Categoria: Cassazione penale
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Giurisprudenza collegata:
Cass. pen. 3371/2005


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE

Composta dagli ILL.mi Sigg.:
Dott. Ferruccio SCARSELLI - Presidente
1. Dott. Paolo FATTORI - Consigliere
2. Dott. Giovanni FEDERICO - Consigliere
3. Dott. Antonio SPAGNOLO - Consigliere
4. Dott. Francesco MALAGNINO - Consigliere
ha pronunciato la seguente

SENTENZA


sul ricorso proposto da , n. a Firenze il 23.3.1933

avverso la sentenza della Corte d'Appello di Potenza dell'8.10.1998

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso,

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dr. F. Malagnino

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sost. Proc. Gen. S. Ciani che ha concluso per il rigetto del ricorso

Udito, per la parte civile, l'Avv. Nicola Sopes, che ha concluso per il rigetto del ricorso e rifusione spese

Udito il difensore dell'imputato, Avv. E. Nicola Buccico, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Fatto

Con sentenza dell'8.7.1997, il Pretore di Melfi condannò , , , , alla pena ritenuta di giustizia, perché riconosciuti responsabili "del reato di cui agli art. 589-113 c.p. per aver, in cooperazione fra loro, cagionato - per colpa causistica nella mancata predisposizione di idonea recinzione di vasconi di irrigazione in contrada "Pallettieri" dell'Ente di irrigazione cui erano tenuti, i primi due rispettivamente quali direttore responsabile degli impianti e direttore dell'Ente, e gli altri, quali guardiani dei predetti vasconi - la morte dei minori , e penetrati nel recinto ed annegati nella vasca con rampe viscide e limacciose prive tra l'altro di alcun segnale di pericolo per impedire l'accesso".

Investita dei gravami proposti dai rispettivi difensori di tutti gli imputati, la Corte d'Appello di Potenza mandò assolti , , e per non aver commesso il fatto, confermando soltanto la declaratoria di responsabilità penale del , quale direttore responsabile degli impianti, fondata su profili di colpa specifica ravvisati nella condotta del pervenuto, attese le ritenute palesi condizioni di pericolosità del suddetto impianto di raccolta delle acque - e consistita "nella violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" e separatamente nella violazione dell'art. 242, co 1 DPR n 547-55 che impone la predisposizione di parapetti "di altezza non minore di cm. 90" lungo i bordi di vasche, versatoi e recipienti aperti, onde evitare il pericolo di caduta di lavoratori; e ciò in quanto, a giudizio della Corte Territoriale, non poteva considerarsi "parapetto o idonea cautela atta a prevenire il rischio di caduta accidentale del lavoratore" la recinzione esistente, posta a cinque metri dal perimetro dell'invaso, e composta "da cordolo in calcestruzzo sovrastato da rete metallica alta mt. 1,40", potenziata all'estremità dall'aggiunta di filo spinato.

In sintesi, ha ritenuto la Corte Territoriale che l'aver omesso di predisporre parapetti lungo i bordi dell'invaso, così come previsto dalla succitata disposizione, è stato causa dell'evento (art. 40 cpv. c.p.) e che la caduta dei ragazzi in detto "vascone" per caso fortuito - "ancorché a monte nella serie causale essa trovi il proprio antecedente nell'imprudente scavalcare della recinzione" sopra descritta - non poteva "nemmeno lontanamente essere ipotizzata come causa sopravvenuta atipica ed imprevedibile, nè come concausa preponderante dell'eziologia dell'evento", atteso che l'art, 243 D.P.R. n. 547-55 "individua expressis verbis proprio nella caduta accidentale il rischio patito...prevedibilissimo e dominabilissimo". -

- Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione la difesa del , denunciando:
1)violazione dell'art. 486 co 5 cpp, in relazione agli art. 178 lett. c) e 179, co 1 stesso codice, unitamente a vizio di motivazione, nell'assunto - in sintesi - che erroneamente la Corte d'appello avrebbe disconosciuto la fondatezza della dedotta nullità del giudizio di primo grado e della relativa sentenza derivante dal fatto che il Pretore aveva escluso che costituisse legittimo impedimento nel difensore la adesione di quest'ultimo alla astensione dalle udienze per la data del 19.4.97 ed aveva quindi rinviato il dibattimento alla successiva udienza del 19.6.1997 nella quale, in assenza dell'imputato e del difensore di fiducia, era stato disposto l'ulteriore rinvio all'udienza del 23.6.1997 in cui il difensore era comparso ed aveva eccepito la suddetta nullità;
2) violazione degli art. 40, 41 e 43 c.p. e degli art. 242 e 243 D.P.R. n. 547-55, unitamente a vizio di motivazione, nell'assunto che, in sintesi, addebitandosi al ricorrente, sulla base del testuale tenore del capo di imputazione soltanto la mancata predisposizione di idonea recinzione del vascone, del tutto arbitrariamente sarebbe stata affermata la sussistenza del nesso di casualità fra la detta mancanza - peraltro non addebitabile ad esso ricorrente avuto riguardo alle di lui mansioni ed all'epoca in cui i vasconi erano stati realizzati nel rispetto della normativa allora vigente - ed il successivo evento letale, non avendo in particolare la Corte Territoriale spiegato per quale ragione, così come i ragazzi avevano superato la rete di recinzione dell'area in cui trovansi i vasconi non avrebbero potuto superare anche la recinzione di quest'ultimi per curiosità o anche nell'intento, in nessun modo escludibile, di fare un bagno nell'acqua contenuta negli invasi.

