Categoria: Cassazione penale
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REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione III Penale


composta dagli Ill.mi signori Magistrati:

dott. Guido De Maio
1. dott. Agostino Cordova
2. dott. Mario Gentile
3. dott. Giovanni Amoroso
4. dott. Giulio Sarno

Presidente

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da C.M., n.***; A.F., n.***; M.M., n. ***;
avverso la sentenza del 17.7.2009 del tribunale di Ascoli Piceno, sez. dist. San Benedetto del Tronto;
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. Guglielmo Passacantando che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito l'avv. Lamberto Giusti per i ricorrenti che ha concluso per l'accoglimento del ricorso:

La Corte osserva:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. In forza al decreto di citazione diretta emesso dal competente P.M. in data 18.6.2007 A.F., C.M. e M.M. venivano rinviati in giudizio per rispondere del reato p. e p. dagli artt. 29, comma 1° e 18, comma 5 bis, d.lgs 276 del 2003 perché stipulavano un contratto di appalto privo dei requisiti previsti dalla normativa di cui al decreto citato; in particolare per aver fornito n. 10 lavoratori della ditta "B.C."alla ditta "T.", presso il deposito "S." di Centobuchi di Monteprandone, senza dotarli di attrezzature necessarie allo svolgimento dell’appalto, ad assumere il rischio d’impresa, ovvero ad esercitare sugli stessi lavoratori il potere direttivo ed organizzativo che è requisito di validità necessario del contratto di appalto (in Monteprandone dal settembre 2004 al maggio 2006).

Nel corso dell’istruttoria dibattimentale venivano sentiti i testimoni richiesti dall’accusa e dalla difesa con i rispettivi controesami, nonché gli imputati che accettavano di sottoporsi ad interrogatorio e si acquisiva documentazione relativa ai fatti contestati.

All’esito le parti discutevano precisando le rispettive conclusioni come da verbale e la causa era decisa dal tribunale che con sentenza del 17.7.2009 dichiarava non doversi procedere nei confronti di A.F., C.M. e M.M. in ordine al reato loro ascritto relativamente alla condotta intervenuta dal settembre 2004 sino all’8.12.2005, per essere la stessa estinta per intervenuta prescrizione, dichiara invece A.F., C.M. e M.M. colpevoli del reato loro ascritto relativamente al periodo che andava dal 9.12.2005 al 31.5.2006 e per l’effetto li condannava, riconosciute le attenuanti generiche, alla pena di 46.000,00 euro di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa alle condizioni di legge.

2. Avverso questa pronuncia i tre imputati propongono distinti ricorsi per cassazione con sei motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la difesa dei ricorrenti deduce la nullità dell’impugnata sentenza per difetto di condizione di procedibilità.

Sostiene in particolare la difesa dei ricorrenti - citando a sostegno della sua tesi un precedente di questa Corte (Cass., sez. III, 6 giugno 2007-17 settembre 2007, n. 34900) - che l’omessa fissazione, da parte dell’organo di vigilanza, di un termine per la regolarizzazione, come previsto dall’art. 20, primo comma, d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, applicabile ex art. 15 d.lgs 23 aprile 2004 n. 124, comporta l’improcedibilità dell’azione penale, dovendo escludersi che alla suddetta omissione possa sopperirsi mediante la concessione di un termine da parte del giudice.

2. Il motivo di ricorso è infondato.

La tesi sostenuta dalla difesa dei ricorrenti, che trova effettivamente conforto nel citato precedente di questa Corte, è formulata in termini radicali, nel senso che, ove si sia mancata la prescrizione di regolarizzazione da parte dell'organo di vigilanza con l’assegnazione al trasgressore di un termine per adempiere, l’azione penale è improcedibile ed è definitivamente tale perché neppure il giudice può porvi rimedio, come invece ritenuto da Cass., sez. III, 20 gennaio 2006 - 17 febbraio 2006, n. 6331: precedente questo rispetto al quale Cass., sez. III, 6 giugno 2007 - 17 settembre 2004, n. 34900, cit., si pone in dichiarato contrasto, invece che legittimamente il giudice di merito dichiari non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilità costituita dal previo espletamento della procedura di prescrizione della regolarizzazione.

