Cassazione Penale, Sez. 4, 26 aprile 2023, n. 17208 - Incendio durante l'accensione e il collaudo di un camino in ghisa. La responsabilità per colpa deve essere fondata sull'esigibilità del comportamento dovuto





 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco M. - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - rel. Consigliere -

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -

Dott. CIRESE Marina - Consigliere -

Dott. SESSA Gennaro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 22/03/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA VIGNALE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARILIA DI NARDO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

udito il difensore, avvocato LORENZO VALTORTA del foro di BRESCIA, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


1. Con sentenza del 22 marzo 2022 la Corte di appello di Brescia ha riformato, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza pronunciata il 16 marzo 2021, all'esito di giudizio abbreviato, dal G.i.p. del Tribunale di Bergamo. Ha inoltre revocato le statuizioni civili di quella sentenza essendo intervenuta, con atto del 17 marzo 2022, la revoca della costituzione di tutte le parti civili. La sentenza di primo grado è stata confermata, invece, quanto all'affermazione della penale responsabilità di A.A. per il reato di cui agli artt. 423 e 449 c.p..

2. Il procedimento ha ad oggetto un incendio verificatosi a (Omissis). Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, quella sera, intorno alle 20:30, fu segnalato che sui tetti degli edifici di (Omissis), (Omissis), si erano sviluppate fiamme che furono domate dai Vigili del Fuoco solo intorno alle 22:00.

Si deve preliminarmente riferire che il giudizio si è svolto con rito abbreviato subordinato ad un accertamento peritale sulle cause dell'evento e che le sentenze di primo e secondo grado hanno individuato il punto di innesco dell'incendio in corrispondenza della canna fumaria del camino esistente nell'appartamento di proprietà di B.B., posto all'ultimo piano del civico (Omissis). A.A. è stato chiamato a rispondere del reato quale legale rappresentante della ditta "(Omissis) Srl s.". Proprio quella sera, infatti, dalle 19:00 alle 19:30, l'impresa aveva provveduto all'accensione e al collaudo di un camino in ghisa che aveva installato nell'appartamento di proprietà di B.B. inserendolo in un preesistente camino in muratura. Secondo l'ipotesi accusatoria, A.A. avrebbe causato l'incendio perchè l'installazione del camino in ghisa era avvenuta inserendo un tubo in acciaio nella preesistente canna fumaria in muratura senza aver controllato (come previsto dalla norma UNI EN 15287-1 in materia di progettazione, installazione e messa in servizio dei camini) che la distanza tra gli elementi caldi della canna fumaria e i materiali combustibili presenti nel soffitto e nel tetto non fosse inferiore ai 500 millimetri. A causa di ciò - e dell'elevata capacità di trasmissione del calore da parte del tubo in acciaio, in assenza di qualsiasi forma di isolamento dello stesso - un vecchio trave in legno del soffitto, a protezione del quale era stata posta una semplice piastra metallica, inidonea ad impedire il trasferimento del calore, aveva potuto infiammarsi ancorchè la temperatura sviluppata dalla canna fumaria fosse inferiore ai 250 di regola necessari alla combustione del legno. Si era verificato, quindi, un fenomeno di autoignizione del trave per semplice apporto di calore e, da quel trave, il fuoco si era propagato al tetto.

3. Contro la sentenza della Corte di appello A.A. ha proposto tempestivo ricorso per mezzo del proprio difensore. Il ricorso si articola in due motivi che di seguito si riportano nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall'art. 173, comma 1, D.Lgs. n. 28 luglio 1989 n. 271.

3.1. Col primo motivo, il difensore deduce violazione dell'art. 41 c.p. e illogicità della motivazione con riferimento all'esistenza del nesso causale tra l'incendio oggetto di imputazione e l'installazione del caminetto. Osserva, in particolare, che (come la sentenza d'appello ha riconosciuto), il giudice di primo grado non ha compiutamente esaminato e confutato le argomentazioni critiche sviluppate dal consulente tecnico della difesa per contrastare le conclusioni del perito. Sostiene che la Corte di appello, integrando la motivazione su questo punto, sarebbe incorsa in un travisamento della prova perchè avrebbe ritenuto accertati dati di fatto che tali non sono e in particolare: lo stato di carbonizzazione del travetto presente nel soffitto e la possibilità che un travetto in legno carbonizzato possa infiammarsi per esposizione indiretta al calore anche ad una temperatura inferiore a 2500.

