Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 11 maggio 2023, n. 19938 - Infortunio con la macchina da cucire. Responsabilità di dirigente e preposto


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -

Dott. D’ANDREA Alessandro - Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 21/01/2022 della CORTE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa DAWAN DANIELA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa MANUALI VALENTINA;

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto di entrambi i ricorsi;

udito il difensore;

E' presente l'avvocato CASTRONUOVO VITO del foro di ROMA che deposita nomina a sostituto processuale dell'avv. PADRONI MARIA BIANCA del foro di ROMA difensore della parte civile C.C. unitamente alle conclusioni scritte e alla nota spese alle quali si riporta chiedendo il rigetto dei ricorsi;

E' presente l'avvocato PRINCIPE ARTURO del foro di ROMA in difesa di A.A. e B.B., che chiede l'accoglimento dei ricorsi.

Fatto


1. Con sentenza del 21/01/2022, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A.A. e B.B. in ordine al reato di cui all'art. 40 c.p., art. 590 c.p., commi 1, 2, 3, in relazione all'art. 583 c.p., comma 1, per essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili nei confronti della parte civile, C.C..

2. Avverso la prefata sentenza ricorrono i prevenuti, a mezzo del medesimo difensore e con un unico atto, con cui sollevano i seguenti motivi:

2.1. Vizio di motivazione rispetto al motivo di gravame in cui si era sostenuto che A.A. ed B.B., con la qualifica di operai, sono stati erroneamente ritenuti responsabili in materia di sicurezza del lavoro (D.Lgs. n. 626 del 1994) e, di conseguenza, erroneamente ritenuti responsabili ex art. 2043 c.c. in ordine al risarcimento del danno alla costituita parte civile. In caso di infortunio sul lavoro, si verte in ambito di responsabilità contrattuale proprio in relazione al contratto di lavoro: non si riesce, quindi, a comprendere come da un rapporto di lavoro possa scaturire una responsabilità extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 c.c.. Per essere risarcibile, peraltro, il danno deve avere una misura determinata o determinabile, mentre, nel caso in esame, l'Inail di (Omissis) ha attestato che il danno subito dalla parte civile non era indennizzabile data l'esiguità dello stesso. Si menzionano i soggetti che all'epoca dei fatti erano incaricati di rispettare le norme sulla sicurezza del lavoro. Nè si comprende a che titolo venga richiesto il risarcimento del danno, atteso che la stessa persona offesa, diversamente da quanto affermerà in seguito, ha dichiarato, nell'immediatezza del fatto, di aver tolto lei stessa la protezione. Gli imputati non possono essere considerati responsabili civilmente, tanto che lo stesso c.c.n.l. per gli operai di gruppo B - ai quali predetti appartenevano - non prevedeva alcuna copertura assicurativa per danni verso terzi, previste invece per i quadri di gruppo A e per gli altri dirigenti sovraordinati.

2.2. Vizio di motivazione rispetto allo specifico motivo di gravame con cui si chiedeva l'assoluzione degli imputati per l'omessa considerazione di prove inequivocabili, nonchè dotate del requisito della decisività, che dimostrano essere infondata l'accusa nei loro confronti. Ben dieci testimoni hanno confermato la qualifica di operai degli imputati. Essi hanno altresì affermato che A.A. non ha mai fatto parte della legatoria ove si è verificato l'infortunio, a cui non aveva peraltro accesso. Si riportano passi delle loro deposizioni.

3. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

4. In data 09/01/23 è pervenuta memoria dell'avv. Principe Arturo, difensore degli imputati. Il 27/01/23 sono pervenute memoria, conclusioni e nota spese del difensore della parte civile, avv. Padroni Maria Bianca.

 

Diritto


1. I ricorsi sono inammissibili.

2. Va preliminarmente rilevato che i ricorsi, laddove involgono la responsabilità penale dei ricorrenti - sul piano, peraltro, di una diversa valutazione in punto di fatto del materiale probatorio acquisito (così in particolare, il secondo motivo) - non superano il vaglio di ammissibilità, perchè trascurano di considerare che la sentenza impugnata ha dichiarato l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, con la conseguenza che il procedimento nel merito può derivare solo dall'evidenza dell'innocenza degli imputati, così come richiesta dall'art. 129 c.p.p., comma 2, evidenza che il Giudice di appello ha escluso e che i ricorsi degli imputati non hanno dimostrato, giacchè non contengono deduzioni sulla mancata applicazione dell'art. 129 c.p.p., comma 2. Va ricordato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili, in sede di legittimità, vizi della motivazione della sentenza impugnata, dal momento che il rinvio, da un lato determinerebbe comunque l'obbligo per il giudice di dichiarare immediatamente la prescrizione, dall'altro sarebbe incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento.

3. Tanto premesso e con riguardo alle statuizioni civili, si osserva che il primo motivo è manifestamente infondato, atteso che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi stabiliti dalla sentenza n. 182/2021 della Corte Costituzionale ed è pervenuta alle proprie conclusioni sul danno risarcibile sulla base di una motivazione diffusa e congrua.