L’improcedibilità quindi - sostiene la difesa dei ricorrenti - sussiste e non è emendabile; ciò - può subito osservarsi - con la grave conseguenza che in tutti i casi in cui nessuna prescrizione di regolarizzazione possa essere data dall’organo di vigilanza (l’ipotesi più evidente è quella del datore di lavoro che non sia più tale per cessazione dell’azienda) vi sarebbe una situazione di “blocco”, in termini di non emendabile improcedibilità dell’azione penale; sicché si prefigurerebbe in sostanza una situazione di irrimediabile paralisi dell’azione penale con il conseguente non manifesto dubbio di legittimità costituzionale di un tale assetto normativo per violazione dell’art. 112 Cost. che sancisce l’obbligatorietà dell’azione penale.

La delicata questione di diritto così posta, in un contesto giurisprudenziale che vede il sostanziale contrasto dei due citati precedenti, richiede una rimeditazione del complessivo quadro normativo di riferimento.

2.1. Per le contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda il legislatore ha previsto - agli artt. 19-24 d.lgs. 19 dicembre 1994 n. 758 (in tema di disciplina sanzionatoria in materia di lavoro) - un particolare procedimento ad opera dell’organo di vigilanza, quale attività di polizia giudiziaria (art. 55 c.p.p.), che precede quello penale ovvero si innesta in esso come una parentesi incidentale che comporta la sospensione del procedimento penale stesso: ciò al fine di perseguire una specifica conformazione alle prescrizioni antinfortunistiche impartite dall’organo di vigilanza conformazione alle prescrizioni antinfortunistiche impartite dall’organo di vigilanza a chi le abbia violate il quale, ove adempia a tali prescrizioni, beneficia di una particolare misura premiale consistente nell’oblazione in via amministrativa (pagamento di una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa) in misura più favorevole di quella dell’oblazione prevista in generale per le contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda (art. 162 c.p.: terza parte del massimo della pena dell’ammenda) o per le contravvenzioni punite con pena alternativa (art. 162 bis c.p.: metà del massimo della pena dell’ammenda).

Ed infatti l’organo di vigilanza, nel comunicare al P.M. la notizia di reato, impartisce (o meglio - come si viene ora a precisare - può impartire) al contravventore un’apposita prescrizione per eliminare l'infrazione accertata e, verificata la conformazione ad essa, ammette il contravventore all’oblazione in sede amministrativa mediante il pagamento di un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

Se però la notizia della contravvenzione arriva immediatamente, da altra fonte, al P.M., è quest’ultimo che investe l’organo di vigilanza perché possa dettare le sue prescrizioni per eliminare l’infrazione accertata.

Nell’uno e nell’altro caso il procedimento penale è sospeso (l’art. 23 disciplina appunto questa speciale ipotesi di “sospensione del procedimento penale”) in attesa che si compia questa fase incidentale diretta a far si che innanzi tutto siano poste in essere (da parte del contravventore) le specifiche misure e di sicurezza e di igiene del lavoro, prescritte dall’organo di vigilanza, con possibilità di oblazione del reato in caso di adempimento.

Questa fase incidentale comporta appunto la sospensione del procedimento penale, peraltro non assoluta perché non preclude la richiesta di archiviazione, né impedisce l’assunzione delle prove con incidente probatorio, né gli atti urgenti di indagine preliminare, né il sequestro preventivo (art. 23, comma 3); solo in tal senso, molto particolare, essa costituisce “condizione di procedibilità” dell’azione penale e si connota come una parentesi finalizzata alla regolarizzazione e dell’eventuale oblazione del reato.

