Cassazione Penale, Sez. 4, 29 marzo 2023, n. 13031 - Infortunio con una pressa priva del sistema di bloccaggio delle staffe.  Il marchio CE non costituisce causa di esonero da responsabilità per il titolare della posizione di garanzia 




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -

Dott. BRUNO M.Rosaria - rel. Consigliere -

Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 24/02/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MARIAROSARIA BRUNO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI che ha concluso chiedendo Il Procuratore Generale conclude per il rigetto del ricorso.

udito il difensore E' presente l'avvocato MORETTI MASSIMO, del foro di BELLUNO, in difesa di A.A. il quale dopo aver esposto nei dettagli i motivi di ricorso ne chiede l'integrale accoglimento.

Fatto


1. La Corte d'appello di Venezia, con sentenza emessa in data 4/3/2019, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Belluno con cui A.A., ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose commesse con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, era condannato alla pena di Euro 600' di multa oltre al pagamento delle spese di giudizio.

Era contestato all'imputato di avere, nella qualità di legale rappresentante della "Diab Spa ", datore di lavoro di B.B., cagionato lesioni personali gravi al dipendente, operaio di livello "e", consistite in "ferita della mano e 1 dito mano dx con interessamento parziale del muscolo adduttore breve del pollice", da cui derivava una malattia e un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a 40 giorni.

Il lavoratore, durante l'utilizzo del macchinario denominato pressa, rimaneva colpito al primo dito della mano destra dal "convogliatore" che si sganciava dai relativi fermi cadendo sul sottostante stampo che il B.B., stava proprio in quel momento spingendo.

I giudici di merito, nelle due sentenze conformi, ritenevano accertata la responsabilità del datore di lavoro in relazione al fatto come contestato, individuando a suo carico profili di colpa generica e colpa specifica, consistita quest'ultima nella violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 3. In base alla ricostruzione a cui erano pervenuti all'esito della compiuta istruttoria, il ricorrente aveva messo a disposizione dell'infortunato una pressa non idonea ai fini della sicurezza del lavoratore, in quanto il meccanismo di aggancio e sollevamento della parte superiore denominata "convogliatore" (parallelepipedo metallico vuoto che viene sistemato sopra lo stampo per facilitare l'immissione di una miscela nell'apparecchio) non era efficacemente assicurato, poichè tre fermi su quattro non erano dotati di un meccanismo di blocco tale da evitare che il convogliatore stesso potesse ruotare e sganciarsi.

2. Avverso la sentenza predetta, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del difensore, il quale, in sintesi, giusta il disposto di, cui all'art. 173, disp. att. c.p.p., comma 1, ha articolato i seguenti motivi di doglianza.

I) Inosservanza o comunque erronea applicazione degli artt. 40 e 590 c.p. Manifesta illogicità della motivazione e contraddittorietà della stessa con atti del processo.

Il motivo concerne la ricostruzione della dinamica del sinistro operata dalla Corte territoriale, con particolare riferimento alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra l'omissione contestata al A.A. e l'evento lesivo. Nell'atto di appello si era affermato che non poteva ritenersi dimostrato che, anche qualora il meccanismo di blocco fosse stato installato su tutti i ganci, il sinistro non si sarebbe verificato. Ciò perchè il bloccaggio avviene solo quando i ganci di chiusura siano stati effettivamente attivati. Nell'atto di appello era stato rilevato che, oltre a mancare la prova che essi fossero stati tutti azionati, vi era al contrario la prova che almeno uno non lo era stato, in quanto una foto scattata dopo il sinistro, senza che la macchina fosse stata prima toccata, rappresentava un gancio in posizione di totale apertura. Nella sentenza di secondo grado si osserva che, ove non fossero stati azionati tutti i 4 ganci dalla persona offesa, all'inizio delle operazioni, il cassone non si sarebbe sollevato (pagg. 2 e 3 della sentenza di secondo grado). Il ragionamento non rispetta i criteri della logica e le leggi della fisica. Non è infatti necessario che siano attivati tutti i ganci e quindi che il cassone sia collegato al sollevatore su tutti i quattro punti perchè esso possa essere sollevato: sono, al contrario, sufficienti anche 3 o 2 punti di attacco per un sollevamento contemporaneo di tutti i lati ed addirittura uno solo per un sollevamento di un unico lato. Il cassone, non essendo trattenuto in tutte le direzioni di possibile spostamento, può certamente essere sollevato, ma è sufficiente un urto o un sobbalzo per farlo spostare e fargli perdere il punto di appoggio, come chiarito anche dal teste C.C..

