Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 maggio 2024, n. 14041 - Raccoglie la frutta appoggiando la scala su un ramo non abbastanza robusto per reggerne il peso. Art. 21 D.Lgs. n. 81/2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana - Presidente -
Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere -
Dott. CASO Francesco Giuseppe Luigi - Rel. Consigliere -
Dott. MICHELINI Gualtiero - Consigliere -
Dott. BOGHETICH Elena - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 1679-2023 proposto da:
A.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato MARCO FRANCESCO ANGELETTI;
- ricorrente -
contro
A.A., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato SIRO CENTOFANTI;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 218/2022 della CORTE D'APPELLO di PERUGIA, depositata il 20/07/2022 R.G.N. 29/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal Consigliere Dott. FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI CASO.
Fatto
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d'appello di Perugia rigettava l'appello proposto da A.A. contro la sentenza del Tribunale di Spoleto n. 19/2022, la quale aveva respinto il ricorso proposto dal suddetto nei confronti di A.A..
1.1. Con detto atto introduttivo il A.A. aveva chiesto di: in via principale, accertata la natura subordinata del rapporto lavorativo intercorrente tra le parti in causa e la conseguente violazione degli obblighi imposti dalla normativa contro gli infortuni sul lavoro, condannare la convenuta A.A. al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti e subendi dal ricorrente; in via subordinata, accertata la natura autonoma del rapporto lavorativo intercorrente tra le parti in causa e la conseguente violazione da parte della resistente degli obblighi imposti dalla normativa contro gli infortuni sul lavoro (ex art. 26 D.Lgs. 81/2008), ai sensi degli artt. 2222 c.c. e 1218 c.c. e/o dell'art. 2043 c.c., condannare la convenuta al risarcimento degli stessi danni patrimoniali e non patrimoniali; in via ulteriormente subordinata, accertare e dichiarare la responsabilità della convenuta ai sensi dell'art. 2051 c.c. in qualità di custode della cosa da cui era derivato l'evento dannoso di cui è causa e, per l'effetto, condannare la stessa al risarcimento dei ridetti danni.
2.1. Per quanto qui ancora interessa, la Corte territoriale confermava non essere intercorso tra le parti un rapporto di lavoro subordinato e quindi l'esclusione di responsabilità dell'appellata a tale titolo per l'evento dannoso occorso all'appellante.
2.2. Riteneva, ancora, che si doveva escludere la responsabilità della A.A. per le lesioni subite dal A.A. potesse essere fondata sulle previsioni del D.Lgs. n. 81/2008.
2.3. Infine, nell'esaminare l'eventuale responsabilità della stessa ai sensi dell'art. 2051 c.c., fatta valere in via subordinata dall'appellante, la Corte, tenuto conto dei principi giurisprudenziali richiamati, concludeva che l'infortunio fosse stato causato da un comportamento gravemente imprudente dell'appellante, tale da integrare il caso fortuito.
3. Avverso tale decisione A.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
4. Ha resistito l'intimata con controricorso.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Diritto
1. Con il primo motivo il ricorrente ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. "denuncia la violazione dell'art. 2051 c.c. e in subordine la violazione dell'art. 1227 c.c.". Deduce che la Corte d'appello, nel ravvisare il caso fortuito, rappresentato dall'imprudenza commessa dal ricorrente nell'appoggiare la scala su un ramo non abbastanza robusto per reggerne il peso, ha violato l'art. 2051 c.c., in quanto l'asserita condotta colposa del danneggiato non era tale da poter assurgere a causa efficiente dell'evento, dovendosi invece applicare l'art. 2051 cit., che prevede una responsabilità oggettiva a carico del custode e non essendo affatto prevedibile che il ramo dell'albero avrebbe ceduto. In ogni caso, la condotta del ricorrente avrebbe potuto essere apprezzata, in subordine, ai sensi dell'art. 1227 c.c. ossia sotto il diverso profilo dell'accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227 c. Datap comma 1). Per altro verso la Corte d'appello aveva errato nel ritenere che la condotta del danneggiato (il quale incaricato di raccogliere la frutta, avrebbe appoggiato la scala fornita dalla resistente su di un ramo non idoneo a sorreggerne il peso) potesse integrare gli estremi del caso fortuito, richiedendosi, a tal fine, la prova positiva di una condotta connotata da oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa.