Diritto

- Il primo motivo di rito è infondato. Va anzitutto puntualizzato che, diversamente da quanto sembra aver ritenuto la Corte Territoriale, la questione circa la qualificabilità o meno dell'adesione del difensore di fiducia del all'astensione dalle udienze come legittimo impedimento ai sensi dell'art. 486 co 5 c.p.p. è del tutto priva di rilevanza. Risulta, infatti, pacificamente che essendo stato l'impedimento in questione rappresentato per l'udienza del 19.4.1997, a tale udienza per comunque disposto rinvio con fissazione della nuova udienza alla data del 19.6.1997, di tal che l'obiettivo sostanziale perseguito dal difensore fu comunque realizzato.

Risulta, poi, che per la successiva udienza del 19.6.97 fu notificato rituale avviso al (assente a differenza degli atti confutati alla precedente udienza del 19.4.1997) nonché al difensore di fiducia Avv. Buccico in data 29.4.1997.

All'udienza del 19.6.1997, non essendo comparsi nè l'imputato nè il difensore, il Pretore - posta nomina di un difensore d'ufficio ai sensi dell'art. 97 co 4 c.p.p. al in persona dell'Avv. A. Aramo -, rinviò ulteriormente, senza aver espletato alcun atto, alla data del 23.6.1997, con provvedimento pubblicato mediante lettura nella stessa udienza. Infine a tale ultima udienza, non essendo comparso l'imputato ma solo il difensore, l'avv. Buccico, quest'ultimo eccepì la nullità derivante dall'asserita violazione dell'art. 486 co 5 c.p.p. e del mancato avviso per detta ultima udienza all'imputato .

Ciò posto - fermo quanto già in precedenza asserito circa l'assoluta inconferenza dell'asserita violazione dell'art. 486, co 5 c.p.p., valido anche per l'udienza del 19.6.1997, giacché anche a tale udienza, come si è visto, altro non si fece se non disporre il rinvio all'udienza successiva - rimane soltanto da chiedersi se sussistesse la dedotta nullità per la mancata nuova citazione del ricorrente all'udienza del 23.6.97, pacifico ed incontestabile apparendo che nessuna nullità poteva essere ipotizzabile (e per la verità non sembra neppure dedotta) con riguardo alla precedente udienza del 19.6.97, per la quale - come si è visto - vi era stata rituale tempestiva notifica dell'avviso, sotto forma di copia del verbale dell'udienza del 19.4.97 contenente l'ordinanza di rinvio al 19.6.97.

È appena il caso di osservare che se la nullità in questione sussistesse, essa sarebbe da ritenere di ordine assoluto ai sensi dell'art. 179 c.p.p., trattandosi di omessa citazione dell'imputato.

Ma la risposta all'interrogativo dianzi prospettato deve essere, ad avviso della Corte, negativo.

Correttamente, infatti, la Corte Territoriale ha ritenuto che dovesse trovare, nella specie, applicazione il disposto di cui all'art. 488 co 2 c.p.p., secondo cui "l'imputato che, dopo essere comparso, si allontana dall'aula d'udienza è considerato presente ed è rappresentato dal difensore"; Per difensore deve intendersi, naturalmente, chi al momento è investito di detta qualità e quindi, nella specie, il difensore di ufficio che legittimamente e doverosamente era stato designato all'udienza del 19.6.97, ai sensi dell'art. 97 co 4 c.p.p., per luogo del difensore di fiducia avvisato e non comparso alla detta udienza; adempimento questo comunque necessario ed inderogabile ogni qualvolta si debba assumere un qualsiasi provvedimento in udienza sia pure di semplice rinvio (come nella specie) quali che siano le ragioni dello stesso rinvio.

Ne consegue, allora, che - avendo il Pretore disposto all'udienza del 19.6.97 in presenza del difensore d'ufficio, il rinvio alla successiva udienza del 26.6.1997 - tale provvedimento, per il combinato disposto dal citato art. 488 co 2 e dell'art. 148 co 5 c.p.p. (secondo cui "gli avvisi che sono dati dal giudice verbalmente agli interessati in loro presenza sostituiscono le notificazioni, purché ne sia fatta menzione nel verbale"), devesi ritenersi giunto a legale conoscenza dell'imputato, di tal che non vi era necessità di alcun ulteriore avviso.

Potrebbe, tuttavia, dubitarsi dell'applicabilità del citato art. 488 co 2 al caso dell'imputato che non comparso, come nella specie, in una udienza precedente rispetto a quella in cui viene, per "fictio iuris", considerato presente.

