Categoria: Cassazione penale
Visite: 22645

 

 


Responsabilità di un datore di lavoro e di un coordinatore per l'esecuzione dei lavori per la caduta letale di un lavoratore.
Quest'ultimo doveva inchiodare una tavola alla carpenteria di un pilastro ed al solaio, prima del getto del calcestruzzo; per far ciò si spingeva fuori dal solaio stesso e poggiava i piedi su due tondini in ferro che sporgevano dal calcestruzzo. In quel frangente, mentre era intento ad inchiodare, perdeva l'equilibrio e cadeva in terra riportando lesioni letali.

Condannati in primo e secondo grado, ricorrono in Cassazione -  Rigetto.

Quanto alla posizione del primo imputato, la Corte osserva che costui era socio, insieme a C.A., della ditta C. che eseguiva i lavori in appalto commissionati da Pa.Fr..
Non si può certo parlare, continua la Corte, "di comportamento del lavoratore abnorme ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo. Al contrario, tale attività rientrava nelle sue normali mansioni. Il lavoratore era costretto, per eseguire il compito demandatogli a sporgersi al di fuori del solaio in costruzione; e sarebbe stato sufficiente, per evitare il sinistro, dotarlo di cinture di sicurezza ancorate a postazione fissa." Più complessa la questione afferente alla portata della posizione di garanzia assunta dal dal secondo imputato.

La Corte territoriale osserva che è provato che costui rivestiva la qualifica di coordinatore per l'esecuzione delle opere nominato dal committente Pa.; ed era quindi gravato da posizione di garanzia ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5.

"In tale situazione, questa Corte reputa che sia corretto ritenere che l'obbligo di vigilanza demandato al P. ai sensi del D.P.R. n. 494 del 1996, art. 5 implicasse il controllo sulla presenza in cantiere delle cinture di sicurezza e sulla previsione della loro utilizzazione nel rischioso, non occasionale frangente già descritto. Ne discende che neppure assume decisivo rilievo, ai fini della decisione, stabilire se il coordinatore si sia limitato ai suoi compiti tipici o si sia invece ingerito nei ruoli demandati alle figure dei garanti operanti nell'ambito dell'impresa appaltatrice. Invero, conclusivamente, l'obbligo di generale vigilanza sull'attività del cantiere avrebbe imposto di accertare che la tipica pericolosa operazione d'inchiodatura nel vuoto, fosse cautelata con la predisposizione di cinture o con impalcature supplementari."


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO  Francesco -  Presidente   -

Dott. BIANCHI  Luisa -  Consigliere  -

Dott. IZZO     Fausto -  Consigliere  -

Dott. MASSAFRA Umberto -  Consigliere  -

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco -  rel. Consigliere  -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1)         C.D. N. IL (OMISSIS); imputato;

2)         P.A. N. IL (OMISSIS); imputato;

avverso  la  sentenza  n.  881/2006  CORTE  APPELLO  di  LECCE,   del  15/01/2009;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 21/04/2010 la  relazione  fatta  dal Consigliere Dott. BLAIOTTA Rocco Marco;

Udito  il  Procuratore Generale in persona del Dott. DE  SANDRO  Anna Maria che ha concluso per il rigetto;

Udito  il  difensore  Avv.  Maranella e  Farina,  che  hanno  chiesto l'accoglimento dei ricorsi.

Fatto Diritto

 

 

1. Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, ha affermato la responsabilità degli imputati in epigrafe in ordine al reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro in danno di A.O. e li ha altresì condannati al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili.

 

La pronunzia è stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Lecce che, nei confronti del solo P., ha ritenuto la prevalenza delle già concesse attenuanti generiche ed ha conseguentemente ridotto la pena.

Il fatto è stato ricostruito nei seguenti termini.

Era in corso la realizzazione del solaio di un edificio in costruzione, posto a circa tre metri dal piano terra.