Mancherebbe nella sentenza impugnata l'esposizione di un ragionamento idoeno a dimostrare che, sulla base delle prove raccolte, i tre ganci, sia pure non muniti di sistema di bloccaggio, fossero stati tutti attivati. In caso contrario non è possibile ritenere che il sinistro si sarebbe certamente evitato ove il macchinario fosse stato dotato di sistema di bloccaggio.

Pertanto la sentenza non avrebbe fatto buon governo dell'art. 40 c.p..

Avvalorerebbero la prospettazione difensiva le dichiarazione del teste C.C., (udienza del 3/5/21, pag.27 del verbale stenotipico: "se tutte e quattro sono regolarmente chiuse, la piastra non si può sganciare. Mentre se una di queste non è chiusa, ovviamente urtandola o toccandola potrebbe spostarsi e cadere") e le stesse dichiarazioni della persona offesa, la quale ha ammesso che, proprio nel momento del fatto era comparso nel reparto il fratello, circostanza che rende palusibile una sua distrazione.

II) Inosservanza o comunque erronea applicazione degli artt. 42, 43 e 590 c.p., nonchèdel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2087 c.c. e art. 15 lett: "t" Manifesta illogicità della motivazione o comunque contraddittorietà della stessa con atti del processo.

Tale motivo concerne l'individuazione da parte della sentenza di una condotta colposa in capo all'imputato. Secondo l'assunto dei giudici, il ricorrente ha previsto la possibilità che dei ganci privi di bloccaggio potessero non funzionare se non correttamente azionati, omettendo di munire l'apparecchio, nonostante la previsione, di sistemi di blocco su tutti i punti di aggancio.

Il fatto che il datore di lavoro abbia previsto la criticità del macchinario viene desunta dalla circostanza che su uno dei 4 ganci del dispositivo era stato posizionato il blocco. Il macchinario, tuttavia, aveva ricevuto il marchio CE anche in assenza dei dispositivi di blocco e prima di allora non si era verificato alcun incidente.

E' contrario ai principi della logica sostenere che l'avere disposto l'adozione di una cautela, la cui mancanza non aveva impedito al macchinario di conseguire il marchio CE, significhi che l'evento dannoso fosse stato previsto o che fosse prevedibile. La circostanza, al contrario, dimostra solo l'estrema diligenza del datore di lavoro.

La Corte dimentica che, sebbene l'art. 2087 del c.c., allarghi gli obblighi del datore di lavoro fino a comprendere anche le misure di sicurezza non espressamente previste, ciò è limitato a quelle necessarie secondo la particolarità del lavoro, la tecnica e l'esperienza.

Al tempo stesso del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 15, include tra gli obblighi del datore di lavoro la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza.

III) Inosservanza o comunque erronea applicazione degli artt. 42 e 590 c.p., nonchè del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 16, 17, 18 e 19; manifesta illogicità della motivazione o comunque contraddittorietà della stessa con atti del processo.

Il motivo si riferisce all'inadeguata considerazione della presenza di preposti in azienda sui quali gravava l'obbligo di verificare che quanto disposto in tema di installazione dei 4 dispositivi di bloccaggio dei ganci fosse stato compiutamente eseguito, verifica il cui diretto e personale compimento non poteva essere ragionevolmente richiesto all'amministratore delegato di una società di grandi dimensioni, che nell'anno 2018 aveva circa 250 dipendenti ed un fatturato di 4045 milioni di Euro.

Nell'atto di appello era stato evidenziato che l'installazione dei sistemi di boccaggio doveva essere disposta dalla dirigenza. Si deve ritenere che l'omissione non avrebbe dovuto essere ascritta all'amministratore delegato, ma a chi avrebbe dovuto vigilare sulla completa attuazione di quanto disposto dalla dirigenza, attesa la presenza in azienda di adeguati preposti.

IV) Inosservanza o comunque erronea applicazione degli artt. 42, 43, 590 c.p., nonchè del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 18 e 20. Mancanza manifesta illogicità della motivazione o comunque contraddittorietà della stessa con atti del processo.

Il motivo si riferisce a quanto sostenuto in sentenza per escludere l'abnormità della condotta del lavoratore.