2.2. La modulazione di tale condizione di procedibilità segue una scansione temporale secondo varie evenienze possibili:

a) l’organo di vigilanza che comunque è tenuto a riferire al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione (art. 20, comma 4) - può, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, impartire al contravventore un’apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine (di ciò l’organo di vigilanza, in quanto operante nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, è tenuto a dare immediata comunicazione al P.M. e quindi di norma contestualmente alla stessa comunicazione della notizia di reato): il processo penale allora rimane sospeso fino a momento in cui il pubblico ministero riceve una delle comunicazioni di cui all’art. 21, comma 2 e 3 (art.23, comma 1), per le quali vi è un termine variamente modulato dagli artt. 20, comma 1 e 21, commi 2 e 3, ma che comunque non può superare un limite temporale massimo (risultante dalla sommatoria di vari termini: fino a sei mesi prorogabili una sola volta - per la regolarizzazione: fino a trenta giorni per l’oblazione; fino a centoventi o novanta giorni per la comunicazione al P.M. dell’adempimento o dell’inadempimento della prescrizione) entro il quale l’organo di vigilanza deve comunicare al P.M. l’adempimento alla prescrizione (con l’eventuale pagamento della somma determinata ai fini dell’oblazione) ovvero l’inadempimento alla stessa.

b) la notizia di reato perviene direttamente al P.M.: è allora quest’ultimo ad investire l’organo di vigilanza “per le determinazioni inerenti alla prescrizione che si renda necessaria allo scopo di eliminare la contravvenzione” (art. 22, comma 1). In questa evenienza l’organo di vigilanza informa il pubblico ministero delle proprie determinazioni entro sessanta giorni dalla data in cui ha ricevuto la comunicazione da quest’ultimo (art. 22, comma 2): il processo è sospeso fino a quando l’organo di vigilanza informa il pubblico ministero che non ritiene di dover impartire alcuna prescrizione (perché ad es. si tratta di contravvenzioni a condotta esaurita ovvero perché l’indagato ha già provveduto spontaneamente ad eliminare la violazione), e comunque alla scadenza del termine di cui all’art. 22, comma 2, ossia sessanta giorni dalla comunicazione del P.M., se l’organo di vigilanza omette di informare il pubblico ministero delle proprie determinazioni inerenti alla prescrizione (art. 23, comma 2).

In questa seconda evidenza (sub. b) - in cui è il PM che informa l’organo di vigilanza e non viceversa - è indubitabile che una determinazione dell’organo di vigilanza possa essere quella di non adottare alcuna prescrizione perché ciò è espressamente contemplato dall’art. 23, comma 2, nella parte in cui prevede: "il procedimento riprende il suo corso quando l’organo di vigilanza informa il pubblico ministero che non ritiene di dover impartire una prescrizione". Analogamente - non potendo certo ipotizzarsi, per l’evidente irragionevolezza intrinseca che altrimenti ne conseguirebbe, che l’organo di vigilanza possa non adottare alcuna prescrizione quando è investito dal P.M. e debba invece farlo quando è lui a comunicare al P.M. la notizia di reato - deve ritenersi che l’organo di vigilanza, ove sia quest’ultimo ad informare il P.M. (ipotesi sub a), possa fin dall’inizio determinarsi a non adottare alcuna prescrizione (perché ad es. non c’è nulla da regolarizzare, o perché la regolarizzazione c’è già stata ed è congrua) e quindi possa limitarsi a comunicare la notizia di reato al P.M. vuoi con l’indicazione espressa di non aver impartito alcuna prescrizione al contravventore: ciò che parimenti implica la determinazione dell’organo di vigilanza di non impartire alcuna prescrizione.

Ed allora, in disparte l’ipotesi (che è quella normale) in cui l’organo di vigilanza comunichi tempestivamente (ossia nel prescritto termine) al P.M. l’adempimento della prescrizione impartita (con o senza l’oblazione) ovvero l’inadempimento alla stessa da parte del contravventore ovvero ancora, ove investito dalla comunicazione del P.M., la determinazione di non adottare alcuna prescrizione, c’è comunque un termine finale massimo che in ogni caso fa cessare la sospensione del procedimento penale qualunque sia stata (o non sia stata) l’attività dell’organo di vigilanza. Inoltre è ben possibile che questa sospensione non scatti mai ove inizialmente l’organo di vigilanza comunichi al P.M. la notizia di reato con l’indicazione espressa di non aver impartito alcuna prescrizione al contravventore ovvero senza l’indicazione di alcuna prescrizione impartita; ciò che è parimenti indicativo della determinazione dell’organo di vigilanza di non impartirne alcuna.