Il lavoratore A. doveva inchiodare una tavola alla carpenteria di un pilastro ed al solaio, prima del getto del calcestruzzo.

Per far ciò si spingeva fuori dal solaio stesso e poggiava i piedi su due tondini in ferro che sporgevano dal calcestruzzo. In quel frangente, mentre era intento ad inchiodare, perdeva l'equilibrio e cadeva in terra riportando lesioni letali.

Secondo i giudici di merito si è accertato che il lavoratore non era munito di cinture di sicurezza e che esse non erano neppure disponibili nel cantiere; e che inoltre non erano state allestite adeguate impalcature.

L' A. era dipendente della ditta C. di cui erano soci C.A. e C.D., che eseguiva appalto conferito da Pa.Fr.; mentre il P. era coordinatore per l'esecuzione delle opere per conto del committente.

 

2. Ricorrono per cassazione ambedue gli imputati.

 

2.1 C. prospetta cinque motivi.

 

2.1.1 Con il primo si lamenta che erroneamente è stata ritenuta l'esistenza del nesso causale tra la condotta attribuita al ricorrente e l'evento letale; mentre nel caso di specie esso è dovuto al comportamento del tutto eccezionale, incongruo ed esorbitante del lavoratore che, conseguentemente, interrompe il nesso causale, come ritenuto ripetutamente dalla giurisprudenza di legittimità.

 

2.1.2 Con il secondo motivo si deduce che la Corte di merito ha fatto cattivo governo della prova. I testi escussi hanno confermato l'esistenza di un parapetto in legno confinante con il solaio e che il lavoratore ha aggirato le protezioni esistenti solo al fine di procedere più celermente, così ponendo in essere un comportamento abnorme nel processo lavorativo.

 

2.1.3 Con il terzo motivo si deduce violazione dell'art. 192 c.p.p. atteso che la pronunzia reca una valutazione del fatto incompleta ed approssimativa.

 

2.1.4 Con il quarto motivo si lamenta che la Corte ha erroneamente escluso la prevalenza delle attenuanti generiche trascurando le gravi patologie da cui l'imputato è affetto; ed omettendo di considerare, altresì, che reale responsabile dell'azienda era il G. A., unico soggetto munito di pieni poteri; tanto che ha ritenuto di patteggiare la pena.

 

2.1.5 Con l'ultimo motivo si prospetta la carenza di motivazione in ordine alla concessa provvisionale. La pronunzia, tra l'altro, omette di considerare che le parti civili percepiscono congrue pensioni che escludono l'esistenza di uno stato di bisogno.

 

2.2 P. prospetta quattro motivi.

 

2.2.1 Con il primo motivo di deduce l'erroneità del giudizio causale.

Si trascura che la vittima ha tenuto comportamento del tutto eccezionale, incongruo ed esorbitante che interrompe il nesso causale.

Si evidenzia che la scelta del lavoratore di poggiare tutto il suo peso su due sottili tondini in ferro costituisci condotta arbitraria ed erronea, in violazione delle più elementari nozioni di sicurezza. Il lavoratore, d'altra parte, avrebbe avuto la possibilità di eseguire l'operazione demandatagli in maniera diversa e più sicura. Piuttosto che fare l'acrobata, superare la barriera di protezione e reggersi sul vuoto appoggiato a due tondini, egli avrebbe potuto eseguire l'operazione dall'interno dell'impalcatura all'uopo predisposta.

 

2.2.2 Con il secondo motivo si prospetta che la lavorazione in corso non richiedeva l'uso di cinture di sicurezza, poichè essa avveniva in piano; e, in relazione al rischio di caduta, era stata predisposto apposito parapetto, in conformità alla normativa antinfortunistica.

Oltre a ciò, si assume che, ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori non ha alcun obbligo di controllare se gli operai dell'impresa appaltatrice indossino le cinture di sicurezza.
Tale obbligo grava sui responsabili dell'impresa esecutrice. Il coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha il potere di intervenire solo in presenza di un pericolo grave ed imminente, che nella specie non si configurava. Erroneamente si attribuisce all'imputato la responsabilità dell'evento per effetto della sua ingerenza nel processo lavorativo.

