le medesime censure avanzate in sede di appello, censure a cui la Corte di merito ha offerto idonea risposta.
Si è ritenuto in sentenza che il committente avesse effettivamente incaricato l'A.A. di effettuare il lavoro di rifacimento del tetto del capannone. A questo proposito la Corte di appello ha richiamato non solo la testimonianza resa da V.M., ma anche quella del teste F.G.. Quest'ultimo, persona del tutto estranea al contesto in cui è maturata la vicenda, ebbe a riferire che l'imputato e la vittima iniziarono insieme il lavoro, cooperando perché la persona offesa potesse raggiungere il tetto del capannone con l'uso di una scala.
La difesa prospetta un'alternativa ricostruzione dei fatti, richiamando nel ricorso il contenuto di talune dichiarazioni testimoniali, che interpreta diversamente dai giudici di merito, e ribadendo che la decisione del lavoratore di salire sul tetto dipese unicamente dalla sua volontà, non essendosi mai perfezionata la trattativa intercorsa tra le parti sull'affidamento del lavoro.
Ebbene, in questa sede, come è noto, non è consentito procedere ad una rilettura degli atti processuali. L'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., infatti, non consente alla Corte di Cassazione una diversa interpretazione dei dati processuali o delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, Rv. 280601:"In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito").
E' principio non controverso, inoltre, che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non sia tenuta a stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né a condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (cfr. Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 06/02/2004, Rv. 229369 - 01).
La ricostruzione proposta dai giudici di merito, fondata su un'analisi coerente e logica delle emergenze processuali, riconduce all'imputato l'iniziativa di affidare all'infortunato il compito di effettuare i lavori di recupero del tetto del capannone; il committente, senza alcuna previa verifica dell'idoneità tecnico professionale dell'incaricato, acconsentì, sia pure in seguito ad alcuni contrasti insorti durante le trattative, a che la vittima intervenisse sul tetto per effettuare il lavoro di ripristino.
L'apparato giustificativo delle due sentenze di merito non soffre dei vizi lamentati dalla difesa: nella sentenza di primo grado sono richiamate, con coerenza e precisione, tutti i passaggi più significativi del contenuto delle testimonianze raccolte, in grado di dare conto delle ragioni fondanti il convincimento assunto; la Corte di merito, dal canto suo, rispondendo alle censure mosse dalla difesa, ha posto in evidenza come la prospettazione difensiva, in base alla quale il lavoratore si sarebbe issato sul tetto del capannone all'insaputa del proprietario, sia del tutto destituita di fondamento alla luce degli elementi raccolti.
Secondo consolidato orientamento di questa Corte, ribadito in plurime pronunce che hanno riguardato fattispecie analoghe alla presente, il committente risponde dell'infortunio occorso al lavoratore autonomo ove sia dimostrato che egli abbia omesso di verificare la sua idoneità tecnico-professionale in relazione ai lavori da compiersi, specie in relazione a situazioni di oggettiva pericolosità, immediatamente percepibile, come nel caso in esame [cfr. ex multis Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016, Rv. 267744 - 01: "In materia di infortuni sul lavoro, il committente ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati. (Fattispecie, relativa alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall'alto della copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza)"].
I richiami contenuti nel ricorso alla violazione delle disposizioni del codice civile sono eccentrici e inidonei a consentire una diversa interpretazione della vicenda. In questo caso non si pone un problema di responsabilità del conduttore per danni cagionati a terzi dal bene preso in locazione e le riflessioni della difesa sono del tutto estranee al tema della contestazione, che riguarda invece la responsabilità del committente dei lavori.
Deve aggiungersi come la concorrente responsabilità di altri eventuali titolari di posizioni di garanzia in relazione all'infortunio occorso al lavoratore non incidano sulla responsabilità del committente, che permane in ogni caso.
In materia di reati colposi, particolarmente nel campo della prevenzione degli infortuni, vige il principio per cui, ove vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge [Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Rv. 253850 - 01; cfr. pure Sez. 4, n. 45369 del 25/11/2010, Rv. 249072 - 01: "In tema di reati omissivi colposi, se più sono i titolari della posizione di garanzia (nella specie, relativamente al rispetto della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro), ciascuno è, per intero, destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l'altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente intervenuto")].
2. Del pari inammissibile è la censura di cui al terzo motivo di ricorso.
La controparte legittimata a far valere eventuali vizi inficianti l'ordinanza di estromissione del responsabile civile è individuabile, solo ed esclusivamente, nella parte civile, che è il soggetto processuale al quale si riconduce l'iniziativa della relativa citazione in giudizio. Ne consegue che il motivo di impugnazione azionato dall'imputato va dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione e di interesse, posto che l'estromissione del responsabile civile non ha alcuna incidenza sulla posizione dell'imputato [cfr. Sez. 5, n. 34156 del 17/06/2019, Sgamma, Rv. 276931: "L'imputato, non essendo legittimato a chiamare in giudizio il responsabile civile, in quanto non titolare di un diritto giuridicamente tutelato, non può opporsi all'estromissione del suddetto dal processo. (Conf. Sez. 4, n.6904 del 1995, Rv.198666-01)"].
3. Quanto alle richieste delle parti civili costitute si osserva quanto segue.
E' inammissibile la richiesta di liquidazione di provvisionale contenuta nella nota spese depositata in questa sede dalle parti civili OMISSIS, rappresentati dall'Avv. Angelo Giuseppe Patanè.
La richiesta di provvisionale era stata rigettata dal Tribunale e la decisione sul punto non è stata impugnata innanzi alla Corte d'appello di Catania: la questione, non devoluta al giudice di secondo grado, non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità.
E' inammissibile la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato rivolta alla Corte di Cassazione da F.: gli artt . 93 e 96 del T.U. spese giustizia riservano ai giudici di merito la competenza a provvedere (cfr. Sez. 5, n. 3538 del 17/12/2018, dep. 24/01/2019, Rv . 275413-01: "E' inammissibile l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata davanti alla Corte di cassazione, atteso che gli artt. 93 e 96 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, riservano ai giudici di merito la competenza a provvedere; ne consegue che, quando procede la Corte di cassazione, l'istanza deve essere presentata all'ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, al quale spetta disporre l'ammissione al beneficio qualora ne ricorrano le condizioni").
Sono accolte le richieste di condanna dell'imputato alle rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili costituite nel presente giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
4. Consegue alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/6/2000),

 

P.Q.M.




Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Omissis, difeso dall'avvocato Sergio Lucisano, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catania con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa in favore di Omissis, difeso dall'avvocato Giulia D'Agostino, che liquida in euro tremila, oltre accessori come per legge; Omissis, tutti difesi dall'avvocato Angelo Giuseppe Patanò, che liquida in complessivi euro quattromilaottocento, oltre accessori come per legge.
In Roma, così deciso il 16 dicembre 2022