In altre parole il fatto che l’organo di vigilanza non impartisca alcuna prescrizione di regolarizzazione è un ipotesi possibile e legittima e non condiziona affatto l’esercizio dell’azione penale, che è invece condizionato, per un limitato periodo di tempo, solo nel caso in cui, all’opposto, l’organo di vigilanza impartisca al trasgressore una prescrizione di regolarizzazione; condizionamento questo che, così costruito, appare compatibile con il precetto costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione stessa (art. 112 Cost.).

2.3. Un chiarimento a questo punto si impone sulla nozione di "prescrizione di regolarizzazione" che l'organo di vigilanza può - come si è appena precisato - (e non già deve) adottare.

La “regolarizzazione" di cui si è detto finora non consiste semplicemente nell’eliminazione della condotta penalmente rilevante, ove a carattere permanente, accertata dall'organo di vigilanza in sede ispettiva ovvero nella non reiterazione della stessa ove si tratti di una condotta ad effetto istantaneo o esaurita. Ciò è dovuto in ogni caso dal datore di lavoro (e da chi sia soggetto alla disciplina in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e più in generale in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro). Non occorre alcuna prescrizione da parte dell’organo di vigilanza: va da se che il contravventore deve far cessare la permanenza della sua condotta illecita ovvero non deve più reiterarla. Si tratta null'altro che della prescrizione di legge che il contravventore ha violato e che deve non più violare provvedendo a "regolarizzare" la sua condotta, senza necessità di alcuna specifica prescrizione (alcuna sorta di ammonimento) a non violare la legge penale.

Insomma, non c’è alcun meccanismo di previa messa in mora che, ove inadempiuta, faccia scattare il reato: questo comunque è già stato commesso dal contravventore (e semmai è oblazionabile), mentre la prescrizione di legge penale, che è stata violata, non deve comunque essere più - o essere ancora - violata all’originario contravventore senza necessità che essa sia, per così dire, “rinforzata” dalla prescrizione dell’organo di vigilanza.

La "regolarizzazione" alla quale fa riferimento il complesso normativo sopra citato è qualcosa di più; si tratta di prescrizioni di dettaglio - che possono consistere anche in "specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro" (art. 20 comma 3) - che rappresentano una modalità particolare di adempimento della prescrizione di legge, sanzionata penalmente.
L’organo di vigilanza, in riferimento al caso che è stato oggetto dell'attività di vigilanza, può ritenere che le esigenze di sicurezza e di igiene del lavoro siano meglio soddisfatte con l’adozione di determinati accorgimenti che costituiscono una modalità specifica di adempimento della prescrizione di legge, ritenuta dall'organo di vigilanza più confacente al caso di specie.

Il contravventore allora, che comunque deve adempiere alla generale prescrizione di legge, è chiamato ad adempiere ad una prescrizione ulteriore, quella singulatim impartitagli dall’organo di vigilanza - e questo aggravio della sua posizione, quale possibile conseguenza ulteriore del reato commesso, è bilanciato dalla misura premiale dell’oblazione in sede amministrativa del reato a condizioni più favorevoli dell'oblazione di cui agli artt. 162 e 162 bis c.p.

É ben possibile però che, secondo una valutazione rimessa all’organo di vigilanza, condizionata dalle particolarità del caso concreto, non ci siano misure specifiche da prescrivere e che quindi rimanga per il contravventore (egualmente da osservare) solo la prescrizione generale, quella prevista dalla legge e sanzionata penalmente.

Come è anche possibile, secondo l’espressa previsione dell’art. 24, comma 3 - che l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione sia stata realizzata dal trasgressore con “modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza”, ma parimenti congrue e compatibili: in tal caso rimane non di meno la misura premiale dell’oblazione nell’importo ridotto al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.