 

2.2.3 Con il terzo motivo si lamenta la mancanza di motivazione in ordine al motivo di appello col quale si era dedotto che la lavorazione in atto non richiedeva l'uso di cinture di sicurezza, ai sensi del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 10.

La Corte, pur avendo ritenuto che la condotta causale sìa stata proprio quella di non aver imposto l'uso delle cinture, ha completamente taciuto sull'indicato motivo d'appello.

 

2.2.4 Con l'ultimo motivo si espone che era stata dedotta in appello la diversità del fatto ritenuto dal primo giudice rispetto a quello contestato. Infatti, si assume, la responsabilità è stata fondata su una posizione di garanzia assunta per ingerenza, diversa da quella contestata.

A fronte di tale deduzione, la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto l'esistenza di un nucleo comune tra l'addebito di aver violato i doveri connessi al ruolo di coordinatore per l'esecuzione delle opere; e quello ritenuto in sentenza, connesso all'assunta ingerenza. Tale nuclei comune, si assume, non si configura per nulla, essendosi in presenza di contestazioni radicalmente distinte.

 

3. I ricorsi sono infondati.

 

3.1.1 Quanto alla posizione del C. la Corte territoriale evidenzia che costui era socio, insieme a C.A., della ditta C. che eseguiva i lavori in appalto commissionati da Pa.Fr..

La Corte esclude che l'imputato versasse, a causa di infermità, nella condizione di non potersi occupare dell'attività d'impresa.

Al contrario, si afferma, diversi testi hanno riferito che egli si recava presso il cantiere e dava disposizioni in ordine alle lavorazioni.

Di qui l'obbligo di garantire la sicurezza della lavorazione stessa che fonda la responsabilità in ordine all'evento.

Si tratta di motivato apprezzamento in fatto sul ruolo attivo dell'imputato nella concreta gestione, quale datore di lavoro, del rischio di cantiere; sicchè le censure al riguardo sono prive di pregio.

 

3.1.2 Per ciò che attiene ai primi tre motivi proposti dallo stesso C., la pronunzia è immune da censure quando esclude che il lavoratore abbia tenuto un comportamento impudente ed abnorme, tale da interrompere il nesso causale.

La Corte spiega diffusamente che il lavoratore doveva inchiodare delle tavole (i cosiddetti saettoni) sul lato verso il vuoto della carpenteria dei pilastri in costruzione; e non poteva fare tale lavoro stando dall'altra parte degli stessi pilastri, cioè restando sul solaio in costruzione, munito di parapetti.

In tale ultima posizione egli non avrebbe potuto neppure vedere i chiodi da ribattere dalla parte opposta del pilastro.

In conseguenza, non si può parlare di comportamento del lavoratore abnorme ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo. Al contrario, tale attività rientrava nelle sue normali mansioni. Il lavoratore era costretto, per eseguire il compito demandatogli a sporgersi al di fuori del solaio in costruzione; e sarebbe stato sufficiente, per evitare il sinistro, dotarlo di cinture di sicurezza ancorate a postazione fissa.

Tale ponderazione è riccamente argomentata in fatto e conforme ai più consolidati principi nella materia: il lavoratore eseguiva la prestazione demandatagli e dunque, non teneva un comportamento abnorme o comunque estraneo alla sfera della lavorazione in corso.

Tale compiuta valutazione svuota altresì le deduzioni difensive che apoditticamente assumono l'incompiutezza ed approssimatività della motivazione.

 

3.1.3 Quanto alla ponderazione delle circostanze, la pronunzia impugnata reca un argomentato giudizio che non può essere posto in discussione nella presente sede di legittimità: viene confermato il giudizio di equivalenza, attesa la gravità della colpa consistita nel mancato apprestamento delle cinture.