Nell'atto di appello si era rilevato che, sebbene la giurisprudenza di legittimità sia consolidata nel ritenere che il datore di lavoro possa essere responsabile anche in presenza di comportamenti imprudenti o negligenti del lavoratore, è anche vero che, quando la negligenza consista nell'omessa effettuazione delle manovre base previste dalle istruzioni impartite, imputare al datore di lavoro anche le conseguenze di tali condotte viola il principio collaborativo vigente nella normativa antinfortunistica, passata da un modello iperprotettivo, interamente incentrato sull'obbligo di vigilanza assoluta da parte del datore di lavoro, ad un modello collaborativo.

Nel caso che occupa il B.B., lavoratore esperto e da tempo addetto alla macchina in questione, non ha compiuto un'operazione basilare attinente al suo usuale compito, circostanza assolutamente imprevedibile, tanto che il sinistro occorso, come confermato nel corso dell'istruttoria, mai si era verificato prima nella storia dell'azienda. Sul punto la risposta della Corte d'appello sarebbe assolutamente inadeguata: giudici si sono limitati a sostenere che, anche a voler ritenere la negligenza o l'imprudenza del lavoratore, non si sarebbe trattato di condotta abnorme in quanto pienamente rientrante nelle mansioni affidategli dal datore di lavoro e sicuramente non eccentrica o esorbitante (pag.3 della sentenza di secondo grado). Si è trascurato di considerare che, per pervenire all'affermazione di responsabilità, è comunque necessario dimostrare anche la prevedibilità della condotta e dell'errore del dipendente. La scarna risposta della Corte di merito si limita a richiamare il fatto che il lavoratore stesse svolgendo le proprie funzioni, ma non si confronta con il tema della prevedibilità.

V) Inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 131-bis c.p.; contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione laddove viene esclusa l'applIcabilltà della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Il semplice riferimento alla durata delle lesioni non sarebbe circostanza idonea a fondare il diniego dell'applicazione dell'istituto.

La stringata motivazione espressa è contraddetta dalle risultanze in atti, tutte conducenti ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità 3. E' stata depositata memoria difensiva con allegata copia degli atti richiamati nel ricorso.

Diritto


1. Il ricorso deve essere rigettato, essendo i motivi di doglianza in parte infondati, in parte inammissibili.

La Corte territoriale ha fornito una soddisfacente e logica motivazione in ordine alle cause dell'infortunio patito dalla persona offesa, alla violazione delle norme antinfortunistiche collegate alle modalità accertate dell'incidente, alla riferibilità di tali violazione alla persona del ricorrente. Deve peraltro rilevarsi come il giudice del gravame di merito non sia tenuto a compiere un'esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti, nè a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze istruttorie, essendo necessario e sufficiente che spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente escluse le opposte deduzioni difensive, ancorchè non apertamente confutate (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, Rv. 27122701; Sez.2, n. 9242 del 8/02/2013, Reggio, Rv. 25498801; Sez.6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià, Rv.25410701; Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv.25351201; Sez.4, n. 45126 del 6/11/2008, Ghisellini, Rv.24190701).

Pertanto, nel caso in esame, alla luce di tale orientamento, deve ritenersi che non rappresenti vizio censurabile in sede di legittimità l'omesso esame critico di tutte le questione afferenti alle circostanze elencate dalla difesa, essendo desumibile dal complessivo contesto argomentativo la loro inconciliabilità con la ricostruzione offerta dalla Corte di merito.

2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. La difesa reitera doglianze già valutate e correttamente disattese dai giudici di merito con argomentazioni del tutto idonee.

La dinamica e la causa dell'infortunio sono state congruamente accertate in motivazione attraverso un percorso logico non censurabile in questa sede, avendo la Corte di merito richiamato e adeguatamente valutato le emergenze probatorie illustrate in sentenza.

Le censure difensive sono volte a prospettare un'alternativa interpretazione delle risultanze istruttorie, la cui valutazione, come è noto, è preclusa in questa sede.

Si è ritenuto in sentenza, con argomentare logico, che l'infortunio si è verificato in conseguenza del fatto che il macchinario non fosse munito di un sistema di bloccaggio delle staffe o ganci che reggevano il "convogliatore".

Secondo la prospettazione difensiva, invece, il lavoratore non aveva chiuso tutte le staffe, la qualcosa aveva determinato la caduta del convogliatore.

La Corte di merito ha analizzato la censura, osservando, sulla base di argomentazioni che non offrono il fianco a critiche sotto il profilo logico, come tale ipotesi fosse da escludersi (il lavoratore ha dichiarato di ricordare di avere chiuso tutte le staffe ed ha pure precisato che altrimenti la piastra non si sarebbe sollevata in parallelo).