La difesa osserva: da un lato, che la carbonizzazione del legno può aversi solo in carenza di ossigeno e l'ossigeno era presente invece nella canna fumaria, sicchè deve escludersi che il travetto presente nel soffitto potesse essere carbonizzato e la tesi della carbonizzazione è stata sostenuta in assenza di leggi scientifiche di copertura; dall'altro, che il legno carbonizzato si accende rapidamente, ma non può bruciare per autocombustione se non per prolungata esposizione ad una temperatura minima di 3400; dall'altro ancora, che la temperatura sviluppata dalla canna fumaria non poteva essere superiore ai 2300. Sostiene che, alla luce di tali considerazioni, la spiegazione eziologica posta alla base della condanna sarebbe manifestamente illogica e che una corretta applicazione delle leggi scientifiche avrebbe escluso ogni collegamento causale tra l'incendio e i lavori eseguiti dalla società della quale A.A. è legale rappresentante.

3.2. Col secondo motivo, la difesa deduce erronea applicazione dell'art. 40 c.p. e vizi di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della posizione di garanzia di A.A.. Rileva che la "(Omissis) Srl s." è impresa abilitata all'installazione trasformazione, ampliamento e manutenzione di impianti di riscaldamento e che, ai sensi della L. 5 marzo 1990 n. 46, tale abilitazione prevede il possesso da parte dell'imprenditore di determinati requisiti tecnico-professionali. La stessa legge prevede però - come lo prevede il successivo decreto ministeriale n. 37 del 22 gennaio 2008 - che, quando l'imprenditore non sia in possesso di tali requisiti, possa nominare un "responsabile tecnico" che li possieda e, in tal caso, questi è preposto all'esercizio di quelle attività. La difesa sostiene che proprio questo è avvenuto nel caso di specie, atteso che la "(Omissis) Srl s." ha un consiglio di amministrazione del quale A.A. è presidente e del quale fa parte, quale unico altro consigliere, C.C. cui è stata attribuita, con atto formale, la qualifica di "responsabile tecnico".

La difesa si duole che la sentenza impugnata non abbia attribuito rilievo a questo dato ritenendo decisiva, ai fini dell'affermazione della penale responsabilità di A.A., la constatazione che fu lui a sottoscrivere la dichiarazione di conformità dell'impianto alla regola d'arte prevista dal D.M. n. 37 del 2008. Sostiene che tale dichiarazione non può essere sottoscritta che dal legale rappresentante dell'impresa perchè la legge lo prevede ma, ai sensi del citato decreto ministeriale, tale dichiarazione può essere rilasciata solo "previa effettuazione delle verifiche previste dalla normativa vigente, comprese quelle di funzionalità dell'impianto" e della stessa "fanno parte integrante la relazione contenente la tipologia dei materiali impiegati" e "il progetto" dell'impianto stesso. Sottolinea che, nel caso di specie, questi documenti furono sottoscritti da C.C. "responsabile tecnico" e perciò preposto all'esercizio effettivo delle attività di installazione trasformazione, ampliamento e manutenzione degli impianti di riscaldamento che la "(Omissis) Srl s." è abilitata a svolgere.

Secondo la difesa, in questa situazione nessun profilo di colpa può essere ipotizzato a carico di A.A. che non progettò l'impianto e ne certificò la conformità alla normativa vigente sulla base delle relazioni e del verbale di collaudo sottoscritti dal responsabile tecnico.

 

Diritto


1. Il primo motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità, mentre il secondo è fondato.

2. Come noto, "in tema di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d'ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell'obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente; conseguentemente, può ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile in cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., solo qualora risulti che queste ultime siano tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali recepite dal giudice" (Sez. 1, n. 25183 del 17/02/2009, Panini, Rv. 243791; Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 269909; Sez. 6, n. 5749 del 09/01/2014, Homm, Rv. 258630).

Una tale situazione non può ritenersi sussistente nel caso di specie. Nel confrontarsi con le argomentazioni del consulente di parte, la sentenza impugnata ha sottolineato infatti:

- che la totale assenza di isolamento del tubo metallico installato dalla "(Omissis) Srl s." non è controversa e neppure è controverso che, se tale isolamento fosse stato realizzato, "avrebbe garantito un'eccellente tenuta ai fumi e un'ottima resistenza alle alte temperature" (pag. 10);

- che non è controversa l'esistenza di un trave posto quasi in aderenza (o addirittura in aderenza) alla canna fumaria (pag. 11);