La Corte, d'altra parte, come si è sopra esposto, ha confutato in fatto la tesi difensiva in ordine all'esistenza di una patologia in atto tale da impedire l'esercizio dei compiti connessi al ruolo di garante quale datore di lavoro.

 

3.1.4 Per ciò che riguarda la provvisionale, la Corte rileva che la liquidazione relativa non richiede che l'entità del danno sia compiutamente determinata, ma è sufficiente la certezza dello stesso sino all'ammontare della somma determinata.

Nel caso in esame si considera che, considerando le possibilità di guadagno della vittima e soprattutto il danno morale costituito dalla sofferenza per la morte del congiunto, la provvisionale liquidata deve ritenersi contenuta ampiamente entro l'ammontare complessivo che sarà liquidato in via definitiva.

Tale apprezzamento è senza dubbio conforme ai principi e congruamente motivato in fatto; sicchè non può essere sindacato nella presente sede di legittimità.

 

3.2.1 Quanto al primo motivo prospettato da P. è sufficiente richiamare le argomentazioni esposte sub  3.1.2 a proposito di analoga censura avanzata dal C..

 

3.2.2 Pure prive di pregio sono le deduzioni che, sotto diverse angolature, censurano l'affermazione secondo cui la lavorazione in corso richiedeva l'uso di cinture di sicurezza.

La Corte, come è stato già sopra accennato, spiega diffusamente che la lavorazione della carpenteria non consentiva all' A. di restare sulla pavimentazione lignea ma gli imponeva di sporgersi nel vuoto per inchiodare le assi ai pilastri.
Tale distinta operazione, con tutta evidenza, richiedeva cautele supplementari da attuare con l'uso delle cinture o altre misure equivalenti, idonee a prevenire la caduta.

3.2.3 Più complessa la questione afferente alla portata della posizione di garanzia assunta dal P..

La Corte territoriale osserva che è provato che costui rivestiva la qualifica di coordinatore per l'esecuzione delle opere nominato dal committente Pa.; ed era quindi gravato da posizione di garanzia ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5.

Egli, peraltro, non si limitò a svolgere le funzioni proprie del coordinatore per la sicurezza, ma era presente quotidianamente nel cantiere per dare disposizioni in ordine alle opere di protezione da eseguire: si tratta di una circostanza che lo stesso imputato ha riferito ed illustrato.

Egli non poteva, quindi, non aver notato che per montare le tavole poste trasversalmente ai pilastri il lavoratore avrebbe dovuto necessariamente porsi sul lato esterno del pilastro; ed avrebbe dovuto pretendere l'uso delle cinture di sicurezza, essendosi evidentemente arrogato il compito di presiedere all'attuazione delle misure di sicurezza.

L'obbligo in questione non si esauriva nel dare indicazioni, ma richiedeva anche un continuo controllo.

In tale valutazione la Corte d'appello non scorge una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza; posto che la contestazione non riguardava solo la violazione del richiamato art. 5, ma anche la colpa generica, costituita cioè da negligenza, imprudenza ed imperizia.

L'imputato, d'altra parte, si è difeso dall'accusa specifica, tanto che ha riferito circostanze afferenti proprio al suo ruolo nelle lavorazioni in corso.

Il gravame pone in discussione la natura degli obblighi gravanti sulla figura del coordinatore per l'esecuzione.
Si tratta di tema cui questa Corte ha di recente prestato particolare attenzione (da ultimo Cass. 4, 20 novembre 2009 Fumagalli + 1; Cass. 4, 4 marzo 2008, rv. 240393), nella consapevolezza che un personalizzato, equo giudizio d'imputazione può essere fondato solo sulla precisa delineazione delle numerose posizioni di garanzia individuate dal sistema della sicurezza del lavoro. Tale opera definitoria costituisce lo strumento per evitare la proliferazione delle imputazioni, che in qualche caso finisce con l'obliterare non trascurabili differenze di ruoli e di sfere di responsabilità.

