Cassazione Penale, Sez. 4, 27 febbraio 2023, n. 8483 - Bambino impatta contro la vetrata di un bar. Applicabilità delle norme del d.lgs. n. 81/2008


Presidente: SERRAO EUGENIA
Relatore: RICCI ANNA LUISA ANGELA
Data Udienza: 17/01/2023
 

 

Fatto

 

1. Il Tribunale di Ancona con sentenza del 11 gennaio 2022, in esito all'appello proposto dalle parti civili, ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Ancona di assoluzione di M.N. in ordine al delitto cui all'art. 590 cod. pen. in danno di N.C. commesso in Polverigi il 31 ottobre 2018.
1.1.Il processo ha ad oggetto un infortunio descritto nelle conformi sentenze di merito nel modo seguente. Il piccolo N.C. (nato nel 2009), nell'accedere all'esercizio commerciale "Bar Tabacchi" di proprietà di M.N., non si era accorto della presenza di una vetrata di separazione tra l'esterno e l'interno e, ritenendo che il passaggio fosse libero, aveva urtato contro tale vetrata ed aveva riportato in conseguenza di ciò lesioni giudicate guaribili in giorni 40.
1. 2 Le sentenze di merito non hanno rilevato profili di colpa in capo all'imputata causalmente ricollegabili all'evento lesivo occorso al minore osservando che:
- non è obbligatorio conformarsi alle norme UNI 7697 e 1260 relative ai criteri di sicurezza nella applicazione delle vetrate;
- non possono applicarsi alla gestione di un esercizio commerciale le previsioni del d.lgs 9 aprile 2008 n. 81 Allegato IV punto i.3.6. poiché tali norme hanno ad oggetto specifico la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro;
- neppure è ipotizzabile una colpa generica, posto che la presenza della vetrata era stata adeguatamente segnalata con una porta fissa, tendaggi interni ed esterni ed adesivi di vario genere apposti su di essa.

2. Avverso la sentenza le parti civili hanno proposto ricorso, a mezzo di difensore, formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo hanno dedotto la inosservanza della legge nella parte in cui le sentenze di merito hanno ritenuto non applicabili nel caso di specie le norme del d.lgs n. 81/2008. Il difensore rileva che tale normativa relativa alla sicurezza sui luoghi di lavoro era dettata anche per i locali, quale quello in esame, in cui viene esercitata un'attività economica e che l'allegato IV del d.lgs 81/2008 al punto 1.3.6 stabilisce che le pareti a vetrate siano segnalate e costituite da materiali di sicurezza fino all'altezza di 1 metro dal pavimento, ovvero siano separate dai luoghi di lavoro e dalle vie di circolazione in modo che i lavoratori non possano entrare in contatto con le pareti. La vetrata sulla quale era andato a sbattere il minore non era chiaramente segnalata, non era costituita da materiali di sicurezza fino all'altezza di un metro dal pavimento e meno che meno al di sopra ed infine non era separata dai luoghi di lavoro.
2.1 Con il secondo motivo hanno dedotto l'inosservanza delle legge nella parte in cui le sentenze di merito hanno ritenuto non applicabili nel caso di specie le norme UNI. Il difensore osserva che la norma UNI 7697/07 relativa ai Criteri di sicurezza nelle applicazioni vetrarie con rimando al D. L. 115 del 1995 (recepito dalla Direttiva Europea 1992/59/CEE commi 1, 2, 3) ed al successivo d.lgs n. 172 del 2004 (recepito dalla Direttiva Europea 2001/95/CE) ha valore cogente anche in Italia ed obbliga pertanto ad adottare accorgimenti per evitare che il vetro possa rompersi e cagionare così danni alle persone.

3. Il Procuratore Generale nella persona del sostituto Kate Tassane ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata.

4. Il difensore dell'imputata ha depositato in data 30 dicembre 2022 una memoria con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso. Il difensore del Responsabile Civile Itas-Istituto Trentino Alto Adige per assicurazioni-Società Mutua Assicurazioni ha depositato in data 28 dicembre 2022 una memoria con cui ha chiesto la conferma della sentenza impugnata.

5. Il collegio ritiene che, quanto meno in relazione ai profili inerenti all'obbligo di segnalazione delle vetrate (previsti anche dal d.lgs 6 settembre 2005 n. 206, Codice del Consumo), il ricorso non sia manifestamente infondato e debba pertanto essere considerato ammissibile. Ne consegue che il rapporto impugnatorio deve considerarsi validamente instaurato.