- che, secondo il perito, il valore di 250 indicato dal consulente della difesa come idoneo a determinare l'accensione del legno è un valore "nominale" perchè occorre tenere conto delle condizioni del materiale e, nel caso specifico, si trattava di legno vecchio, esposto nel tempo al calore proveniente dalla canna fumaria e dunque deumidificato, "seccato e alleggerito al punto da diventare "friabile"", perciò caratterizzato da una "temperatura di autoaccensione sensibilmente più bassa" rispetto al valore "nominale" indicato dal consulente di parte (pag. 11);

- che, secondo il perito, la dichiarazione di prestazione redatta dal produttore del caminetto indica in 230 "la temperatura dei fumi a potenza termica nominale", ma si tratta, appunto, (e anche in questo caso) di un valore "nominale" non verificato in concreto (pag. 11);

- che la piastra metallica posta a protezione del trave poteva dissipare il calore, ma rendeva l'apporto di quel calore prolungato nel tempo (pag. 12).

Dalla sentenza impugnata risulta inoltre (pag. 12) che, guardando le immagini, il perito ha ritenuto "altamente probabile l'esistenza di un contatto diretto" tra il trave e la piastra metallica posta a protezione e, se così fosse, vi sarebbe stato un grave errore di installazione per effetto del quale il calore sarebbe passato dalla piastra al legno per contatto diretto.

A ciò deve aggiungersi che i giudici di merito hanno ritenuto di individuare la causa dell'incendio nella installazione del nuovo caminetto metallico sulla base di una serie di ulteriori elementi che convergono con le indicazioni del perito: il dato logico temporale, secondo il quale il fuoco si sviluppò a distanza di un'ora dal termine del collaudo; la collocazione dei danni causati dal fuoco, che provocò il crollo di parte della soletta del soffitto dell'appartamento di proprietà di B.B., ma non ebbe analoghi effetti negli appartamenti adiacenti (pag. 13 della sentenza impugnata); le dichiarazioni rese da B.B., che vide le fiamme originare dal camino di sua proprietà ed estendersi "fino all'altra canna fumaria sita al centro della falda del tetto"; le indicazioni emergenti dal rapporto dei Vigili del Fuoco, secondo i quali "il principio di incendio è stato riscontrato con il divampare delle fiamme alla base del comignolo della canna fumaria del sig. B.B. da parte dei vicini di casa" (pag. 6 della sentenza di primo grado).

Si tratta di motivazioni complete, scevre da qualsiasi profilo di contraddittorietà o manifesta illogicità, che si sottraggono alle censure del ricorrente, tanto più che, secondo i giudici di merito, eventuali decorsi causali alternativi - quali l'attivazione di altri camini o l'accensione di cavi elettrici esistenti nell'appartamento - non trovano in atti alcuna conferma.

La difesa sostiene che i giudici di appello sarebbero incorsi in un travisamento della prova scientifica. Sostiene dunque che, nel valutare la perizia e le osservazioni dei consulenti di parte, non sarebbero stati considerati elementi probatori, potenzialmente decisivi, acquisiti nel processo e che sarebbero state introdotte nella motivazione informazioni che nel processo non esistono. Come illustrato, però, nessuna di queste situazioni può dirsi realizzata, sicchè le censure del ricorrente si esauriscono nella sostanza in una richiesta di una rilettura degli elementi di prova, inammissibile nel giudizio di legittimità.

3. Col secondo motivo di ricorso, la difesa deduce erronea applicazione di legge e vizi di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della posizione di garanzia di A.A. che rivestiva la qualifica di legale rappresentante della società "(Omissis) Srl s." e aveva nominato un "responsabile tecnico" preposto all'esercizio delle attività di installazione, trasformazione, ampliamento e manutenzione di impianti di riscaldamento per realizzare le quali la società era stata costituita. La difesa sostiene che tale nomina era doverosa perchè il legale rappresentante della società non era dotato delle necessarie competenze tecnico-professionali e l'impresa non avrebbe potuto essere abilitata a compiere le attività per le quali era nata senza la nomina del responsabile tecnico. Il motivo è fondato nei termini che saranno di seguito illustrati.

3.1. La L. n. 46/1990 recante "norme in materia di sicurezza degli impianti" - cui sono soggette, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. c), le imprese che svolgono attività di installazione, trasformazione, ampliamento e manutenzione di impianti di riscaldamento installati in edifici di civile abitazione - stabilisce all'art. 2, comma 2, che l'esercizio di tali attività sia "subordinato al possesso", da parte dell'imprenditore, dei necessari "requisiti tecnico-professionali". Prevede, tuttavia, che, qualora l'imprenditore non abbia tali requisiti, possa nominare quale "preposto all'esercizio delle attività" di cui sopra "un responsabile tecnico" in possesso di quei requisiti. Prevede, dunque, in termini espliciti, che le attività tecniche svolte dall'impresa possano essere delegate dall'imprenditore, privo delle necessarie competenze, ad altro soggetto che ne sia munito.