Si richiede, dunque, un preliminare chiarimento di carattere generale, alla luce del D.Lgs. n. 494 del 1996; con la precisazione che la normativa di settore è stata trasposta in termini coincidenti nel Testo unico per la sicurezza del lavoro di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.

La disciplina è stata parzialmente innovata dal D.Lgs. 3 agosto 2009 n. 106 che, tuttavia, ha mantenuto l'impostazione del sistema prevenzionistico nella materia in questione, pur manifestando la tendenza a limitare e separare le sfere di responsabilità dei diversi soggetti. Le considerazioni che seguono si riferiscono, dunque, alla situazione normativa esistente al momento del fatto.

Il D.Lgs. n. 626 del 1994 contiene il nucleo centrale ed i principi guida della disciplina della sicurezza del lavoro.
Tuttavia ad esso si affiancano discipline di settore, che in parte derogano o integrano quel nucleo del sistema.
Una delle discipline di settore è costituita dal D.Lgs. n. 494 del 1996, relativo ai cantieri temporanei o mobili.
Tale corpo normativo reca disposizioni riferite a figure tradizionali del sistema, come il datore di lavoro delle imprese esecutrici dell'opera (artt. 8, 9 e 20), il dirigente ed il preposto (artt. 8 e 20). Il dato di maggior rilievo è tuttavia costituito dalla individuazione di ulteriori figure di garanti: il committente, il responsabile dei lavori, il coordinatore per la progettazione, il coordinatore per l'esecuzione.

Il committente è definito (art. 2) come il soggetto per conto del quale l'intera opera viene realizzata. L'individuazione di tale peculiare figura è coerente con la complessiva configurazione del sistema di protezione di cui si parla, che tende a connettere la sfera di responsabilità con il ruolo esercitato da alcune figure che tipicamente intervengono nell'ambito delle attività lavorative.

Normalmente la figura di vertice della sicurezza è costituita dal datore di lavoro che, come è noto, è individuato non solo nel titolare del rapporto di lavoro, ma anche nel soggetto che ha la responsabilità dell'impresa, ed è quindi chiamato a compiere le più importanti scelte di carattere economico, gestionale ed organizzativo e ne porta le connesse responsabilità.

E' quindi razionale che nel diverso contesto dell'attività cantieristica di cui si parla emerga anche la figura del committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta, finanzia l'opera. Tale ruolo giustifica l'attribuzione di una sfera di responsabilità per ciò che riguarda la sicurezza; e la conseguente assegnazione del ruolo di garante. La Legge, infatti, gli attribuisce obblighi sia nella fase progettuale che in quella esecutiva, destinati ad interagire e ad integrarsi con quelli delle altre figure di garanti legali.

La normativa, peraltro, prevede ragionevolmente la possibilità che il committente non possa o non voglia gestire in proprio tale ruolo.

E' quindi possibile che egli designi il responsabile dei lavori che viene definito (art. 2) come il soggetto che può essere incaricato dal committente ai fini della progettazione, dell'esecuzione o del controllo dell'esecuzione dell'opera.

L'intreccio tra il richiamato art. 2 e l'art. 6 relativo alla sfera di responsabilità del committente rende chiaro che l'incarico al responsabile dei lavori può assumere diverse configurazioni: può riguardare in tutto o in parte la fase progettuale, quella esecutiva o quella di vigilanza. L'esonero da responsabilità del committente è commisurato alla sfera dell'incarico conferito.

Il Decreto n. 494 coglie due momenti afferenti alle opere di cui si discute: quello progettuale e quello esecutivo. Ciascuno di tali ambiti implica conoscenze tecniche elevate.