6. Si tratta, dunque, di verificare se possa trovare applicazione la previsione dell'art. 573, comma 1 bis, cod. proc. pen. introdotta dall'art. 33, comma 1, lett. a) n. 2, d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in vigore a decorrere dal 30 dicembre 2022, ai sensi dell'art. 6 del d. l. n. 162 del 2022, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2022 n. 199.
L'art. 573 cod. proc. pen., che disciplina l'impugnazione per gli interessi civili, si compone oggi di due previsioni:
- quella di cui al primo comma, generale e sostanzialmente invariata, per la quale «l'impugnazione per gli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale»: la eliminazione dell'aggettivo "soli" attuata con il richiamato art. 33 del d.lgs n. 150/2022 sta ad indicare che la previsione in esame regolamenta l'ipotesi in cui l'impugnazione per gli interessi civili concorre con l'impugnazione agli effetti penali del pubblico ministero o dell'imputato;
quella di cui al comma 1 bis per la quale "se la sentenza è impugnata per soli interessi civili il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente al giudice o alla sezione civile competente che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile".
Come precisato nella relazione illustrativa al decreto attuativo, la scelta del legislatore delegato è stata orientata al risparmio di risorse, nell'ottica di implementare l'efficienza giudiziaria nella fase delle impugnazioni penali.
6.1. L'opzione legislativa di riservare al giudice civile, una volta intervenuto il giudicato sui capi penali, la decisione sugli interessi civili è coerente con un percorso già tracciato dalla giurisprudenza costituzionale e dalla giurisprudenza di legittimità.
Così la Corte Costituzionale con la sentenza n. 182 del 7 luglio 2021, nel dichiarare l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 578 cod. proc. pen. sollevata in relazione agli artt. 6 comma 2 CEDU, 3 e 4 Direttiva/Ue/343 e 48 Carta Diritti Fondamentali UE, quali parametri interposti degli artt. 11 e 117 comma 1 Costituzione, ha precisato che, nelle ipotesi, disciplinate dalla norma in esame, di dichiarazione da parte del giudice di appello e della Corte di Cassazione di estinzione del reato per amnistia e prescrizione, per non incorrere nella violazione della presunzione d'innocenza dell'imputato, l'ambito della cognizione richiesta al giudice penale ex art. 578 cod. proc. pen. non è quello dell'accertamento della responsabilità dell'imputato, bensì, alla luce di una interpretazione convenzionalmente della norma con i parametri di riferimento degli art. 6 CEDU e art. 48 CDFUE, quello dell'accertamento della fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano (art. 2043): il giudice dell'impugnazione penale (giudice di appello o Corte di responsabilità penale Cassazione), dell'imputato spogliatosi della cognizione sulla in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione o per sopravvenuta amnistia, deve provvedere in applicazione dell'art. 578 cod. proc. pen. sull' impugnazione al solo effetti civili, confermando, riformando o annullando la condanna già espressa nel grado precedente sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell'illecito civile, senza poter riconoscere neppure incidenter tantum la responsabilità dell'imputato per il reato estinto.
Così le Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini, Rv. 281228 hanno stabilito che in caso di annullamento agli effetti civili della sentenza che, in accoglimento dell'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l'imputato al risarcimento dei danni senza procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, il rinvio per il nuovo giudizio va disposto, ai sensi dell'art. 622 cod. proc. pen. dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello. Con tale pronuncia si è affermato che la ratio dell'art. 622 cod. proc. pen. deve essere individuata "nella volontà di escludere la perdurante attrazione delle pretese civili nel processo penale una volta che siano definitive le statuizioni di carattere penale". La scelta del legislatore di trasferire, in caso di valida instaurazione del rapporto di impugnazione, la competenza a decidere i soli effetti civili al giudice civile si pone nella stessa ottica: venuto meno il collegamento tra la pretesa risarcitoria e il processo penale, la tutela degli interessi civili viene assicurata dal trasferimento della domanda nella sua sede naturale (in tal senso anche la relazione del Massimario del 5 gennaio 2023).
6.2 Il richiamo operato all'art. 622 cod. proc. pen., tutt'ora in vigore, ed alla previsione ivi contenuta, per il caso di annullamento solamente dei capi o delle disposizioni che riguardano l'azione civile e di accoglimento del ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, del rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, consente di effettuare una precisazione in ordine ai rapporti fra la disciplina dettata da tale articolo e quella dettata dall'art. 573, comma 1 bis, cod. proc. pen. Tale ultima disposizione introduce una trasmissione, per cosi dire, orizzontale della competenza, all'esito della valutazione sull'ammissibilità della impugnazione, da giudice di appello penale a giudice di appello civile e da Corte di cassazione sezione penale a Corte di cassazione sezione civile: il legislatore nel caso di sentenza del giudice penale di primo o di secondo grado impugnata solo ai fini civili, ha ritenuto di riservare al giudice penale il vaglio sulla ammissibilità della impugnazione, mentre ha attribuito al giudice civile la competenza a decidere in ordine al merito della pretesa risarcitoria. La norma in esame non può, invece, trovare applicazione nelle ipotesi in cui, a seguito della impugnazione, il giudizio non possa proseguire per la valutazione del merito della pretesa civile nella sede della impugnazione, ma, essendosi verificata una nullità, debba regredire alla fase precedente. In tale ultimo caso viene in rilievo la disciplina di cui all'art. 622 cod. proc. pen., sicché la Corte di cassazione penale pronuncerà sentenza di annullamento con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Diversamente opinando, in casi di tal fatta, si priverebbe la parte impugnante, in maniera del tutto irragionevole, di un grado di giudizio.
L'ambito di applicazione dell'art. 622 cod. proc. pen., a seguito della introduzione dell'art. 573, comma 1 bis, cod. proc. pen., rimane, pertanto, limitato ai soli in casi in cui il processo debba regredire alla fase precedente per essersi verificata una qualche nullità, che ha inficiato il processo di secondo grado.
Tale ultima interpretazione è coerente anche con la formulazione letterale dell'art. 573, comma 1 bis cod. proc. pen., nel quale si prevede che il giudice penale debba rinviare "per la prosecuzione" del giudizio al giudice civile: l'utilizzo da · parte del legislatore di tale locuzione suggerisce che la disposizione in esame non possa trovare applicazione nei casi in cui il processo, anziché proseguire, debba regredire.