Spogliatosi della cognizione sulla responsabilità penale degli imputati in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione, la Corte territoriale ha dato atto di provvedere, ai sensi dell'art. 578 c.p.p., sull'impugnazione ai soli effetti civili, sulla base di un accertamento che impinge unicamente sugli elementi costitutivi dell'illecito civile, senza riconoscere, neppure incidenter tantum, la responsabilità degli imputati per il reato estinto. All'uopo, ha esattamente ritenuto integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano di cui all'art. 2043 c.c., secondo l'insegnamento della stessa Corte Costituzionale nella pronuncia, pure richiamata dai ricorrenti. Invero, il giudice dell'impugnazione è chiamato a valutare gli effetti giuridici del fatto per cui è processo, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all'imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma se quella condotta sia stata idonea a provocare un "danno ingiusto" secondo l'art. 2043 c.c., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno. L'illecito civile, derivante da un fattispecie penale (art. 185 c.p.), pur fondandosi sull'elemento materiale e psicologico del reato, risponde tuttavia a diverse finalità e richiama un distinto regime probatorio. L'esigenza di rispetto della presunzione di innocenza dell'imputato non preclude al giudice penale dell'impugnazione di effettuare tale accertamento onde liquidare anche il danno non patrimoniale di cui all'art. 185 c.p.. La natura civilistica dell'accertamento richiesto dalla disposizione censurata al giudice penale dell'impugnazione, differenziato dall'(ormai precluso) accertamento della responsabilità penale quanto alle pretese risarcitorie e restitutorie della parte civile, emerge riguardo sia al nesso causale, sia all'elemento soggettivo dell'illecito.

Il giudice, in particolare, non accerta la causalità penalistica che lega la condotta (azione od omissione) all'evento in base alla regola dell'"alto grado di probabilità logica" (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese). Per l'illecito civile vale, invece, il criterio del "più probabile che non" o della "probabilità prevalente" che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria (in tal senso è la giurisprudenza a partire dalle Sezioni Unite civili, con le sentenze 11 gennaio 2008, n. 576, n. 581, n. 582 e n. 584). L'autonomia dell'accertamento dell'illecito civile non è revocata in dubbio dalla circostanza che esso si svolga dinanzi al giudice penale e sia condotto applicando le regole processuali e probatorie del processo penale (art. 573 c.p.p.).

La Corte Costituzionale, nella menzionata sentenza, afferma che l'applicazione dello statuto della prova penale è piena e concerne sia i mezzi di prova (sarà così ammissibile e utilizzabile, ad esempio, la testimonianza della persona offesa che nel processo civile sarebbe interdetta dall'art. 246 c.p.c.), sia le modalità di assunzione della prova (le prove costituende saranno così assunte per cross examination ex art. 499 c.p.p. e non per interrogatorio diretto del giudice), le quali ricalcheranno pedissequamente quelle da osservare nell'accertamento della responsabilità penale: ove ne ricorrano i presupposti, dunque, il giudice dell'appello penale, rilevata l'estinzione del reato, potrà - o talora dovrà (cfr. Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini Claudio) - procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale al fine di decidere sull'impugnazione ai soli effetti civili (art. 603 c.p.p., comma 3-bis).

2.1. In conformità a queste premesse, la sentenza impugnata ha affermato che l'ipotesi fattuale contestata al capo E) dell'imputazione deve senz'altro ritenersi più probabile di ogni altra ipotesi, in particolare della contraria ipotesi sostenuta nell'atto di appello, ove si contestava la sussistenza in capo agli appellanti di ogni dovere e/o obbligo. La Corte territoriale ha infatti ricordato come, all'esito delle testimonianze raccolte e della documentazione acquisita, "non possano non essere ricondotte ai predetti appellanti quelle posizioni di garanzia individuate dal legislatore in materia di sicurezza sul lavoro e precisamente quella di A.A. quale dirigente team leader B1 del reparto legatoria, e quella di B.B., quale preposto team leader B 2 del suddetto reparto...". Ha altresì ricordato che la persona offesa era addetta, in assenza di una preventiva ed adeguata informazione ed istruzione sul corretto utilizzo della stessa, ad una macchina cucitrice che si trovava nel reparto di cui A.A. era il dirigente dell'area allestimento, mentre B.B. era il preposto al controllo dell'attività lavorativa dell'operaia, e che entrambi consentivano all'infortunata l'utilizzo di una cucitrice priva dello schermo proteggi mani.

Ha, infine, sostenuto che se fosse stata fornita una corretta informazione sui rischi di una macchina utilizzata per lavori straordinari, se si fosse mantenuto lo schermo salva mani e se si fosse controllata la presenza del suddetto strumento di protezione da parte della lavoratrice, quest'ultima non avrebbe subito la tranciatura della prima falange del quarto dito della mano destra, con lesioni di durata superiore ai giorni 40. E, dunque, continua la Corte di appello la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità fisica della lavoratrice in ossequio agli artt. 2087 e 2049 c.c., "hanno certamente generato nei confronti della stessa un danno risarcibile ex art. 2043 c.c.", la cui liquidazione è stata rimessa dal primo giudice al Tribunale civile.

4. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile C.C. in questo giudizio di legittimità, che sono liquidati in Euro 3000,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile C.C. in questo giudizio di legittimità che liquida in Euro 3000,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2023