E' quindi naturale che il committente, o il responsabile dei lavori in sua vece, si avvalga della cooperazione di soggetti qualificati, che sono espressamente individuati dall'art. 2: si tratta delle figure del coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell'opera (denominato coordinatore per la progettazione) e del coordinatore in materia di sicurezza e salute durante la realizzazione dell'opera (denominato coordinatore per l'esecuzione dei lavori).

Tali figure professionali devono essere dotate di particolari requisiti (art. 10) ed assolvono compiti delicati, come redigere il piano di sicurezza e di coordinamento ed il fascicolo delle informazioni per la prevenzione e la protezione dai rischi (art. 4); coordinare e controllare l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza redatto dal datore di lavoro dell'impresa esecutrice; organizzare la cooperazione ed il coordinamento delle attività all'interno del cantiere; infine segnalare al committente o al responsabile dei lavori le inosservanze delle disposizioni di legge riferite ai datori di lavoro o ai lavoratori autonomi, previa contestazione scritta alle imprese ed ai lavoratori autonomi interessati (art. 5).

La presenza dei due coordinatori di cui si parla è obbligatoria nei cantieri con più imprese di maggiori dimensioni o con rischi più elevati (art. 3).

Il committente o il responsabile dei lavori possono assumere su di sè le funzioni di coordinatore per la progettazione o per l'esecuzione dei lavori, purchè in possesso dei requisiti professionali previsti dalla legge (art. 3).

La designazione delle indicate figure di coordinatore può esonerare da responsabilità il committente o il responsabile dei lavori, tranne che per ciò che riguarda la redazione del piano di sicurezza e del fascicolo per la protezione dai rischi cui si è già fatto cenno; nonchè per ciò che attiene alla vigilanza sul corretto svolgimento dell'attività di coordinamento e controllo circa l'osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento (art. 6).

Se ne inferisce che il committente, o il responsabile dei lavori in sua vece, ha un peculiare ruolo in tema di alta vigilanza sulla sicurezza del cantiere, che può essere delegato ai coordinatori per la sicurezza, con le limitazioni che si sono accennate.

 

Tale impostazione della disciplina rende dunque chiaro che, per ciò che attiene alla sicurezza, il committente (insieme ai suoi delegati) si trova in un ruolo critico-dialettico nei confronti del datore di lavoro dell'impresa esecutrice che, naturalmente, è a sua volta portatore di plurimi obblighi in tema di sicurezza.

Ciò giustifica il tenore dell'art. 2, lett. f) che, nel definire la figura del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, dispone che si tratti di soggetto diverso dal datore di lavoro dell'impresa esecutrice.

E' infatti naturale che venga esclusa la possibilità che soggetto controllante e soggetto controllato si identifichino.

Alle figure cui si è sin qui fatto cenno si aggiungono le figure tradizionali del sistema prevenzionistico e quindi il soggetto che riveste la qualità di datore di lavoro nell'ambito dell'impresa esecutrice delle opere; il dirigente; il preposto.

Di particolare rilievo il D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 8 e 9 che recano disciplina assai dettagliata che, coerentemente con la complessiva configurazione del sistema, attribuisce al datore di lavoro una responsabilità primaria per ciò che attiene alla sicurezza degli aspetti operativi dell'attività che si svolge nel cantiere.

A tale fine egli redige il piano operativo di sicurezza ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4; documento distinto rispetto al piano di sicurezza e coordinamento di cui si è sopra parlato.

In tale complesso contesto, che vede l'interazione tra diversi soggetti, il D.Lgs. n. 494 del 1996 presta (prestava) speciale attenzione alle situazioni nelle quali si configura la presenza, nel medesimo cantiere, di più imprese.

Esso prevede, in alcuni casi, la presenza già nella fase progettuale, della figura del coordinatore per la progettazione.

Analogamente, sempre nel caso di compresenza di più imprese, nella fase esecutiva è prevista la figura del coordinatore per l'esecuzione dei lavori. In breve, il legislatore ha mostrato particolare consapevolezza dei rischi derivanti dall'azione congiunta di diverse organizzazioni e ne ha disciplinato la prevenzione, imponendo un penetrante reciproco obbligo di tutti i soggetti coinvolti di coordinarsi e di interagire con gli altri in modo attento e consapevole, affinchè risulti sempre garantita la sicurezza delle lavorazioni.