2.4. Questo quadro normativo ha poi trovato conferma nell’art. 15 d.lgs. 23 aprile 2004 n. 124 (recante norme di razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro) che da una parte ne ha ampliato l’ambito di applicazione a tutte le violazioni di carattere penale previste dalle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro: d’altra parte - ed è ciò che maggiormente interessa - ha previsto che la procedura di regolarizzazione di cui agli artt. 20-24 d.lgs. n. 758/1994 si applica anche nelle ipotesi in cui la fattispecie è a condotta esaurita, ovvero nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione”. Invece secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. III, 13 giugno 2001 - 29 agosto 2001, n. 32418: in questa parte non massimata) - l’espletamento della procedura prevista dagli artt. 20 ss. d.lgs. n. 758/1994, volta ad eliminare la situazione di pericolo o di disagio per i lavoratori mediante l’adozione delle misure all’uopo prescritte dagli organi di controllo competenti, era inapplicabile alle contravvenzioni istantanee e a quelle a condotta esaurita, in quanto incompatibile con la natura di detti reati; giurisprudenza questa da ritenersi superata dalla nuova normativa. Cfr. anche Cass. sez. III, 1 aprile 2009 - 16 giugno 2009, n. 24791, che ha appunto affermato che “è superata la giurisprudenza di questa Corte che aveva ritenuto non applicabili gli artt. 20 ss. d.lgs. 758/1994 nell’ipotesi di mancanza di prescrizioni da parte dell’organo di vigilanza”.

L’espressa previsione, da parte dell’art. 15 d.lgs. n. 124/2004, di quest’ultima fattispecie in particolare (quella del trasgressore che abbia già adempiuto alla prescrizione, in materia di lavoro e legislazione sociale, in precedenza violata e che quindi abbia già “regolarizzato” la sua posizione rispetto alla prescrizione di legge) mostra ulteriormente - a conferma di quanto sopra argomentato - che la prescrizione dell’organo di vigilanza, ora certamente possibile in ragione dell’inequivoco dettato normativo, è qualcosa di ulteriore e più specifico rispetto all’adempimento della prescrizione di legge (è stato ritenuto legittimo, ad es., l’ordine di cessazione dell’attività dell’imprenditore datore di lavoro: Cass., sez. III, 1 aprile 2009 - 16 giugno 2009, n. 24791, cit.).

2.5. La conclusione di questo argomentare può quindi così sintetizzarsi: a) la prescrizione di regolarizzazione può - non necessariamente deve - essere impartita dall’organo di vigilanza il quale, vuoi inizialmente (ove sia quest’ultimo a comunicare la notizia di reato al P.M.), vuoi successivamente (ove sia il P.M. che abbia ricevuto la notizia di reato da altra fonte, ad investire l’organo di vigilanza), può determinarsi a non impartirne alcuna (perché, ad es., non c’è nulla da regolarizzare o perché la regolarizzazione c’è già stata ed è congrua); b) la sospensione del processo penale di cui all’art. 23 cit. nell’ipotesi in cui la prescrizione di regolarizzazione sia stata impartita dall’organo di vigilanza (ove sia quest’ultimo a comunicare la notizia di reato al P.M.), ovvero possa ancora essere impartita (ove sia il P.M. che abbia ricevuto la notizia di reato da altra fonte, ad investire l’organo di vigilanza), non è mai sine die, ma ha comunque un limite temporale massimo (di cui si è detto sopra) che chiude la parentesi mirata alla conformazione da parte del trasgressore alla prescrizione di regolarizzazione, nel senso sopra chiarito, impartita dall’organo di vigilanza; c) non c’è alcun “diritto” del contravventore a ricevere la prescrizione di regolarizzazione dall’organo di vigilanza con assegnazione del relativo termine per adempire; egli è comunque tenuto a “regolarizzare” ossia a rispettare le norme di prevenzione in materia di sicurezza e di igiene del lavoro - anche se alla prescrizione di legge non si aggiunga la prescrizione dell’organo di vigilanza di rispettarla adottando in particolare “specifiche misure”: ma in ogni caso egli, ove abbia “regolarizzato” adottando misure equiparabili a quelle che l’organo di vigilanza avrebbe potuto impartirgli con la prescrizione di regolarizzazione, può comunque chiedere al giudice di essere ammesso in misura ridotta, beneficio che non gli è precluso dal fatto che nessuna prescrizione di regolarizzazione gli sia stata impartita dall’organo di vigilanza (ciò in ragione di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 24, comma 3, di cui ora si viene a dire: v. in sintesi infra sub 2.7.).