E' principio non controverso che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non sia tenuta a stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè a condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (cfr. Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 06/02/2004, Elia ed altri, Rv. 229369 - 01).

2. Il secondo motivo di ricorso è infondato: il fatto che il macchinario avesse conseguito il marchio CE, per consolidato orientamento di questa Corte, non costituisce causa di esonero da responsabilità per il titolare della posizione di garanzia (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 37060 del 12/06/2008, Vigilardi, Rv. 241020 - 01:"Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità"; Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrini, Rv. 256948 - 01: "In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha affermato la responsabilità del datore di lavoro, in ordine al reato di cui all'art. 590, comma 3, c.p., per avere messo a disposizione del lavoratore un macchinario, specificamente una pressa, privo dei necessari presidi di sicurezza, in conseguenza della non attenta verifica dei requisiti di legge e della mancata valutazione in progress delle carenze del predetto macchinario, anche attraverso una adeguata azione di manutenzione, nella specie effettuata senza carattere di sistematicità)").

3. Infondato è il terzo motivo di ricorso.

Il ricorrente è datore di lavoro dell'infortunato, firmatario del DVR, e non risulta, ha precisato la Corte di merito, che abbia rilasciato una specifica delega in materia di sicurezza.

Le dimensioni dell'azienda con presenza di preposti e dirigenti non rilevano ai fini della esclusione della responsabilità del datore di lavoro.

Si è invero condivisibilmene osservato da parte di questa Corte che "In materia di violazione della normativa antinfortunistica, la sussistenza di una delega di funzioni idonea a mandare esente da responsabilità il datore di lavoro può essere, in effetti, desunta dalle dimensioni della struttura aziendale, ma, a tal fine, si richiede, non solo che si sia in presenza di un'organizzazione altamente complessa in senso proprio, ma anche che esista una comprovata ed appropriata strutturazione della gerarchia delle responsabilità al livello delle posizioni di vertice e di quelle esecutive; a ciò dovendosi comunque aggiungere che tale delega implicita non può esonerare da responsabilità per ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attingono direttamente la sfera di responsabilità dei datore di lavoro" (Sez. 4, n. 12794 del 06/02/2007, P.G. in proc. Chirafisi e altri, Rv. 236279 - 01).

Nel caso di specie la difesa ha fatto riferimento alla presenza di preposti e dirigenti dell'azienda che avrebbero dovuto intervenire per porre rimedio alla criticità. Si tratta, tuttavia, di riferimenti generici, inidonei a rivelare la esistenza, nell'ambito dell'azienda, di una struttura organizzativa nella quale era demandata a specifici soggetti la predisposizione delle misure di prevenzione.

Dal canto suo la Corte di merito ha puntualizzato che, oltre a non risultare alcuna specifica delega in materia di sicurezza, il datore di lavoro era, sulla base delle risultanze istruttorie, molto presente in azienda e, pertanto, in grado di constatare aspetti di criticità nel funzionamento dei macchinari ivi presenti.

4. Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso: i rilievi riguardanti il prospettato comportamento abnorme del lavoratore si fondano su ipotesi congetturali. La mancata negligente chiusura delle staffe ad opera del dipendente, sulla base di quanto logicamente argomentato dalla Corte di merito, è da escludersi. Ne deriva che le considerazioni espresse sul punto dalla difesa hanno natura del tutto ipotetica e tendono a prospettare una non consentita alternativa ricostruzione dei fatti (in argomento si veda, da ultimo Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 11/02/2021, Rv. 280601 - 01:"In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito").

5. La motivazione espressa in tema di mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. è immune da censure.

La norma che si assume violata prevede, quali condizioni per l'esclusione della punibilità (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione), la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due "indici requisiti" delle modalità della condotta e dell'esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p., comma 1, sussista l'indice-criterio della particolare tenuità dell'offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, in motiv.; Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, Derossi, Rv.26544901).

I giudici di merito hanno ritenuto la mancata ricorrenza del requisito della particolare tenuità dell'offesa in considerazione della gravità delle lesioni riportate dal lavoratore, che hanno comportato una malattia della durata di 88 giorni.

Si tratta di argomentazione non meritevole di essere censurata, conforme ai principi stabiliti in questa sede, in base ai quali il giudizio sulla tenuità dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., comma 1, ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 7, ordinanza n. 10481 del 19/01/2022, Rv. 283044 - 01).

6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2023