2. Con un secondo motivo, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. "denuncia la violazione del D.Lgs. 81/2008 con particolare riguardo al suo ambito di applicazione e, comunque, del principio affermato da Cass. sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015 per cui il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera, anche, in relazione al committente privato".
3. Il primo motivo non è fondato.
4. Giova premettere come la Corte ha ricostruito i fatti che avevano dato origine al processo, in base a quanto emerso dagli atti e dall'istruttoria.
4.1. La Corte ha rilevato: " A.A., amico della badante ucraina dell'anziana madre della A.A., il 2 agosto 2015, com'era accaduto in altre precedenti occasioni, si recò a casa della convenuta, situata in Foligno, alla Via F 8, con l'accordo che avrebbe colto la frutta dall'albero di susine presente nell'orto, per trattenerne per sé, come compenso, la maggior parte.
Si presentò alla A.A. la mattina, e, non avendo portato con sé una scala, se la fece prestare dalla donna.
Si recò quindi nell'orto, posto nel retro della proprietà, e cominciò a cogliere la frutta. Dopo un certo tempo, appoggiò la scala a un ramo secondario dell'albero, che non resse il suo peso (il A.A. è di alta statura e di corporatura robusta) e si spezzò; il A.A. fu sbalzato dalla scala oltre un muretto, e precipitò a terra, sulla rampa sottostante, che conduceva verosimilmente a un garage. La scala non era difettosa e non si ruppe. Il A.A. fu soccorso dai sanitari del 118, prontamente chiamati, e portato in ambulanza all'ospedale di Foligno, dove gli furono diagnosticati: "frattura complessa dell'emibacino sn con sfondamento dell'acetabolo sinistro e frattura delle branche ileo ed ischio-pubica di sinistra, discreto ematoma venoso extraperitoneale"". La Corte ha precisato che "il A.A. svolgeva attività di operaio edile" (cfr. pagg. 4-5 dell'impugnata sentenza).
4.2. Tale ricostruzione dell'episodio non è più posta in discussione in questa sede di legittimità dal ricorrente.
5. La stessa Corte, poi, nel rivalutare il caso sub specie di responsabilità ex art. 2051 c.c., dopo aver richiamato diversi precedenti di legittimità, ha considerato che: "era ragionevole attendersi dal A.A. - avvezzo, come operaio edile, a lavori di una certa pericolosità - l'uso della normale prudenza nell'appoggiare la scala all'albero, in maniera tale da evitare di gravare con il suo peso e con quello della scala stessa su un ramo secondario di un albero di cui era prevedibile la rottura. Del resto, il A.A. aveva già in passato eseguito la raccolta della frutta nell'orto della A.A., cosicché doveva avere anche una conoscenza adeguata delle caratteristiche delle piante; in ogni caso, quell'operazione non gli era nuova" (così alle pagg. 9-10 della sua sentenza).
6. Tanto premesso, le Sezioni unite di questa Corte di recente hanno ribadito i seguenti principi di diritto: "a) "l'art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima"; b) "la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento dannoso"; c) "il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere"; d) "il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa dell'art. 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost.
Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautela normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo le dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale"" (così al Par. 8.9. di Cass., sez. un., 30.6.2022, n. 20943 ed ivi il richiamo ai precedenti in senso conforme).
6.1. Nota il Collegio che, tra le diverse decisioni di legittimità richiamate in proposito dalla Corte territoriale (a pag. 9 della sua sentenza), figura anzitutto Cass., sez. III, 1.2.2018, n. 2480, vale a dire, una delle sentenze della terza Sezione civile di questa Corte, espressive dei suddetti principi, e citate dalle Sezioni unite nell'ora richiamata ordinanza (cfr. ancora i par. 8.98.11. di Cass. n. 20943/2022).