Disposizioni di contenuto analogo sono state introdotte dal D.M. n. 22 gennaio 2008 n. 37 col quale è stata data attuazione all'art. 11-quaterdecies, comma 13, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 (convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248) il cui fine era quello di consentire il riordino delle "disposizioni in materia di attività e di installazione degli impianti all'interno degli edifici" e "definire un reale sistema di verifiche" di tali impianti. Ai sensi dell'art. 3 del D.M. n. 37 del 2008, per essere abilitate ad esercitare attività relative agli impianti di riscaldamento (art. 1 comma 2 lett. c) del decreto) le imprese devono essere in possesso dei requisiti tecnico-professionali richiesti per quel tipo di lavoro e questo può avvenire "se l'imprenditore individuale o il legale rappresentante, ovvero il responsabile tecnico da essi preposto con atto formale", è in possesso di tali requisiti professionali.

Tale essendo l'assetto normativo, il titolare dell'impresa esecutrice che non sia in possesso dei requisiti tecnico-professionali per realizzare modificare o fare manutenzione su un impianto di riscaldamento è legittimato a delegare ad un preposto, tecnicamente qualificato, la progettazione dei lavori e la concreta attuazione degli stessi in conformità alle regole di buona tecnica che disciplinano la materia. E' autorizzato, quindi, a trasferire sul preposto tecnicamente competente l'obbligo di rispettare queste regole cautelari. In questi casi, grava sul titolare dell'impresa l'obbligo di scegliere un preposto capace e di accertarsi che egli svolga il proprio compito, ma non può esigersi dal titolare dell'impresa la verifica del rispetto di regole tecniche per applicare le quali non ha la necessaria competenza e che non è giuridicamente obbligato a conoscere.

3.2. Non v'è dubbio che l'imprenditore risponda sotto il profilo civilistico del regolare adempimento del contratto. Dal punto di vista penale, tuttavia, la responsabilità a titolo di colpa non può essere individuata nella mera sottoscrizione della dichiarazione di conformità. Se è vero, infatti, che - come la sentenza impugnata sottolinea - tale sottoscrizione "non può essere ridotta ad un mero adempimento formale", è pur vero che da essa non può discendere automaticamente, come i giudici di merito sembrano ritenere, una "corresponsabilità in ordine alla funzionalità e sicurezza dell'opera eseguita" (pag. 15 della sentenza impugnata) per affermare la quale occorre affrontare il tema della concreta esigibilità del rispetto della regola cautelare da parte del titolare dell'impresa.

Questo tema è stato approfondito dalla giurisprudenza di legittimità proprio con riferimento a casi, come quello in esame, nei quali l'obbligo giuridico trova la propria fonte nell'assunzione di un incarico e si è affermato che, in questi casi, è necessario valutare la situazione di fatto per accertare che il titolare della posizione di garanzia abbia avuto la concreta possibilità di rispettare la regola violata. In questa prospettiva si è sostenuto che i tempi e i modi di apprensione delle informazioni connesse al ruolo rilevano ai fini del giudizio sull'esigibilità del comportamento dovuto e della rimproverabilità dell'atteggiamento antidoveroso (Sez. 4, n. 33548 del 08/03/2022, Carello, non massimata). Il tema è stato particolarmente approfondito con riferimento alla responsabilità datoriale nella materia degli infortuni sul lavoro. Si è sottolineato, infatti, che la responsabilità per colpa deve essere fondata sull'esigibilità del comportamento dovuto, non essendo possibile configurare in capo al datore di lavoro una inammissibile responsabilità "di posizione", tale da sconfinare in responsabilità oggettiva. Ci si è adoperati, quindi, nel senso di personalizzare il rimprovero rivolto all'autore della condotta e lo si è fatto introducendo una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto, non solo dell'oggettiva violazione di norme cautelari, ma anche della concreta possibilità di uniformarsi alla regola, in ragione delle specifiche qualità personali dell'agente e della situazione di fatto in cui egli ha operato (Sez. 4, n. 1096 del 08/10/2020, dep. 2021, Verondini, Rv. 280188; Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019, Romano, Rv. 276797; Sez. 4, n. 20833 del 03/04/2019, Stango, non massimata).

