Cassazione Civile, Sez. Lav, 27 aprile 2023, n. 11136 - L'assenza per malattia è detraibile dal periodo di comporto solo se sussiste una responsabilità del datore di lavoro


 

Nota a cura di Dui Pasquale, Beccaria Luigi Antonio,  in Guida al lavoro, 22/2023, pp. 21-23, "Computo del periodo di comporto e assenze per infortunio"

Nota a cura di Aiello Maria, in Labor on line, 25.11.2023 "Assenza per malattia professionale o infortunio e superamento del periodo di comporto: legittimo il licenziamento del lavoratore infortunato per causa non imputabile al datore di lavoro"


Rilevato che

1. La Corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza non definitiva n. 470/2017 e della sentenza definitiva n. 86/2019 del Tribunale di Vicenza, ha respinto la domanda con la quale TP aveva chiesto accertarsi la illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimatole dalla datrice di lavoro x s.r.l.;
2. secondo il giudice del reclamo, nel periodo di comporto, pacificamente superato, dovevano essere computati anche i giorni di assenza per malattia conseguenti all'infortunio occorso alla P, addetta alla mensa nell'ambito del servizio di ristorazione appaltato alla X s.r.l. da Y s.p.a., in conseguenza dello scoppio di una vetrinetta termica di proprietà della committente essendo emersa la assoluta imprevedibilità dell'evento alla luce del grado di diligenza esigibile in base alle norme tecniche e precauzionali del tempo; in particolare la Corte di merito ha evidenziato che la committente in sede di appalto aveva attestato di vere consegnato le attrezzature, tra cui la vetrinetta, in buono stato e che le stesse erano conformi alla normativa; ha inoltre evidenziato che dal documento di valutazione dei rischi emergeva l'assenza di un rischio specifico connesso alla vetrinetta in capo agli addetti alla ristorazione;
3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso TP sulla base di sei motivi, la parte intimata ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria;
 