7. La sentenza impugnata risulta del tutto conforme ai su enunciati principi di diritto in relazione alla fattispecie di cui è causa, come sopra accertata.
8. In primo luogo, infatti, sono giuridicamente infondate le considerazioni svolte dal ricorrente nello sviluppo del primo motivo, secondo le quali il rischio di una caduta (a suo dire, dall'altezza di tre metri) era il rischio che la A.A. all'atto del conferimento dell'incarico al danneggiato "doveva prevenire dotando il A.A. dei dispositivi antinfortunistici previsti dalla normativa antinfortunistica, o comunque adottando un comportamento diligente, e cioè adottando un pur minimo strumento di tutela del ricorrente".
8.1. In relazione, difatti, allo specifico ambito di responsabilità (extracontrattuale) oggettiva cagionato da cose in custodia ex art. 2051 c.c., non solo non possono venire in considerazione rispetto al custode le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ma non assume alcun rilievo la colpa o meno del custode, come ribadito anche dalle Sezioni unite di questa Corte.
9. Ciò chiarito, l'accertamento fattuale dell'episodio compiuto dalla Corte di merito incensurabilmente l'ha portata a concludere che la condotta della vittima, entrata in interazione con cose della convenuta (l'albero di sua pertinenza e la scala dalla stessa fornita all'incaricato della raccolta dei frutti), abbia rivestito nella specie efficienza causale esclusiva nella produzione dell'evento, così integrando gli estremi del caso fortuito escludente la responsabilità della custode di tali oggetti.
9.1. In particolare, i giudici di secondo grado hanno valutato la condotta tenuta nella specie dal danneggiato, appunto tenendo conto - avendo richiamato, come anticipato, Cass. n. 2480/2018 -, che, alla luce del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale.
9.2. Come si è visto, in tal senso hanno considerato che il danneggiato - il quale non era uno sprovveduto che fosse stato incaricato una tantum della raccolta dei frutti dall'albero, ma un operaio edile già in altre precedenti occasioni incaricato della medesima incombenza, e da ritenersi quindi a conoscenza dello stato dei luoghi e segnatamente delle caratteristiche delle piante presenti nel giardino dell'attuale controricorrente -, si fece lui prestare da quest'ultima una scala per provvedere alla raccolta senza l'ausilio o la presenza di terzi; e la scala, poi, era stata imprudentemente da lui appoggiata a un ramo secondario, e quindi meno resistente (tanto che si spezzò), nel corso dell'operazione. Incensurabilmente, invero, la Corte di merito ha giudicato gravemente imprudente appunto quest'ultima condotta, valorizzando il dato del notevole peso complessivo della vittima (di alta statura e di corporatura robusta) aggiunto a quello della stessa scala, vale a dire, elementi noti all'attuale ricorrente e comunque sotto il suo controllo. Assertivamente, perciò, assume lo stesso che non sarebbe stato "affatto prevedibile che il ramo dell'albero avrebbe ceduto". Al contrario, alle condizioni date, come accertate dai giudici di merito, quell'evento era senz'altro prevedibile per il A.A. ed anche prevenibile da parte sua, adottando le opportune cautele, a cominciare da quella di evitare di posizionare la scala in appoggio al ramo secondario dell'albero per giunta in prossimità di una rampa dove egli era maggiormente a rischio di pericolosa precipitazione e dove effettivamente precipitò, come accertato dalla Corte d'appello. Quest'ultima, del resto, non ha verificato la ricorrenza di fatti naturali (contingenti condizioni di luce o atmosferiche sfavorevoli, stato vegetativo o di salute pregiudicato della pianta, etc.) o di terze persone (la A.A., ad es., neppure è data per presente all'atto dell'infortunio), che abbiano minimamente concorso nell'eziologia dell'accadimento.
10. Inammissibile è il secondo motivo di ricorso.
11. Nella rubrica del motivo ora in esame non sono specificate le disposizioni del D.Lgs. n. 81/2008 (testo normativo che si compone di numerose norme) delle quali si assume la violazione.
11.1. Sempre nella rubrica si deduce la violazione "comunque, del principio affermato da Cass. sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015 per cui il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro, opera, anche, in relazione al committente privato".