Tali premesse di carattere generale consentono di esaminare le specifiche deduzioni difensive.

Senza dubbio, il ruolo centrale per ciò che attiene alla sicurezza nell'ambito di cui si discute è affidato al datore di lavoro che organizza e gestisce la realizzazione dell'opera. Egli, come si è accennato, è gravato da plurimi, tipici obblighi che la Legge specifica adeguatamente.

Per ciò che riguarda il coordinatore per l'esecuzione, atteso l'indicato ruolo di collaboratore del committente cha caratterizza tale figura, la lettura della specifica sfera di gestione del rischio demandatagli discende per un verso dalla funzione di generale, alta vigilanza che la legge demanda al committente; e per l'altro dalla disciplina di cui al più volte evocato D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5.

Tale disciplina conferma che la funzione di vigilanza è "alta" e non si confonde con quella operativa demandata al datore di lavoro ed alla figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente ed il preposto. Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato: contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazioni dei loro doveri "tipici", e di quelle afferenti all'inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento; indi segnalazione al committente delle irregolarità riscontrate.

Solo in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato è consentita la immediata sospensione dei lavori.

Appare dunque chiara la rimarcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro delle imprese esecutrici: un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto).

Alla luce di tali principi, per comprendere se l'evento illecito coinvolga la responsabilità del coordinatore P., occorre analizzare le caratteristiche del rischio dal quale è scaturita la caduta.

Occorre cioè comprendere se si tratti di un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto; o se invece l'evento stesso sia riconducibile alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione: in tale ambito al coordinatore è affidato il formalizzato, generale dovere di alta vigilanza di cui si è ripetutamente detto: dovere che non implica, normalmente, la continua presenza nel cantiere con ruolo di controllo sulle contingenti lavorazioni in atto.

Orbene, la Corte d'appello dedica una diffusa analisi in fatto (che non può essere sindacata nella presente sede di legittimità) al rischio da cui è scaturito l'infortunio: si evidenzia, come si è già accennato, che il montaggio dei saettoni lignei nella carpenteria dei pilastri costituiva attività tipica, che implicava la proiezione del lavoratore nel vuoto ed andava quindi cautelata contro il rischio di caduta, se non altro attraverso l'uso delle cinture di sicurezza, come previsto in via generale dallo stesso piano di sicurezza e coordinamento.

In tale situazione, questa Corte reputa che sia corretto ritenere che l'obbligo di vigilanza demandato al P. ai sensi del D.P.R. n. 494 del 1996, art. 5 implicasse il controllo sulla presenza in cantiere delle cinture di sicurezza e sulla previsione della loro utilizzazione nel rischioso, non occasionale frangente già descritto. Ne discende che neppure assume decisivo rilievo, ai fini della decisione, stabilire se il coordinatore si sia limitato ai suoi compiti tipici o si sia invece ingerito nei ruoli demandati alle figure dei garanti operanti nell'ambito dell'impresa appaltatrice. Invero, conclusivamente, l'obbligo di generale vigilanza sull'attività del cantiere avrebbe imposto di accertare che la tipica pericolosa operazione d'inchiodatura nel vuoto, fosse cautelata con la predisposizione di cinture o con impalcature supplementari.

 

3.2.4. Infine, è priva di pregio la censura inerente alla supposta diversità del fatto, che di certo non si configura quando, come nel caso in esame, venga semplicemente discussa e ridefinita la portata dell'addebito colposo, pur sempre afferente alla violazione dei doveri cautelari nascenti dal ruolo di coordinatore per la sicurezza ed analiticamente indicati già nell'originaria imputazione.

I gravami devono essere quindi rigettati.

Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2010