Considerato che
 

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ai sensi dell'art . 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 1218 e 2697 cod. civ. censurando la sentenza impugnata per errata applicazione dei criteri di riparto dell' onere probatorio; premesso di avere assolto all'onere di allegazione e dimostrazione dell'infortunio in connessione con l'espletamento di attività lavorativa, assume che la datrice di lavoro non aveva dimostrato l'esistenza di una condotta abnorme Di essa dipendente tale da interrompere il nesso causale o di avere adottato tutte le misure di sicurezza necessarie per evitare o ridurre l'esposizione al rischio della lavoratrice secondo il criterio della massima sicurezza tecnologicamente esigibile, oppure la esistenza del caso fortuito; rappresenta la inidoneità a giustificare l'esonero dalla responsabilità datoriale delle circostanze a tal fine valorizzate dalla Corte di merito quali l'attestazione della committente proprietaria in ordine al buono stato manutentivo della vetrinetta e l'assenza di specifiche indicazioni di rischio nel DVR; infine, contesta di non avere indicato le misure di diligenza violate e sostiene che non spettava alla lavoratrice indicare le concrete misure adottabile onde prevenir e l'infortunio;
2. con il secondo motivo deduce ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2051 cod. civ. censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto che essendo la vetrinetta scaldavivande un bene in custodia alla datrice di lavoro nell'ambito del contratto di appalto, l'evento dello scoppio sarebbe scrivibile a fatto imprevedibile ed a caso fortuito; sostiene che la datrice di lavoro in quanto custode aveva l'obbligo di controllare il buon funzionamento della stessa approntando le misure idonee a tal fine;
3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 1218 e 2697 cod. civ. nonché omesso esame di un fatto controverso e decisivo quali il verificarsi dell'evento nell'espletamento di mansioni ordinarie secondo le direttive aziendali della convenuta;
4. con il quarto motivo di ricorso deduce ai sensi dell' art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell'art. 24 Cost. e del principio di vicinanza e disponibilità della prova evidenziando che la conoscenza delle regole di prevenzione e protezione non poteva che essere a carico principalmente al datore di lavoro essendo strettamente connesse alla conoscenza del processo produttivo;
5. con il quinto motivo deduce ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2110 cod. civ e degli artt. 173 e 176 c.c.n.l. Turismo Pubblici Esercizi sostenendo, in sintesi, che nel periodo di comporto previsto dalla disciplina collettiva non erano computabili i periodi di assenza per malattia ed infortunio comunque riconducibili a causa di lavoro;
6. con il sesto motivo di ricorso deduce ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell'art. 2110 cod. civ. e degli artt. 4, 32 e 41 Cost. invocando in sintesi l'esigenza dell' adeguato bilanciamento di interessi alla luce dei richiamati principi costituzionali;
7. i motivi, esaminati congiuntamente per connessione sono infondati;
7.1. secondo il consolidato orientamento di questa Corte, al quale va data continuità, le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale sono riconducibili, in linea di principio, all'ampia e generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell'art. 2110 cod. civ., comprensiva anche di dette specifiche categorie di impedimenti dovuti a cause di lavoro, e sono, pertanto, normalmente computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro previsto nel citato art. 2110, la cui determinazione. è da questa norma rimessa alla legge, alle norme collettive, all'uso o all'equità. Non è infatti sufficiente, perché l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, che si tratti di malattia di origine professionale, meramente connessa cioè alla prestazione lavorativa, ma è necessario che in relazione a tale malattia e alla sua genesi sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 cod. civ. (Cass. 24028/2016, 26037/2014, 7037/2011, 5413/2004, 3351/1996);
7.2. l'art. 2087 cod. civ., per costante giurisprudenza di questa Corte, non configura infatti un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; incombe pertanto al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pur e la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (Cass. 22710/2015, 18626/2013, 2038/2013, 13956/2012); in tema di oneri di allegazione a carico del lavoratore questa Corte ha inoltre puntualizzato che l'individuazione delle misure di prevenzione che il datore avrebbe dovuto adottare e l'identificazione della condotta che nello specifico ne ha determinato la violazione deve essere modulata in relazione alle concrete circostanze e alla complessità o peculiarità della situazione che ha determinato l'esposizione al pericolo ( Cass. n. 29909/2021);
7.3. alla luce dei principi richiamati deve, quindi, innanzitutto escludersi un onere specifico a carico della lavoratrice relativo alla norma di diligenza asseritamente violata dalla datrice di lavoro ed in questa prospettiva deve essere affermata la fondatezza della censura articolata sul punto dalla odierna ricorrente; tanto tuttavia non determina l'accoglimento del ricorso in relazione alla specifica fattispecie;
7.4. occorre premettere che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che nell'ipotesi in cui il danno sia stato causato al lavoratore da cose che il datore di lavoro aveva in custodia e, a maggior ragione, in quella in cui lo stesso datore, in ragione dell'attività da lui esercitata, abbia ricevuto in consegna un oggetto che il lavoratore sia stato incaricato di elaborare, sussiste a carico del datore di lavoro (sempre che siano certi l'esistenza del danno e il rapporto di causalità con l'ambiente lavorativo) una presunzione di colpa, derivante dalla concorrente applicabilità degli artt. 2051 e 2087 cod.civ., che può essere superata solo dalla dimostrazione dell'avvenuta adozione delle cautele antinfortunistiche e della natura imprevedibile ed inevitabile del fatto dannoso ( Cass. n. 5957/2018, Cass. 15919/2004); nello specifico, la presunzione di colpa per la vetrinetta in custodia a carico della parte datoriale risulta superata dall'accertamento del giudice di merito il quale ha ritenuto l'evento non prevedibile in considerazione della diligenza esigibile in base alle norme tecniche e precauzionali applicabili al tempo; tale accertamento di fatto, istituzionalmente riservato al giudice di merito, poteva essere incrinato solo dalla deduzione, nei rigorosi termini prescritti dall'attuale configurazione dell'art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ., di omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, vizio quest'ultimo In concreto non configurabile in relazione alle circostanze di fatto a tal fine richiamate dalla odierna ricorrente ( v. ricorso per cassazione, pag. 23) le quali risultano espressamente considerate dalla Corte di merito;
7.5. infine, l'esigenza di contemperamento degli opposti interessi di rilievo costituzionale - tutela della salute e del diritto alla conservazione del posto di lavoro del lavoratore e libertà di iniziativa economica del soggetto datore - invocata dall' odierna ricorrente ha trovato già attuazione nella discipllna dettata dall'art. 2110 cod. civ. di talché non vi è spazio per una diversa composizione giudiziale di tali interessi nei termini invocati con il sesto motivo di ricorso;
8. resta assorbi a ogni ulteriore censura;
9. al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite;
10. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dell' art.13 d. P.R. n. 115/2002 ( Cass. Sez. Un. n. 23535/2019);


P.Q.M.
 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.000, 00 per compensi professionali, in € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 24 gennaio 2023