Nello sviluppo della stessa censura si specifica che "la Corte di Appello di Perugia, nel ritenere che "l'art. 26 del decreto - secondo cui "il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo" ha determinati obblighi in materia di sicurezza dei lavoratori impiegati in quelle attività -è applicabile solo ad alcune categorie di committenti, ossia al datore di lavoro, definito dall'art. 2 come "il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa", ha violato i canoni ermeneutici affermati da Cass. civ., sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015".
11.2. E tuttavia neanche queste specificazioni sono in grado di far emergere quali precipue disposizioni del D.Lgs. n. 81/2008 il ricorrente assume violate.
Infatti, si deve in proposito precisare anzitutto che Cass. n. 44131/2015, richiamata dal ricorrente, come del resto altre decisioni di legittimità dallo stesso citate (a pag. 17 del ricorso) è stata resa (non da questa quarta sezione civile della Corte, ma) dalla Corte di cassazione in sede penale.
Ma soprattutto occorre sottolineare che, come ben risulta dalla motivazione di quella decisione, essa è riferita al previgente D.Lgs. n. 494/1996, avendo anzi avuto cura di specificare, a fronte di quanto considerato dalla Corte di merito, la non completa continuità tra le disposizioni di quel D.Lgs. e quelle del D.Lgs. n. 81/2008, pacificamente vigente all'epoca del fatto di cui è causa.
Peraltro, il principio di diritto espresso dalla suddetta decisione di legittimità in sede penale, qui evocato dal ricorrente, è espressamente riferito alla configurazione di una responsabilità colposa del committente, laddove nella fattispecie in esame i giudici di merito non hanno accertato profili di ipotetica colpa in capo all'attuale controricorrente, men che meno in veste di committente nell'ambito di un appalto, secondo quanto visto nell'esaminare il primo motivo.
12. Per altro verso, il secondo motivo di ricorso non si confronta con la completa motivazione della Corte distrettuale.
Quest'ultima, pervero, non ha espresso solo le osservazioni sintetizzate dal ricorrente (alle pagg. 15-17 dell'atto d'impugnazione).
La Corte, infatti, dopo aver confermato che il rapporto inter partes non fosse di natura subordinata, ha esplicitamente condiviso anche la tesi dell'allora appellata, secondo la quale l'art. 21 D.Lgs. n. 81/2008 "pone determinati obblighi di prevenzione e di sicurezza a carico dei lavoratori autonomi, del componenti dell'impresa familiare e dei piccoli commercianti, fra cui l'usare attrezzature conformi alle disposizioni specifiche del decreto, il munirsi di dispositivi di protezione individuale e l'utilizzarli in conformità alle medesime disposizioni. Dunque, era il ricorrente stesso, in quanto prestatore d'opera, a dover provvedere alla propria sicurezza, e non la A.A." (così a pag. 8 dell'impugnata sentenza).
13. In definitiva, la censura in esame, non solo non specifica, anche complessivamente considerata, le norme di diritto su cui si fonda (in violazione dell'art. 366, comma primo, n. 4), c.p.c.), ma non tiene conto dell'essenziale passaggio motivazionale testé riportato, relativo all'art. 21 D.Lgs. n. 81/2008; norma che, sotto la rubrica "Disposizioni relative ai componenti dell'impresa familiare di cui all'art. 230-bis del codice civile e ai lavoratori autonomi", al comma 1, si riferisce, per quanto qui interessa, anche "ai lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell'art. 2222 del codice civile". E la Corte di merito ha appunto esplicitamente ricondotto l'attuale ricorrente nella fattispecie esaminata alla figura del prestatore d'opera in via autonoma.
14. Il ricorrente, in quanto soccombente, dev'essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone che sia omessa l'indicazione delle generalità r degli altri dati identificativi del ricorrente, ai sensi dell'art. 52 D.Lgs. n.196/2003 e ss.mm.
Così deciso in Roma nell'adunanza camerale del 20 marzo 2024.
Depositata in Cancelleria il 21 maggio 2024.