2.6. C’è infatti da considerare l’interpretazione adeguatrice indicata dalla giurisprudenza costituzionale in materia.

La previsione dell’art. 15 d.lgs. n. 124/2004 - nella parte in cui prescrive che la procedura di regolarizzazione di cui agli artt. 20-24 d.lgs. n. 758/1994 si applica anche nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione - ben si raccorda alla giurisprudenza costituzionale in materia che ha preso in considerazione l’ipotesi in cui il trasgressore abbia immediatamente (o comunque tempestivamente) regolarizzato la sua posizione adottando misure tali da rendere superflua la prescrizione di regolarizzazione da parte dell’organo di vigilanza.

L’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 758/94 cit. prevede - come già ricordato - l’ipotesi del trasgressore che regolarizzi la sua posizione con “modalità diverse” da quelle prescritte dall’organo di vigilanza: il giudice è chiamato a valutarne l’equipollenza al fine di ammettere il trasgressore all’oblazione nella stessa misura agevolata dell’oblazione in via amministrativa. Come anche prevede l’adempimento non tempestivo, ossia in un tempo superiore a quello assegnato dall’organo di vigilanza, ma che comunque il giudice può apprezzare come congruo: anche in tal caso rimane il beneficio dell’oblazione in misura ridotta.

Secondo poi l’interpretazione adeguatrice indicata dalla Corte costituzionale ciò avviene anche nel caso in cui questa regolarizzazione da parte del trasgressore sia spontanea e precede la possibile determinazione da parte dell’organo di vigilanza; il quale quindi, in tale evenienza, nessuna prescrizione impartisce non già perché non abbia il potere di farlo (l’art. 15 d.lgs. n. 124/2004 ora espressamente prevede - come già ricordato - che la procedura di regolarizzazione possa essere attivata anche “nelle ipotesi in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto all’adempimento degli obblighi di legge sanzionati precedentemente all’emanazione della prescrizione”), ma perché la regolarizzazione già operata dal trasgressore è adeguata e conforme alle “specifiche misure” che l’organo di vigilanza avrebbe potuto impartire ove non fosse stato “preceduto dallo stesso trasgressore.

In particolare la Corte costituzionale (sent. n. 19 del 1998; cfr. anche ord. n. 192 del 2003), nel dichiarare non fondate le questioni di costituzionalità dell’art. 24, comma 1, d.lgs. n. 758/94 cit., ha offerto un’interpretazione adeguatrice del plesso normativo in esame per evitare un ingiustificato trattamento deteriore al contravventore che, spontaneamente ed autonomamente, abbia regolarizzato la violazione prima che l’organo di vigilanza si sia determinato ad impartire la prescrizione di cui all’art. 20 cit. rispetto a quello riservato al contravventore che regolarizzi a seguito di prescrizione impartita dall’organo di vigilanza. Il quale ultimo (l’organo di vigilanza) infatti - ha ritenuto la Corte - può parimenti impartire la prescrizione dell’art. 20 cit. “ora per allora” oppure può limitarsi a verificare l’avvenuta eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione, talché in entrambe le ipotesi il contravventore può essere ammesso all’oblazione in sede amministrativa (con il rispetto del termine di trenta giorni di cui all’art. 21, comma 2, cit.: Cass., Sez. III, 27 marzo 2003 - 30 maggio 2003, n. 23921).