7. Ciò premesso in linea generale in ordine alla ratio e all'ambito di applicazione dell'art. 573, comma 1 bis, cod. proc. pen., il collegio ritiene che tale norma, in difetto di una disciplina transitoria, debba trovare applicazione nella trattazione del ricorso in esame, pur se proposto avverso una sentenza emessa in data anteriore alla sua entrata in vigore.

8. In tale senso questa stessa sezione si è già pronunciata con ordinanza del 11 gennaio 2023 in ordine al ricorso proposto dalla parte civile FCA Italy S.P.A avverso la sentenza del 21/12/2020 della Corte di Appello di Torino sulla base del seguente percorso argomentativo che in questa sede si intendere ribadire:
i) il fenomeno della successione delle leggi, nel campo del diritto processuale penale, è regolato dal principio tempus regit actum alla stregua del quale gli atti processuali sono governati esclusivamente dalle leggi vigenti nel tempo in cui sono posti in essere (sul punto, sez. 5, n. 15666 del 16/4/2021, Duric, in motivazione) e alla stregua del quale singoli atti del procedimento sono disciplinati dalla norma in vigore al momento del loro compimento e non da quella vigente all'epoca di instaurazione del giudizio. Così nella sentenza della Sez. 6, n. 10260 del 14/2/2019, Cesi, Rv. 275201 la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di appello che aveva ritenuto tardiva la richiesta del pubblico ministero di rinnovazione dell'istruttoria, omettendo di considerare che, essendosi celebrato l'appello nel vigore del novellato art. 603, comma 3bis, cod. proc. pen., il giudice era tenuto a procedere d'ufficio alla rinnovazione, sussistendone tutti presupposti. In tale sede, con richiamo ai principi della Sez U. n. 27614 del 29/3/2007, Lista, Rv. 236537, si è precisato che, ai fini dell'applicazione del principio, occorre distinguere a seconda che si abbia a che fare con un atto processuale già perfezionatosi, che abbia già prodotto, cioè, i suoi effetti prima dell'entrata in vigore della nuova legge, ovvero con un rapporto processuale o un procedimento che si protragga nel tempo e si articoli in una pluralità di atti, ancora in atto al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina: nel primo caso, l'atto rimane indifferente rispetto alla nuova normativa e mantiene inalterati i propri effetti, prodottisi in conformità alla disciplina previgente, giusta il principio del "fatto esaurito"; nel secondo, ferma la perdurante validità degli effetti degli atti compiuti, gli atti del procedimento posti in essere sotto l'operatività della nuova legge non possono che essere regolati dalla disciplina novellata. Pertanto, alle questioni di diritto intertemporale che si pongano in relazione non ad un singolo atto che abbia già esaurito i propri effetti - quale quello d'impugnazione- che si perfeziona con la rituale instaurazione del giudizio impugnatorio - ma ad un procedimento - quale il giudizio di impugnazione- che sia ancora in fieri, il principio tempus regit actum deve essere riferito al momento in cui l'atto del procedimento venga ad essere compiuto (in motivazione, sez. 6, n. 10260 del 14/2/2019, Cesi, cit.; ma anche sez. 5, n. 380 del 15/11/2021, dep. 2022, Saban, Rv. 282528).