Il dubbio, però, non ha - ad avviso della Corte - ragion d'essere, alla stregua del principio già affermato da questa Corte di legittimità, secondo cui "il rinvio in prosecuzione" (come nel caso di specie) "del processo ad altra udienza" non comporta l'obbligo di notificare all'imputato ritualmente citato e non comparso il relativo avviso, essendo egli rappresentato in giudizio dal suo difensore, ciò in forza del combinato disposto degli art. 148 co. 5, 448 co. 5, 477 co. 3, 487 co. 2 e 488 co. 2 c.p.p. (In tal senso, Cass. VI, 4-6-1996, n. 5502, imp. , n. 204988).

Del resto anche in caso di formale rinuncia a comparire da parte dell'imputato detenuto è stato da questa Corte più volte affermato che detta rinuncia, con conseguente assunzione della rappresentanza dell'imputato da parte del difensore, vale non solo per l'udienza dibattimentale alla quale originariamente si riferisce ma anche per le eventuali altre successive, per le quali quindi non vi è necessità di avvisi ulteriori nè "di ordine di traduzione (in tal senso, fra le altre, Cass. I, 18-7-1995, n. 8002, , n. 202924 e Cass., VI, 23-2-1998, n. 2327, , n. 210369).

E la mancata comparizione dell'imputato libero ad una udienza successiva a quella in cui era precedentemente comparso e per la quale era stato ritualmente avvisato, equivale ad un dichiarazione tacita di rinuncia per "facta concludentia" ad essere presente al dibattimento, per cui trova applicazione il medesimo principio dianzi ricordato.

Nè, in contrario, potrebbe sostenersi la invalidità di una tale rinuncia tacita, certo non ammissibile nel caso dell'imputato detenuto. La legge, infatti, non prevede che la rinuncia abbia forma scritta, essa deve essere tuttavia espressa nel caso dell'imputato detenuto per la semplice ragione che non essendo questi - a differenza dell'imputato libero - in grado di disporre autonomamente della libertà di recarsi o non recarsi all'udienza, tanto che occorre disporre la traduzione - la mancata comparizione non può essere considerata indicativa della rinuncia e quindi idonea a far venir meno l'obbligo di disporre la detta traduzione.

- Fondato, invece, deve ritenersi il secondo motivo di merito per la fondamentale ed assorbente ragione che la contestata violazione dell'art. 242, co 1 D.P.R. n 547-55 integratrice, nella prospettiva accusatoria, della specifica colpa attribuita all'imputato deve riguardarsi in realtà come priva di riconoscibile causalità giuridica rispetto all'evento. Ed infatti, a prescindere dalla pur valida considerazione, avanzata dalla difesa del ricorrente, che anche la presenza della recinzione lungo i bordi delle vasche conforme alle prescrizioni di legge ben avrebbe potuto essere volontariamente scavalcata dai ragazzi così come volontariamente era sta scavalcata la recinzione metallica dell'area in cui si trovavano le vasche anzidette, deve osservarsi in via prioritaria che in una fattispecie come quella in esame non si sarebbe potuto nemmeno invocare come elemento di colpa la dedotta violazione del citato art. 242.

Giova in proposito ricordare come questa corte abbia avuto occasione di affermare che le norme antinfortunistiche sono poste a tutela non di qualsiasi persona che si trovi fisicamente presente nel luogo ove si svolge l'attività lavorativa, magari per curiosità o addirittura abusivamente, ma di coloro che versino quanto meno in una situazione analoga a quella del lavoratore e che si siano introdotti sul luogo del lavoro per qualsiasi ragione purché a questo connessa (Cfr., Cass. IV, 28-12-1995, n. 2840, imp. , n. 204051, nonché Cass. IV, 14-12-1985, n. 12193, imp. , n. 171380).

Tale principio, del tutto ignorato dalla Corte di merito ed al quale, per converso, ritiene questo collegio che si debba prestare totale adesione, si attaglia perfettamente al caso di specie, non potendosi dubitare che l'ingresso dei tre ragazzi nell'area recintata, come è stato accertato, fosse del tutto abusivo, con conseguente inoperatività nei loro confronti delle norme antinfortunistiche destinate alla tutela dei lavoratori o comunque di soggetti i quali accedono per qualsivoglia motivo di lavoro nell'area dello stabilimento o dell'impianto.

Nè d'altra parte può dirsi che le vasche, prive di parapetti, costituissero un'insidia nel senso civilistico del termine di tal che il mancato apprestamento di segnali di pericolo o di altri idonei accorgimenti (quali gli appoggi per la risalita in caso di caduta in acqua) potesse dar luogo quanto meno a colpa generica, alla quale del resto - non a caso - non si fa alcun espresso riferimento nel capo d'imputazione, ma solo - ed in dichiarata via meramente concessiva - nella parte finale della motivazione della sentenza sul punto (pag. 12), con un semplice accenno tanto fugace quanto apodittico.

Alla stregua di siffatte considerazioni, le quali escludono in radice la configurabilità della penale responsabilità a carico del ricorrente, non può quindi che pervenirsi, ai sensi dell'art. 129 c.p.p. all'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza perché il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

la Corte annulla senza rinvio la impugnata sentenza perché il fatto non costituisce reato.

Così deciso in Roma, lì 5-1-1999
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 18 GIU. 1999