Inoltre (cfr. Cass., Sez. III, 1 febbraio 2005 - 10 marzo 2005, n. 9478) il contravventore che non abbia avuto l’opportunità di essere ammesso all’oblazione in sede amministrativa per il fatto di non aver ricevuto alcuna prescrizione da parte dell’organo di vigilanza, ma che non di meno abbia eliminato la violazione conformandosi agli obblighi di legge in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, può successivamente chiedere al giudice - deducendo la congruità della regolarizzazione per aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità analoghe a quelle che l’organo di vigilanza avrebbe potuto indicare - di avvalersi dell’oblazione ordinaria, ma nella misura ridotta di cui al terzo comma dell’art. 24 cit., che la prevede con il pagamento di un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa; ipotesi questa che proprio in ragione di quell’esigenza di interpretazione costituzionalmente orientata sottesa alla cit. sent. n. 19 del 1998, non può ritenersi limitata ai soli casi di adempimento spontaneo od effettuato con modalità diverse da quelle prescritte (espressamente C. cost. n. 192 del 2003, da ultimo, ha ribadito la possibilità per il giudice di ricondurre tutte le “situazioni sostanzialmente omogenee” nell’alveo della procedura prevista dagli art. 20 ss. d.lgs. n. 758/94 cit.).

2.7. Ed allora l’ulteriore conclusione che può formularsi è che la circostanza che l’organo di vigilanza, nel comunicare al P.M. la notizia di reato, non abbia impartito alcuna prescrizione di regolarizzazione all’imputato, mostrando così di determinarsi a non impartirne alcuna (ciò che può legittimamente fare, come sopra argomentato), non impedisce, nell’immediato, al trasgressore, proprio in ragione della constatazione dell'avvenuta regolarizzazione, di chiedere all’organo di vigilanza di essere comunque ammesso all'oblazione in sede amministrativa (ex art. 21, comma 2, cit.) ovvero non impedisce, successivamente, all’imputato di chiedere al giudice di essere ammesso all’oblazione ordinaria in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata dell’oblazione in sede amministrativa.

2.8. Nella specie quindi il fatto che nessuna prescrizione di regolarizzazione sia stata intimata dall’organo di vigilanza ai trasgressori non costituisce causa di improcedibilità dell’azione penale - per tutte le argomentazioni sopra svolte e sintetizzate, come principio di diritto, sub 2.5 - e quindi non sussiste, nella sentenza impugnata, il vizio denunciato dalla difesa dei ricorrenti.

Può solo marginalmente aggiungersi che nella specie la “regolarizzazione” della condotta contestata - appalto in violazione dell’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003 sarebbe stata quella contemplata dall’art. 29, comma 3 bis, che prevede che, quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 114 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo.

Si tratta quindi di una tipica conseguenza meramente giuridica (il lavoratore si considera alle dipendenze dell’utilizzatore) che implica l’iniziativa del lavoratore.
Pertanto correttamente l’organo di vigilanza si è limitato a trasmettere la notizia di reato al P.M. senza impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione al committente e all’appaltatore, “regolarizzazione” che in realtà dipendeva anche dall’iniziativa dei lavoratori interessati.

3. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso con cui si denuncia la nullità della impugnata sentenza per difetto di puntuale contestazione.

In realtà la condotta contestata e chiara, precisa e puntuale: agli imputati è stata contestata la condotta consistente nell’aver posto in essere un appalto “non genuino”, ossia in violazione dell’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003 cit..

4. Infondato è altresì il terzo motivo di ricorso con cui si deduce l’erronea applicazione della legge penale in quanto la suddetta condotta non costituirebbe più reato per essere prevista dall’art. 1 della legge n. 1369/60, di fatto abrogata. Si sostiene nel ricorso che il nuovo impianto normativo in materia di appalto, ossia quello previsto dagli artt. 18 e 29 del d.lgs. n. 276/2003, ha escluso la rilevanza penale della predetta condotta, ammettendo che l’appaltatore possa utilizzare le attrezzature del committente ed evidenziando che l’appalto possa essere eseguito anche mediante la predisposizione del solo sistema organizzativo del personale.