3.3. Come si è detto, il legislatore consente che il titolare di un'impresa autorizzata alla realizzazione di impianti di riscaldamento - soggetto tenuto alla sottoscrizione della dichiarazione di "conformità dell'impianto alla regola d'arte" - possa essere un soggetto privo delle necessarie competenze e stabilisce che, in questo caso, egli debba nominare un preposto conferendogli la qualifica di responsabile tecnico. Al preposto competono la redazione del progetto, con l'indicazione delle tipologie dei materiali utilizzati, e la verifica della funzionalità dell'impianto, documenti che devono essere allegati alla dichiarazione di conformità e ne costituiscono "parte integrante" (art. 7 D.M. n. 7 del 2008 e art. 9 L. n. 46/90).

Quando la nomina del responsabile tecnico consegue all'inidoneità tecnico professionale del responsabile dell'impresa, questi non può essere chiamato a rispondere di errori che riguardano la progettazione dell'impianto o la sua realizzazione non essendo concretamente esigibile questo tipo di controllo da parte di chi non ne abbia le necessarie competenze. In questi casi, al titolare dell'impresa può essere ascritta una "culpa in eligendo", per aver incaricato dell'esecuzione dei lavori maestranze non qualificate o per aver nominato un preposto privo dei necessari requisiti professionali; oppure una "culpa in vigilando", per non aver verificato che i lavori siano stati eseguiti sotto la sorveglianza del responsabile tecnico, sulla base di un progetto da lui predisposto e con l'utilizzo di materiali dotati dei prescritti requisiti di sicurezza.

La responsabilità del titolare dell'impresa non può essere desunta però dalla mera sottoscrizione della dichiarazione di conformità, salvo che il titolare dell'impresa risulti avere la competenza professionale necessaria a verificare in prima persona tale conformità anche dal punto di vista tecnico oltre che da quello documentale; oppure che risulti essersi ingerito in concreto nell'attività del tecnico preposto sostituendosi a lui o interferendo nelle sue scelte.

La sentenza impugnata nulla dice in proposito e la sentenza di primo grado si limita a sottolineare che la "(Omissis) Srl s." ha una compagine ristretta, essendo composta solo da A.A. e dal padre C.C.: il primo con funzioni di consigliere e presidente del Consiglio di amministrazione; il secondo con funzioni di consigliere e "Responsabile tecnico".

E' necessario allora verificare: se l'attribuzione della qualifica di responsabile tecnico a C.C. sia stata resa necessaria dalla mancanza in capo ad A.A. delle competenze tecnico-professionali che gli avrebbero consentito di svolgere personalmente tale ruolo; se, nel caso di specie, D.D. si ingerì nella concreta realizzazione dell'impianto partecipando ai sopralluoghi o sovraintendendo alla sua realizzazione; se siano ravvisabili a carico D.D. profili di colpa nella scelta delle maestranze o nella verifica dell'adempimento da parte del padre dei compiti a lui affidati.

3.4. Quanto sin qui esposto non contrasta col principio - richiamato dalla sentenza impugnata e dal Procuratore generale nella requisitoria - secondo il quale "la posizione di garanzia dell'installatore di un impianto di qualsiasi genere non è limitata al mero accertamento della sua funzionalità, ma si estende ad una verifica complessiva della struttura in cui l'impianto è inserito con obbligo di controllo sia del funzionamento del medesimo sia dell'assenza di situazioni di pericolo ricollegabili comunque al suo funzionamento; a meno che questa verifica complessiva del sistema non sia stata affidata a terzi" (Sez. 4, n. 34371 del 23/06/2004, Bergaminelli, Rv. 229088). Quel principio, infatti, è stato affermato in un caso di incendio causato dalla messa in funzione di un camino installato in una villetta di nuova costruzione e determinato da irregolarità costruttive e, nell'affermarlo, si è opportunamente sottolineato che, terminata la realizzazione della villetta, l'installatore del camino era tenuto a verificare la funzionalità dell'impianto sicchè la sua responsabilità a titolo di colpa non veniva meno in ragione dell'errore dei costruttori, chiamati anch'essi a rispondere dell'incendio a titolo di colpa. Si trattava pertanto di un caso ben diverso da quello in esame atteso che, in quel caso, vi era identità tra il titolare della ditta e il tecnico abilitato alla installazione.

4. All'accoglimento del secondo motivo di ricorso consegue l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia che dovrà attenersi, in sede di rinvio, ai principi di diritto sopra enunciati.

 

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2023