ii) il legislatore delegato ha disciplinato l'ipotesi dell'impugnazione per i soli interessi civili, introducendo la regola del trasferimento della decisione al giudice civile, ai sensi dell'art. 573, comma 1 bis cod. proc. pen., dopo la verifica, da parte del giudice penale, della non inammissibilità dell'atto. Come precisato nella relazione illustrativa al decreto attuativo, la scelta del legislatore delegato è stata orientata al risparmio di risorse, nell'ottica di implementare l'efficienza giudiziaria nella fase delle impugnazioni penali. La norma non interviene sulla individuazione del giudice al quale va presentata la impugnazione, ma dispone che il giudice penale, giudice d'appello o Corte di cassazione, una volta verificata l'ammissibilità della stessa, trasmetta il ricorso al giudice civile o alla sezione civile competente;
iii) vero è che la Corte di Cassazione con la sentenza Sez. U, n. 27614 del 29/3/2007, Lista, Rv. 236537, chiamata a dirimere un contrasto circa la applicabilità, ai procedimenti in corso e in difetto di norma transitoria, dell'art. 9 della legge n. 46/2006 che aveva abrogato l'art. 577 cod. proc. pen. (cioè il potere eccezionale della parte civile di proporre gravame agli effetti penali nei casi di ingiuria e diffamazione), ha affermato che il regime delle impugnazioni va ancorato, in base all'art. 11 delle preleggi, alla disciplina vigente all'atto della pronuncia della sentenza, "posto che è in rapporto a quest'ultimo actus e al tempo del suo perfezionamento che vanno valutati la facoltà di impugnazione, la sua estensione e i modi e i termini per esercitarla".
Si osserva, tuttavia, che il principio dettato dalla sentenza Lista, in forza del quale in caso di successione di leggi in materia di impugnazione si deve applicare la legge in vigore al momento della pronuncia del provvedimento impugnato, si riferisce all'ipotesi in cui le modifiche normative hanno riguardo, appunto, alla disciplina dell'atto impugnazione. In tale ottica le Sezioni Unite hanno esplicitamente evocato l'esigenza di tutela dell'affidamento maturato dalla parte in relazione alla "fissità del quadro normativo", onde scongiurare che diritti eventualmente già maturati, pur non ancora esercitati, subiscano l'incidenza di mutamenti legislativi improvvisi che vanno a depauperare posizioni processuali acquisite, e ha aggiunto che l'atto di impugnazione, pur istantaneo, è in realtà la risultante di una attività preparatoria più lunga che si avvia con il sorgere stesso del diritto ad impugnare, a sua volta strettamente collegato alla pronuncia della sentenza.