É sufficiente rilevare che l’art. 18, 5 bis, d.lgs. n. 276/2003, come modificato dall’art. 4, d.lgs. 6 ottobre 2004, n. 251, prevede che nei casi di appalto privo dei requisiti di cui all’art. 29 comma 1, l’utilizzatore (ossia il committente nello pseudo-appalto) e il somministratore (ossia l’appaltatore nello pseudo-appalto) sono puniti con la pena della ammenda di Euro 50 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se poi vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda è aumentata fino al sestuplo. Si tratta quindi di sanzione penale talché costituisce reato la condotta quale contestata agli imputati.

Peraltro tale condotta, contestata con riferimento al periodo dal 9 dicembre 2005 al 31 maggio 2006, ricade tutta nella vigenza del cit. D.Lgs. n. 251 del 2004, e quindi correttamente la sentenza impugnata ne ha ritenuto l'assoggettamento a sanzione penale.

5. Il quarto motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata, è invece fondato.

Come già rilevato la fattispecie penale consiste nella violazione dell'art. 29, comma 1, cit., che, nell'integrare la disciplina del contratto di appalto nel nuovo contesto normativo che ha riconosciuto come lecita, a determinate condizioni, la somministrazione di lavoro, prevede che il contratto di appalto si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa.

Quindi gli elementi caratterizzanti dello pseudo - appalto, quali risultanti da tale disposizione, sono: a) la mancanza dell'esercizio del potere organizzativo e direttivo da parte dell'appaltatore nei confronti dei lavoratori, formalmente suoi dipendenti, utilizzati nell'appalto; b) nonché la mancanza, nell'appaltatore, del rischio d'impresa.

Nella specie l'impugnata sentenza, quanto al primo presupposto, ha rilevato, in punto di fatto, che "buona parte dei servizi venivano svolti all'interno degli uffici nei quali il personale della T. e quello della B.C. operavano congiuntamente, mentre le funzioni più spiccatamente tecniche erano comunque poste in essere sotto il controllo e la supervisione della ditta appaltante"; e ciò ha ritenuto che rivelasse anche la sussistenza del secondo presupposto, ossia la mancanza del rischio di impresa.

Orbene, da una parte la contiguità fisica ed il coordinamento operativo dei dipendenti dell'una e dell'altra società, d'altra parte il controllo e la supervisione della società committente non integrano di per se la fattispecie della “mancanza dell’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto” che implica viceversa un totale accentramento di tale potere organizzativo e direttivo nel committente si che l’appaltatore, di fatto estromesso dalla direzione dei lavoratori formalmente suoi dipendenti, risulti in realtà essersi limitato alla mera “somministrazione” di lavoro (illegittima perché senza il rispetto di tutta la disciplina regolatrice della fattispecie).

La stessa sentenza poi precisa che “le disposizioni e le direttive venivano impartite” ai dipendenti dell’appaltatore da un responsabile dell’appaltatore stesso (C.), seppur sulla base di “ordini” di un responsabile del committente (A.), ciò che in mancanza di specificazioni in fatto sul contenuto di tali “ordini” (direttive vincolanti o invece prescrizioni dettagliate in ordine a chi facesse cosa) mostra semmai l’esistenza di un qualche “potere organizzativo e direttivo” dell’appaltatore esercitato per il tramite di un suo dipendete (il C.) a ciò preposto.

In questa parte pertanto la sentenza impugnata è affetta da vizio di motivazione contraddittoria, risultante dal testo della stessa, in ordine alla verifica della sussistenza dei presupposti dell’appalto non genuino (ex art. 29 comma 1, cit.).

6. Quanto agli altri motivi del ricorso, il quinto - che denuncia il difetto di motivazione sull’elemento soggettivo - è inammissibile per genericità della sua formulazione: il sesto, sulla quantificazione della pena, è assorbito dall’accoglimento del quarto motivo.

7. Pertanto il ricorso va accolto limitatamente al quarto motivo con conseguente annullamento dell’impugnata sentenza con rinvio al tribunale di Ascoli Piceno.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Ascoli Piceno.
Così deciso in Roma, 5 maggio 2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 12 LUGLIO 2010