Le pronunce successive alla Sezioni Unite Lista, che hanno fatto applicazione del principio in essa dettato, sono riferite a casi in cui la modifica normativa ha inciso sull'organo a cui presentare il ricorso: cosi Sez. l, n. 5697 del 12/12/2014, dep. 2015, Ministero della Giustizia, Rv 262355 con cui la Corte ha ritenuto di essere competente a decidere sul ricorso per cassazione proposto avverso la decisione del magistrato di sorveglianza in tema di reclamo giurisdizionale, emessa nel vigore dell'art. 35 bis, comma quarto, legge 26 luglio 1975, n. 354, nel testo introdotto dall'art. 3, comma primo, lett.b), D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, prima delle modificazioni apportate dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 10. ed ha conseguentemente escluso di dover procedere alla qualificazione dell'atto di impugnazione come reclamo al tribunale di sorveglianza, così come stabilito dalle previsioni della legge di conversione; Sez. 1, n. 27004 del 29/04/2021, Pimpinella, Rv. 281615 con cui la Corte ha ritenuto che la sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 cod. proc. pen., emessa prima dell'entrata in vigore della legge n. 103 del 2017, modificativa dell'art. 428 cod. proc. pen., è impugnabile mediante ricorso per cassazione secondo il regime previgente.
Il caso in esame, invece, presenta caratteristiche del tutto peculiari, in quanto la modifica normativa ha riguardo non già alla disciplina dell'atto di impugnazione, che resta invariata anche per il profilo della individuazione dell'organo a cui tale atto deve essere indirizzato, bensì alla disciplina della prosecuzione del giudizio, una volta valutata dal giudice penale la valida instaurazione del rapporto impugnatorio. L'art. 573, comma 1 bis, cod. proc. pen., in altri termini, ha introdotto modifiche solo in ordine alla prosecuzione del giudizio di impugnazione, che si compone, così, di due diverse fasi, l'una prodromica rispetto all'altra: la fase preliminare del vaglio sulla ammissibilità della impugnazione, rimessa al giudice penale, e la fase di valutazione del merito dell'istanza che dovrà proseguire, per effetto della traslatio, davanti al giudice civile. La nuova disciplina non determina incidenza alcuna sulla facoltà di impugnazione, sulla sua estensione, sui modi e termini per esercitarla e sull'organo a cui deve essere indirizzata, sicché non viene in rilievo quell'esigenza di tutela dell'affidamento maturato dalla parte evocato dalle Sezioni Unite, quale ratio sottostante alla individuazione della legge applicabile.
L'immediata operatività della nuova norma non lede in alcun modo il principio di affidamento delle parti nello svolgimento del processo: la parte civile non perde il suo diritto all'accertamento del danno e all'eventuale riconoscimento della pretesa risarcitoria, restando tale posizione sostanzialmente invariata, a prescindere dall'assegnazione della cognizione al giudice penale o civile, rispetto all'eventualità di un accertamento dell'illecito in sede civile. Inoltre, il giudice civile decide utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile (art. 573, comma 1 bis, ultimo periodo cod. proc. pen.). Con il trasferimento dell'appello o del ricorso al giudice civile, l'oggetto dell'accertamento non cambia. È già stato affermato, infatti, che il giudice penale, allorquando è chiamato a decidere sulle questioni civili, deve utilizzare la regola di giudizio della probabilità prevalente, in luogo di quella fissata nell'art. 533, comma 1, cod. proc. pen. (sez. 2, n. 11808 del 14/1/2022, Restaino, Rv. 283377) e che, in caso di rinvio al giudice civile individuato a norma dell'art. 622, cod. proc. pen., trovano applicazione le regole processuali e probatorie proprie del processo civile, atteso che l'accertamento richiesto al giudice del "rinvio" ha ad oggetto gli elementi costitutivi dell'illecito civile, prescindendosi da ogni apprezzamento, sia pure incidentale, sulla responsabilità penale dell'imputato, non potendo la Corte di cassazione penale enunciare il principio di diritto al quale il giudice civile del rinvio dovrebbe uniformarsi (Sez. U, n. 22065 del 4/6/2021, Cremonini, in motivazione).

9. Sulla scorta di tali osservazioni, può, dunque, affermarsi che l'atto al quale occorre fare riferimento per stabilire la legge applicabile deve individuarsi nella decisione del giudice di appello o della Corte di cassazione in ordine alla ammissibilità dell'impugnazione.
L'art. 573, comma 1 bis, cod. proc. pen., infatti, non ha introdotto modifiche rispetto all'atto di impugnazione, che continua ad essere indirizzato al giudice penale ed il cui contenuto non varia, ma ha solo previsto la successiva trasmissione degli atti al giudice civile per la decisione nel merito in ordine alla pretesa risarcitoria.

10. Gli atti vanno, dunque, rimessi al primo Presidente della Corte di cassazione affinché valuti l'assegnazione del procedimento alle sezioni civili di questa stessa Corte, a norma dell'art. 573, comma 1 bis, cod. proc. pen.


 

P.Q.M.
 



Visto l'art. 573, comma 1 bis, cod. proc. pen. rimette gli atti al Omissis.